venerdì 5 settembre 2014

Mirabilia

Cap. II
Maria rifiuta di sposarsi - Persecuzioni - Martirio
Guarigione miracolosa - Visita ai Luoghi Santi - Lavoro come domestica

Quando Maria Baouardy compì tredici anni, suo zio la fidanzò a un suo parente, ma la fan­ciulla aveva già da tempo promesso a Dio la sua verginità, e quando le si disse che il matrimonio stava per rapire quel suo fiore angelico, dichiarò con tutte le sue for­ze che voleva rimanere vergine. Prostrata a terra per tutta la notte, versando un tor­rente di lacrime, scongiurava la sua Mamma del Cielo di soccorrerla. Tutto ad un tratto, udì una voce che le disse: Maria, io sono sempre con te: segui l'ispirazione che ti dò, io ti aiuterò. Allora Maria si alzò piena di coraggio e tagliò i suoi lunghi capelli. Il velo, che soleva portare, nascose questo gesto ai suoi parenti. Una gran­de cena fu organizzata in occasione delle nozze che dovevano celebrarsi prossima­mente; era d'uso in questa circostanza che la fidanzata, ornata dei suoi gioielli, of­frisse il caffè agli invitati. Al posto del caffè Maria offrì allo zio, in un grande vassoio, i suoi capelli ornati di gioielli. Lo zio furioso la schiaffeggiò; tutti gli in­vitati non vedendo in questo gesto che un fervore passeggero, l'esortarono a mo­strarsi docile alla volontà dei suoi parenti: ella rimase inflessibile.
Invano lo zio la confinò fra gli ultimi domestici della casa, e ordinò di maltrat­tarla; invano la tenne lontana dalla chiesa e dai sacramenti: l'eroica fanciulla resi­sté a tutto, e soffrì con gioia per il suo Gesù. «Trattata, ci raccontava, come l'ulti­ma delle domestiche, sia nel vestire, che nel nutrimento; totalmente separata dai miei, occupata in lavori ai quali non ero mai stata abituata, privata della Messa e dei sacramenti, biasimata perfino dal mio confessore, che considerava la mia deci­sione solo testardaggine; abbandonata da tutti, condannata da tutti, la mia anima so­vrabbondava di gioia; il mio coraggio cresceva in misura delle dure prove, perché mi dicevo che le mie sofferenze non erano minimamente paragonabili a quelle di Gesù. Mi sembrava che un uccellino cantasse sempre nel mio cuore».
Dopo tre mesi di questa umiliante vita, il desiderio di rivedere suo fratello la spinse a scrivergli, affinché venisse a trovarla. Fece scrivere la lettera e la portò ad un Turco, antico domestico dello zio, il quale abitava poco lontano dalla casa e do­veva recarsi nel paese di Paolo. Conoscendo bene la madre e la moglie di que­st'uomo, Maria non temette di andare a trovarlo da sola. Dopo avere consegnato la sua lettera, la fanciulla avrebbe voluto andarsene; ma quelle persone la invitarono subito a condividere la loro cena, ed ella accettò solo per fare loro piacere. Era qua­si notte. Naturalmente, si parlò della situazione ingiusta e crudele che Maria subi­va a causa dello zio. Il Turco biasimò questa condotta con forza e con un fervore indomabile passò presto a biasimare anche la religione cristiana. Maria, le disse con calore, perché restare fedele ad una religione che ispira simili sentimenti? Ab­braccia la nostra. «Mai, gridò Maria con un'energia sovrumana; io sono figlia del­la Chiesa cattolica, apostolica e romana, e spero, con la grazia di Dio, di perseve­rare fino alla morte nella mia religione che è la sola vera». Il Turco ferito nel suo fanatismo e divorato dalla rabbia, con un calcio rovesciò Maria a terra, e impu­gnando la sua scimitarra, le tagliò la gola. Aiutato dalla madre e dalla moglie, il bar­baro avvolse la ragazza nel suo grande velo, e portatala fuori, la gettò, favorito dal­le tenebre, in un luogo abbandonato. Era il 7 settembre 1858.
Mentre questo crimine si consumava sul corpo di Maria, la sua anima fu rapita: «Mi sembrava, raccontava, di essere in Cielo: vedevo la santa Vergine, gli angeli e i santi che mi accoglievano con una grande bontà; vedevo anche i miei genitori in mezzo a loro. Contemplavo il trono fulgido della Santa Trinità, e Gesù Cristo no­stro Signore nella sua umanità. Non vi erano né sole, né lampade, eppure tutto bril­lava di un chiarore indescrivibile. Gioivo di tutto quello che vedevo, quando, ad un tratto, qualcuno venne da me per dirmi: Tu sei vergine, è vero, ma il tuo libro non è ancora finito. Aveva appena finito di parlare, che la visione scomparve, e io rin­venni. Mi trovai, trasportata senza sapere né come né grazie a chi, in una piccola grotta solitaria. Coricata su un povero letto, vidi accanto a me una religiosa, che aveva avuto la carità di cucirmi la ferita del collo. Non l'ho mai vista né mangiare né dormire. Sempre accanto al mio capezzale, in silenzio mi curava con il più gran­de affetto. Era vestita di un bell'abito ceruleo, trasparente e come cangiante; il ve­lo era dello stesso colore. Ho visto da allora molti vestiti religiosi diversi, ma nes­suno che assomigliasse al suo. Quanto tempo trascorsi in quel luogo? non saprei dirlo con precisione; credo di esservi rimasta circa un mese. Non mangiai nulla du­rante quel periodo, a rari intervalli, la religiosa si limitava a inumidirmi le labbra con una spugna candida come la neve. Mi faceva dormire quasi continuamente.

L'ultimo giorno, questa religiosa mi servì una zuppa così buona, come non ne ho mai più mangiato. Terminata la porzione, gliene chiesi una seconda. Allora la religiosa, rompendo il silenzio, mi disse: Maria, è abbastanza per il momento; più tardi te la darò di nuovo. Ricordati di non essere come quelle persone che credono ' Maria non poteva rifiutare l'invito, essendo un rifiuto di tal genere contrario alle usanze della civiltà orientale.

Facciamo osservare a questo punto che Maria ha sempre chiamato l'estasi un sonno.

di non avere mai abbastanza. Dici sempre: è abbastanza, e il buon Dio, che vede tutto, veglierà su tutti i tuoi bisogni. Sii sempre contenta, malgrado tutto ciò che do­vrai soffrire, e Dio, che è così buono, ti farà avere il necessario. Non ascoltare mai il demonio, diffida sempre di lui, poiché è troppo furbo. Quando chiederai qualche cosa a Dio, non te la darà sempre subito, allo scopo di metterti alla prova e di ve­dere se lo ami ugualmente; e poi, un po' più tardi, te l'accorderà, basta che tu sia sempre contenta e che lo ami. Maria, Maria, non dimenticare mai le grazie che il Signore ti ha fatto. Allorquando ti capiterà qualcosa di spiacevole, pensa che è Dio che lo vuole. Sii sempre piena di carità verso il prossimo; dovrai amarlo più di te stessa.
Non rivedrai mai più la tua famiglia; andrai in Francia, dove ti farai religiosa; sarai figlia di san Giuseppe prima di diventare figlia di santa Teresa. Prenderai l'a­bito del Carmelo in una casa, farai la professione in una seconda, e morirai in urta terza, a Betlemme.

1 tuoi parenti ti cercheranno; tu stessa sarai tentata di farti riconoscere. Guar­datene bene, perché altrimenti non avrai più la tua zuppa.
Soffrirai molto durante la tua vita, sarai un segno di contraddizione.
Sì, ci diceva Maria sul battello che la trasportava a Betlemme con le sue com­pagne, la religiosa che mi aveva curato dopo il mio martirio e che, adesso so esse­re la santissima Vergine, mi aveva predetto tutto quello che mi è accaduto fino ad oggi. Un solo punto non si è realizzato; mi aveva assicurato che sarei morta tre an­ni dopo la mia professione. I tre anni sono trascorsi, ed eccomi ancora, ahimè! in questo esilio».

Il lettore immagina senza dubbio che la vita di questa suora è stata misericor­diosamente prolungata, come vedremo in seguito.

Maria era guarita, ma la traccia della profonda ferita rimase sempre visibile sul collo, così come testimoni degni di fede poterono osservare alla sua morte, soprag­giunta venti anni dopo. La cicatrice misurava circa dieci centimetri di lunghezza e un centimetro di larghezza. La pelle era completamente bianca e più delicata che nelle parti circostanti.

La religiosa condusse allora Maria in una chiesa di Alessandria per farla con­fessare: «Attendimi, le disse la bambina; per carità, non mi abbandonare». Ella sor­rise senza rispondere. «La mia confessione durò poco, ci raccontava Maria. Non avevo niente che mi pesasse sulla coscienza. Come avrei mai potuto commettere peccati in compagnia di una religiosa così santa? Dopo la confessione, corsi nel po­sto dove l'avevo lasciata, ma non la trovai. Uscì per cercarla, tuttavia i miei occhi non la videro da nessuna parte; ma il suo viso e le sue parole sono sempre rimaste impresse nella mia anima. Ero sola sulla terra, sola, come una goccia d'acqua. Il mio cuore non resisté più e scoppiai in singhiozzi. Il confessore venne per chieder­mi la causa delle mie lacrime. Presa dal mio grande dolore, non potei che rispondergli: Se n'è andata, e mi ha lasciata. Chi ti ha lasciata? La religiosa che mi ha ac­compagnato qui. Ma da dove vieni? Chi sei? Mi ha proibito di dirlo. Ahimè, bam­bina mia, mi disse il sacerdote sospirando, non sei la sola infelice. Conosco in que­sta città una famiglia immersa nella più grande desolazione. Questa famiglia aveva accolto una nipote, chiamata Maria, e l'aveva trattata come una figlia. Era stata offerta a questa fanciulla una proposta di matrimonio onorevole; il giorno delle nozze era fissato, fra la grande gioia di tutti, quando la fidanzata scomparve. Era uscita sul far della notte e non è più tornata. Tutte le ricerche per rintracciarla si sono rivelate infruttuose. Si teme una seduzione d'amore. La famiglia ha appena lasciato Alessandria, per nascondere tale vergogna».

Più il sacerdote parlava, più mi rendevo conto che la fanciulla di cui parlava, ero io. Mi accontentai di rispondere, dopo avere implorato l'aiuto della santa Vergine per non tradire il mio segreto: «La persona di cui parla non mi è del tutto scono­sciuta; ma ho promesso di non rivelare mai il luogo dove si rifugia. Debbo ciò no­nostante dirle che Maria non è stata sedotta: è consacrata a Dio». Bambina mia, gridò il sacerdote, dimmi dov'è Maria. Ti dico che non sei per niente tenuta a cu­stodire questo segreto. Tu mi sembri molto povera, sii sicura che, se acconsentirai a parlare, sarai largamente ricompensata. «Sono povera, è vero, e per di più, or­fana, ma il buon Dio non mi ha lasciato mai mancare il necessario. Non desidero le ricchezze terrene; i beni del Cielo mi bastano. Quanto a rivelare il segreto, non lo farò mai; Dio e la santa Vergine mi punirebbero». Il sacerdote parlò di Maria a un vescovo arabo di passaggio ad Alessandria. Maria raccontò a questo vescovo tutta la storia sotto il sigillo del segreto confessionale. Questi l'ascoltò con il più vivo in­teresse, la vesti in maniera conveniente, fece fare il suo ritratto e la portò in pelle­grinaggio a Gerusalemme. Terminato il pellegrinaggio, il vescovo propose a Maria di condurla a Roma, promettendole di farla entrare in qualche casa religiosa. Il de­siderio di rivedere suo fratello fu la causa per la quale rifiutò una proposta che tanto le sorrideva, e s'imbarcò per San Giovanni d'Acri. Ma avendo una tempesta furio­sa impedito al battello d'arrivare a destinazione, la giovane fu costretta a ritornare ad Alessandria.

Per non essere riconosciuta, Maria prese allora un altro vestito e si fece dome­stica. Cambiava spesso casa, appena i suoi padroni le mostravano più stima. Le ca­se dove aveva sofferto di più erano quelle in cui rimaneva più a lungo. Le accadde di entrare al servizio di un parente che non la conosceva. Ella se ne accorse dai pri­mi giorni; i suoi padroni non ebbero mai il minimo sospetto a riguardo. Come avrebbero potuto riconoscere la loro cugina in quella povera ragazza vestita alla maniera turca? La si incaricò della cucina e della cura dei bambini. Questi le si af­fezionarono ben presto, in maniera tale che l'impegno della cucina le fu tolto per­ché potesse dedicare loro tutto il suo tempo. Il cuore di Maria ne era a volte con­solato a volte addolorato; consolato dal fatto di poter curare i suoi cuginetti, addolorato per il fatto che non poteva rivelare loro il suo vero nome. Ogni giorno, udiva raccontare la storia della sua scomparsa. 1 suoi parenti, che si credevano disonorati a causa sua, non cessavano di lanciare su di lei ogni specie di maledizione. «Mai, ci diceva Maria, ho tanto sofferto. Provavo il più vivo affetto per quella fami­glia, e non potevo rivelare il mio nome. I discorsi che udivo ferivano il mio animo ma dovevo tacere, per paura di dare l'allarme. Quanto mi è costato quel silenzio! Lo confesso per mia confusione, ero spinta alla confessione, mille volte fui tentata di farmi riconoscere. Pregavo la santa Vergine di sostenermi. Un giorno, durante il pa­sto, vedendo che la desolazione dei miei parenti era diventata più grande, scoppiai in lacrime. Stupiti di vedermi piangere (era la prima volta che mi capitava davanti a loro), mi chiesero la causa del mio dispiacere, poiché mi volevano molto bene. Ero sul punto di soccombere e di gridare, gettandomi nelle loro braccia: Sono Maria. La santa Vergine m'assistette in maniera visibile. Mi accontentai di rispondere: Piango al vedervi piangere. E siccome era stata letta a tavola una lettera che annunziava il prossimo arrivo di una mia zia che di certo mi avrebbe riconosciuto, li avvertii che dovevo lasciarli il giorno stesso. Malgrado le loro suppliche e le loro lacrime, rac­colsi in fretta ciò che mi apparteneva, ed uscii coperta dal mio grande velo. Incro­ciai davanti alla porta questa zia, e la sentii che diceva a mio cugino: Chi è questa ragazza? Una spada ha trapassato la mia anima passando vicino a lei. Avrei volu­to parlarle. Affrettai il passo e corsi a nascondermi da una mendicante. Dio permi­se che non sapessero trovarmi. Questo martirio durò tre mesi».

Maria fece per la seconda volta il pellegrinaggio in Terra Santa. Il Signore le in­viò, durante questo viaggio, un essere soprannaturale sotto sembianza umana per accompagnarla e proteggerla. Questi, che ella non vide mai mangiare, le predisse come la religiosa tutto quello che le sarebbe successo fino alla morte, e le assicurò che sarebbe ritornata per morire a Betlemme. Un sacerdote che la conosceva, la si­stemò in una eccellente famiglia di Gerusalemme. Durante il tempo che vi era a ser­vizio, un bambino di diciotto mesi cadde dall'alto di una terrazza, sotto gli occhi della madre e di Maria. Lo si credette morto. Maria corse a rialzarlo, implorando su di lui la potente protezione della Vergine. Quando lo rimise nelle braccia della madre, questa si accorse che aveva solo una leggera contusione, e attribuì questa preservazione miracolosa alla santità della domestica. Ce n'era abbastanza per fa­re fuggire l'umile Maria. Riprese dunque il cammino per Giaffa, senza ascoltare le suppliche della sua padrona.

Appena uscita da Gerusalemme, vide due uomini che la seguivano. La fermaro­no: era accusata d'aver rubato alla sua padrona un diamante di grande valore. Tra­scinata con ignominia attraverso le vie della città santa, gettata in una prigione in­fetta in mezzo a molte donne di malaffare, ringraziò Gesù di umiliarla così come lui era stato umiliato nella sua Passione. Ma il Signore non tardò a prendere le sue difese. Due giorni dopo, la cameriera negra autrice del furto, che aveva accusato Maria, divenne folle, e nel suo delirio, confessò la sua colpa. Fu così che Maria venne provvidenzialmente riconosciuta innocente e rimessa in libertà.

Si imbarcò di nuovo per San Giovanni d'Acri, allo scopo di rivedere il fratello. Ancora una volta, una spaventosa tempesta costrinse il battello a spingersi a Beirut. Maria sembrava avere dimenticato le parole della religiosa che le aveva pre­detto che non avrebbe mai più rivisto il fratello; ma Dio si serviva di questi tenta­tivi per compiere i suoi progetti. A Beirut, Maria entrò al servizio della famiglia At­tala. Dopo sei mesi, divenne completamente cieca. La cecità durava da quaranta giorni, quando fece ricorso alla santa Vergine: «Vedi, Madre mia, disse Maria, quanta pena si prendono per me. Mi si cura come se fossi una figlia di casa, ma in conclusione, sono solo un carico per questa famiglia. Ah! se piacesse a te e al tuo divin Figlio di restituirmi la vista!». Quando concluse la preghiera, sentì qualcosa caderle dagli occhi e recuperò subito la vista, con grande stupore dei medici, i qua­li, tutti, avevano dichiarato il suo male incurabile. Cadendo, poco tempo dopo, dal­l'alto di una terrazza, tutto il suo corpo fu orribilmente martoriato. La signora At­tala, la quale aveva constatato con ammirazione che un profumo delizioso emanava da tutta la sua persona, la curava da un mese come se fosse stata sua figlia, ma sen­za constatare miglioramenti del suo stato. La santissima Vergine apparve a Maria durante la notte: «Madre mia, gridò subito la fanciulla, per carità, prendimi con te». Maria, rispose la Vergine, non posso prenderti con me, perché il tuo libro non è an­cora finito. Ti raccomando nel frattempo tre cose: un'ubbidienza cieca, una carità perfetta e un'immensa fiducia in Dio, senza alcuna preoccupazione per il domani o per tutto quello che può capitarti. La presenza della Madre di Dio aveva riempi­to la casa di una luce così abbagliante e di un profumo così soave che tutti accor­sero al capezzale della malata e la trovarono guarita. Chiese di mangiare, lei che non aveva assunto alcuna sostanza dopo l'incidente. Tuttavia rimase ancora molto debole, ma questa debolezza, che la santissima Vergine le aveva lasciato come ri­cordo del suo stato disperato, scomparve presto. La notizia di questo miracolo si diffuse in tutto il paese, e se ne parlò a lungo con ammirazione.
Prima di proseguire il nostro racconto e di narrare come Maria arrivò in Fran­cia, raccogliamo ancora alcuni fatti meravigliosi che riguardano quel periodo della sua vita.
Un giorno, nostro Signore la inviò da una signora per dirle di disfarsi di un ve­stito da ballo che le costava mille franchi. Avendo la signora messo in ridicolo que­sta comunicazione, Maria, spinta da una forte ispirazione, le disse: «Eh! sì, Signo­ra, vi annuncio che la prossima volta che indosserete quest'abito morirete voi e il vostro bambino, bruciati».
Accadde proprio come Maria aveva predetto: il fuoco si attaccò al vestito della donna, poi all'appartamento dove abitava, infine fu bruciata lei ed anche il suo bambino che dormiva nella culla.
Un'altra volta, ad Alessandria, mentre Maria era sistemata presso una ricca si­gnora, sentì raccontare della squallida, estrema miseria di una famiglia i cui membri erano malati e che nessuno aiutava. Subito, la generosa fanciulla chiese di po­tersi congedare. La donna, molto urtata, la seguì fino alle scale e la colpì di basto­nate con una tale violenza, che Maria ne soffrì a lungo. Senza provare risentimen­to per questa violenza, Maria corse a stabilirsi nella sudicia camera occupata dalla povera famiglia. Il padre, la madre e i bambini giacevano nei letti infetti, che do­vette rinnovare. Notte e giorno, curò quegli infermi sfortunati con grande carità. Ar­rivò persino a mendicare per nutrirli e per vestirli. Infine, dopo quaranta giorni di questa eroica dedizione, ebbe la consolazione di vedere tutti i membri della fami­glia completamente ristabiliti.
Durante uno dei suoi viaggi, Maria incontrò una fanciulla, chiamata Rosalia, che aveva furtivamente lasciato la sua ricca famiglia per rimanere vergine e vivere povera per Gesù Cristo. Benché non si fossero mai viste prima d'allora, Maria e Rosalia si chiamarono per nome, e trascorsero una notte deliziosa a parlare di Ge­sù, il loro unico amore. Si raccontarono tutta la loro vita, promettendosi mutua­mente di custodire il segreto, per non essere scoperte e poter conservare il tesoro della verginità.
Fu nello stesso periodo che nostro Signore chiese a Maria di digiunare per un anno intero a pane ed acqua. La giovane non poteva decidersi a ciò finché non aves­se ottenuto il permesso del suo confessore, perché molto debole e obbligata a lavo­rare per guadagnarsi da vivere. Alcuni giorni passarono in queste esitazioni. Allo scopo di vincere la sua resistenza, Dio permise che il suo stomaco non ritenesse al­cun nutrimento; fece allora un tentativo di digiuno forzato, e siccome non trovò al­cun ostacolo nel farlo, si decise a sottomettere il caso a un venerabile sacerdote, che l'autorizzò a proseguire la sua penitenza. Così fece, durante tutto il corso dell'an­no, e la sua salute si mantenne florida.
Ascoltiamo ancora la serva di Dio riferire ciò che segue:
«Per mostrarvi la mia ignoranza vi racconto di orribili pensieri che mi assaliro­no, durante uno dei miei viaggi per mare. Mi credevo colpevole di tutti questi pen­sieri, considerandoli veri crimini. Così quando sbarcai, il mio primo pensiero fu di correre presso un confessore. Mi accusai, come se davvero avessi commesso tutti i peccati il cui pensiero si era presentato mio malgrado nel mio spirito. Il sacerdote mi fece una lunga e pressante esortazione per incitarmi al pentimento. Prima di as­solvermi, mi chiese di promettere a Dio di correggermi. Gli risposi: Padre mio, mi è impossibile prometterglielo; volevo dire che non dipendeva da me il non avere più di questi pensieri. Convinto a causa della mia risposta, non solo dei miei crimini, ma anche della mia ostinazione, il ministro di Dio mi rimandò senza assolvermi, dopo avermi fatto le più terribili minacce. Io non sapevo più cosa fare; ero quasi di­sperata. Come sempre, implorai allora la mia buona Madre del Cielo. Sentii una vo­ce dirmi: Va in tale via, entra in tale casa, sarai illuminata e consolata. Mi alzai, e arrivai nel luogo indicatomi. Bussai, e una voce dolce come se venisse dal Cielo, mi rispose: Entra. lo entrai, e mi trovai davanti una donna che mi disse: avvicina­ti, Maria. Sei inconsolabile, ma ti sbagli, poiché tu non sei colpevole. Maria, avere i più orribili pensieri non è peccato; il peccato non esiste fino a quando l'anima non vi acconsente. Tu ti sei dunque espressa male. Và di nuovo da quel confessore, e digli le cose nel modo che ti dirò adesso. Passai la notte con quella persona che mi conosceva molto bene e parlammo tutto il tempo di Gesù e del Cielo. L'indo­mani, di buon mattino, ero già ai piedi dello stesso sacerdote. Gli spiegai le cose così come la persona sconosciuta mi aveva insegnato a fare, e il confessore, invece di rimproverarmi, mi incoraggiò. Ascoltate ancora cosa mi è successo quand'ero in mare e ammirate la potenza della fede, persino in una peccatrice. Una tempesta fu­riosa si era levata; dopo inutili sforzi per resistere ai venti e ai flutti, il capitano ave­va dichiarato che tutte le speranze erano perdute. I passeggeri si gettarono nelle barche di salvataggio, in mezzo ad una confusione indescrivibile. Il capitano li contò, mancava all'appello una persona. Scese subito nelle cabine, e arrivò alla mia. Ero coricata e dormivo profondamente. Mi svegliò gridando: Alzati, vestiti, e sali su di una barca, siamo perduti. Mi vestii alla meglio e salii sul ponte. Mi sen­tii ispirata a pregare, dopo avere rimproverato a tutti la loro mancanza di fede. In ginocchio con gli occhi rivolti al cielo, dissi, stendendo le braccia: Signore Gesù, tu che sei potente, calma il mare. O potenza della fede! Lo credereste? La tempe­sta cessò, le onde si calmarono, e noi fummo salvi. Ecco ciò che Dio ha fatto at­traverso una peccatrice come me, con un solo grido di fede. Ah! se noi avessimo la fede, una grande fede, otterremmo tutto da Dio».
Chissà quanti altri simili episodi la sua umiltà ha dovuto farle tacere. Quelli che noi abbiamo citato basteranno a convincere il lettore dell'ammirevole virtù di Maria.


FRAGMENTO DE UNA CARTA DE ALBERT EINSTEIN.

Ricevo per posta elettronica questo frammento di Albert Einstein e l'offro ai gentili lettori del blog

  Bello y enriquecedor fragmento de este documento. Valga el momento para hacer un parado en el camino de
nuestras vidas  y reflexionar sobre lo que aquí dice. Considerémonos bendecidos los que hemos recibido este 
correo y aprovechémoslo para tenerlo como patrón de nuestras vidas.......

FRAGMENTO DE UNA CARTA DE  ALBERT  EINSTEIN.

Cuando propuse la teoría de la relatividad, muy pocos me entendieron, y lo que te revelaré ahora para que lo transmitas a la humanidad también chocará con la incomprensión y los prejuicios del mundo.
Te pido aun así, que la custodies todo el tiempo que sea necesario, años, décadas, hasta que la sociedad haya avanzado lo suficiente para acoger lo que te explico a continuación.
Hay una fuerza extremadamente poderosa para la que hasta ahora la ciencia no ha encontrado una explicación formal. Es una fuerza que incluye y gobierna a todas las otras, y que incluso está detrás de cualquier fenómeno que opera en el universo y aún no haya sido identificado por nosotros. Esta fuerza universal es el amor.
Cuando los científicos buscaban una teoría unificada del universo olvidaron la más invisible y poderosa de las fuerzas.

El amor es luz, dado que ilumina a quien lo da y lo recibe. El amor es gravedad, porque hace que unas personas se sientan atraídas por otras. El amor es potencia, porque multiplica lo mejor que tenemos, y permite que la humanidad no se extinga en su ciego egoísmo. El amor revela y desvela. Por amor se vive y se muere. El amor es Dios, y Dios es amor.

Esta fuerza lo explica todo y da sentido en mayúsculas a la vida. Ésta es la variable que hemos obviado durante demasiado tiempo, tal vez porque el amor nos da miedo, ya que es la única energía del universo que el ser humano no ha aprendido a manejar a su antojo.

Para dar visibilidad al amor, he hecho una simple sustitución en mi ecuación más célebre. Si en lugar de E= mc2 aceptamos que la energía para sanar el mundo puede obtenerse a través del amor multiplicado por la velocidad de la luz al cuadrado, llegaremos a la conclusión de que el amor es la fuerza más poderosa que existe,
porque no tiene límites.

Tras el fracaso de la humanidad en el uso y control de las otras fuerzas del universo, que se han vuelto contra nosotros, es urgente que nos alimentemos de otra clase de energía. Si queremos que nuestra especie sobreviva, si nos proponemos encontrar un sentido a la vida, si queremos salvar el mundo y cada ser sintiese que en él lo habita,
el amor es la única y la última respuesta.
Quizás aún no estemos preparados para fabricar una bomba de amor, un artefacto lo bastante potente para destruir todo el odio, el egoísmo y la avaricia que asolan el planeta. Sin embargo, cada individuo lleva en su interior un pequeño pero poderoso generador de amor cuya energía espera ser liberada.
Cuando aprendamos a dar y recibir esta energía universal, querida Lieserl, comprobaremos que el amor todo lo vence, todo lo trasciende y todo lo puede, porque el amor es la quintaesencia de la vida.
Lamento profundamente no haberte sabido expresar lo que alberga mi corazón, que ha latido silenciosamente por ti toda mi vida. Tal vez sea demasiado tarde para pedir perdón, pero como el tiempo es relativo, necesito decirte que te quiero y que gracias a ti he llegado a la última respuesta..........

Tu padre. ( Albert Einstein)

giovedì 4 settembre 2014

CAMINO DE SANTIAGO


GIACOMO L ’APOSTOLO

Giacomo, figlio di Zebedeo, pescatore, era uno dei 12 apostoli, come il fratello Giovanni l ’Evangelista. Dopo la resurrezione di Cristo per molti anni girò la penisola iberica per compiere l ’opera di evangelizzazione. Tornato in Palestina fu fatto decapitare dal re Erode Agrippa, che temeva che l ’apostolo acquisisse un eccessivo potere; i suoi discepoli Attanasio e Teodoro ne raccolsero il corpo e lo trasportarono segretamente con una nave nei luoghi della predicazione. Sbarcati nei pressi di Finisterre si addentrarono in Galicia e gli diedero sepoltura.
Nei secoli successivi si perse traccia del sepolcro. Nell ’anno 813 l ’eremita Pelayo vide, per molti giorni successivi, una pioggia di stelle cadere sopra un colle. Una notte gli apparve in sogno San Giacomo che gli svelò che il luogo delle luci indicava la sua tomba. L ’abate rimosse la terra che nei secoli si era depositata e scoprì il sepolcro. Ne diede notizia al Vescovo locale Teodomiro che confermò la veridicità dell ’accaduto. La notizia giunse presto al papa ed ai principali sovrani cattolici dell ’epoca. Di qui iniziò il culto di Santiago (il nome è la contrazione di San Giacomo). Fu costruita una piccola chiesa sul luogo del sepolcro; ben presto sorse intorno una città che fu denominata Santiago de Compostela (da campus stellae)

I PELLEGRINAGGI

Da alcuni secoli gli arabi si erano insediati e dominavano la Spagna del Sud e quella Centrale: San Giacomo divenne il simbolo ed il protettore della reconquista, il processo di riappropriazione da parte dei principi spagnoli della parte della penisola occupata dai Mori. San Giacomo fu quindi raffigurato come santo-guerriero (e denominato matamoro = uccisore dei mori). Si dice che numerose volte il santo sia intervenuto in modo decisivo per aiutare i cristiani a sconfiggere i mori nelle tante battaglie combattute nei secoli successivi (la reconquista si compì nel 1492 con la definitiva sconfitta degli arabi da parte del re Ferdinando e della Regina Isabella "la cattolica")
Subito dopo la scoperta del sepolcro iniziarono i pellegrinaggi. I pellegrini confluivano qui da ogni parte d ’Europa: la via lattea indicava la direzione da seguire. Il flusso in alcune epoche divenne imponente.
Alla partenza veniva compiuto il rito della vestizione con la consegna della bisaccia
Accipe hanc peram habitum peregrinationis tuae ut bene castigatus et emendatus pervenire merearis ad limina sancti Iacobi, quo pergere cupis, et peracto itinere tuo ad nos incolumis con gaudio revertaris, ipso praestante qui vivit et regnat Deus in omnia saecula saeculorumRicevi questa bisaccia, che sarà il vestito del tuo pellegrinaggio affinché, vestito nel modo migliore, sarai degno di arrivare alla porta di San Giacomo dove hai desiderio di arrivare e, compiuto il tuo viaggio, tornerai da noi sano e salvo con grande gioia, se così vorrà Dio che vive e regna per tutti i secoli dei secoli.

e del bordone (il bastone)
Accipe hunc baculum, sustentacionem itineris ac laboris ad viam peregrinationis tuae ut devincere valeas omnes catervas inimici et pervenire securus ad limina sancti Iacobi et peracto cursu tuo ad nos revertaris cum gaudio, ipso annuente qui vivit et regnat Deus in omnia saecula saeculorumRicevi questo bastone, per sostegno del viaggio e della fatica sulla strada del tuo pellegrinaggio affinché ti serva a battere chiunque ti vorrà far del male e ti faccia arrivare tranquillo alla porta di San Giacomo e, compiuto il tuo viaggio, tornerai da noi con grande gioia, con la protezione di Dio che vive e regna per tutti i secoli dei secoli.
Il pellegrino alla partenza si spogliava degli averi e spesso doveva vendere o ipotecare i beni per potersi finanziare il viaggio. Faceva testamento e dava disposizioni per il governo del patrimonio in sua assenza. Spesso la Chiesa interveniva attivamente in questa funzione di tutela. Questo stato particolare conferiva al pellegrino un particolare prestigio.
La scelta di fare un pellegrinaggio era generalmente una libera decisione personale:
- per chiedere una grazia
- per adempiere ad un voto
- per una ricerca religiosa personale

Tuttavia in molti casi era imposto come pena dal giudice o come penitenza dal confessore per colpe o peccati di particolare gravità. Chi era ricco poteva mandare una persona a fare il pellegrinaggio per proprio conto.
I pellegrini viaggiavano solitamente in gruppo, per sostentarsi e proteggersi reciprocamente: i pericoli erano rappresentati dallo stato spesso precario delle strade, dalle catastrofi naturali e soprattutto dai banditi che infestavano le strade.
Lungo il percorso si sviluppò una rete di servizi per il sostentamento dei pellegrini: chiese, monasteri, alloggi, ospizi, ospedali, locande, molti dei quali ancora visibili ai nostri giorni. Lungo il cammino nacquero paesi e città, furono costruite strade, ponti. Della protezione dei pellegrini dagli assalti dei briganti si occuparono per un lungo periodo molti ordini ospitaleri: tra essi principalmente i Templari (fino al loro scioglimento - secolo XIII). Molti re e personaggi noti effettuarono il pellegrinaggio: San Francesco fu uno di questi.
Il pellegrinaggio a Santiago de Compostela ebbe una rapida diffusione nel mondo cristiano, nel quadro del rifiorire della spiritualità che caratterizzò l ’inizio del secondo millennio. Dante Alighieri (Vita Nova, XL, XXIV) parla di tre grandi vie di pellegrinaggio:
- una diretta a Gerusalemme - i pellegrini erano detti "palmieri" (le palme d ’oltremare); la palma era anche il simbolo del pellegrinaggio.
- una diretta a Roma - i pellegrini erano detti "romei" (da Roma); il simbolo era la croce.
- una diretta a Santiago - erano i "pellegrini" propriamente detti (il luogo più lontano, più peregrino); il simbolo era la conchiglia.

Le grandi direttrici dei tre grandi pellegrinaggi del mondo cristiano erano costituite da:
- un insieme di vie che, attraversando la Francia su più tracciati, confluivano a Roncesvalles e a Puente la Reina, per dirigersi a Santiago de Compostela
- un altro insieme di vie che, provenendo da diverse località europee, confluiva nella Via Francigena fino a Roma; chi andava in Terrasanta proseguiva lungo l ’antica via Appia fino ai porti pugliesi. Questa stessa via era utilizzata, in direzione opposta, dai pellegrini che, partiti dall ’Italia diretti a Santiago, valicavano le Alpi e si immettevano nella Via Tolosana.

Il pellegrinaggio verso Santiago ebbe periodi di maggiore o minore partecipazione.
Fu sostenuto e promosso soprattutto dalla componente più illuminata ed evangelica della Chiesa.
Nel secolo XVIII iniziò un progressivo declino. La maggior parte delle strutture di accoglienza cadde in abbandono; altre cambiarono destinazione d ’uso. Una ripresa è iniziata negli anni ’80. Un decisivo contributo è stato dato dalla visita del papa Giovanni Paolo II a Santiago nell ’anno 1989, in concomitanza con l ’incontro mondiale della gioventù: mezzo milioni di giovani convennero a Santiago da ogni parte del mondo, e fu la maggior concentrazione di pellegrini mai registrata. Da allora il flusso dei pellegrini è aumentato progressivamente e in modo inarrestabile, tanto che, nei mesi estivi, si creano spesso situazioni di eccessivo affollamento negli albergue esistenti, nonostante le strutture temporanee aggiuntive che vengono allestite dai Comuni, dalle Parrocchie, dalle Associazioni.

Il 23 ottobre 1987 il Consiglio d ’Europa ha dichiarato i percorsi che portano a Santiago "itinerario culturale europeo", mettendo a disposizione risorse economiche per segnalare convenientemente il cammino, ristrutturare e costruire i rifugi per alloggiare i pellegrini; nel 1993 l ’UNESCO li ha dichiarati "patrimonio dell ’Umanità".
Il 25 luglio ricorre la festa di San Giacomo. Quando questa giornata ricorre di domenica l ’anno relativo viene dichiarato Anno Santo Compostellano. L ’ultimo è stato nel 2004. Il prossimo sarà nel 2010.

Che significa ULTREIA?Saluto di incoraggiamento tra pellegrini.
Dal latino ultra (=più) ed eia (=avanti).
Questa parola è già presente nel "Codex Calixtinus". C ’è una frase che dice "e Ultreia, e suseia, deus adjuvanos". Qualcuno dice che anticamente si diceva "Ultreia, Suseia, Santiago", come a dire "Forza, che più avanti, più in alto c ’è Santiago"

Don Sandro, parroco di porto Santo Stefano (GR) ha scritto un libretto molto interessante nel quale dà notizie sulla Vita e la morte di San Giacomo, racconta l ’origine e la storia del pellegrinaggio a Compostela dalle origini sino ai giorni nostri, dà notizie sulle antiche vie di pellegrinaggio; offre infine il suo personale contributo per una lettura spirituale del cammino. Raccomando la lettura a chi è interessato a questi aspetti.

Flavio Vandoni ci mette a disposizione un suo lavoro sulla storia del pellegrinaggio e delle vie di pellegrinaggio in Spagna.  - NOVITA ’ -
03/12/2013

Guglielmo Massaja



Son Memorie del grande Cardinal Massaja, missionario in Abissinia. E Abbracciano gli anni che vanno dal 1845 al 1880. La lettura di TALI MEMORIE DIVENTA APPASSIONANTE PER TUTTI. l'AMORE PER LA VERITà è IL MOTORE DI TANTO ZELO. BUONA LETTURA. Vi prego leggere la presentazione cliccando qui

/11/

2.
A MALTA E ALESSANDRIA D’EGITTO:
PIANI DI VIAGGIO E CONSIDERAZIONI SULL’ORIENTE

arrivo a CivitavecchiaArrivato la sera a Civitavecchia ho spedito subito il bagaglio al vapore, ma questi che doveva partire la notte, mi fece dire che in seguito alla morte del Papa aveva ricevuto l’ordine di ritardare la partenza sino alla venuta della valigia d’Oriente, la quale sarebbe arrivata la mattina seguente, e che perciò se io bramava di passare la notte in terra poteva farlo, bastando per me andare a bordo la mattina; partenza da Civitavecchia
[4.6.1846]
così fu, detta la mia Messa nella cappella dell’ospizio di Darsena verso le otto, accompagnato da tutti quei buoni religiosi sono andato a bordo del Vapore Frances; il quale quasi subito levò l’ancora, e [p. 18] e partì per Malta, arrivo e partenza da Malta
[7.6.1846]
dove siamo felicemente arrivati dopo due giorni. In Malta, restando il vapore tutto il giorno, abbiamo potuto sbarcare per vedere la città e passare qualche ora coi nostri religiosi Cappuccini per restituirci verso sera a bordo. Era appena passata una mezz’ora che eravamo in conversazione coi nostri religiosi che la notizia della morte del Papa si fece sentire e produsse un’eco in tutta quella città: le campane suonavano a lutto in tutte le Chiese, ed essendo arrivate alcune lettere molti del clero segnatamente Canonici della Cattedrale vennero a darci il ben venuto e domandarci notizie di Monsignore Casolani loro confratello, lo stesso suo Padre venne ed avrebbe voluto condurci a casa sua per il pranzo; dopo pranzo venne il Vicario Generale del Vescovo a prenderci, perché il vecchio Vescovo non potendo venire desiderava detagli sulla morte del Papa, sulla consacrazione di Monsignore Casolani. Appena fatta questa visita in fretta fummo avvertiti che il Vapore stava per partire, e così, salutati gli amici ed i religiosi, accompagnati da molta gente siamo ritornati a bordo che il vapore già fumava ed era sul momento di levare l’ancora. Così siamo partiti sul fare della notte alla volta di Alessandria, dove siamo arrivati dopo tre giorni.

Appena il vapore si fece visibile, benché ancor lontano, i nostri due missionarii che ci hanno preceduto, [attendevano] non solo il nostro /12/ arrivo col seguente va-[p. 19] pore francese, ma ancora [la notizia del]la grave malattia del Papa, la quale presentava alla Chiesa un’avvenire molto incerto e tenebroso in quelli sopratutto che erano in misura di comprendere l’alta politica europea sia nel partito Cattolico, sia ancora nel partito liberale, e sopratutto in alcuni forusciti o esiliati che non mancavano in Egitto; arrivo in Alessandria
[11.6.1846]
i nostri due missionarii avendo parlato con molti ci stavano con anzietà aspettando, e quando il vapore gettava l’ancora nel porto già una barca colla bandiera francese e con molti religiosi ci veniva all’incontro col Cavas (1a) del console generale, erano i nostri missionarii con alcuni religiosi di Terra Santa e lo stesso Segretario di Monsignore Delegato che venivano ad incontrarci, ben sapendo essi che noi non conoscendo tutti gli usi e le anomalie di quel porto semibarbaro e le angherie di tutta quella turba di arabi saressimo stati molto imbrogliati; così essi ricevuto in consegna tutto il nostro bagaglio, pensarono a tutto, e noi non ebbimo altro a fare, che discendere sulla barca per andate a terra ed innoltrarci nella città senza pensare ne al trasporto degli effetti, ne tanto meno al guazzabuglio della dogana, perché essi conoscevano tutto e tutti.

[p. 20] incontro con monsignore Perpetuo GuascoCome Monsignor Perpetuo Guasco Vicario e Delegato Apostolico dell’Egitto non aveva sufficiente alloggio per tutti siamo entrati tutti nel Convento di Terra Santa, dove già ci aspettava Monsignore stesso. Appena ricambiati i soliti convenevoli, la prima cosa che interessava era il grande avvenimento della morte del Papa. Subito Monsignore ordinò che si desse il segno del trapasso convenevole colla campana della Chiesa, alla quale fece eco la campana dei Pad[r]i Lazzaristi, unico stabilimento religioso Cattolico esistente in quel tempo oltre il Convento suddetto. La bandiera di Terra Santa fù subito innalzata a mezz’asta per tre giorni, secondo l’uso, come segno di duolo; a questa fecero eco tutti i Consolati di tutte le potenze colle loro bandiere (1b). visita dei consoli generaliIl Console Generale Francese, e molti altri Consoli cattolici, i quali avevano ricevuto dai loro ambasciadori di Roma lettere e dispaccj in proposi- /13/ to vennero subito a trovarci; anche molti altri cattolici di riguardo si aggiunsero per avere detagli sopra la morte del Pontefice, e sopra lo stato e la tranquillità di Roma, come cosa che interessava allora molto la tranquillità di una gra[n] parte dell’Europa. Quasi tutta la mattina la casa fù piena di gente, e non si parlava d’altro che della morte del Papa Gregorio[p. 21] ciascheduno nel proprio senso, i cattolici di cuore esternando timori per Roma e per tutta l’Italia, ed i liberali in senso contrario; non mancavano alcuni romani esiliati, i quali avrebbero voluto subito partire, ma i consoli cercavano [di] dissuaderli. Monsignore Delegato introdusse il discorso dei funerali da farsi, e si fissò subito il giorno. Monsignor Delegato col Console Francese e col Console Pontificio, se non erro [anche] il Console Toscano, partirono subito per darne parte al Viceré Maumed Aly, il quale ordinò il lutto di corte per tre giorni.

affari col console CerrutiDopo che la folla è sortita restò il Signor Cerruti genovese Console Generale Sardo, e Procuratore speciale della S. C. di Propaganda[;] mi prese a parte e mi accusò ricevuta dalla S. C. suddetta di darmi l’equivalente di tre mille scudi romani per le spese del viaggio, e per l’impianto della missione, e poi mi soggiunse che aveva già pensato al mio viaggio, ed a questo [scopo] mi avrebbe mandato un certo Vallieri Piemontese suo incaricato agente consolare del Sennaar, il quale molto a proposito dovendo partire per Cartum avrebbe potuto accompagnarci ed assisterci, come persona di qualche rapresentanza, e che conosceva il paese, al che io risposi [p. 22] che dovendo restare in Alessandria qualche tempo per aspettare ulteriori istruzioni ed altri missionarii che dovevano venire, col tempo tutto si sarebbe combinato.

Valieri vice console di KartumDopo parlando coi due missionarii PP. Giusto e Cesare, dagli elogi che mi facevano sia del Console Sardo, sia di questo Signor Vallieri mi accorsi subito che già molte combinazioni si erano fatte. A suo tempo venne anche lo stesso Vallieri con una lettera di raccomandazione del Console Cerruti suddetto, e dopo i convenevoli di uso mi presentò una nota di provisioni da farsi che mi spaventò, dicendomi che era cosa intesa col console; poscia come per farsi un merito mi disse che già aveva comprato cinque bellissimi fucili per noi. Questo modo di agire m’imbarazzo un poco, tanto più che io non era ancora in caso di giudicare la convenienza ed il modo di rispondere, ebbene, risposi, quello che è fatto sia ma non si aggiungano altre spese, perché dovevano venire ulteriori istruzioni da Roma che conveniva aspettare, potendo darsi qualche cangiamento. Il primo momento che ho avuto libero ho parlato con Monsignore Delegato di questo affare, ed egli, benché non avrebbe /14/ disapprovato la strada del Nilo, e del Sennar per andare in Abissinia [p. 23] non lasciò di farmi qualche osservazione rapporto al Signor Valieri, come persona di una probità dubbia. La stessa e medesima cosa mi disse il Padre Leroi superiore dei Lazzaristi di Alessandria. Tanto bastò per mettermi in guardia ed avvertirne prudentemente anche i compagni Padri Giusto e Cesare, ai quali bastarono gli otto giorni passati da soli per sbilanciarsi, e fare un’amicizia troppo stretta col Valieri, in modo da imbarazzarmi non poco. ragioni pro e contro la via del NiloLa strada del Nilo e del Sennaar sarebbe forse stata ancor più diretta per andare ai paesi Galla, o per la via diretta a Matamma e montar il lago di Dembea, quella che abbiamo fatto oggi sortendo, oppure tenendo il Nilo sopra Kartum tentare d’introdursi direttamente nei paesi Galla senza toccare l’Abissinia; e non mancavano persone che ce lo consigliavano, ma prima di tutto noi in quel momento non eravamo ancora nel caso di giudicate bene una simile questione, e non mancavano poi anche di quelli che cercavano di dissuaderci per la gran ragione del clima che faceva molte vittime, massime frà gli Europei recentemente venuti, cosa molto grave e che avrebbe potuto compromettere il movimento della [p. 24] nostra spedizione, se qualcheduno di noi si fosse ammalato in strada. Tutto questo unito all’affare di Vallieri, e l’impegno del Console Cerruti finivano per mettermi molto in pensiero.

mie impressioni sopra AlessandriaMa voglio lasciare qui un momento la storia del nostro viaggio per dire qualche cosa di ciò che ho veduto in Alessandria; al momento che scrivo l’ho veduta molte volte, ma le prime idee sono sempre quelle che dominano; oggi Alessandria è una città quasi europea, ma quando sono arrivato io nel 1846. erano i tempi eroici di quel paese; tempi di risorgimento, ed io ho avuto l’onore di conoscere gli stessi eroi che l’hanno rilevata dal fango dove l’avevano come sepolta molti anni di puro governo mussulmano, sotto la pressione dell’immondo codice di Maometto. osservazioni sui Cristiani orientaliÈ vero che da un tempo anche molto antico esisteva una popolazione cristiana quasi tutta eretica orientale di varie razze, e di tutti i riti, ma questi benedetti cristiani orientali sotto il governo ferreo dei turchi e degli arabi sapevano talmente abbassarsi ed avvilirsi sotto la schiavitù degli infedeli che gli hanno dominato, che invece di rilevare l’idea religiosa per edificare i loro padroni, come per grazia di Dio fa il cattolicismo [p. 25] erano anzi di grande scandalo, perché vivificati da una fede morta affatto, e viva solo in alcune abitudini esteriori, nella morale loro erano in molti punti caduti più bassi degli stessi mussulmani loro padroni, che studiavano anzi d’immitarli in molte cose, come suole fare il mancipio al suo padrone; io stesso [ho] gli ho veduto non solo gloriarsi /15/ della circoncisione, ma vilipendere l’europeo come incirconciso; io stesso gli ho veduto mettere in non cale la Sacramentale Confessione che pur ancora conservano, e che profanano con tutta facilità, e far gran conto della purificazione immonda, ed immorale dei mussulmani prima di accostarsi al Sacramento dell’Eucaristia, e prima di celebrare la Messa i sacerdoti medesimi; io stesso ho dovuto faticate in alcuni dei nostri stessi proseliti già divenuti cattolici per distruggere certe loro abitudini di simil genere. La fede del levantino cristiano non è che onore, ed amor proprio nazionale e di razza, e qualche volta una passione anche più bassa di un materiale interesse; motivo per cui è così facile a trasformarsi e cangiare come la luna secondo le diverse fasi a cui va soggetta la società civile. Più del basso popolo il clero levantino è divenuto così straniero al vero spirito apostolico ed evangelico che più non lo comprende allo stesso vederlo nel nostro stesso clero cattolico; un sacerdote cattolico di uno spirito elevatissimo diventa [p. 26] in facia al prete eretico levantino una vera pietra di scandalo; un’occasione di gelosia, di questioni, e di odio; la ragione è semplicissima, il povero prete eretico levantino non è più capace di sollevarsi tanto [in] alto da comprendere la sorgente del vero zelo che si trova nel vero sacerdote cattolico, perché egli [è] abituato a calcolare la sua posizione come semplice mestiere materiale, ed attento solo al suo lucro ed al suo mercato; non può persuadersi [che si] possa essere capace di calcoli superiori. La malattia del clero eretico levantino non è nata col scisma, ma è piuttosto la malattia the ha prodotto il scisma; chi ha meditata la storia dell’impero bisantino non stenta [a] farsi un’idea che la malattia è molto antica in Levante, ed ha incomminciato dall’epoca dell’arianesimo, allora quest’eresia che ha dominato [per] secoli si è incarnata coll’impero per sostenersi, e si abituò alle fazioni, ed agli intrighi, e colla simonia divenuta quasi normale dovunque la casta clericale è divenuta immorale, e lontana sempre più dallo spirito evangelico; sotto l’impero mussulmano poi si stabilì sempre più questo stato, perché l’alto clero entrato nell’amministrazione dello stato civile sotto l’immediata dipendenza di un governo nemico e pagano servì per diventare una società divisa dai mussulmani da un’osservanza di formalità esteriori senza nessuna trasformazione [p. 27] del cuore figlia del vangelo e nodrita dallo Spirito Santo. Per questa ragione, ancora in tempo dell’impero bisantino per quanti sforzi abbia fatta la chiesa per condurre all’unità il scisma non diede che dei segnali di una vita, e di una vittoria di pochi giorni. Per questa stessa ragione ai nostri giorni stessi per quanti sforzi che facia la Chiesa, ad eccezione di qualche individuo, tutte le conversioni in massa sono sempre sospette di motivi secondarii, epperciò poco durevoli, per- /16/ ché le conversioni in massa portano con se il suo clero, epperciò il virus della malattia orientale, il clero accantonato e protetto dalla celebre bolla sottrae il suo cristiano dall’influenza del missionario latino, e senza istruirlo mantiene così tutto il suo prestigio per imporre alla Chiesa in caso di rigore. Ancora ultimamente in Bayruth mi diceva un vecchio venerando levantino[:] io [sonocattolico per convinzione, ma ho dovuto lottare degli anni per divenirlo, perché io voleva essere cattolico latino per sottrarmi dalle vessazioni del nostro clero anche cattolico. La S. C. di Propaganda deve avere i scaffali pieni di simili ricorsi nel suo archivio, ma ricorsi divenuti sempre sterili dopo la solenne bolla di emancipazione di tutti i riti. La malattia [è] nata coll’arianesimo, dopo secoli si perdet[te] l’arianesimo nella parte dogmatica, [p. 28]ma siccome la crisi si fece solo sul campo della fede e della verità, e si fece nella maggior parte per impulso governativo, restava sempre intatta tutta la coruttela del clero, e sopratutto dell’alto clero, perche la Chiesa latina [non] ha mai potuto esercitare sull’oriente tutta l’influenza del suo zelo per riformarne lo spirito. Avvi ancora un’altra ragione: la razza greca che ha dominato sempre in Oriente prima della razza latina, dominata poscia da questa ancor prima del cristianesimo dalla forza dei romani il suo orgoglio [non] è mai stato dominato, anzi accrebbe collo stabilirsi l’impero da quella parte, e guardò sempre verso Roma con un’occhio ben tutt’altro che di pace; ancora oggi giorno quest’odio esiste nella razza greca ed in quella greco-slava; in questo senso la razza latina ha commesso un grande errore dando la corona ad Atene, perché questa è la più grande nemica della nostra razza d’occidente. Basterebbe studiare profundamente Gerusalemme anche odierna per convincersi di questa grande verità.

Ciò premesso ritorniamo ad Alessandria; dove ci aspetta non solo il filo della nostra storia, ma lo sviluppo ancora della sopra annunziata idea, la quale non finisce in Egitto ma ci accompagnerà [p. 29] anche in Abissinia, dove sarà necessario di mai dimenticarla per spiegare tutte le difficoltà di quel lungo apostolato.
Una bella occasione si presentò per l’Egitto per consacrare all’occidente una delle grandi chiavi dell’Oriente alle idee latine dell’occidente, forze con un grande avvenire anche religioso per tutto l’oriente tanto asiatico che Africano, [20.7.1798]quella cioè delle vittorie riportate dall’armata francese nella guerra delle Piramidi capitanata dal giovane Napoleone sul fine del secolo decimo ottavo, quando fosse stata compresa nel suo vero senso; sgraziatamente però quella gloriosa campagna veniva dalla Francia in un momento di ebollizione tutta pagana, e non ebbe altra missio-/17/ ne dalla Providenza che quella di far conoscere l’eroe destinato a salvare per quel momento la povera Francia che, minaciava di portare lo sfascio sociale, e la rovina del Cristianesimo in tutto l’occidente. In altri tempi una simile vittoria capitanata da un governo cattolico di una tempra antica propagatrice del Vangelo d’accordo colla Chiesa, invece di piegare il ginochio alla Meca, come fece il nostro giovane Napoleone, avesse raccolto tutti gli elementi cristiani di quel paese, e gli avesse consegnati alla Chiesa con missione di educarli, al giorno d’oggi l’Egitto[p. 30] divenuto cattolico e nella sua maggior parte di rito latino e più popolato da colonie europee, sarebbe stata un’avanguardia per la rigenerazione di una gran parte dell’Oriente. Invece una sì gloriosa campagna non fece altro che irritare, scandalizzare, ed avvilire di più la Francia con una ritirata quasi vergognosa.
[1805]Dopo la ritirata della Francia sortì Mahumed Aly, il quale incomminciò una nuova riorganizzazione dell’Egitto, ed una rigenerazione del medesimo per quanto permetteva la sua situazione di mussulmano vassallo della Sublime Porta. Egli colla distruzione del kaliffato guadagnò un’autonomia sufficiente da potere agire e sviluppare il suo genio per quanto lo comportava un paese caduto nell’ultimo avvilimento. Egli, secondato dal suo figlio Hibrahim, altro genio ardito e valoroso soldato, circondato da europei che chiamò da tutti i paesi poté organizzarsi un’armata, che dopo alcuni anni poté misurarsi in guerra colla stessa Sublime Porta, che immancabilmente avrebbe vinta se le potenze non l’avessero obligato [1.6.1841]ad una pace per lui gloriosa. Sotto di lui anche la Chiesa guadagnò molto, ed avrebbe guadagnato molto di più sotto l’umbra della protezione francese, allora omnipotente in Egitto, quando con prudenza avesse rilasciato un tantino di libertà ai levantini dei [p. 31] varii riti levantini esistenti in Egitto in quel tempo quasi tutti vaghi di diventare latini; ma al momento che scrivo è come passata l’epoca; i riti orientali, colle armi stesse che la Chiesa ha dato loro, si sono trincerati in modo contro il latinismo, che la Chiesa medesima cogli elementi immensi delle congregazioni insegnanti è pochissimo quello che può fare, perché la sola questione del rito è divenuta tale, che poco si allontana dal scisma, quando non fosse maneggiata con gran prudenza. Ciò notato ritorno alla mia storia per andarmene in Abissinia, dove, benché stricte non esista un rito, la missione cattolica si nova obligata a formarlo per seguire la corrente orientale.

Io dunque arrivato in Alessandria ho dovuto pensare al mio viaggio sotto la protezione del consolato francese. Visita al viceré d’Egitto
[20-27.6.1846]
Ho fatto visita al signor Barò fratello di Odilon Barò allora classico in Francia sotto il governo di /18/ Luigi Filippo, allora Console Generale Francese in Egitto, e persona onnipotente presso Mahumed Aly. Questi volle condurmi a fare una visita al Vice Re, allora l’eroe d’Egitto onorato da tutte le potenze europee. Mahumed Aly mi ricevette molto cortesemente, e mi trattenne non meno di un’ora; i nostri discorsi prima di tutto versarono sopra la morte del Papa Gregorio XVI. che Mahumed Aly rispettava molto, e volle sapere tutti i detagli [p. 32] sulla morte del Papa, ed ecco l’esclamazione che fece:L’Europa ha perduto l’angelo suo tutelare e la bussola che la teneva in equilibrio. Dopo parlando del mio viaggio disse che un Vescovo non può andare in Abissinia se prima non fa il giuramento di non entrare in trattati contro l’Egitto, perché tale è l’uso di tutti i Vescovi che entrano in Abissinia. Nel congedarmi mi obligò a ritornarvi prima di partire. visita ad ibrahim PasciàDopo la visita di Mahumed Aly [il console] mi condusse a vedere Hibrahim suo figlio, il quale pure mi ricevette molto cortesemente.
funerali del Papa Gregorio
[15.6.1846]
Dopo alcuni giorni dal nostro arrivo ebbe luogo un famoso funerale al PapaGregorio XVI. al quale intervennero tutti i consoli Generali delle Potenze anche Protestanti e Scismatiche in gran treno di gala a lutto; lo stesso Viceré Mahumed Aly, ed il suo figlio Hibrahim Pascià mandarono i loro rappresentanti. Si fece una bella orazione funebre. Monsignore Delegato celebrò la Messa Pontificale, ed io assisteva in cappa; dopo si fecero le assoluzioni prescritte. Assistevano pure i Padri Lazzaristi, i Fratelli della dottrina cristiana, e le Sorelle di carità; la chiesa in quel tempo ancora piccola non poté contenere tutta la popolazione della colonia cattolica.
[p. 33] Io rimaneva abitualmente in Convento, ma aveva anche una camera presso Monsignore Perpetuo Guasco, il quale aveva il suo alloggio tutto vicino, epperciò passava una parte della giornata con lui per trattare dei nostri affari avvenire. Procura lasciata a monsignore Delegato pro temporeLa Missione nostra in paesi molto lontani e di difficile communicazione aveva bisogno di una persona fedele, la quale mi rappresentasse in Egitto con una Procura generale ed assoluta, come alter ego e non poteva certamente trovare una persona migliore di lui che pensasse alla Missione, sia per ricevere dall’Europa i soccorsi che mi sarebbero venuti [dall’Europa], sia per farci per tempo le dovute spedizioni, ed anche per custodire i fondi, impiegargli se occorreva, e trattare anche nel caso la nostra causa col Consiglio centrale della Propagazione di Lione; in tutto il tempo che sono rimasto in Alessandria ho cercato di impegnarlo quanto ho potuto a questo riguardo, pregandolo di farci da Padre, ma l’uomo di Dio è sempre pronto a prestarsi, epperciò egli avendomi promesso di prestarsi per la Missione/19/ nostra, come faceva per la sua, un bel giorno gli ho passato un’atto di Procura in presenza dell’istesso Console [p. 34] Generale di Francia con facoltà di sostituire altri in caso di bisogno, ed in caso di morte sua, che detta Procura colle stesse attribuzioni passasse al suo successore. Ciò fatto, ho scritto a tutti i miei corrispondenti d’Europa d’intendersela con lui per tutto quello che sarebbe occorso, anche per le lettere stesse di diriggersi a lui.
Monsignore poi, come persona molto rispettata ed amata dallo stesso Vice Re, e da tutti gli oracoli che lo circondavano, e che maneggiavano l’Egitto in quel tempo, per parte sua mi mise in intima relazione con tutti, conoscenza con Clot beiin modo particolare con Clot Bey, un medico francese fervente cattolico, e come ministro dell’istruzione publica in Egitto, persona di molto talento e di molta iniziativa, quello che, mandato a Roma a complimentare il Papa, persuase il Pontefice stesso sul bisogno di [18.5.1839]fundare un Vicariato apostolico in Egitto, mentre prima non vi era che il semplice Guardiano del Convento il quale agiva per delegazione del P. Custode di Gerusalemme. Clot Bey che molti anni prima aveva molto lavorato per far eriggere l’Egitto in Vicariato ed in Diocesi, nel tempo stesso che io mi trovava in Alessandria stava lavorando per l’erezione del Patriarcato di Gerusalemme, operazione la quale ebbe poi luogo sotto Pio IX[23.7.1847]sul fine del 1847., [p. 35] quando fu mandato Monsignore Giuseppe Valerga primo Patriarca titolare di Gerusalemme; egli poi mi dava la ragione di questo suo operato: ragioni di Clot bei addotte a Roma per la fundazione del patriarcato di Gerusalemme.veda Monsignore mio, mi diceva, il Levante è pieno di Patriarchi e di Vescovi: tutti i riti hanno fatto i loro patriarchi particolari, sia i scismatici, sia ancora i nostri cattolici, non vi è città centrale in Oriente, dove non si vedano due o tre patriarchi [a] girare, i vescovi poi non si contano più; solamente noi cattolici abbiamo tutti questi nostri Patriarchi a Roma, in oriente prima non vi erano neanche vescovi, ma solo alcuni frati; i popoli sono materiali; lo stesso governo levantino usa [di] rispettare i Patriarchi, e lascia a questi la cura dei vescovi, i popoli dicono, noi siamo più di voi cattolici, perché noi abbiamo Patriarchi e voi non gli avete; dal momento che la Chiesa ha dato tutti questi Patriarchi per la sola diversità del rito, perché non lo darà anche ai latini, i quali oggi sono già in gran quantità, ed in alcuni luoghi i cattolici latini in numero sorpassano i levantini; io vorrei anzi vedere, diceva, in Alessandria un Patriarca latino. Il Signor Clot Bey non poteva certamente conoscere tutte le ragioni che ha la Chiesa nell’osservare una tale economia, motivo per cui così parlava, ma io [p. 36]a misura che studio l’oriente trovo che Clot Bey medico e semplice secolare diceva delle grandi verità, le quali meritava- /20/ no di essere studiate di più appunto in quell’epoca in cui le studiava Clot Bey; oggi l’epoca è passata; in quei tempi la protezione europea giocava un gran ruolo sopra i cristiani levantini, e la Chiesa allora avrebbe potuto fare tutte le operazioni che voleva; oggi questa protezione è come nulla, e se quei popoli aquisteranno un’autonomia, allora la speranza sarà perduta affatto, perché arriverà colà ciò che arriva oggi in Atene, dove appena la missione è tolerata; e vi sarà gran pericolo che gli stessi cattolici di rito levantino non siano obligati alla fusione coi scismatici; se oggi Atene fosse dominata ancora dalla Porta Ottomana forze vi sarebbe al giorno d’oggi una bella colonia cattolica, mentre oggi [non vi] è un bel nulla.
seconda visita al viceré.Dopo tre settimane di dimora in Alessandria, con Monsignore Delegato ho fatto la mia seconda visita di congedo al Viceré, il quale ci ha ricevuti con molta cortesia; mi domandò se aveva bisogno di qualche cosa, e nel caso che occorresse dopo sia in Cairo, come in Suez, avrebbe bastato scrivere a Monsignore, oppure al Console, che per parte sua fino alla nostra sortita dall’Egitto, avrebbe fatto tutto quello che poteva per noi. Dopo ho fatto anche [p. 37] la visita di congedo al console Cerruti per finire con lui i nostri affari. Rapporto alla somma che io doveva ricevere d’ordine della S. C. di Propaganda si combinò che l’avrebbe data a Monsignore Delegato, il quale era incaricato di mia Procura; rapporto al viaggio con Vallieri per la via del Nilo io doveva aspettare istruzioni da Roma, epperciò appena ricevutele gli avrei scritto dal Cairo, e quando sarebbe stata decisa la cosa si sarebbero fatte le proviste; così finì per il momento la questione, e noi pensammo alla partenza alla volta del Cairo.

(1a) Cawasce è il nome arabo del servo del Console che egli suol mandare con livrea speciale e riconosciuta dal governo locale, per accompagnare un forestiere, oppure portare la parola autorevole del suo padrone.[Torna al testo ]
(1b) La bandiera di terra santa è la più antica bandiera di Alessandria, così mi diceva un vecchio levantino; prima ancora che i consolati delle diverse potenze spiegassero ciascheduna la loro bandiera particolare, quella di terra santa rappresentava tutti i cristiani, anche eretici. Questa proposizione da principio mi parve incredibile, ma dopo che ho veduto in Gedda, ed altrove, tutti i cristiani, anche eretici radunarsi alla venuta di un prete cattolico, come si vedrà a suo tempo, allora non ho stentato a credere ciò che mi diceva il vecchio levantino, perché i cristiani di colore correvano a terra santa per non essere considerati musulmani.[Torna al testo ]

mercoledì 3 settembre 2014

Antoni Gaudí, l'architetto della basilica della Sagrada Familia di Barcellona




Carissimo Amico/a,

«Una chiesa è l’unica cosa degna di rappresentare il sentire di un popolo, poiché la religione è la cosa più elevata nell’uomo», pensava  Antoni Gaudí, l’architetto della basilica della Sagrada Familia di Barcellona (Spagna). In occasione della dedicazione di questo monumento, il 7 novembre 2010, papa Benedetto XVI faceva notare: «In un’epoca nella quale l’uomo pretende di edificare la sua vita alle spalle di Dio, come se non avesse più niente da dirgli, la consacrazione di questa chiesa della “Sagrada Familia” è un avvenimento di grande significato. Gaudí, con la sua opera, ci mostra che Dio è la vera misura dell’uomo, che il segreto della vera originalità consiste, come egli diceva, nel tornare all’origine che è Dio. Lui stesso, aprendo in questo modo il suo spirito a Dio, è stato capace di creare in questa città uno spazio di bellezza, di fede e di speranza, che conduce l’uomo all’incontro con Colui che è la verità e la bellezza stessa.»

Antoni Gaudí è nato il 25 giugno 1852 a Reus (Provincia di Tarragona, Spagna), quinto figlio di Francesco Gaudí Serra e di Antonietta Cornet Bertran. Avrà il dolore di perdere prematuramente tutti i suoi fratelli e le sue sorelle. Il succedersi di questi lutti spiega probabilmente l’impronta di gravità propria del temperamento di Gaudí. Dal lato paterno, Antoni discende da un’antica famiglia di artigiani calderai. Vedere nella bottega paterna la lavorazione del rame dà al giovane Antoni l’abitudine di “pensare in tre dimensioni”. Fin dalla sua infanzia, Antoni soffre di reumatismi che non lo abbandoneranno mai. Questo male lo costringe a rimanere per lunghi periodi nella solitudine di una piccola proprietà di famiglia, a Riudoms, vicino a Reus. Qui, i suoi occhi captano la luce mediterranea e le più pure immagini delle rocce, delle piante e degli animali; egli ammirerà sempre la natura come una maestra meravigliosa. A scuola, Antoni non è un allievo particolarmente brillante, ma riceve una solida formazione spirituale presso i religiosi di san Giuseppe Calasanzio.


L’unico obiettivo

Durante l’anno scolastico 1868-69, il giovane si sta- bilisce a Barcellona per seguire i corsi della Scuola Tecnica Superiore di Architettura. Si paga gli studi lavorando per conto di ingegneri e architetti rinomati. Frequenta, inoltre, le lezioni di Filosofia, di Estetica e di Storia presso l’Università, e s’interessa al mondo della cultura. A suo parere, l’arte deve cercare la propria ispirazione nelle leggi e nei modelli osservati nella natura, l’opera del Creatore, in cui risplendono la Verità e la Bellezza. Questa ricerca della bellezza diventa l’unico obiettivo della sua vita. Nel 1878, consegue la laurea in architettura.

Mentre lavora alla costruzione di una cooperativa, incontra una maestra che insegna ai figli degli operai. Trascorrono molto tempo intrattenendosi insieme. Dopo aver a lungo esitato, Antoni si decide a parlarle di fidanzamento, ma la ragazza gli confessa con rammarico che è già fidanzata. Il giovane decide allora di darsi anima e corpo al Signore, rimanendo celibe nel mondo. Curerà suo padre durante la sua lunga vecchiaia e anche una nipote orfana e malata.

Antoni progetta, per conto di un fabbricante di guanti di lusso, una vetrina originale destinata all’Espo-sizione internazionale di Parigi (1878). Quando il conte di Güell, uomo di vasta cultura e uno dei più facoltosi di Barcellona, viene a sapere che questo capolavoro è stato ideato nella sua città, s’informa sull’identità del suo autore. Nasce allora tra i due uomini un’amicizia indefettibile. Senza indugio, il conte incarica l’artista della progettazione di una serie di mobili, poi di numerose costruzioni, tra cui quella dello straordinario parco Güell. Antoni diventa così l’amico intimo di mons. Torras i Bagès, vescovo di Vic, di cui è ora in corso la causa di beatificazione, dei vescovi di Maiorca e di Astorga, nonché di molti preti. Grazie all’amicizia di questi ecclesiastici, comprende in profondità lo spirito della liturgia e della dottrina sociale della Chiesa. Fin dalla sua giovinezza, Gaudí si è mostrato sensibile ai problemi sociali della sua epoca, in particolare alle condizioni di vita degli operai. Ben presto, si rende conto che le profonde contraddizioni sociali del suo tempo non possono trovare una soluzione nelle utopie materialiste, ma solo nell’applicazione della dottrina sociale cristiana.

Gaudí non ha pubblicato nessun libro. Ha tuttavia lasciato molti appunti consacrati ai lavori di architettura e arredamento. Si può dire, però, che sia stato uno dei migliori scrittori della storia, non sulla carta, ma sulla pietra. Non tiene neppure conferenze, ma commenterà molte volte il suo tempio della Sagrada Familia ai visitatori; e comunicherà ai suoi collaboratori e discepoli riflessioni impregnate di saggezza umana e cristiana. Appassionato di estetica, esplora l’enigma della bellezza e comprende che è a causa del Bello (cioè Dio stesso) che le cose belle sono belle. Questo è il pensiero di Gaudí: «la bellezza è lo splendore della verità; senza verità, non c’è arte. Lo splendore attrae tutti, per questo l’arte è universale.»
Nell’omelia del 7 novembre 2010, papa Bene-detto XVI osservava: «In realtà, la bellezza è la grande necessità dell’uomo; è la radice dalla quale sorgono il tronco della nostra pace e i frutti della nostra speranza. La bellezza è anche rivelatrice di Dio perché, come Lui, l’opera bella è pura gratuità, invita alla libertà e strappa dall’egoismo.»

Il risveglio dei cuori


L’Ottocento è, per la Spagna, un secolo di profondi  sconvolgimenti sociali. Imperversa una febbre anticlericale e la Chiesa è perseguitata. Josep Bocabella, un libraio molto devoto a san Giuseppe, riceve l’ispirazione di innalzare un Tempio consacrato alla Sacra Famiglia di Nazareth. In espiazione dei peccati degli uomini del suo secolo, egli desidera dare una forte testimonianza di amore per Dio e per il suo Figlio incarnato, Gesù. Lancia una sottoscrizione; molti cristiani aderiscono al suo progetto «perché si risvegli la tiepidezza dei cuori addormentati, si risollevi la Fede, si riscaldi la Carità e così il Signore abbia pietà del paese». 
I lavori iniziano senza indugio, ma ben presto sorge un grave dissenso tra Bocabella e il suo architetto; quest’ultimo abbandona il progetto. Una notte, la zia di Bocabella fa un sogno: ha visto l’architetto che farà sorgere dalla terra la Sagrada Familia; è un giovane con gli occhi azzurri... Senza dare importanza a questo sogno, Josep si reca presso uno studio di architetti. Aprendo la porta, si trova faccia a faccia con un giovane i cui occhi azzurri lo fanno trasalire. In Catalogna, infatti, gli occhi azzurri sono rari. Questo giovane architetto si chiama Gaudì. I progetti di Bocabella vanno piuttosto nel senso di un classicismo rigoroso, ma si adegua senza esitazione alle vedute più elevate di Gaudí.

Convinto che, senza sacrificio, sia impossibile far avanzare un cantiere, Antoni Gaudí abbandona la vita facile di cui ha goduto come giovane architetto di grande prestigio; intensifica la sua preghiera e si dedica a un’ascesi molto esigente. «Questo Tempio è un tempio espiatorio, spiega. Questo significa che si nutre di sacrifici.» Durante la Quaresima dell’anno 1894, digiuna in modo così severo che le sue privazioni lo conducono sulle soglie della morte. Deve essere il suo amico, mons. Torras i Bagès, a intervenire per convincerlo a prendere un po’ di cibo. «La vita è amore e l’amore è sacrificio, sottolineerà Antoni. Se si osserva che una casa mostra della vitalità, è perché vi è qualcuno che si sacrifica. Questo qualcuno è talvolta un servitore, una serva...» Il grande amore di Dio e del prossimo che anima Antoni ha le sue radici nell’amore della Croce. Egli stesso corona i suoi lavori, religiosi o profani, con una croce a quattro bracci, che porta spesso la sigla della Sacra Famiglia: “JMJ” (Gesù, Maria, Giuseppe).


Tutti hanno un posto


Gaudí progetta il tempio della Sagrada Familia come  una sintesi della dottrina cattolica. Vi saranno rappresentati la Creazione del mondo, il lavoro dell’uomo sulla terra, il passaggio dal regno delle tenebre al Regno della Luce, i misteri della vita di Cristo, i sette sacramenti, i sette doni dello Spirito Santo, le Beatitudini, la morte, il Purgatorio, il Giudizio universale, l’Inferno, e il Paradiso... 
Questa “cattedrale” di circa cento metri di lunghezza sarà costruita su una pianta a croce latina, comprendente cinque navate e tre facciate. Le navate saranno separate le une dalle altre da colonne inclinate che formano un arco parabolico. Tutti i supporti convergeranno verso il centro per dare stabilità all’edificio. Gaudí ha progettato questa tecnica innovativa affinché le diciotto torri previste, di un’altezza di circa centodieci metri, possano resistere sia a venti tempestosi che ai movimenti tellurici. L’opera di Gaudí sarà aperta a tutti: «Il portale deve essere abbastanza grande, spiega, non per l’uomo singolo, ma per tutta l’umanità, perché tutti hanno un posto in seno al loro Creatore

«Gaudí, osserva Benedetto XVI, volle unire l’ispirazione che gli veniva dai tre grandi libri dei quali si nutriva come uomo, come credente e come architetto: il libro della natura, il libro della Sacra Scrittura e il libro della Liturgia. Così unì la realtà del mondo e la storia della salvezza, come ci è narrata nella Bibbia e resa presente nella Liturgia. Introdusse dentro l’edificio sacro pietre, alberi e vita umana, affinché tutta la creazione convergesse nella lode divina, ma, allo stesso tempo, portò fuori i “retabli” (le pale d’altare), per porre davanti agli uomini il mistero di Dio rivelato nella nascita, passione, morte e resurrezione di Gesù Cristo. In questo modo, collaborò in maniera geniale all’edificazione di una coscienza umana ancorata nel mondo, aperta a Dio, illuminata e santificata da Cristo.»

Nell’enorme cantiere di costruzione della Sagrada Familia, Gaudí instaura una meravigliosa fraternità. La previdenza sociale non esiste ancora, e gli operai lavorano fino alla fine della loro vita. Nella sua preveggenza, l’architetto instaura un sistema di mutuo soccorso che consiste nel prelevare una piccola parte del salario di ciascuno per pagare quello dell’operaio che si ammala. Gli operai lo amano così tanto che, parlando di lui, lo chiamano “Padre”; Gaudí non lo saprà mai. La sua bontà è proverbiale. 

Un giorno, uno scultore si presenta al cantiere dopo una notte bianca. L’architetto gli dice: «Quando il corpo ne ha bisogno, la prima cosa da fare è riposarlo. – Sì, risponde lo scultore, lo farò arrivando a casa. – No, bisogna farlo ora». E lo scultore deve ubbidire. La bontà di questo padre si allea, tuttavia, a un senso molto acuto della giustizia. Uno dei suoi clienti non vuole pagargli gli arretrati del suo onorario. Gaudí ricorre senza esitazioni ai tribunali e, vinto il processo, dona il denaro a una comunità di religiose. In collaborazione con il parroco della parrocchia, progetta e finanzia con i propri risparmi la costruzione di una scuola per i figli dei muratori e quelli delle famiglie più umili del quartiere. «I poveri, diceva, devono sempre trovare accoglienza nella Chiesa, che è la carità cristiana

Ma Gaudí ha talvolta degli accessi di cattivo carattere che si traducono in parole taglienti. «Con il temperamento che ho, dichiara, non ho altra soluzione se non dire le cose così come le vedo. Certo, le persone ne soffrono...» Aggiungerà: «La mia forza di volontà mi ha fatto superare tutti gli ostacoli, ma non è riuscita in un’unica cosa: la riforma del mio temperamento.» Questo non gli impedisce di essere gioioso e di amare gli scherzi.

Accanto a lui

Un giorno, durante una visita in ospedale, Gaudí,  accompagnato da uno scultore, viene introdotto da una suora presso un povero moribondo che non ha famiglia. I due uomini rimangono accanto al malato, bisbigliandogli nell’orecchio preghiere fino a che renda molto tranquillamente il suo ultimo respiro. «La devozione di questo moribondo, dirà l’architetto, mi ha suggerito il pensiero che la Sacra Famiglia era accanto a lui. Ho l’idea che noi potremmo rappresentare la scena nel chiostro del Tempio.» Sul posto, disegna lo schizzo: il Bambino Gesù in braccio a sua Madre si china sorridendo ad accarezzare il morente, e san Giuseppe ai piedi del letto contempla la scena.

Gaudí fa ricorso alle capacità di ciascuno: «Il lavoro è il frutto della collaborazione, e questa può essere costruita solo sull’amore. L’architetto deve utilizzare tutto quello che i suoi collaboratori sanno e possono fare. Occorre valorizzare la qualità specifica di ciascuno. Bisogna integrare, sommare tutti gli sforzi e sostenerli quando vengono a scoraggiarsi. È così che si lavora con gioia e con quella convinzione che sgorga dalla piena fiducia suscitata dall’organizzatore. Bisogna sapere che non ci sono persone inutili. Tutti sono utili secondo le loro proprie capacità. Basta scoprire quelle di ognuno.» Nei suoi edifici, Gaudí si diletta anche a inserire rottami, residui di fucine, cose che sembrerebbero inutili. Coltiva, d’altra parte, l’amore del lavoro ben fatto e ricerca la perfezione: «Di solito le persone, quando fanno qualche cosa, e il lavoro è già soddisfacente, rinunciano a progredire e si accontentano del risultato conseguito; è un errore: quando un’opera è sulla via della perfezione, la si deve ritoccare finché sia perfetta.» Egli spiega, in base alla sua esperienza personale, che è raro ottenere al primo colpo un risultato felice. Per questo, quando gli si vogliono imporre delle scadenze, risponde: «Il mio cliente non ha fretta»; in realtà, considera suo unico cliente il Signore stesso. Tuttavia, se si accorge di un errore nell’esecuzione del lavoro dei suoi collaboratori, lo corregge con grande delicatezza, dicendo, ad esempio: «Non ci siamo ben capiti, ci riproveremo.»


Un gesto che costa

Dopo la morte prematura della sua giovane nipote,  nel 1912, e poi quella di suo padre, Gaudí osserva: «Non ho più nulla. Ora posso dedicarmi completamente al Tempio della Sagrada Familia.» Egli abita da solo nella sua casa del Parc Güell, poi, nell’ottobre 1925, si trasferisce a risiedere nel cantiere della Sagrada Familia. Il suo abbigliamento è povero; il suo vitto frugale consiste principalmente di frutta secca e di latte di capra con limone. Versa tutto il suo onorario all’opera della basilica. 
Quando si fa sentire la crisi economica, va a mendicare per poter pagare gli operai; ma fare questo gli costa molto. Un giorno, una povera donna gli dà una peseta, infima somma, che egli va tutto contento a depositare nella cassetta delle elemosine del Tempio. Un altro giorno, aspetta sotto un balcone per ripararsi dalla pioggia; un passante lo prende per un vero mendicante e gli fa l’elemosina di due peseta che seguono la stessa strada. La povertà di Gaudí causa qualche equivoco nei suoi riguardi. In occasione della visita della Sagrada Familia da parte dell’Infanta Isabella, Gaudí si presenta sul posto e le guardie reali, vedendo quest’uomo vestito così poveramente, lo scacciano. I suoi collaboratori esclamano: «Ma, come sono stupide le guardie! – No, replica Gaudí, sono alla loro postazione.» A volte viene preso per il sagrestano, e dà umilmente gli orari delle celebrazioni. L’ex presidente della Repubblica federale spagnola, Francesc Pi i Margall, viene, un giorno, a visitare la Sagrada Familia. Scende fin nella cripta che è già utilizzata per il culto, e Gaudí gli offre gentilmente dell’acqua benedetta. Il signor Pi, un anticlericale, fa finta di non aver visto, ma Gaudí insiste: «Signor Francesc, per favore...» Ed ecco che Pi i Margall si sorprende egli stesso a fare, davanti a tutti, un bel segno di croce.

Un altro giorno, arriva il Rettore dell’Università di Salamanca, Miguel de Unamuno, grande scrittore diventato agnostico angosciato. Arrivato davanti alla facciata della Natività che prolifera di simboli cristiani, lancia questa frase all’architetto: «Lei, un uomo così intelligente, crede ancora a queste cose!» Gaudí non reagisce. Poco dopo, si sente suonare l’Angelus: Gaudí interrompe la conversazione, si toglie il cappello e, senza rispetto umano, si mette a pregare con devozione; dopo di che, dice: «Laus Deo! Auguro a tutti voi una buona notte!»

Un visitatore dell’edificio, ammirando quella stessa facciata ornata da una gran profusione di elementi naturali, esclama: «Ma è un canto alla Natura! Sì, risponde Gaudí, ma dica piuttosto alla Creazione!» Gaudí è molto criticato per gli ornati vegetali e animali della sua opera. Si giustifica mostrando che tutte queste piante e tutti questi animali sono rappresentati pieni di vita e di movimento: la natura creata forma così la corte del suo Creatore.

Ogni giorno, Antoni partecipa alla Messa e s’immerge nella lettura del Vangelo in cui attinge l’ispirazione per realizzare i personaggi che adornano la Sagrada Familia. Quando cita il Vangelo, tutti sono colpiti, anche i non credenti. Per lui, «l’uomo senza religione è un uomo mutilato. Per far bene le cose ci vuole prima di tutto l’amore, solo dopo la tecnica.» Appassionato di canto gregoriano, segue una formazione presso il Palazzo della Musica di Barcellona. Quando gli viene chiesto il motivo del suo interesse, risponde: «Vengo qui per imparare l’architettura!» I cori della Sagrada Familia sono previsti per accogliere circa tremila cantori, perché l’architetto è convinto che il futuro appartiene alla Chiesa. Egli sa che tutte le saggezze, tutti gli sforzi dell’uomo per avvicinarsi a Dio trovano il loro punto di arrivo in Cristo. La sua architettura è una splendida testimonianza di questa convinzione: vengono utilizzare reminiscenze di altre tradizioni o culture, come il basamento che porta la croce. Quando egli guida i visitatori nel cantiere dell’edificio, le sue spiegazioni costituiscono un’eccellente esposizione della dottrina cristiana. Molte persone di diverse religioni, in particolare del buddismo e dello scintoismo, si sono convertite al cattolicesimo venendo a contatto con Gaudí o con la sua opera.

Secondo il suo desiderio

Il 7 giugno 1926, verso le 18, all’uscita dal cantiere,  Gaudí viene investito da un tram. Scambiato per un mendicante, viene trasportato all’ospedale della Santa Croce, gestito da religiose al servizio dei poveri. Vi riceve l’Estrema Unzione. Quando viene riconosciuta la sua identità, le équipe mediche più competenti offrono le loro cure; ma è troppo tardi. Il 10 giugno, Gaudí muore, da povero, come l’aveva desiderato, dopo aver pronunciato queste ultime parole: «Dio mio, Dio mio!» Il suo funerale è un grande lutto pubblico, dove tutti si ritrovano gli uni accanto agli altri, dalle autorità civili ed ecclesiastiche alle persone più semplici. Egli viene sepolto nella cripta della “sua” chiesa, nella Cappella della Madonna del Carmelo. Il suo processo di beatificazione è in corso, e per sua intercessione sono state ricevute molte grazie.

Gaudí non pensava di concludere egli stesso il suo lavoro: «Non vorrei terminare io la costruzione del Tempio. Questo non sarebbe opportuno... Innalzare il Tempio è una preghiera nel tempo. Bisogna lasciare alle generazioni future la possibilità di lodare Dio costruendolo, e questo utilizzando altri stili.» E ripeteva spesso: « È san Giuseppe che terminerà questo Tempio.» In effetti, la Sagrada Familia, che papa Benedetto XVI ha elevato al rango di basilica, è un edificio ancora incompiuto.

In occasione della sua dedicazione, il Papa rilevava un aspetto fondamentale di questa opera: «Gaudí realizzò ciò che oggi è uno dei compiti più importanti: superare la scissione tra coscienza umana e coscienza cristiana, tra esistenza in questo mondo temporale e apertura alla vita eterna, tra la bellezza delle cose e Dio come Bellezza.» E aggiungeva: «Abbiamo dedicato questo spazio sacro a Dio, che si è rivelato e donato a noi in Cristo per essere definitivamente “Dio con gli uomini”... La Chiesa non ha consistenza da se stessa; è chiamata ad essere segno e strumento di Cristo, in pura docilità alla sua autorità e in totale servizio al suo mandato. L’unico Cristo fonda l’unica Chiesa; Egli è la roccia sulla quale si fonda la nostra fede. Basati su questa fede, cerchiamo insieme di mostrare al mondo il volto di Dio, che è Amore ed è l’Unico che può rispondere all’anelito di pienezza dell’uomo. Questo è il grande compito: mostrare a tutti che Dio è Dio di pace e non di violenza, di libertà e non di costrizione, di concordia e non di discordia.»
Che Dio ci doni di essere, ognuno al nostro posto, artigiani di bellezza e di pace, testimoni della Verità che è Cristo, per poter essere chiamati figli di Dio!

Dom Antoine Marie osb