domenica 20 luglio 2014

Necessità dell'orazione mentale

S. Alfonso Maria de Liguori
Necessità dell'orazione mentale

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PREPARAZIONE
1. Loquar ad Dominum cum sim pulvis, et cinis2. Ah quanto mi contenterei Dio mio, e fossi solo polvere, e cenere, sono peggio, sono un ribelle, ch'ò avuto ardire d'offendere te Sommo Bene.
2. Ma Voi per questo siete venuto nel mondo, acciocché i poveri peccatori Vitam habeant, et abundantius habeant3.
3. Loquere Domine, quia audit servus tuus4. Illuminami dunque Signore, parlami, ch'Io ti voglio sentire, dimmi, che ò da fare per darti gusto, per farmi santo.
Maria Speranza mia Voi avete il bell'officio, che tanto è conforme al vostro cuore tutto pieno d'amore, e misericordia, l'officio d'esser la Paciera fra i peccatori, e Dio, impegnatevi ancora per me Signora mia.
I. Desolatione desolata est omnis terra quia nullus est, qui recogitet corde. Recogitet corde, e quello intendo per orazione mentale quel meditari in lege Domini, all'eternità, agli oblighi proprii, alle cose di Dio.
Or vediamo quanto è difficile, che un Sacerdote senza orazione si salvi, e discorro così.

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1. È certo, che un Sacerdote per salvarsi à da sodisfare tutti gli oblighi, che tiene di Sacerdote, i quali oblighi quanti siano grandi già n'abbiamo parlato.
2. Or per sodisfare a tutti questi oblighi à bisogno della Mano
dell'Onnipotente, che continuamente l'aiuti. È vero, che Dio è pronto ad aiutarci, ma che vuole Dio? Vuole, che tutti gli aiuti, che ci bisognano, noi siamo attenti a cercarceli continuamente, altrimenti non ce li dà.
3. E qui già sapete la sentenza comune de' Teologi, che l'orazione, ciò è la petizione degli aiuti a chi è arrivato all'uso della ragione sia necessaria di necessità di mezzo, altrimenti non si può salvare: Petite et accipietis5. Chi non cerca non ave.
1. Ora un Sacerdote, che non fa orazione mentale quando rifletterà agli oblighi, che tiene di Sacerdote? Dove cercherà a Dio l'aiuti necessari? Soccederà, che, caminando alla cieca senza pensare dove camina, e come camina, poco penserà a cercare a Dio gli aiuti, poco penserà alla necessità, che ave di cercarli, anche senza orazione non penserà né meno agli oblighi, che tiene di Sacerdote. E così come si salverà?
2. Il Cardinale Bellarmino6 stima moralmente impossibile, che qualsivoglia cristiano possa adempire gli oblighi di semplice Cristiano senza orazione mentale7, or quanto lo deve stimare più impossibile in un Sacerdote, che ave tanti oblighi di più, che non ave un semplice christiano?
Dice ancora la mia cara Avvocata, e Maestra S. Teresa8, che per ottenere da Dio le grazie, l'unica porta è l'orazione, e parla espressamente dell'orazione mentale, chiusa questa porta dice la Santa: Io non so come verranno le grazie all'anima. E se non lo sà la Santa, mi dichiaro,

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che non lo sò né meno Io, come un Sacerdote senza orazione riceverà tutte le grazie necessarie per salvarsi.
1. Di quanti lumi primieramente, andremo riflettendo, à bisogno un Sacerdote per sé, e per gli altri, se s'à da salvare? Mantenersi puro in mezzo a un secolo di carne. Sfuggire quelle occasioni, dove si può perdere Dio. Consigliare rettamente gli altri giacch'egli è il Maestro de' popoli, specialmente poi se è confessore, che à da mettere l'anime sulla via di Dio, à da decidere tanti dubi all'improvviso, à da dare tanti consigli in ogni confessione, e di tutto poi n'à da rendere conto a Giesu-Christo.
1. Or dove riceverà questi lumi senza orazione?
2.9 Oratio est lucerna, dice S. Bonaventura10, la quale in questa terra di tenebre ci dimostra la via per dove abbiamo da camminare.
3. E S. Bernardo11 a questo istesso proposito dice, che l'orazione è appunto, come lo specchio, e quanto mi piace questa similitudine: I. Se alcuno tiene qualche macchia nel volto, và avanti lo specchio, la vede, la toglie, altrimenti la macchia resta, e resterà sempre, perché non la vede, e non la toglie. II. Or così appunto avviene dell'orazione, se uno tiene qualche difetto, se sta in qualche occasione pericolosa, và all'orazione ed ivi subito come in uno specchio vede nella sua coscienza quel suo difetto, quel pericolo di perdere Dio, lo vede, lo toglie.
I. Ancorché per disgrazia si trovasse caduto in qualche precipizio, se và all'orazione con perseveranza, certamente ci rimedia. 2. Onde diceva un Maestro di spirito12, che co 'l peccato molte volte può starsi unito qualche atto in sé virtuoso, conforme uno può stare in peccato e far limosine, ed essere modesto, ed essere paziente, ma orazione e peccato non mai ponno stare uniti insieme, perché? Perché quando quello volontariamente seguita a fare l'orazione (volontariamente, perché certi ci vanno per forza, e così l'orazione non li serve a niente) ma quando ci và volontariamente o lascerà l'orazione o lascerà certamente

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il peccato. 3. E dice S. Teresa13, che siasi un'anima ruinata quanto si voglia, se seguita con perseveranza l'orazione certamente il Signore la ridurrà in porto di salute. 4. Ma se quell'anima non và all'orazione, perché non ci riflette, o poco ci riflette, seguiterà a tenersi quelli difetti, seguirà a trattenersi in quell'occasioni, in quel pericolo, e anderà in precipizio, perché? Perché camina all'oscuro, senza lume si troverà tutt'insieme precipitata, senza sapere come.
Accedite ad Eum, et illuminamini14. E che lume vogliamo avere, se non ci accostiamo a Dio per mezzo dell'orazione? Dove tutti i Santi?
Dove Io dimando tanti uomini semplici, tante donne senza studiare Teologia ànno imparato a parlare così bene delle cose divine, se non già in questa bella scola de' santi qual'è l'orazione?15 Una S. Hildegarde16, che scrisse più libri sopra la sacra Scrittura, una S. M. Maddalena de Pazzi, che parlò così bene delle divine perfezioni, una S. Teresa, che scrisse così bene delle cose d'orazioni, ch'è stata una meraviglia in tutta la Chiesa; e la S. Chiesa ci fa pregare Dio, che ci approffitiamo della dottrina celeste: Caelestis eius doctrinae pabulo nutriamur17.
Ed anco un S. Tommaso d'Aquino confessò18, che quanto sapea, l'avea imparato nell'orazione; conforme ancora disse S. Bonaventura19, che 'l Maestro della sua dottrina non gli era stato altri, che 'l Crocefisso.Accedite ad Eum, et illuminamini.
II. Inoltre di che fortezza à bisogno un Sacerdote per superare, tanti nemici, che l'insidiano l'anima, da fuori, e da dentro? Mondo, persecuzioni, rispetti umani, passioni, male inclinazioni, tentazioni del demonio.
E tentazioni poi, che ave un Sacerdote: Oh quanto più fatica il demonio per far cadere un Sacerdote, che un secolare! E perché? È perché, se li riesce di far cadere un Sacerdote fa una preda più bella; fa più dispetto a Dio. Di più, se fa cadere un Sacerdote ne tira molti insieme con quello, perché un Sacerdote cattivo, se precipita, non precipita

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solo, ne tira molti al precipizio, e perciò tanto fatica il demonio per far cadere un Sacerdote.
Or và supera tutte queste tentazioni senz'orazione, và! E specialmente un Sacerdote secolare poi, che deve stare in mezzo del Mondo, deve trattare con tanti oggetti, che staranno nell'istessa casa, e s'è confessore, che deve confessare giovani, figlioli, donne, sentire le loro miserie, le loro fragilità. Ma all'ora si sta in luogo di Dio. Ah Signori miei, che co 'l carattere siamo fatti Sacerdoti, ma ancora siamo restati uomini di terra, deboli, fragili, soggetti a cadere, quante volte bisogna sudare sangue per dir così per vincere una soggestione del demonio!
E senza orazione come faremo? Come acquisteremo quella forza di resistere a tanti nemici?
Dice S. Teresa20, vedete, che arriva a dire la Santa, che chi trascura l'orazione mentale non à bisogno di demonii, che lo portino all'inferno, dice, ch'esso medesimo ci si mette colle mani sue.
All'incontro a chi attende a questo santo esercizio oh che forza riceve continuamente nell'orazione per combattere, quando è tempo, contro tutto l'inferno: Quid videbis in Sulamitide, dice lo Spirito Santo, nisichoros castrorum21. Per Solamitide s'intende appunto l'anima d'orazione, che diventa poi per questo bello mezzo contra tutti i nemici: Terribilis, ut castrorum acies ordinata22. Per vincere tutte le passioni, le male inclinazioni nostre, le quali male inclinazioni solamente per la nostra natura corrotta oh quanto sono difficilissime a superarsi senza grande orazione, e coll'orazione all'incontro sono facili a superarsi. L'anima posta alla orazione, è come il ferro posto al fuoco; il ferro freddo è difficile a lavorarsi, ma quando è posto al fuoco s'intenerisce, e così facilmente si lavora, e così l'anima.
Che perciò un Maestro di Spirito23 chiamava l'orazione Fornace, perché conforme nel fuoco s'intenerisce il ferro, e si rende facile a lavorarsi, così l'anima si rende facile nell'orazione ad esser domata nelle passioni. Riceverà per esempio alcuno qualche dispreggio, qualche ingiuria contra la stima, prima dell'orazione oh come è difficile a superare quella passione di risentirsi, di difendersi, e alle volte la passione ce lo fà apparire anche necessario sotto qualche apparente pretesto.

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Il ferro ancora è freddo, ma mettetelo al fuoco, vadi quell'anima all'orazione, ecco come viene la bella fiamma dello Spirito Santo, e li dice: Ma non è meglio sopportarlo, e non risentirsi? Lasciane la difesa a Dio, come fece il tuo Maestro Giesù quando fu calunniato, ed era più innocente di te. Ed ecco che fatto tenero il ferro l'anima si ritratta, e si quieta. Se non fusse andata all'orazione certamente non l'avrebbe fatto.
Da tuttocciò24 S. Giovanni Grisostomo dice, che l'orazione in una anima è come un fonte in un giardino: Oh che bel giardino è quello, che à la sorte di avere una fonte, che continuamente l'inaffia, come si vedono verdi l'erbe, belli li fiori, copiosi li frutti; togliete la fonte, ed ecco, che si seccano, o languiscono l'erbe, li fiori, e con li frutti le piante.
Oh come si conosce subito un Sacerdote, che fà orazione! Che Messa, che dice! che predicare, che fa! che parlare, che umiltà, che portamento, che modestia nel vestire, nel trattare! È un giardino riservato di Dio:Hortus conclusus25. Chiuso ai vizii, alle passioni, e pieno di fiori, e di frutti di virtù. Anzi è un Paradiso: Emissiones tuae Paradisus cum pomorum fructibus. E perché? Ecco il perché: Fons hortorum puteus aquarum viventium26. Vi è la fonte dell'orazione, che continuamente l'irriga.
Ma togliete l'orazione, togliete la fonte, ed ecco, che s'abbrevia la Messa, si precipita l'Officio, si predica d'un'altra maniera; và trova più distacco, và trova più quella bella umiltà, quella bella modestia; è tolta la fonte. Sacerdote senza orazione è giardino senza acqua: Anima mea sine aqua tibi27. Così dicea Davide per quando era stato lontano da Dio.
È cadavere più presto di Sacerdote, che Sacerdote, mentre dice S. Giovanni Grisostomo che: Sicut corpus si non adsit anima mortuum est, sic anima sine oratione mortua est, et graviter olens28. Oh come si sente anche da lontano la puzza d'un Sacerdote, che non fa orazione.
Ma beato all'incontro quell'uomo, che medita in lege Domini, che attende al santo esercizio dell'orazione, lo paragona lo Spirito Santo a quell'albore, che sta piantato alla corrente dell'acqua.
II. E qui entriamo al secondo punto, che siccome è difficile, che un Sacerdote senza orazione si salvi, così poi è impossibile, che senza

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orazione giunga alla perfezione. E qui non mi stendo, e suppongo che ben sappi ogni Sacerdote l'obligo, ch'ave di caminare alla perfezione.
Veniamo a noi. Osservate dunque, dice lo Spirito Santo, quegli alberi piantati lontano dalla corrente dell'acqua, come stanno o inariditi, o poco cresciuti, o mal cresciuti non dritti, e all'incontro osservate questi altri della corrente, come sono verdi, dritti, alti; così appunto sono gli uomini d'orazione forti, dritti, che non ànno altro, che Dio, avanti gli occhi, alti, che crescono sempre nelle virtù: Tamquam lignum secus decursus aquarum29. Che non perdono fronda, cioè non perdono momento della loro vita, perché sempre o attualmente, o virtualmente s'avanzano nella perfezione, cioè nel santo amore di Dio, che questa è la perfezione d'un'anima, la santa Carità come dice S. Paolo: Charitatem habete, quod est vinculum perfectionis30.
E questa è l'amabil fornace, dove s'infiammano l'anime di quel bel fuoco, di cui ardono i Santi in terra, e i beati in Paradiso, la Santa Orazione. In meditatione mea exardescet ignis. Davide31.
Poi ci lamentiamo, che ci troviamo tepidi, deboli? Che meraviglia, quando stiamo lontano dall'orazione? Perché non procuriamo d'entrare spesso in questa bella Cella d'amore della Santa Orazione, dove appena introdotta la Sposa de' Sacri Cantici s'intese tutta accesa di carità? (Introduxit,32 ecc.).
Ci sentiamo freddi d'amore di Dio; e perché non andiamo spesso a trattare con Dio? perché non ci accostiamo a Dio, che si chiama Fuoco consumatore per mezzo della Santa Orazione? E questo fa l'orazione dice S. Giovanni Climaco33Oratio est hominis coniunctio cum Deo34.
Siasi un cuore il più freddo, il più disamorato con Dio, è certo, Signori miei, che se è perseverante nell'orazione, è certo, che da questo Dio, ch'è così fedele, né si fa vincere d'amore sarà infiammato una volta d'amore di Dio: il fuoco à da fare l'effetto suo. Se dal parlare, e trattare noi alle volte con qualche persona veramente innamorata di Dio ci sentiamo noi ancora tirare, accendere ad amare Dio, quanto più ci sentiremo accesi parlando, e trattando spesso con Dio medesimo?
I. Parla sì, parla Dio all'anime, che veramente lo cercano, ma dove parla? Nelle conversazioni, nelle Curie, nelle sacrestie, quando

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ci si stanno a perdere due, e tre ore di tempo tutte a discorsi inutili? No, qui non parla Dio. Lascia, dice Dio, lascia la conversazione degli uomini, ritirati alla solitudine, alla santa orazione, che là ti voglio parlare:Ducam eam in solitudinem, et loquar ad cor eius. Os. 2. 14. Ed ivi, dice Dio, ti farò sentire quelle mie belle parole piene, e sostanziose, che mentre si fan sentire portano insieme l'effetto di quel, che significano, e non solo ci esortano, ma ci fanno ancora bene operare.
E dove i Santi, riveritissimi miei, ànno imparato ad amare Dio, se non già nell'orazione?35 Dove un S. Filippo Neri ricevé tanto fuoco d'amore, che non potendo soffrirlo il suo povero cuore, se l'alzarono due coste per dargli più luogo da palpitare? Dove un S. Pietro d'Alcantara36 s'accese tanto d'amore di Dio, che per non morire bisognava, che uscisse alla campagna, e tal volta si buttasse nell'acque gelate? Una S. Maria Maddalena de Pazzi37, che andava quasi sempre fuori di sé per l'amore? Dove fu ferita una S. Teresa38, la quale scrive di sé, ch'ella quando si pose a far orazione mentale, all'ora cominciò a sentire che cosa fusse amore di Dio?39
II. Ah Sacerdoti miei non crediamo nò, che l'orazione mentale sia esercizio solamente proprio de' Solitarii, e non degli Operarii ancora.
1. Tertulliano40 chiama tutti i Sacerdoti: Genus deditum orationi, et contemplationi41.
2. Gli Apostoli non erano già solitarii, ma furono gli operarii più grandi del mondo, e pure per trovarsi il tempo per attendere alla orazione, che fecero? Costituirono i Diaconi, che attendessero agli

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officii inferiori, e dissero: Fratres, viros constituamus super hoc opus, nos vero orationi, et mynisterio Verbi instantes erimus. Notate Oratíoni, et mynisterio Verbi42, prima l'orazione, e poi la santa predicazione, perché senza orazione non riesce niente bene.
3. Che importa, che noi non siamo Solitarii, non siamo chiamati alla vita contemplativa? Se vogliamo farci santi, e santi operarii, è necessario, che attendiamo all'orazione; ma assai; (non così un quarto d'ora, una mezz'ora di passaggio, assai, assai, e se nò è impossibile, moralmente parlando, che ci facciamo Santi, è impossibile).
III. In mezzo alle maggiori fatiche nostre bisogna, che sempre ci troviamo il tempo di far riposare un poco l'anima, conforme ordinò Giesuchristo agli Apostoli: Quiescite pusillum43. Che là siede l'anima, e si riposa, e piglia forza poi per meglio operare: Sedebit solitarius, et tacebit (Tren. 3. 28), quia levabit supra se. Un'anima, ch'esce dell'orazione, esce un'altra. Levabit supra se.
E perciò tanto mi piace il bell'uso di quelli, che si prendono un giorno di ritiro la settimana tutto di riposo per l'anima, e in quel giorno non si confessa, non si studia, non s'attende ad altro, che all'orazione, a lezioni spirituali, e alla santa solitudine. Alcuna Religione dà un giorno la settimana di ricreazione per il corpo a li suoi Religiosi, acciocché così il corpo pigli più forza per operare, e per resistere alle fatiche; e perché non s'à da dare poi all'anima un giorno di ricreazione spirituale, acciocché possa poi meglio faticare, perché colle fatiche esteriori sempre si dissipa qualche poco l'anima. Assai, non un quarto, né mezz'ora, assai, assai, ecc.
Trovatemi un Santo, ch'è stato Operario, che s'è fatto santo senza molta orazione? Io non lo trovo. Trovo che S. Francesco Saverio,44 quello, che fu lo stupore degli Operarii, che il più delle volte la notte si restava nelle chiese a fare orazione, e dopo uno scarso riposo, che pigliava nella sacrestia, se ne andava al Ss. Sacramento a sfogare gli affetti suoi, che poi diceva consolato da Dio: Sat est Domine, Sat.
Leggo del B. Giovanni Francesco Regis45 quel gran Missionario della Francia, che dopo aver faticato tutto il giorno a predicare, e confessare, la notte invece di riposare se n'andava avanti la porta della

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chiesa, che stava chiusa, e là si tratteneva forse tutta la notte a parlare co 'l suo Dio.
Un S. Filippo Neri voi sapete quanto operò, e quanto fu innamorato dell'orazione46. Un S. Vincenzo Ferrero Apostolo delle Spagne, che, solo prima di predicare faceva un'ora d'orazione mentale47.
E tutti poi l'ànno imparato questo bell'uso dall'esempio, e Capo degli Operarii Giesuchristo, che Erat pernoctans in oratione (Luc. 6. 12).
1. Si, quando ci comanda Dio a lasciare l'orazione per attendere alla salute delle anime, si, all'ora bisogna obbedire lasciando Dio per Dio, all'ora attendiamo, applichiamoci a benefizio del prossimo per quanto è necessario, e dove si vede tempo perduto, spezzare tanti discorsi inutili, non sentir tanti fatti d'altri, tempo perduto, né ce lo comanda Dio questo nò. Ma subito ecc. all'orazione.
2. Anzi nell'istesse fatiche nostre, confessando, predicando, trattando, bisogna, che sempre conserviamo nel cuore la Celletta di S. Caterina di Siena48, dove entriamo da quando in quando con qualche atto d'amore, con qualche giacolatoria a parlare con Dio.
3. Ed all'ora medesima bisogna, che non perdiamo di vista, e non lasciamo l'affetto alla santa solitudine, e bisogna all'ora dire, come diceva la Sposa de' Sacri Cantici al suo Diletto: Fuge Dilecte mi super montes aromatum49. Non volea la Sposa, ch'egli fuggisse, e l'abbandonasse, ma sapendo il costume del suo Sposo divino, che parla solo nella solitudine, perciò lo pregava, che andasse sopra de' monti solitarii, nella solitudine, e che ivi l'aspettasse a parlare poi da solo a solo. E così noi nelle nostre fatiche all'or più che mai bisogna, che sospiriamo, come cervi assetati la fonte, che giunga presto il tempo dell'orazione, per andare a trattenersi da solo a solo col nostro Dio.
1. E quanto tempo? e che gran cosa è due ore d'orazione il giorno una la mattina, l'altra la sera? Almeno un'ora il giorno. Ah volesse Dio, che da questi esercizii io non avessi altra fortuna, che questa, che uno solo crescesse un poco più d'orazione.
2. Giovani Ordinandi miei, fatelo almeno voi, crescete l'orazione che tutto sta al principio al buon'abito, che si fa: Che certi, che da tanti anni ànno fatto quell'uso per esempio di fare mezz'ora d'orazione,

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e non più, è difficile, che la creschino, par che si pregiudichino, se crescono un poco più d'orazione.
3. Non è gran cosa, replico, nò due ore d'orazione il giorno, trattenersi a parlare co 'l Crocefisso, o co 'l SS. Sacramento. Sub umbra illius, quem desideraveram sedi50. Ah che Paradiso trattenersi a parlare con Giesù sacramentato alle 40 ore, o pure ad altre Esposizioni, o pure in qualche Chiesa solitaria, dove ci è il Sacramento. Secolari alle volte si trattengono più ore intiere, vergogna nostra. Che apposta s'è restato con noi in terra il nostro caro Signore per parlare spesso con noi. E quando sta poi chiuso và trovando, quasi pregando chi li venga a parlare.
Ma due ore è troppo. Troppo due ore d'orazione nè? E sai che viene a dire orazione? Viene a dire, parlare da tu a tu con Dio, trattare d'amicizia con Dio, dice S. Teresa51. Qui s'acquistano le belle ali per caminare alla perfezione: Quis dabit mihi pennas sicut columbae, volabo, et requiescam?52 Che perfezione vuoi trovare mai senza orazione?
Questa è la bella scola, dove s'impara la bella scienza de' Santi. Tanti studii, permettetemi di dire quest'altro prima di finire, tante erudizioni, tante lingue, tante scienze diverse, sono buone Sissignore, chi lo nega, ponno servire, ma meglio sarebbe prima studio della Scrittura, di canoni, di dogmatica per trovarsi pronto a rispondere ancora agli eretici moderni, che tanto ci vanno attorno.
Ma sopra tutto ci è necessaria la bella scienza de' Santi, la scienza d'amare Dio, che non si studia a li libri nò, si studia avanti al Crocefisso, avanti al SS. Sacramento.
Orazione, Signori miei, orazione. Tanto più che attendiamo alla salute dell'anime, abbiamo bisogno di più forze, di più luce, perché abbiamo da comunicare poi luce, e calore ancora agli altri; e che luce, che calore vuol comunicare all'altre candele una candela, che appena sta allumata, sta in pericolo di smorzarsi ancora essa? e volesse Dio e questo non soccedesse alla giornata, che chi s'applica alla salute dell'anime con poco spirito, con poco amore di Dio, più s'intepidisce, e alle volte precipita, e finisce di perdere Dio. Quanti casi miserabili sono socceduti di questo! Non ne sapete niuno voi, che per attendere a confessare, a convertire gli altri, à prevaricato poi coll'occasioni, e ci à perduto Dio?

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E poi dicono, ch'è troppo due ore d'orazione? Non diceva ch'era troppo un S. Francesco Borgia, che dopo 8 ore d'orazione cercava per carità un altro quarto d'orazione53. Una S. Rosa54, che ne faceva 12 ore il giorno. Un S. Antonio Abbate, che, avendo destinata la notte all'orazione, la mattina poi si lamentava co 'l sole, perché uscisse così presto a dargli il termine dell'orazione55.
Quante Verginelle, quanti secolari, quanti artisti fanno 4, 5 e 6 ore d'orazione. Vergogna nostra di noi Sacerdoti: Questi non ci ànno da giudicare poi nel giorno del giudizio?
Ah Sacerdoti miei nell'amare Dio nò non ci facciamo passare dagli altri, che noi Sacerdoti siamo obligati più degli altri ad amare questo Dio.
Non perdiamo più tempo, chi sà quanti giorni ci restano di vita. C'innamori di Dio almeno il tanto impegno, che ave Dio d'essere amato da noi Sacerdoti.
Ah Dio mio è dunque vero, che voi avete impegno d'essere amato da me? E che mi serve la vita, se non la spendo tutta ad amare te Sommo Bene? Unico Bene, Dio mio, che non ci è altro, che te. Io non son degno d'amarti nò, ma Voi troppo degno siete d'essere amato. Avete già tutte le parti per farvi amare, bello, amoroso, grato, fedele, e che vi manca per essere amato? Resta solamente, ch'io vi ami. E perché non t'ò da amare Dio mio, perché? E chi voglio amare, se non amo Te?
Dove io mi rivolgo fuori di te, io non trovo, che cosa s'à da amare, le creature? la terra? Il fumo? Le miserie?
O Ignis qui semper ardes accende me. S. Agostino56. Oh Dio, che sei tutto fuoco d'amore, accendimi una volta, inceneriscimi d'amore verso di Te.
E non à miglior mezzo per ecc. che cercare sempre a Dio l'amore suo.
Io ti voglio accendere, come desideri, dice Giesuchristo, Sacerdote mio, ma tu vieni all'orazione: Veni columba mea57 in foraminibus petrae,

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in caverna maceriae. T'aspetto alla solitudine, e là t'apparecchio l'abbondanza de' favori miei; vedrai ecc.
Ah Signori miei bella cosa è amare Dio! Solo questo ci troveremo in punto di morte, avere amato Dio, e niente più. Onori ricevuti, casa accomodata, impegni superati, in fine poi, che cosa ci troveremo? Solo avere amato Dio.
E che ci stiamo a fare nel mondo, se non ci stiamo ad amare Dio? A fare ricchezze, a farci stimare, a pigliarci spasso, ad acquistarci onori di mondo? E che ci abbiamo che fare noi col mondo? Elegi vos de mundo58. Dio ci à strappato dal mondo, e noi ci vogliamo mettere un'altra volta nel mondo?
Che mondo! che onori! che spassi! Viviamo, e viviamo solo per amare Dio, e perciò orazione, orazione.
(Così avremo poi la fortuna di uscire un giorno da questo mondo, dicendo, ringraziando Dio, come diceva in morte la gloriosa Martire S. Agata: Domine, qui a me abstulisti amorem saeculi59. O Signore ch'ai tolto da me l'amore delle ricchezze, degli onori, delle vanità del mondo). Domine Regnum mundi, et omnem ornatum saeculi contempsi propter amorem Domini mei Iesu Christi, quem amavi quem concupivi60. Ah beati noi, se ancora ecc.
Ah Maria, Maria, Voi, di cui tutta la vostra vita fu una continua orazione, mentre anche il sonno non v'impediva di stare unita con Dio, ah Voi ricordatevi, Voi, che usastivo la carità a S. Rosa61 d'andarla a svegliare, quando era il tempo dell'orazione; Voi ancora, quando ci vedete addormentati nella negligenza, nella tepidezza, usateci la carità, veniteci a svegliare, a ricordare l'orazione, dove c'infiammeremo d'amore verso Dio, e Voi, per venirne ad amare poi per tutta l'eternità in Paradiso.
Viva Giesù, e Maria con Giuseppe e Teresa.

















2 [16.] Gen., 18, 27.



3 [20.] Jo, 10, 10.




4 [21.] 1 Reg. 3, 9.
5 [11-12.] Jo. 16, 24.




6 [20-22.; 25-28.] Da SARNELLI, Il mondo santificato, ed. cit., 120-121.




7 [20-22.] G. FULIGATTI, Vita di Roberto Card. Bellarmino, Roma 1644, c. XXXV, 292: «E questa meditazione stimò egli tanto necessaria a qualsivoglia fedele, che una volta alla sua Corte disse, come non credeva esser alcun cristiano, che non vi spendesse almeno un quarto d'hora, non parendogli che si potessero ben ordinare l'attioni senza l'invocatione del favor divino»; cfr. anche l' Op. De ascensione mentis in Deum, Praef., Operum Roberti Bellarmini Tom. VII, Coloniae Agrippinae 1617, 1313 (B, C).




8 [25-28.] S. TERESA, Vita, c. 8, Opere, ed cit., I, 31: «Per queste grazie sì grandi, ch'ha fatte a me, la porta è l'orazione: serrata questa, non so, come le farà»; cfr. anche il Sentenziario, Opere, II, n. 34, p. 249.
9 [12-15.] MANSI, Bibliotheca, v. Oratio, Disc. IX, nn. 3, 7.




10 [12.] Ps.-s. S. BONAV. (ma GUGLIELMO DI LANICIA), Diaeta salutis, Tit. 2, c. 5, Opera, Lugduni 1668, VI, 284; cfr. l' ed. di Quaracchi, VIII, Proleg.




11 [14.] «S. Bernardo»: piuttosto ps.-S. BONAV. (ma DAVIDE DA AUGUSTA), De profectu relig., Opera, ed. cit., VII, 603.




12 [24-27.] «un Maestro di spirito» = ven. GENNARO SARNELLI, Il mondo santificato, ed. cit., 154-155: «Limosine e peccato, recitar preci e peccato, digiuni e peccato, possono, e bene spesso sogliono stare insieme in un cuore: ma orazione mentale, e peccato mortale, non sanno mai stare a lungo in una medesima anima, e per necessità l' orazione ave a cacciarne il peccato».
13 [1-3.] S. TERESA, Vita, c. XIX, ed. cit., 66; Sentenziario, n. 107, p. 252.




14 [8.] Ps. 33, 6.




15 [12-20.] MANSI, op. cit., Disc. VIII, nn. 1, 2.




16 [12.] S. ILDEGARDA DI BINGEN (1098-1179), Vita e Opere, PL 197.




17 [17.] Brev. Rom., In festo S. Teresiae, 15 oct.




18 [18.] SURIO, De probatis Sanctorum historiis, Coloniae Agrippinae 1571, II, 7 Marzo, 75.




19 [19-20.] MARCO DA LISBONA, Delle croniche de' Frati Minori, trad. di Horatio Diola, Venetia 1606, P. II, lib. II, c. II, 96.
20 [13-15.] S. TERESA, Opere, ed. cit., Sentenziario, n. 108, p. 252; cfr. Vita, c. XIX, 66.




21 [18-19.] Cant. 7, 1.




22 [20-21.] Cant. 6, 3.




23 [28.] «un Maestro di spirito» = ven. GENNARO SARNELLI, op. cit., 138-139: «Abbracciatevi a quell'immensa fornace di carità, se desiderate essere infervorati, e accesi nel santo amore».
24 [7-19.] Riassunto dal MANSI, op. cit., Disc. IX, n. 2; cfr. SARNELLI, op. cit., 135; per il testo di S. GIOV. CRISOST. cfr. Gran mezzo, P. I, c. I, p. 15 (17-18).




25 [15-17.] Cant. 4, 12-13.




26 [17-18.] Cant. 4, 15.




27 [23-24.] Ps. 42, 6.




28 [27-28.] cfr. Gran mezzo, loc. cit., n. 6-8.
29 [8-9.] Ps. 1, 3.




30 [12-13.] Coloss. 3, 14.




31 [16.] Ps. 38, 3.




32 [21.] Cant. 2, 4-5.




33 [25.] S. GIOV. CLIMACO, Scala Paradisi, Grad. 28; PG 88, 1130.




34 [25.] SARNELLI, op. cit., 282.
35 [9-11.] P. G. BACCI, Vita di S. Filippo Neri, Roma 1642, lib. I, c. VI, nn. 4-5, p. 16-17.




36 [11-13.] GIOVANNI DI S. BERNARDO, Chronica dell'ammirabil vita e gesti miracolosi del glorioso Padre S. Pietro d' Alcantara, Napoli 1674, lib. III, c. III, 238-239.
37 [14.] G. PUCCINI, Vita, ed. cit., P. I, c. XI-XII, 17-20.




38 [15-17.] S. TERESA, Vita, c. V, 16: «...Stavo tanto posta in guadagnare beni eterni, che per qualsivoglia mezzo ero risoluta volergli acquistare. E ne resto ammirata, perché, a mio parere, non avevo per ancora amore di Dio; siccome dopo d'aver incominciato a far orazione mentale, mi pare averlo avuto».




39 [15-17.] SARNELLI, op. cit., 143.




40 [20-21.] «Tertulliano» (?): dal Decretum Gratiani, P. II, c. XII, q. I, c. VII: «Hieronymus ad quendam suum levitam. Duo sunt genera christianorum. Est autem unum genus, quod mancipatum divino officio, et deditum contemplationi et orationi, ab omni strepitu temporalium cessare convenit, ut sunt clerici, et Deo devoti»; PL 187, 884; sulla provenienza ibid., N. 53, «Caput incertum».




41 [20-21.] MANSI, op. cit., tr. XXII, De ecclesiasticis, Disc. XV, n. 5: cit. Hieronymus; L. SABATINO, Clero santo, Napoli 1716, P. III, c. V., sez. II, art. I, 226: cit. Hieronymus.



42 [1-3.] Act. 6-4.




43 [12.] Marc. 6, 31.




44 [27-31.] O. TORSELLINI, VIta del B. Francesco Saverio, Milano 1606, lib. VI, c. 5, 253.




45 [32-34/1-2.] G. DAUBENTON, La vita del B. G. F. Regis, tradotta dal P. Sebastiano Zefferini, Torino, 1718, lib. IV, 217.
46 [3-4.] G. BACCI, Vita, ed cit., lib. II, c. V, 118 ss.




47 [4-5.] A. TEOLI, Storia di S. Vincenzo Ferreri, Roma 1735, tr. III, c. VI.




48 [15-16.] RAIMONDO DA CAPUA, Vita, trad. di B. Pecci, Siena 1707, P. I, c. IV, 54.




49 [20-21.] Cant. 8-14.
50 [4-5.] Cant. 2, 3.




51 [14.] S. TERESA, Vita, ed. cit., c. VIII, p. 30.




52 [15-16.] Ps. 54, 7.
53 [2-3.] D. BARTOLI, Della vita di .S. Francesco Borgia, Roma 1681, lib. IV, c. II, p. 289.




54 [3.] L. HANSEN, Vita mirabilis... Rosae de S. Maria Limensis, Romae 1664, c. XII, III.




55 [4-6.] CASSIANO, Coll. IX, c. 31; PL 49, 807-808.




56 [26.] Ps.-s. S. AGOST. (anon. sec. XIII), Liber soliloquiorum, c. XIX: «O ignis qui semper ardes et numquam extingueris, o amor qui semper ferves et numquam tepescis, caritas Deus meus, accende me»; PL 32, 796.




57 [32.] Cant. 3, 13.
58 [9.] Joh. 15-18.




59 [16.] Brev. Rom., 5 febr., II noct.




60 [18-19.] Pont. Rom., De benedict. et consecr. Virginis.




61 [23.] HANSEN, loc. cit.

”SERMONE ANGELICO”




La beata Brigida, principessa di Nericia nel regno di Svezia,

abitando per molti anni in Roma, nella casa cardinalizia contigua alla
chiesa di S. Lorenzo in Damaso, siccome non sapeva quali lezioni
dovessero leggersi nel suo monastero, che Cristo aveva ordinato di
costruire nella Svezia, e la cui regola egli stesso aveva dettata ad onore
della beata Vergine sua Madre, improvvisamente, mentre la stessa 
beata Brigida era in preghiera e di questo si stava interrogando, le
apparve Cristo dicendo: « Io ti manderò un mio angelo, che ti rivelerà
la lezione da leggersi nel mattutino dalle monache del tuo monastero
in onore della Vergine mia Madre, ed egli te la detterà. E tu scrivila
com'egli te la dirà ». 


La beata Brigida, dunque, avendo la camera con finestra

corrispondente all'altare maggiore, da dove poteva vedere ogni giorno
il Corpo di Cristo, si preparava ogni giorno a scrivere, con tavoletta,
carta e penna in mano; dopo di che leggeva le sue ore e preghiere, e
così preparata aspettava l'angelo del Signore. Quando questi veniva, le
si poneva accanto, da un lato, stando in piedi in posizione
modestissima, avendo sempre il viso in riverente atteggiamento
rivolto all'altare, dov'era custodito il Corpo di Cristo. E stando così,
dettava distintamente e con ordine, nella lingua materna della beata
Brigida, la lezione suddetta, cioè le lezioni infrascritte, da leggersi nel
suddetto monastero durante il mattutino, sulla sovreminente ed eterna
eccellenza della beata Vergine Maria. E lei ogni giorno scriveva con
grande devozione, sotto dettatura dell'angelo, ed ogni giorno
sottoponeva umilmente al suo padre spirituale ciò che aveva scritto.
Accadeva però, alcuni giorni, che l'angelo non veniva a dettare. E
allora, richiesta dal suo padre spirituale se aveva scritta la lezione del
giorno, lei rispondeva umilmente dicendo: « Padre, oggi non ho scritto
nulla, perché ho aspettato a lungo l'angelo del Signore che mi dettasse
per scrivere, ma non è venuto ». 
In tal modo, dettato dalla bocca d'un angelo, è stato scritto il
seguente discorso angelico sull'eccellenza della beata Vergine Maria.
E dallo stesso angelo fu diviso in lezioni da leggersi settimanalmente
nel mattutino durante l'anno, come esposto qui in seguito. 


Quando l'angelo ebbe finito il dettato di questo discorso, disse alla

sposa che scriveva: « Ecco che ho preparata la veste della regina del
cielo, Madre di Dio; voi dunque, come potrete, cucitela. Voi dunque, o
monache fortunate della santissima religione del Salvatore, con la
regola che lo stesso Salvatore e creatore dell'universo ha di sua bocca
somministrato con tanta benevolenza a voi e al mondo mediante la sua
sposa, accingetevi a ricevere con somma riverenza e devozione questo 
sacro discorso, che l'angelo del Signore, per divino comando, dettò
alla santa madre vostra Brigida. Aprite le vostre orecchie all'ascolto di
così sublime e inaudita lode nuova della beatissima Vergine Maria, e
considerate umilmente la sua eccellenza contenutavi dall'eternità,
affinché, ruminandola diligentemente nella meditazione, ne degustiate
la soave dolcezza della contemplazione. E poi elevate a Dio mani e
cuore, in pienezza di affetto, per rendergli umilissime e devotissime
azioni di grazie per così grande beneficio fatto a voi particolarmente.
Si degni concedervelo il suo beatissimo Figlio, Re degli angeli, che
vive e regna nei secoli dei secoli. Amen ».


In queste tre lezioni seguenti l'angelo mostra come Dio, fin dall'eternità, amò

più di ogni altra creatura la gloriosa Vergine sua Madre, prima che fosse
creata qualsiasi altra cosa.

Il prete postconconciliare va in Paradiso.

Il prete postconconciliare va in Paradiso.




Se facciamo il verso al famoso film con G.M. Volonté (La classe operaia va in paradiso, 1971), è perché ce lo suggerisce la lettura di un articolo apparso sull'Osservatore romano proprio nel giorno di apertura dell'Anno sacerdotale, scritto tra l'altro da un consultore di congregazione vaticana, dove si presenta un modello alternativo, e inevitabilmente conflittuale, rispetto a quello che il Papa propone ai sacerdoti, il Santo Curato d'Ars. Riportiamo l'articolo in calce e invitiamo anche a leggere il gustosissimo commento in proposito di Fides et forma.

Come anche risalta dalla lettera papale di indizione dell'Anno Sacerdotale, e in particolare dagli stralci che ne abbiamo pubblicato ieri, del Curato d'Ars si mettono soprattutto in risalto (e si offre come esempio ai preti) la pietà eucaristica, lo zelo nella confessione, l'esaltazione della funzione liturgica e sacramentale del prete ("Dio gli obbedisce: egli pronuncia due parole e Nostro Signore scende dal cielo alla sua voce e si rinchiude in una piccola ostia"; e ancora: "Tolto il sacramento dell'Ordine, noi non avremmo il Signore. Chi lo ha riposto là in quel tabernacolo? Il sacerdote. Chi ha accolto la vostra anima al primo entrare nella vita? Il sacerdote. Chi la nutre per darle la forza di compiere il suo pellegrinaggio? Il sacerdote. Chi la preparerà a comparire innanzi a Dio, lavandola per l'ultima volta nel sangue di Gesù Cristo? Il sacerdote, sempre il sacerdote. E se quest'anima viene a morire [per il peccato], chi la risusciterà, chi le renderà la calma e la pace? Ancora il sacerdote... Dopo Dio, il sacerdote è tutto!"; citazioni del Curato d'Ars riportate nella lettera del Papa). 

Tutte cose, diciamolo subito, che nel post-concilio sono rimaste in ombra rispetto ad una funzione del prete più "sociale": animatore della parrocchia, guida di gruppi, catalizzatore di iniziative benefiche e di volontariato, predicatore dell'amore di Dio per i fratelli. Non, beninteso, che una cosa escluda l'altra (anche il curato d'Ars seguiva La Providence, un'opera di beneficienza). Ma è sotto gli occhi di tutti che, se dei due elementi uno è rimasto in ombra, è giusto puntare i fari su quest'ultimo per riequilibrar le cose.

Ma evidentemente questo non a tutti va bene. Addirittura nell'Osservatore romano, appare un'apologia del prete post-conciliare. Anche lui è santo, dice don Cabra che ha scritto l'articolo, "santità che si potrebbe chiamare della difficile e costosa fedeltà creativa, dell'inserimento del profeta sul sacerdote". Creativa? Profetica? Certo: anziché passare 16 ore in confessionale, o offrire se stesso e le sue penitenze in luogo di quelle dei peccatori riconciliati, come faceva il santo preconciliare, il santo moderno "propone anche canti nuovi, applica le riforme, spiega il meglio possibile la Parola, ridimensiona devozioni popolari cercando di sintonizzarle sullo spirito della liturgia". E' vero che, continua con onestà l'articolista, "col passare del tempo vede che alcuni non capiscono e i giovani non s'interessano". Ma non importa: il santo prete postconciliare "fa un atto di fede nello Spirito Santo che "ha parlato per mezzo del Concilio", sapendo che il buon seme darà frutto a suo tempo, dove e come il Padrone della messe vorrà". Se le chiese si svuotano, benché ora dotate di riscaldamento e altoparlanti, bisogna andare avanti. Boia chi molla! Chi si ferma è perduto! Indietro non si torna! Se avanzo seguitemi, se indietreggio uccidetemi, se muoio vendicatemi! "Capisce che la Parola ha il potere di edificare lui personalmente e la sua comunità", una Parola "che ritorna dall'esilio" dei secoli bui preconciliari. Solo che ci vorrebbero superiori "più creativi", meno attaccati alle vecchie regolette. Impara, il nostro santo moderno, con l'andare degli anni, ad agire "senza farsi forte della verità che ha in mano, brandendola come un'arma, consapevole che la prima verità è la carità che non colpevolizza, ma invita a ritornare al Dio della pace". E fa sua la "scelta per i poveri", così "decide in cuor suo di non chiudere mai la porta ai poveri, di denunciare le situazioni di sfruttamento che lui vede, anche a costo di vedere ridotte le offerte".

E' santo questo prete? Molto probabilmente sì, perché la santità non ha come requisito necessario l'intelligenza (anche se...). Basta la buona intenzione, e quella non va messa in discussione nel nostro prete-modello. Ma se tutto lo sbattersi per i "canti nuovi"; se 'sto "annuncio della Parola" (che non s'è mai ben capito che cosa è, se non prediche interminabili che ti lasciano come ti trovano); se la brillante idea di "ridimensionare le devozioni popolari" per "sintonizzarle con lo spirito della liturgia"; se tutto questo, anziché condurre a "una fiorente primavera, segno della rinnovata giovinezza della Chiesa, scossa da una nuova Pentecoste" porta invece al "tardo autunno, foriero di venti freddi e inospitali"; se si deve amaramente constatare che "con grande sorpresa le chiese, invece di riempirsi, cominciarono a svuotarsi"; ebbene, non era tempo che il nostro santo prete facesse uso di quei doni dello Spirito Santo che si chiamano consiglio ed intelletto? Ed iniziasse a dubitare che la strada imboccata era forse sbagliata, era un vicolo cieco; anzi peggio: una china pericolosa (perché il baratro in agguato era celato) che stava conducendo alla perdita del gregge, sbocconcellato a vista d'occhio dai lupi?

E la "scelta per i poveri", che cosa era? Porsi davvero a servizio dei bisognosi, o piuttosto lasciare le "sacrestie" (e insieme a quelle i confessionali, le adorazioni eucaristiche, le trionfalistiche processioni, le superate devozioni popolari) per diventare un tribuno in politica, cosa che solo il beato ottimismo dei tempi di Paolo VI poteva definire "la forma più alta della carità"? Ma poi, era veramente post-conciliare questa opzione per i poveri? Per secoli ai poveri non era dato altro sollievo che la beneficienza e l'assistenza della Chiesa, dei suoi ordini religiosi, delle sue confraternite. Non era, quella, scelta per i poveri? O forse occorreva attendere l'era delle mutue, delle ONG e ONLUS laiche, del welfare State, per accorgersi che la missione principale della Chiesa è quella socio-assistenziale, proprio ora che, essendoci chi lo fa meglio e con maggiori mezzi, il compito, pur importantissimo, appare meno essenziale di prima, quando nessun altro lo svolgeva e quando c'eran più preti in giro?

Il prete post-conciliare - ci riferiamo al tipo tratteggiato dall'articolista, non a quei sacerdoti più intelligenti e duttili, che si barcamenano cercando di salvare il salvabile senza lasciarsi sopraffare dalle ideologie dello "Spiritodelvaticanosecondo" - andrà dunque in Paradiso.
Ma spesso ci andrà a dispetto, e non per merito, di quello che ha fatto.



di Piergiordano Cabra
Consultore della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica

Quando si parla di santità sacerdotale il pensiero va spontaneamente alle grandi figure del passato, preferibilmente dell'Ottocento, illustrato da eminenti personalità di preti che si sono imposti al loro tempo, suscitando ammirazione e stupore per il loro modo di porsi e d'incidere nella società. Difficilmente il pensiero va al prete degli anni del postconcilio, tanto scossi da terremoti culturali e sociali, oltre che caratterizzati da un processo di ridefinizione della figura del prete, non privo d'incertezze teologiche e operative. Eppure la seconda metà del secolo scorso può essere caratterizzata da una "nuvola di testimoni" che sono vissuti nella tensione tra vecchio e nuovo, tra lealtà alla Chiesa e amore delle necessità del proprio gregge, tra attese e realizzazioni, tra risultati promessi e delusioni pratiche. Vorremmo qui rendere onore a questi "santi anonimi" senza riconoscimenti e senza aureola, d'una santità che si potrebbe chiamare della difficile e costosa fedeltà creativa, dell'inserimento del profeta sul sacerdote. Quella che segue può essere la storia di uno dei tanti preti che in questi decenni hanno portato il peso del loro ministero, con una incrollabile fedeltà a Cristo e la speranza di non restarne delusi.

Il Vaticano II aveva aperto il cuore a grandi speranze. Si prevedeva una fiorente primavera, segno della rinnovata giovinezza della Chiesa, scossa da una nuova Pentecoste. Il clima di entusiasmo creato dal concilio era tale che si attendeva un balzo in avanti della Chiesa nel cuore degli uomini e nella società. Con grande sorpresa le chiese, invece di riempirsi, cominciarono a svuotarsi e alla fugace primavera sopraggiunse il tardo autunno, foriero di venti freddi e inospitali. E qui comincia il calvario del prete solo con la sua gente. Gente che guarda sempre meno a lui, attratta da altri interessi, sommersa in un mare d'informazioni che intaccano la sua parola. Cominciano i dibattiti sul Vaticano II, con la domanda spesso presente, anche se non sempre detta: di chi è la colpa? Di chi ne frena l'applicazione o di chi ha osato troppo? C'è chi si schiera da una parte e chi dall'altra. Il prete santo prima esita, valutando e soffrendo e poi fa le sue scelte, tenendo fermo il dettato evangelico del "non giudicare per non essere giudicati" e del primato della carità che gl'impedisce di demonizzare chi non la pensa come lui. E, soprattutto, fa un atto di fede nello Spirito Santo che "ha parlato per mezzo del Concilio", sapendo che il buon seme darà frutto a suo tempo, dove e come il Padrone della messe vorrà. È la santità del lavorare non tanto per ottenere risultati, ma per essere fedeli al proprio compito. Il gruppo di fedelissimi, che prima si riunivano con lui per ascoltare la sua parola e le direttive, ha preso coscienza della propria dignità di battezzati ed è incoraggiato a essere parte viva del popolo di Dio. Si formano i vari consigli pastorali ove i laici prendono la parola e partecipano, a volte con poca, altre con troppa convinzione. Dal parlare all'ascoltare il passo non è facile, anche perché talvolta c'è la contestazione, ci sono giudizi sommari sulla Chiesa, ci sono rivendicazioni d'autonomia insolite e da valutare. Il santo prete non abolisce o snobba il tutto, aspettando solo che la bufera passi per rialzare la testa, ma medita sulla Chiesa come comunione e decide di continuare ad ascoltare, ma anche a parlare, con pazienza e con coraggio, sapendo che la sua comunità si costruisce con il contributo di tutti, rendendosi conto che deve molto imparare, come pure che ha qualche cosa da insegnare. Comincia qui una particolare devozione allo Spirito Santo, Spirito del discernimento, devozione che caratterizza la spiritualità del santo prete. Con la fiducia nello Spirito, si dedica a costruire la sua comunità come fraternità. 

Nella costruzione della comunità la prima attenzione è data alla Parola di Dio, che "ritorna dall'esilio", e alla liturgia che diventaculmen et fons della sua azione pastorale. Grande è stato l'entusiasmo per l'introduzione delle lingue correnti nella liturgia e nella proclamazione della Parola. Ma dopo le prime incuriosite e attente assemblee, a poco a poco cala l'interesse. La Parola è intesa nella propria lingua, ma la comprensione non è così ovvia. Il santo prete sa che deve lavorare in profondità e si dedica ad acquisire competenza circa la liturgia e l'esegesi. Si mette ad approfondire e a formare il suo popolo. Propone anche canti nuovi, applica le riforme, spiega il meglio possibile la Parola, ridimensiona devozioni popolari cercando di sintonizzarle sullo spirito della liturgia. Ma col passare del tempo vede che alcuni non capiscono e i giovani non s'interessano. Le assemblee rinnovate con grande cura si assottigliano, anche se le chiese vengono riscaldate, l'impianto d'altoparlanti migliorato, l'edificio restaurato, talvolta anche con eccellente gusto [avverbio scelto bene: talvolta significa raramente. Poiché negli altri casi, ossia spesso, il gusto è pessimo, e i guasti architettonici scriteriati]. Il santo prete condivide il disagio con i suoi confratelli, ma li esorta a non cadere nel pessimismo. Continua la sua opera di formazione, a partire dalla Parola di Dio, meditata nella preghiera e annunciata. Capisce che la Parola ha il potere di edificare lui personalmente e la sua comunità e a essa dedica la parte più tranquilla del suo tempo, dove può "contemplare" i fatti di ogni giorno alla luce della Parola. È convinto che la celebrazione dell'Eucaristia è il cuore della sua vita e della sua comunità e, anche se deve correre in più luoghi moltiplicando le celebrazioni, vigila per non lasciarsi travolgere dalla routine.

C'è stato anche un periodo in cui la politica ha assunto un vestito messianico: "Tutto è politica", si diceva nelle cattedre e nelle piazze. "La politica è la forma più alta della carità", aveva affermato Paolo VI. Alcuni confratelli abbracciavano con entusiasmo la politica per risolvere tanti problemi, a partire da quello dei poveri. In questo trionfo della politica il nostro santo prete si sentiva piuttosto a disagio: la riforma delle strutture, pur necessaria, non pareva talvolta sostitutiva della riforma del cuore richiesta dal Signore? I partiti eccedevano nelle loro richieste di fare della Chiesa una base elettorale? E chi serviva meglio i poveri? E lui, povero prete, non rischiava d'essere coinvolto nelle tenzoni politiche, perdendo la credibilità e l'affetto di parte del suo gregge, oltre che la difficile mitezza evangelica? E come sottrarsi alla tentazione d'appoggiare un rispettabile candidato per riaverne dei vantaggi? Siccome ogni soluzione - anche quella di non interessarsi di politica - era considerata politica, il santo prete pensa che fosse meglio tenere un profilo basso, intervenendo il minimo richiesto, concentrandosi sul Vangelo e predicando sull'esigenze di conversione nei confronti dei poveri. 

E proprio nel momento in cui si parla molto della "scelta dei poveri" e vede alcuni che si servono dei poveri, decide in cuor suo di non chiudere mai la porta ai poveri, di denunciare le situazioni di sfruttamento che lui vede, anche a costo di vedere ridotte le offerte, e soprattutto, di fare una scelta di vita sobria, essenziale, senza concedersi di più di quello che la condizione medio-bassa della sua gente poteva permettersi. Con qualche eccezione: i libri, costosi ma necessari e qualche viaggio, distensivo e utile, specie nelle missioni, per rendersi conto del mondo che cambia e delle nuove prospettive per il Vangelo.

Tuttavia, mentre s'accorge che s'affermano nuovi modelli di comportamento e nuovi modi di pensare, per lo più in rottura col passato, ecco scoppiare delle bombe dirompenti quali l'introduzione del divorzio e la liberalizzazione dell'aborto. E proprio quando alcuni teologi apparivano propensi a chiudere il purgatorio, il santo prete constata che il purgatorio esiste, specie quando si siede in confessionale, dove deve mediare tra la dura norma e la fragilità del praticante, tra la fedeltà alla dottrina della Chiesa e una diversa sensibilità del penitente, tra la misericordia di Dio pronta a perdonare e chi esige invece la legittimazione dei propri comportamenti. Il santo prete si trova lacerato interiormente constatando il fossato che s'allarga tra la legge e la realtà, ma persevera invocando lo Spirito di discernimento per le situazioni inedite, prendendo coscienza che suo compito non è abbassare le esigenze dell'essere cristiano, ma di aiutare a trovare vie nuove per esserlo nel nostro tempo. E poi ci sono i momenti della solitudine, che pesa come un macigno, che logora interiormente. 
Momenti in cui si sente solo con se stesso, bisognoso di affetto e di stima, solo con il Signore che tace e gli altri che non comprendono, con il suo celibato apparentemente così poco stimato, ferito dalle debolezze di alcuni confratelli, prontamente sbandierate dai media, che gettano un corrosivo sospetto su tutto il clero. È il suo Getsemani, accanto a Gesù abbandonato. 

Si sentirà sollevato quando Papa Benedetto XVI rilancerà il purgatorio, nella consapevolezza d'averlo anticipato in parte nelle ore, a tratti belle, a tratti difficili, del confessionale. Ma anche nelle ore lunghe e oscure della sua solitudine, sulle quali aleggiava scoramento e depressione, ma dalle quali esce provato e purificato. La sua dedizione pastorale ha costruito una comunità di credenti, capaci di resistere all'erosione del secolarismo, che investe la maggioranza, che condiziona la mentalità generale.

Secolarismo per lui non è un neutro concetto sociologico, ma sono famiglie che si disgregano, libertà di costumi, desiderio d'apparire, ricerca del denaro facile, pratica irrilevanza della predicazione della Chiesa in molti settori [bella frase]. La valanga sembra inarrestabile. Gli sembra persino che il cristianesimo non sia in grado di reggere agli assalti sempre più insistenti sferrati da molte parti. A volte pensa d'essere di fronte al mistero del male che si manifesta con tutte le sue capacità di seduzione e di inganno. Quasi ne ha paura perché si sente talvolta disarmato di fronte al dispiegamento di forze al servizio di un piano oscuro. Ma poi, nel contatto orante con la Parola, trova che il suo Signore per primo ha lottato contro il potere delle tenebre, ha aperto gli occhi ai suoi discepoli invitandoli alla vigilanza, promettendo anche lo Spirito, che infonde il coraggio nella lotta e forza nelle tribolazioni. Il santo prete sente che deve perseverare nella preghiera, anche quando è arida e vuota, perché sa che qui riceve la forza dello Spirito assieme alla sua consolazione. Non si legge negli Atti degli Apostoli che i discepoli erano "pieni di gioia e di Spirito Santo" proprio in mezzo alle difficoltà? Così coltiva la sua perseveranza, riscoprendo pagine dell'antica ascetica, pensando ai molti che guardano alla sua fedeltà come punto di riferimento alla sempre più difficile loro fedeltà. Per questo non s'amareggia né amareggia con lamentose filippiche: sa che il mondo è saldamente nelle mani di Dio, che sta preparando qualche cosa di nuovo. A lui, suo umile servo, tocca annunciare la lieta novella che Dio non abbandona il suo popolo. Dette così le cose, appaiono facili, persino edificanti. Ma quante ne ha tentate il nostro santo prete, quante delusioni, quante tristi sorprese. Tuttavia, ha imparato a lamentarsi più col Signore che con i fedeli, ha acuito lo sguardo sul nuovo che sta germinando, guarda ad altri luoghi dove il Vangelo avanza, apre il suo cuore ai poveri del Terzo mondo, guarda con simpatia le iniziative riuscite, anche se non promosse da lui. Gioisce nel vedere il bene fatto dai movimenti, sebbene non si senta di aderirvi. Non dubita delle sue responsabilità di pastore e non deflette dall'annunciare la verità tutta intera, ma lo fa con carità e delicatezza verso le persone, senza farsi forte della verità che ha in mano, brandendola come un'arma, consapevole che la prima verità è la carità che non colpevolizza, ma invita a ritornare al Dio della pace. Si rende conto, con l'andare degli anni, che è più evangelico annunciare la bellezza e la grandezza dell'amore di Dio, che mortificare l'uomo fragile. Lo aiutano in questo i santi pastori che, innamorati dell'Amore, a questo Amore hanno saputo condurre persone sperdute nelle vie del mondo. Egli si sente piccolo e grande, servo e solo servo, ma del Signore del tutto a cui tutto fa ritorno. Piccolo e grande, annunciatore di un mondo che non muore. Piccolo e grande, come Maria, che è diventata per lui, col passare degli anni, "vita, dolcezza e speranza".

Rivedendo la sua vita, egli constata che il Signore gli ha cambiato l'ideale di santità, attraverso imprevisti mutamenti nelle scienze, nella cultura, nella società, mutamenti che hanno prodotto il cambio delle domande della gente e, di conseguenza, il suo posizionamento [mah: perché i mutamenti sociali e culturali dovrebbero incidere sull'ideale di santità?]. Non sa se vi ha risposto, ma sa di averle prese sul serio. Ha constatato che anche la gente gli ha insegnato molte cose, specie quelli che chiacchieravano di meno e volevano essere più discepoli che maestri. È contento di aver guardato ai superiori con rispetto e sovente anche con amore, tenendo sotto controllo la tentazione della contestazione o della piaggeria. Comprende le loro difficoltà, anche se in cuor suo li vorrebbe più creativi. Non gli dispiace di non avere fatto carriera. Sorride di fronte al carrierismo, una forma di compensazione tipica anche tra gli apostoli. È lieto d'aver coltivato l'amicizia con i suoi confratelli e l'allegria con gli amici. E li raccomanda allo Spirito che rinnova la faccia della terra, perché rinnovino il futuro. Guardando alla società, che procede per la sua strada, è ammirato per la sua straordinaria capacità di gestire la complessità, grazie alla crescita delle competenze e dell'organizzazione. Ma si rende conto che l'uomo diventa sempre più fragile: senza un fondamento e una meta riuscirà a evitare d'essere schiacciato dall'opera delle sue mani? Trepida per il futuro dei giovani. Ma ripete loro: "Non abbiate paura di Cristo". Vede con chiarezza e infinita gratitudine che "tutto è grazia", anche l'essere stato conservato nel santo servizio e prega per chi ha iniziato con lui e non ha continuato. S'accorge che ormai ogni sua riflessione e preghiera è triangolare: Dio, lui, la sua gente. Dio e la gente sono stati la sua vita. Un trio ormai indissolubile, anche oltre il tempo. Si attende solo che Dio lo accolga con la sua gente, per vivere sempre assieme.

Croce e Santa Messa, un'unica realtà

Croce e Santa Messa, un'unica realtà



Prima dell'avvento di Cristo la sofferenza era giustificata, per gli ebrei, dal peccato originale: era il castigo che Dio aveva inflitto all'uomo per essersi ribellato alle Sue disposizioni. Per tutti gli altri uomini della terra, la sofferenza avveniva per volere degli dei o degli spiriti maligni. Con l'avvento del Figlio di Dio la sofferenza ha assunto (fermo restando il castigo seguito al peccato originale) un significato anche redentivo: l'uomo può salvarsi eternamente grazie alla Croce sulla quale Cristo è salito volontariamente, con l'unico scopo di aprire le porte del Paradiso alle anime battezzate nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. 

Fuori dalla Croce di Cristo non c'è Salvezza, fuori dalla Chiesa non c'è salvezza. Grazie al Santissimo Sacrificio di Nostro Signore noi possiamo ogni giorno averlo sull'altare, presente, in Corpo e Sangue, e attraverso la sua Croce vivere di Fede, di Speranza, di Carità e portare con pace e armonia le nostre croci. 

Unica protagonista, nella Santa Messa, è la Croce: Gesù è sull'altare (non intorno all'altare per banchettare, come credono i protestanti) per essere ancora, fino alla fine dei tempi, innalzato sulla Croce, redimendo e salvando le anime che vogliono essere salvate. L'editoriale di Don Alberto Secci lo ricorda con vivida chiarezza. (C.S.)

O CRUX, AVE, SPES UNICA:
DUNQUE LA MESSA 
DELLA TRADIZIONE.

Editoriale di "Radicati nella fede"
Luglio 2014


  Lo scorso mese, parlando della solennità del Corpus Domini, ricordavamo il pericolosissimo oblio del carattere sacrificale della Messa cattolica. Oblio che conduce lentamente ma inesorabilmente all'eresia. Su questo punto non dovremmo mai dimenticare il grande lavoro di Michael Davies sulla Riforma anglicana, che sottolinea il pericolo dei “taciuti” in liturgia: la riforma anglicana di Cranmer, togliendo dalla Messa tutti i riferimenti espliciti al Sacrificio propiziatorio, introdusse vincente, nel giro di una generazione, il Protestantesimo in Inghilterra, portandola definitivamente all'eresia.
  Ma nel mese scorso ci spingevamo più in là dicendo che, col dimenticare che la Messa è il Sacrificio di Cristo sulla Croce, si perde inesorabilmente la coscienza della Presenza sostanziale di Cristo nella Santissima Eucarestia: se non c'è più la Vittima, non c'è nemmeno più la Presenza di Gesù Cristo, perché Cristo si rende presente nell'Eucarestia come Vittima. Una Messa percepita sempre più come ricordo dell'Ultima Cena rischia veramente di non essere più la Messa cattolica. Innegabilmente l'ultima riforma della messa, quella del 1969, l'ha fatta assomigliare sempre più alla Santa Cena protestante, anglicana o luterana che sia.
  C'è però di più: una Messa sempre più protestantizzata, ha protestantizzato il popolo cristiano con la sua missione, tanto da farlo assomigliare ogni giorno di più ad un insieme di congregazioni protestanti impegnate nella loro presenza in mezzo al mondo.
  Se non c'è più la Vittima, non c'è nemmeno più la Presenza di Cristo. È vero per la Messa, per il Santissimo Sacramento, ma è vero anche per tutta l'opera della Chiesa. Se al centro di tutta la predicazione dottrinale, se al centro di tutta la pastorale della Chiesa non c'è più Cristo Crocifisso, tutta la missione della Chiesa rischia di essere spaventosamente vuota. Mai come in questi ultimi decenni si sono moltiplicati gli sforzi pastorali, si sono affinate le tecniche per un annuncio efficace, mai si è parlato come in questi ultimi cinquant'anni di missione, e si è raccolto quasi nulla. Si è andati verso il mondo annunciando e annunciando ancora, e si è registrata la sua inesorabile scristianizzazione.
  Chi avrebbe mai pensato, tra i Padri del Concilio, che la fede cattolica sarebbe quasi scomparsa nel giro di mezzo secolo? Chi avrebbe mai pensato, tra i vescovi del Vaticano II, all'avvento di una società così anti-cattolica e immorale come quella di oggi, dove ogni legge sembra fatta apposta per essere contro il disegno di Dio sull'uomo?

  Eppure, ed è innegabile, questo disastro è sotto i nostri occhi.

  Se non c'è più Gesù-Vittima, non c'è nemmeno più Gesù-presente.
  Sì, una Chiesa che entusiasticamente, a partire dagli anni '60, è andata incontro al mondo mettendo in secondo piano la Croce di Cristo, ha perso Cristo stesso e non ha portato nulla o quasi alla società. Sì perché, occorre dirlo con chiarezza, senza la centralità della Croce, senza la centralità di Cristo crocifisso, tu perdi Cristo stesso. È terribile l'illusione di chi vuol parlare di Gesù senza la sua Croce, senza anzi la centralità della sua Croce. Chi mette la Croce di Cristo “tra le tante cose” della vita di Gesù, ma non ne considera la centralità, in verità non parla nemmeno di Cristo. Parla di un Gesù “confezionato” apposta per il mondo moderno che, come i giudei e i gentili di San Paolo, giudicavano Cristo Crocifisso scandalo o stoltezza.

  Si è voluti andare al mondo per dialogare amichevolmente con esso, evitando le condanne della Chiesa del passato; per dialogare amichevolmente si sono dovuti “velare” o “nascondere” la Croce e il Sacrificio di Cristo, perché il dialogo con la società moderna, con le sue religioni, restasse sereno e amichevole; con il risultato doppiamente tragico di non aver portato nulla agli uomini del tempo e, peggio, di aver devastato il santuario della presenza di Dio che è la Chiesa.

  Non c'è niente da fare, per primi dobbiamo accettare e abbracciare lo scandalo della Croce, riconoscerlo come il contenuto centrale della dottrina, della vita e della missione della Chiesa, e allora, non calcolando gli esiti, ma fiduciosi nell'infinita potenza della grazia di Dio, andare verso il mondo, perché dalla Croce di Cristo sia convertito e sanato.

  Guai a quei Cristiani, guai a quella Chiesa che voglia portare un altro Gesù, senza la Croce, guai! Perderà la sua essenza, perderà la sua forza, perderà la sua anima, perderà l'efficacia unica della grazia. E risulterà sempre più inutile e insopportabile a quel mondo che voleva raggiungere. Odiosamente insopportabile al mondo è una Chiesa senza il Sacrificio e la Croce.
E il mondo, una Chiesa così vuota, è già pronto ad azzannarla.

  In hoc signo vinces, non è solo il ricordo di una storia passata, è la verità di ogni istante: la vittoria è della Croce e di chi, la Croce, la porta e la mostra al mondo, senza calcolo umano.

  O Crux, ave, spes unica, salve o Croce, unica speranza: se non si tornerà a questa chiarezza in tutto, veramente in tutto nella Chiesa, il disastro sarà inevitabile.

  Ma questo ritorno inizia dal Santo Sacrificio della Messa.
  Se di fronte a questo quadro di devastante confusione ci sentiamo impotenti; se impotenti ci domandiamo cosa fare e soprattutto da dove iniziare, ricordiamoci che la riedificazione della Chiesa partirà sempre dal Santo Sacrificio della Messa. Non facciamo calcoli umani, non commettiamo l'errore degli anni '60, non andiamo al mondo, nemmeno per riedificare la Tradizione, con le nostre tecniche, ma ri-iniziamo dalla Messa.

  Torniamo subito alla Messa della Tradizione, lo diciamo ai sacerdoti prima e poi ai fedeli. Torniamo al corretto rito del Santo Sacrificio della Messa e da lì ripartiamo per un lavoro paziente di riedificazione della fede. Non commettiamo l'errore di fare l'inverso, prima il lavoro pastorale, poi il ritorno alla Messa di sempre, sarebbe in fondo un nascondere ancora la Croce di Cristo, attendendo tempi migliori, così come fecero gli illusi missionari degli anni post-conciliari.

  La verità invece è Cristo.

 La verità è invece il fatto del suo Sacrificio redentore, perpetuato dalla Messa cattolica. Primo compito dei sacerdoti è celebrarla. Primo compito di tutti è vivere di essa, perché la vita, quella vera, continui.

"Quoties 
hujus Hostiae commemoratio recolitur, 
toties 
opus nostrae Redemptionis exercetur" 
Orat. in Missa Dom. post Pent.