venerdì 12 settembre 2014

Anna: la cassaforte di Dio. //Santa Brigida, Sermone Angelico, mercoledì//


Nelle tre lezioni che seguono l'angelo tratta della concezione della Vergine e della sua nascita, e dell'amore ch'ebbe Dio per lei, anche quando era nel seno di sua madre.


LEZIONE PRIMA – CAPITOLO X  
Mercoledì
Assoluzione: La vergine madre della sapienza rischiari l'oscura nostra insipienza. Amen. 

Prima della legge data da Mosè, gli uomini vivevano per lungo tempo ignorando come dovessero regolare sé e le loro azioni nella vita. Quindi, quelli che ardevano d'amor di Dio ordinavano sé e i loro costumi nel modo che ritenevano grato a Dio; gli altri, invece, che non avevano tale amor di Dio, senza alcun timore di lui, facevano quanto loro piaceva. La divina bontà, dunque, commiserando quest'ignoranza, stabilì per mezzo del suo servo Mosè la legge con la quale regolarsi in tutto secondo la divina volontà. Questa legge insegnava, finalmente, come dovessero amarsi Dio e il prossimo, e come il consorzio di vita tra l'uomo e la donna dovesse regolarsi dal diritto divino ed onesto, perché da tal connubio nascessero figli che Dio voleva chiamare suo popolo. 

E in verità Dio amava tanto questo connubio, che stabilì di prendere da esso l'onestissima genitrice della sua umanità. Per cui, come l'aquila, volando in sublime altezza, osservati parecchi boschi, scorge da lontano un albero tanto solidamente radicato da non poter essere sradicato dagl'impeti del vento, di cima tanto alta da non potervi salire alcuno, e in positura tale da sembrar impossibile che vi cadesse sopra qualche cosa, e tale albero sceglie, dopo un più attento esame, per costruirvi il nido in cui riposare, così Dio, che è paragonato a quest'aquila, avendo davanti a sé tutte le realtà future e presenti ben chiare e manifeste, mentre osservava tutti i connubi giusti ed onesti che dovevano esistere dalla creazione del primo uomo fino all'ultimo, non ne trovò uno simile, per onestà e amor di Dio, a quello di Gioacchino ed Anna. E perciò gli piacque che da questo santo connubio fosse onestissimamente generato il corpo della madre sua, adombrato nel nido, nel quale egli si degnasse di riposarsi con ogni consolazione. 

Con ragione, infatti, si paragonano a decorosi alberi i devoti connubi, la cui radice è l'unione di due cuori che si congiungono per la sola ragione che ne provenga onore e gloria allo stesso Dio. E con ragione pure si paragona a rami fruttiferi la volontà degli stessi coniugi, quando in tutta la loro attività sono così ligi al timor di Dio, da amarsi onestamente l'un l'altro solo in vista della procreazione della prole, a gloria di Dio e secondo il suo comandamento. L'insidiatore non può raggiungere, con le sue forze ed arti, la sublimità di tali connubi, quando la loro gioia non è in altro che nel rendere onore e gloria a Dio, e quando non li affligge altra tribolazione che l'offesa e il disonore di Dio. Si sentono poi al sicuro solo quando l'affluenza degli onori o delle ricchezze del mondo non vale ad irretire i loro animi nell'amor proprio o nella superbia. Quindi, siccome Dio previde che tale sarebbe stato il connubio tra Gioacchino ed Anna, perciò decise di trarre da esso il suo domicilio, cioè il corpo della madre sua. 







O Anna, madre degna di ogni venerazione, qual tesoro prezioso portasti nel tuo seno, quando in esso riposò Maria, che doveva divenire madre di Dio! Veramente deve credersi senza esitazione che Dio stesso, appena fu concepita e formata in seno ad Anna la materia da cui doveva esser formata Maria, l'amò più di tutti gli altri corpi umani generati o da generarsi nel mondo intero da uomo e donna. Perciò la venerabile Anna può veramente chiamarsi cassaforte di Dio, perché custodiva nel suo seno il tesoro a lui più caro di ogni altra cosa. Oh, com'era sempre vicino a questo tesoro il cuore di Dio! 
Oh, come rivolgeva con amore e gioia gli sguardi della sua maestà a questo tesoro, colui che poi nel suo Vangelo disse: « Dov'è il tuo tesoro, ivi è anche il tuo cuore »! E perciò è veramente credibile che gli angeli esultassero non poco per questo tesoro, vedendo che tanto lo amava il loro Creatore, ch'essi amavano più di se stessi. E per questo sarebbe molto conveniente e giusto che fosse avuto in grande venerazione da tutti il giorno in cui fu concepita e condensata in seno ad Anna la materia dalla quale doveva essere formato il corpo benedetto della madre di Dio, dato che lo stesso Dio e gli angeli la circondavano di tanto amore.
LEZIONE SECONDA – CAPITOLO XI  
Mercoledì
Assoluzione: Maria, ch'è la stella del mare, pietosa ci aiuti a non naufragare. Amen.

Quando poi quella benedetta materia ebbe a suo tempo il corpo formato come le conveniva nel seno materno, allora accrebbe il suo tesoro il re di ogni gloria, infondendole l'anima vivente. E come l'ape che sorvola i campi fioriti scruta con più attenzione tutte le erbe dal fiore mellifluo, perché sa discernere per istinto naturale dove germoglia il fiore più ameno, e se per caso lo trova non ancora sbocciato dal follicolo aspetta con diletto il suo fiorire, per goderne a suo agio la dolcezza, allo stesso modo Dio, che tutto vede in modo chiarissimo con gli occhi della sua mente, quando contemplava, tuttora nascosta nel segreto del seno materno, Maria alla quale per la sua eterna prescienza sapeva che nessuno in tutto il mondo doveva essere simile in ogni virtù, ne aspettava con ogni consolazione e gioia la nascita, perché si rendesse manifesta, nella dolcezza di carità della stessa Vergine, la sua divina sovrabbondante bontà.

Oh, come rifulse chiara nel seno di Anna l'aurora che sorgeva, quando in esso il piccolo corpo di Maria fu vivificato dall'avvento dell'anima, il cui sorgere tanto desideravano gli angeli e gli uomini! Deve notarsi, però, che come gli uomini, che abitano nelle terre dove il sole risplende coi suoi raggi sia di giorno che di notte, non desiderano il sorgere dell'aurora a motivo della luce (perché lo splendore del sole è più fulgido dell'aurora) ma perché dall'apparire dell'aurora capiscono che il sole deve salire più in alto, e che i loro frutti, che sperano raccogliere nei granai, matureranno meglio e più presto col beneficio del suo calore, e invece gli abitanti nei luoghi dove sono avvolti nell'oscurità della notte, non solo si rallegrano perché sanno che dopo l'aurora deve sorgere anche il sole, ma anche non poco perché sanno che, sorgendo l'aurora, possono già vedere quello che devono fare, allo stesso modo i santi angeli abitanti nel regno dei cieli non desideravano il sorger dell'aurora (cioè la nascita di Maria), perché mai dai loro occhi tramonta il vero sole che è Dio, ma in tanto desideravano che sorgesse, nascendo in questo mondo, in quanto prevedevano che Dio, che è paragonato al sole, mediante quell'aurora, avrebbe voluto mostrare più manifestamente il suo sommo amore, che è paragonato al calore; e così gli uomini amanti di Dio diventassero portatori di frutti di buone opere e maturassero con la costante perseveranza nel bene, e gli angeli poi potessero raccoglierli in quegli eterni granai che sono paragonati al gaudio celeste.

Gli uomini poi di questo mondo tenebroso, prevedendo la nascita della madre di Dio, non solo si rallegrarono perché capivano che da essa doveva nascere il loro liberatore, ma godevano anche perché vedevano i costumi onestissimi di questa gloriosa vergine, e da essa apprendevano meglio che cosa doveva farsi e che cosa evitarsi.

Questa Vergine fu anche quel virgulto che Isaia predisse sarebbe uscito dalla radice di Iesse, e da cui sarebbe spuntato un fiore sul quale predisse che si sarebbe posato lo spirito del Signore. O virgulto ineffabile, che, mentre cresceva nel seno di Anna, il suo intimo germe rimaneva più gloriosamente nel cielo! Questo virgulto, dunque, era tanto sottile da dimorare facilmente nel seno materno, ma il suo intimo era così grande ed immenso in ampiezza e larghezza, che nessuna mente poteva immaginarne la grandezza.

Perché il virgulto non poté germinare il fiore prima che l'intimo midollo, penetrandolo, gli desse la forza di germogliare, e neanche la forza del midollo si fece manifesta prima che il virgulto desse umore al midollo. In effetti questo midollo era la persona del Figlio di Dio, generato dal Padre prima della luce, ma che non apparve nel fiore, cioè nel corpo umano, fino a che col consenso della Vergine, che è significata nel virgulto, ebbe presa la materia di questo fiore dal purissimo sangue di lei, nel suo seno verginale. E, benché questo benedetto virgulto, cioè la gloriosa Maria, nella sua nascita restava separato dal corpo materno, il Figlio di Dio, quando la Vergine lo partorì corporalmente, non si separò dal Padre più di quando il Padre lo generò incorporalmente nell'eternità. Anche lo Spirito Santo era inseparabilmente, dall'eternità, nel Padre e nel Figlio, perché sono tre persone ed una sola divinità.
LEZIONE TERZA – CAPITOLO XII  
Mercoledì
Assoluzione: Il nascer di Maria a questo mondo ci renda sempre il vivere giocondo. Amen.

Dunque, come nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo v'era nell'eternità una sola divinità, così anche in essi non vi fu mai diversa volontà. Perciò, come se da un unico rogo acceso procedessero tre fiamme, così dalla bontà della volontà divina tre fiamme della divina carità concorsero egualmente alla perfezione di un'unica opera. Perché la fiamma d'amore che procede dal Padre ardeva splendidissimamente davanti agli angeli, quando conobbero ch'era sua volontà di voler benevolmente esporre il suo diletto Figlio per la liberazione del servo schiavo.

Né restò nascosta la fiamma di amore procedente dal Figlio, quando al cenno del Padre volle esinanirsi, prendendo la forma di servo. Neanche la fiamma d'amore procedente dallo Spirito Santo appariva meno splendente quando si mostrò pronto a far palese in opere manifeste la volontà del Padre, del Figlio e di se stesso. E, sebbene il ferventissimo amore di questa divina volontà irradiasse tutti i cieli, dando agli angeli ineffabile consolazione col suo splendore, non poteva, però, da questo venire la redenzione del genere umano, secondo l'eterno disegno di Dio, prima che fosse generata Maria, nella quale doveva accendersi fuoco d'amore così fervente che, salendone in alto il profumato odore, lo stesso fuoco, ch'è Dio, si effondesse in esso, e per esso ridondasse a questo mondo infreddolito.

Finalmente questa Vergine, dopo la sua nascita, era simile ad una lucerna nuova, ma non ancora accesa, che però doveva essere accesa talmente che, come l'amore di Dio, figurato nelle tre fiamme, splendeva nel cielo, così questa lucerna eletta, ch'era Maria, doveva risplendere in questo mondo tenebroso con tre altre fiamme. Infatti la prima fiamma di Maria rifulse chiaramente quando ad onore di Dio promise di conservare intatta la sua verginità fino alla morte.
Questa onestissima verginità tanto piacque a Dio Padre che si degnò mandarle il suo diletto Figlio con la divinità sua e del Figlio e dello Spirito Santo. La seconda fiamma d'amore di Maria apparve in questo che abbassò se stessa in tutto, con inimmaginabile umiltà, cosa che piacque tanto al suo benedetto Figlio, da degnarsi di assumere dal corpo umilissimo di lei quel suo venerabile corpo che doveva essere eternamente sublimato su tutte le cose, in cielo e in terra. Terza fiamma era anche la sua lodevolissima obbedienza in tutto, che attirò tanto a sé lo Spirito Santo da esserne ripiena dei doni d'ogni grazia.

E benché questa nuova lucerna benedetta non fosse accesa di queste fiamme d'amore subito dopo la sua nascita, perché come negli altri bambini aveva piccolo il corpo e tenero l'intelletto e non poteva comprendere la divina volontà, Dio però, sebbene non avesse ancora merito alcuno, si compiacque più di essa che di tutte le opere buone degli uomini nati prima di lei in tutto il mondo. Poiché, come il bravo citarista amerebbe una cetra non approntata, ma da cui prevedesse dolcissimo suono, così il Plasmatore di tutti amava sommamente il corpo e l'anima di Maria, perché prevedeva che le parole ed opere di lei gli sarebbero piaciute più di ogni melodia.

Risulta anche credibile che, come il Figlio di Maria ebbe perfetto sentimento appena si fu incarnato nel suo seno, così anche Maria conseguì senso e intelligenza in età inferiore a quella degli altri bambini. Come, dunque, Dio e gli angeli si rallegrarono in cielo della sua gloriosa nascita, così anche gli uomini nel mondo la ricordino con giubilo, rendendo per essa dall'intimo dei loro cuori lode e gloria a Dio, che tra tutte le cose da lui create la predilesse, e ne preordinò la nascita tra gli stessi peccatori, lei che doveva generare santissimamente il liberatore dei peccatori.

2. Contemplare et mirare 

Ejus celsitudinem: 
Dic felicem genitricem, 
Dic beatam Virginem.

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TANTI TANTI SANTI AUGURI ALLE MARIE

giovedì 11 settembre 2014

5) e 6) Che disperazione che incubo senza fine!!!




5)    Allora dissi  al Signore: “Povere persone!!! Pensavo non morissero, ma alla fine pare di sì, per quanto ancora  quei pezzi di carne si muovono”. Ed Egli mi rispose: “Quaggiù non esiste la morte, fai attenzione”. I demoni presero quella lamina e gettarono tutti i pezzi della persona in un buco  dove  c’erano fiamme e ferri taglienti, una specie di mulino che riduceva tutto in polvere. Nell’estremità di quel buco c’era nuovamente un altro forno nel quale quella polvere ivi gettata si ricomponeva e le persone riapparivano col corpo, e chi non sfuggiva al forcone ritornava a patire gli stessi tormenti. Nuovamente chiesi al Signore: “Ché succede? Perché tornano a rivivere?”. Mi contestò: “La morte -come gli uomini la chiamano-  più non esiste. Qui si soffre la morte eterna che é la separazione da Dio.  E per arrivare a patire questi tormenti ognuno s’è deciso liberamente. (*N.d.R.: quindi è falsa e diabolica la teoria che dice: ‘Nessuno pecca perché vuol peccare’ o ‘Nessuno si danna perché vuol dannarsi’. E' vero invece che nessuno si perde se non vuole. E nessuno si salva se non si impegna). Questa fu la loro scelta. Io ormai per essi non posso farci più niente. Quando potevo aiutarli mi disprezzarono, e perciò giunsero in questo luogo creato non per gli uomini,  per essi creai il Cielo. Invece questo luogo  senza speranza fu creato per Satana e i suoi angeli”.

     Mi fu chiaro che a peccato più grave corrisponde più grave sofferenza. Perché ciascuno paga secondo i propri debiti, e riceve castighi differenti, però tutti soffrono terribilmente. E mi resi conto che con quelle membra con cui più  peccarono, ora con le stesse membra più soffrono.  -  I dannati tuffandosi in un lago di fuoco poi riapparivano su arene infuocate al rosso vivo. Il calore era soffocante, non si poteva respirare, e gridavano: ‘Tengo sete!!!’.

6)   Perciò un demonio gli saliva fin sulla nuca e aprendogli la bocca la spalancava fino agli orecchi, mentre un altro demonio afferrava l’arena bollente e gliela dava da bere. C’era una tale disperazione che correvano incontrollati in un’oscurità illuminata unicamente dall’arena infuocata. Così urtavano con altri condannati e litigavano come cani randagi. Arrivando ai margini dove c’erano rocce con delle porte ciascuno ne sceglieva soltanto una e aprendola si trovava in un fosso dove brulicavano animali velenosi esattamente quelli che più temevano quando erano vivi sulla terra. Il Signore mi disse che erano  castighi psicologici. Non chiesi che poteva essere.

     Oh poveri condannati!! Che disperazione che incubo senza fine!!! Quando riuscivano di là si vedeva il loro corpo coperto da quelle bestie che gli uscivano anche dalla bocca e dappertutto. Poi l’unica possibilità di correre era su d’un rettilineo di pietre taglienti, dove cadevano sfracellandosi: alcuni frontalmente e altri di spalla e al finale c’era una pianura dove chi non frenava rapido veniva schiacciato da una pietra rotonda come fosse uno scarafaggio. Alzatisi nuovamente si buttavano per un’altra apertura e finivano nello stesso forno iniziale, e tutto tornava a ripetersi.

AFFIDAMENTO DEI SACERDOTI A MARIA



AFFIDAMENTO DEI SACERDOTI A MARIA - CHIESA SS. TRINITA' –FATIMA

“Madre Immacolata, in questo luogo di grazia, convocati dall'amore del Figlio tuo Gesù, Sommo ed Eterno Sacerdote, noi,figli nel Figlio e suoi sacerdoti, ci consacriamo al tuo   Cuore materno, per compiere con fedeltà la Volontà del Padre.

“Siamo consapevoli che, senza Gesù, non possiamo fare nulla di buono (cfr Gv 15,5) e che, solo per Lui, con Lui ed in Lui, saremo per il mondo strumenti di salvezza.
Sposa dello Spirito Santo, ottienici l'inestimabile dono della trasformazione in Cristo. Per la stessa potenza dello Spirito che, estendendo su di Te la sua ombra, ti rese Madre del Salvatore, aiutaci affinché Cristo, tuo Figlio, nasca anche in noi. Possa così la Chiesa essere rinnovata da santi sacerdoti, trasfigurati dalla grazia di Colui che fa nuove tutte le cose.

“Madre di Misericordia, è stato il tuo Figlio Gesù che ci ha chiamati a diventare come Lui: luce del mondo e sale della terra (cfr Mt 5, 13-14). Aiutaci, con la tua potente intercessione, a non venir mai meno a questa sublime vocazione, a non cedere ai nostri egoismi, alle lusinghe del mondo ed alle suggestioni del Maligno. Preservaci con la tua purezza, custodiscici con la tua umiltà e avvolgici col tuo amore materno, che si riflette in tante anime a te consacrate diventate per noi autentiche madri spirituali.

“Madre della Chiesa, noi, sacerdoti, vogliamo essere pastori che non pascolano se stessi, ma si donano a Dio per i fratelli, trovando in questo la loro felicità. Non solo a parole, ma con la vita, vogliamo ripetere umilmente, giorno per giorno, il nostro "eccomi". Guidati da te, vogliamo essere Apostoli della Divina Misericordia, lieti di celebrare ogni giorno il Santo Sacrificio dell'Altare e di offrire a quanti ce lo chiedono il sacramento della Riconciliazione.

“Avvocata e Mediatrice della grazia, tu che sei tutta immersa nell'unica mediazione universale di Cristo, invoca da Dio, per noi, un cuore completamente rinnovato, che ami Dio con tutte le proprie forze e serva l'umanità come hai fatto tu. Ripeti al Signore l'efficace tua parola: "non hanno più vino" (Gv 2,3), affinché il Padre e il Figlio riversino su di noi, come in una nuova effusione, lo Spirito Santo. Pieno di stupore e di gratitudine per la tua continua presenza in mezzo a noi, a nome di tutti i sacerdoti, anch'io voglio esclamare: "a che cosa devo che la Madre del mio Signore venga a me?" (Lc 1,43) Madre nostra da sempre, non ti stancare di "visitarci", di consolarci, di sostenerci. Vieni in nostro soccorso e liberaci da ogni pericolo che incombe su di noi.

“Con questo atto di affidamento e di consacrazione, vogliamo accoglierti in modo più profondo e radicale, per sempre e totalmente, nella nostra esistenza umana e sacerdotale. La tua presenza faccia rifiorire il deserto delle nostre solitudini e brillare il sole sulle nostre oscurità, faccia tornare la calma dopo la tempesta, affinché ogni uomo veda la salvezza del Signore, che ha il nome e il volto di Gesù, riflesso nei nostri cuori, per sempre uniti al tuo!
Così sia!”

MEDITATIO IN SALVE REGINA.

S. Bernardi Claraevallensis opera omnia
     PL 182          PL 183          PL 184          PL 185     
1077

MEDITATIO IN SALVE REGINA.

NOTA.

Est fragmentum cap. 19 part. III Stimuli amoris inter Opuscula S. Bonaventurae. Quidam putant esse Anselmi Lucensis episcopi, qui ante Bernardum natum devixit. Non ergo Bernardus esset auctor clausulae hujus antiphonae, O Clemens, etc., cum ab hoc auctore afferatus
1077A 1. Ad salutandum Virginem primo debeo ejus magnitudinem considerare. Nec enim circa suum Filium amplius potuit elevari, quam ut Mater Dei vocaretur. Admirans ergo magnificentiam Matris nostrae, 1077B devote et reverenter dico: «Salve, Regina.» Sub tuo tegmine, Domina, volo de caetero militare: me totaliter dominationi tuae committo, ut plenarie regas, nihil meae insipientiae dimittens de mei regimine. Quidquid enim mihi 733 dimiseris, noveris miserrime destruendum. Sed cum plenus sim miseria a vertice usque ad pedum plantas, et putrefactus; fetorem gravem et horrorem quomodo dignaberis regere, tam nobilis creatura? Quia tu es «Regina misericordiae» et qui sunt misericordiae subditi, nisi miseri? Multum es sollicita de miseris; hos in tuos filios adoptasti, hos regere Domina voluisti: et ideo «Regina misericordiae» vocaris. Nos ergo miseri tecum de caetero consolemur, tecum amodo, Domina, habitemus, te mentis visceribus amplectamur, 1077C quia tu es «vita.» Vita vere, quae mortem superbiae humilis vicisti, et nobis vitam gratiae impetrasti. O certe vita amabilis, vita desiderabilis, vita delectabilis! o vita quae nutris tuos coelestibus alimentis! Qui enim vult te habere, se affligat, delicias respuat, delicata quaeque contemnat: et qui amplius mortificatus fuerit, te amplius possidebit.
2. «Dulcedo.» Vere dulcedo, quae amaritudinem peccati, impetrando gratiam, expellis, quae nobis gratiae dulcorem acquiris, quae ad suavitatem patriae coelestis contemplantes introducis. O dulcis Domina, cujus sola memoria affectum dulcorat, cujus magnitudinis meditatio mentem elevat, cujus pulchritudo oculum interiorem exhilarat, cujus amoenitatis immensitas 1077D cor meditantis inebriat! O Domina, quae rapis corda hominum dulcore, nonne cor meum, Domina, rapuisti? Ubi, quaeso, posuisti illud, ut ipsum valeam invenire? O raptrix cordium, quando mihi restitues cor meum? Quare sic corda simplicium rapis? Quare violentiam facis amicis? Nunquid ipsum semper vis tenere? Cum illud postulo, mihi arrides: et statim tua dulcedine consopitus quiesco. Cum in me reversus iterum illud postulo, me complexaris dulcissima, et statim inebrior tui amore: tunc cor meum non discerno a tuo, nec aliud scio petere, nisi tuum. Sed ex quo est cor meum tuo dulcore sic inebriatum, guberna illud cum tuo, et in sanguine Agni conserva, et in latere Filii colloca. Tunc assequar quod intendo, et possidebo 1078A quod spero, quia tu es «spes nostra.» Sperent ergo in te qui noverunt nomen tuum, quoniam non dereliquisti quaerentes te, Domina. Certe qui sperant in te, mutabunt fortitudinem: assument pennas, ut 1078B aquilae; volabunt, et non deficient. Quis non sperabit in te, quae etiam adjuvas desperatos? Non dubito quod si ad te venerimus, habebimus quod volemus. In te ergo speret qui desperat: qui deficit, ad te currat.
3. «Salve.» Quis ergo de caetero nos a tui salutatione poterit prohibere ex quo sic es vita, dulcedo et spes nostra? «Salve.» Quis ergo ex quo Regina es nostra, a tua reverentia nos poterit separare vel impedire? Primo es Domina salutanda, ut per te gratia impetretur: secundo, ut per te ad gloriam veniatur. «Ad te.» Ad te vere, quia tu sola Deum genuisti, tu sola interemisti universam haereticam pravitatem: ad te certe quae levas nos a faecibus peccatorum, quae nos consolaris in cunabulis vagientes, 1078Clactas parvulos esurientes, «Clamamus.» Quare non clamaremus, Domina, qui vulnera sustinemus, plagas sentimus, qui inimicis undique circumdamur? Clamamus angustiati miseriis infinitis oppressi. Clamamus cordis anxietate, stomachi vacuitate, doloris acerbitate, aut forte erga te amoris immensitate. Quare enim obdormis, Domina? Surge, adjuva nos. Clamamus etiam, ut nostram manifestemus necessitatem, quia clamare necessitas nos compellit: quid nos amplius affligis? Si multum tardaveris, vocem amittam clamando, et ad te amplius vociferare nequibo. Heu mihi! tunc quid faciam, cum nec exaudire me poteris, nec audire? Cito, cito, Domina, subvenias clamanti, ne in manibus deficiam inimici: 1078D curre, festina, Domina, et tuum iniquissimum, et infidelissimum servum ad te clamantem parcendo adjuva, et eripe de manu et periculis tui hostis. Si aliud te allicere, Domina, non deberet, nisi quia tuus hostis audet nos tuos servos invadere fraudulenter, deberes ad nos quam citius festinare. Curre, et libera nos, Domina, propter eorum superbiam reprimendam. Curre, ne dicant: Ubi est eorum Domina, de cujus clementia confidebant?
4. Ne mireris, Domina, si clamamus, quia sumus a te nimium elongati. In regione longinqua dissipavimus partem 734 nostram, et ideo «ad te clamamus exsules.» Exsules a patria, exsules a visione divina: et utinam non exsules a gratia, exsules a consolatione materna! O anima, cur non es potius 1079A a corpore separata, quam a tua Domina exsul facta? Heu mihi! cur sum in tam longum exsilium relegatus! O Domina, dum hic sumus, exsules constituas nos, ne hic tanquam in patria confidentes, te et tuum Filium quaerere desistamus: sic tamen constituas exsules in corpore, ut semper tecum simus cives in mente. «Filii Evae.» Vere filii Evae; superbi, praesumptuosi, ambitiosi, avari, gulosi et carnales, inobedientes; et breviter, in omnibus ipsam Evam sequentes, proni sumus ad malum, difficiles vero ad bonum: et si contingat aliquem filium bonorum operum generare, cum quodam cordis dolore et tristitia parturimus. Sed malum cum laetitia perpetramus, nec bonis sufficiunt mala nostra: sed sicut ipsa Eva, ita et nos alios inclinamus ad malum; et 1079B etiam sicut ipsa, ita et nos in defectibus excusamus, aut saltem, si possumus, in alios retorquemus. Plus enim placet nobis in multo sudore et labore vilia acquirere, quam Dominam gloriae degustare, et ipsam levissime, imo dulcissime possidere. Nisi enim nos, Domina, adjuvisses, fortassis jam in inferni profundissima venissemus.
5. Nec est quod nos valeat excusare, qui non te, sed Evam in omnibus imitamur, ac per hoc, «Ad te suspiramus.» Suspiramus autem de tam bonae Matris absentia, venire ad te, Domina, cupientes: «suspiramus ad te,» videre Filium tuum affectantes. Nimius ergo amor, quo erga te sumus inebriati intrinsecus, cogit nos ad te, Domina, suspirare. Omnibus 1079C es amabilis, omnibus affabilis, omnibus delectabilis; sedes sapientiae, fluvius clementiae, radius Deitatis: nec est qui se abscondat a calore tuo. Quis ergo ad te, Domina, non suspirabit? Amore suspiramus, etiam et dolore. Undique nos angustiae premunt. Quomodo ergo ad te non suspiremus? solatium miserorum, refugium expulsorum, liberatio captivorum, Regina bellatorum, Domina universorum, etiam inimicorum, nec est qui tuae voluntati valeat obviare. Sic afflicti, sic miseri ad te suspiramus: «Gementes et flentes in hac lacrymarum valle.» Heu, Domina! non vides quod totaliter sumus amaritudine pleni? Intus sumus gementes, exterius flentes in loco lacrymoso jacentes: onerati peccatis gemimus, aggravati molestiis flemus, abundantes 1080A miseriis in valle lacrymarum sumus, tuum subsidium postulantes. Quid amplius dicam? nec sufficio, nec scio omnia detestabilia hujus vallis enarrare.
6. «Eia ergo, advocata nostra.» O laudabilis clementia Salvatoris, qui sic afflictis tam nobile subsidium dignatus est elargiri! et ideo non est timendum quin miserearis miseris, ad illam partem inclinans sententiam quam defendis, ut nobis exhibeas gloriam quam peperisti. Non ergo restat, Domina, nisi ut illos misericordes oculos ad nos convertas. «Eia ergo, advocata nostra, illos tuos misericordes oculos ad nos converte.» Non dubitamus, Domina, quin, si nostras aspexeris miserias, non poterit tua miseratio suum retardare effectum. Mirabiles necnon et amabiles illi tuorum radii oculorum, quibus 1080B nos allicis ad amorem, et ad plenam ducis salutem, ne venenatos oculos basilisci timeamus. O Evae oculi venenati! cur non offertis vos oculis Virginis, si vultis perfectam recipere medicinam? nam suorum claritas oculorum tenebras expellit, effugat catervas daemonum, purgat vitia mentium, corda congelata accendit, et demum ad coelestia trahit. O quam beati, o Domina, quos tui viderint oculi! Hos ergo oculos ad nos, Domina, converte. «Et Jesum benedictum fructum ventris tui nobis post hoc exsilium ostende.» O venter mirabilis, qui potuit capere Salvatorem! o venter laudabilis, qui potuit recipere Redemptorem! o venter desiderabilis, e quo emanavit desiderium mentium, gratiarum fluvius, gloriae 1080C praemium! o venter amabilis et dulcedo animae, o elevatio mentium, inebriatio cordium, sanitas peccatorum! Fructus tuus, Domina, hic certe est fructus beatus a principio sui ortus. Hic est Jesus Dei vivi Filius. Hic est salvator noster Dominus Deus. Hunc «Jesum benedictum fructum ventris tui nobis post hoc exsilium ostende,» ut videndo ipsum habeamus; ipsum videndo, beatitudine repleamur. «O clemens, o pia, o dulcis Maria!» O clemens indigentibus, pia exorantibus, dulcis diligentibus! o clemens poenitentibus, pia proficientibus, dulcis contemplantibus! o clemens liberando, pia largiendo, dulcis te donando! o clemens consolando, pia blandiendo, dulcis osculando! Clemens es subjectis, pia jam correctis, dulcis praedilectis. Amen.
S. Bonaventura, ora pro nobis.