martedì 15 luglio 2014

San Francesco d'Assisi


CAPITOLO V 

IN CHE MODO LE CREATURE LO CONFORTAVANO 

1. Francesco, l’uomo di Dio, vedeva che per il suo esempio moltissimi si sentivano spinti a portare la 
croce di Cristo con grande fervore e, perciò, si sentiva animato lui stesso, da buon condottiero 
dell’esercito di Cristo, a conquistare vittoriosamente la cima della virtù. Per realizzare quelle parole 
dell’Apostolo: «Coloro che sono di Cristo hanno crocifisso la loro carne con i vizi e le concupiscenze», e 
portare nel proprio corpo l’armatura della croce, respingeva gli stimoli dei sensi con una disciplina così 
rigorosa, che a stento si concedeva il necessario per il sostentamento. 
Diceva che è difficile soddisfare alle esigenze del corpo senza acconsentire alle basse tendenze dei sensi. 
Per questa ragione, a malincuore e raramente, quando era sano, si cibava di vivande cotte e, quando se le 
permetteva, o le manipolava con la cenere o ne rendeva scipito il sapore e il condimento, mescolandovi, 
per lo più, dell’acqua. 

E come parlare di vino, se a malapena, quando si sentiva bruciare dalla sete, osava dissetarsi con l’acqua? 
Scopriva le tecniche di un’astinenza sempre più rigida e le accresceva di giorno in giorno con l’esercizio. 
Quasi fosse sempre un principiante nella via della perfezione, benché ormai ne toccasse la vetta, trovava 
sempre nuovi mezzi per castigare la concupiscenza. 
Quando, però, usciva nel mondo a predicare la parola del Vangelo, mangiava gli stessi cibi di coloro che 
gli davano ospitalità; ma, tornando in casa, praticava inflessibilmente una rigorosa parchezza ed 
astinenza. 
Così, austero verso se stesso, umano verso il prossimo, soggetto in ogni cosa al Vangelo, era di esempio e 
di edificazione, non solo con l’astinenza ma anche nel mangiare. 
Letto per il suo corpicciolo affaticato era, per lo più, la nuda terra; molto spesso dormiva seduto, con un 
legno o un sasso sotto il capo. Vestito di una sola tonachetta poverella, serviva al signore in freddo e 
nudità. 

2. Gli chiesero, una volta, come potesse, con un vestito così leggero, difendersi dai rigori dell’inverno. 
Pieno di fervore spirituale, rispose: «Se il nostro cuore bruciasse per il desiderio della patria celeste, 
facilmente sopporteremmo questo freddo esteriore». 
Aveva in orrore i vestiti morbidi, prediligeva quelli ruvidi e affermava che, proprio per i suoi vestiti 
ruvidi, Giovanni Battista era stato lodato dalla bocca stessa di Dio. 
Se per caso gli davano una tonaca, che a lui pareva soffice, la intesseva all’interno con delle funicelle, 
dicendo: le vesti morbide, secondo la parola della Verità, si devono cercare non nelle capanne dei poveri, 
ma nei palazzi dei principi. 

Aveva imparato, per sicura esperienza, che i demoni vengono intimoriti dalle asprezze, mentre dalle 
mollezze e dalle delicatezze prendono animo per tentare più baldanzosamente. 
Una notte, contrariamente al solito, si era coricato con un cuscino di piume sotto la testa, a causa della sua 
malattia al capo e agli occhi. Ma il demonio, entrato nel cuscino, tormentò il Santo in molte maniere, 
stornandolo dalla santa orazione, per tutta la notte, finché al mattino egli poté chiamare il compagno e 
ordinargli di portare il guanciale fuori dalla cella e di gettarlo ben lontano, insieme col demonio. 
Quanto al frate, come fu uscito dalla cella con il cuscino, perse le forze e rimase totalmente paralizzato. E 
solo quando si sentì chiamare indietro dalla voce del padre santo, che aveva visto tutto in ispirito, 
ricuperò completamente le forze fisiche e la sensibilità. 

3. Come una sentinella sulla torre di guardia, vigilava con rigorosa disciplina e somma cura per custodire 
la purezza del corpo e dello spirito. 
A questo scopo, nei primi tempi della sua conversione, durante l’inverno si immergeva, per lo più, in una 
fossa piena di ghiaccio, sia per assoggettare perfettamente il nemico di casa sia per preservare la candida 
veste della pudicizia dal fuoco della passione. 
Affermava che un uomo spirituale trova incomparabilmente più sopportabile il freddo del corpo, anche il 
più rigido, che non il fuoco della concupiscenza, per piccolo che sia. 

4. Una notte, mentre stava pregando in una celluzza dell’eremo di Sarteano, l’antico nemico lo chiamò 
per tre volte: «Francesco, Francesco, Francesco!». Gli rispose chiedendo che cosa volesse; e quello, 
ipocritamente: «Non c’è nessun peccatore al mondo, al quale Dio non usi misericordia, se si converte. Ma 
chiunque si uccide da se stesso con le sue dure penitenze, non troverà misericordi a in eterno». 

L’uomo di Dio, intuì immediatamente, per rivelazione, l’inganno del nemico, che tentava di richiamarlo 
alla tiepidezza e ne ebbe la conferma da quello che avvenne subito dopo. 
Infatti sentì divampare dentro di sé una grave tentazione sensuale, alimentata dal soffio di quel tale che ha 
un fiato ardente come brace. Non appena ne avvertì le avvisaglie, l’amante della castità si tolse l’abito e 
incominciò a flagellarsi molto forte con una corda. 
«Ehilà, diceva, frate asino, così ti conviene restare, così prenderti le battiture. Perché la tonaca serve alla 
religione e porta in sé il sigillo della santità: non è lecito, a un libidinoso rubarla. Se vuoi andare in 
qualche posto, va pure cammina! ". 

Poi, animato da meraviglioso fervore di spirito, spalancò la cella, uscì fuori nell’orto e, immergendo nella 
neve alta il corpicciolo già denudato e prendendo neve a piene mani, incominciò a fabbricare sette 
blocchi. E mettendoseli davanti, così parlava al suo uomo esteriore: «Ecco, questo blocco più grande è tua 
moglie, questi quattro sono due figli e due figlie; gli altri due sono un servo e una serva, che bisogna 
tenere per le necessità di casa. Adesso, spicciati a vestirli tutti, perché muoiono di freddo. Se, invece, le 
molte preoccupazioni che loro ti danno, ti infastidiscono, datti da fare per servire soltanto al Signore!». 

Subito il tentatore se ne andò via sconfitto, e il Santo ritornò nella cella con la vittoria in mano. Si era 
raggelato ben bene al di fuori, ma nel suo interno aveva estinto il fuoco della passione così efficacemente 
che d’allora in poi non provò mai più niente di simile. 
Un frate, che quella stessa notte vegliava in preghiera, siccome la luna camminava assai chiara nel cielo, 
poté osservare tutta quanta la scena. Quando il Santo lo venne a sapere, svelò al frate come la tentazione 
si era svolta e gli comandò di non far saper niente a nessuno di quanto aveva visto, finché egli era vivo. 

5. Insegnava che bisogna non solo mortificare le passioni della carne e frenarne gli stimoli, ma anche 
custodire con somma vigilanza gli altri sensi, attraverso i quali la morte entra nell’anima. 
Comandava di evitare molto accuratamente la familiarità, i colloqui e la vista delle donne, perché per 
molti son occasione di rovina. «Son queste le cose – asseriva – che molte volte spezzano gli spiriti deboli 
e indeboliscono i forti. Riuscire ad evitare il contagio delle donne, per uno che si intrattiene con loro, è 
tanto difficile, quanto camminare nel fuoco e non bruciarsi i piedi, come dice la Scrittura. A meno che si 
tratti di un individuo esperimentatissimo». 

Quanto a lui, aveva distolto gli occhi per non vedere simili vanità, con tanto impegno che, come disse una 
volta al suo compagno, non conosceva di faccia quasi nessuna donna. 
Riteneva rischioso lasciare che la fantasia assorba la loro immagine e la loro fisionomia, perché questo 
può ridestare il focherello della carne, anche se ormai domata, o macchiare il nitore della pudicizia 
interiore. 
Asseriva pure che la conversazione con le donne è frivolezza, salvo unicamente che si tratti di 
confessione o di consigli circa la salvezza dell’anima, dati in forma molto breve e secondo le norme del 
decoro. 
«Quali affari – diceva – dovrebbe trattare un religioso con una donna, se si eccettua il caso in cui essa gli 
domandi devotamente la penitenza o suggerimenti per una vita migliore? Se ci si sente troppo sicuri, si sta 
meno in guardia dal nemico, e il diavolo, quando può afferrare un uomo per un capello, presto lo ingrossa 
e lo fa diventare una trave». 

6. L’ozio, poi, sentina di tutti i pensieri malvagi, insegnava che lo si deve fuggire con somma cura e, 
mediante il suo esempio, mostrava che la carne ribelle e pigra si doma con discipline continue e fruttuose 
fatiche. 
In questo senso chiamava il suo corpo «frate asino», indicando che va sottoposto a compiti faticosi, va 
percosso con frequenti battiture e sostentato con foraggio di poco prezzo. 
Se, poi, notava qualcuno ozioso e bighellone, che voleva mangiare sulle fatiche degli altri, lo faceva 
denominare «frate mosca», perché costui, non facendo niente di buono e sporcando le buone azioni degli 
altri, si rende vile e abominevole a tutti. 
Perciò una volta disse: «Voglio che i miei frati lavorino e si tengano esercitati. Così non andranno in giro, 
oziando con il cuore e con la lingua, a pascersi di cose illecite». 
Voleva che i frati osservassero il silenzio indicato dal Vangelo, cioè che in ogni circostanza evitassero 
accuratamente ogni parola oziosa, di cui nel giorno del giudizio dovranno rendere ragione. 
Se trovava qualche frate incline ai discorsi inutili, lo redarguiva con asprezza, affermando che il modesto 
tacere custodisce la purezza del cuore e non è virtù da poco, se è vero, come dice la Scrittura, che morte e 
vita si trovano in potere della lingua, intesa come organo non del gusto, ma della parola. 

7. Benché, poi, con tutte le sue forze stimolasse i frati ad una vita austera, pure non amava quel1a severità 
intransigente che non riveste viscere di pietà e non è condita con il sale della discrezione. 
Un frate, a causa dei digiuni eccessivi, una notte non riusciva assolutamente a dormire, tormentato 
com’era dalla fame. Comprendendo il pietoso pastore che la sua pecorella si trovava in pericolo, chiamò 
il frate, gli mise davanti un po’ di pane e, per evitargli il rossore, incominciò a mangiare lui per primo, 
mentre con dolcezza invitava l’altro a mangiare. 
Il frate scacciò la vergogna e prese il cibo con grandissima gioia, giacché, con la sua vigilanza e la sua 
accondiscendenza, il Padre gli aveva evitato il danno del corpo e gli aveva offerto motivo di grande 
edificazione. 
Al mattino, l’uomo di Dio radunò i frati e, riferendosi a quanto era successo quella notte, aggiunse questo 
provvido ammonimento: «A voi, fratelli, sia di esempio non il cibo, ma la carità». 
Li ammaestrò, poi, a seguire sempre nella corsa alla virtù, la discrezione che ne è l’auriga; non la 
discrezione consigliata dalla prudenza umana, ma quella insegnata da Cristo con la sua vita santissima, 
che certamente è il modello dichiarato della perfezione. 

8. L’uomo, rivestito dell’infermità della carne, non può – egli diceva – seguire l’Agnello immacolato con 
una purezza così perfetta che lo preservi da qualsiasi sozzura. Perciò quanti attendono alla perfezione 
devono purificarsi ogni giorno col lavacro delle lacrime. E ne dava lui stesso la dimostrazione. 
Benché avesse già raggiunto una meravigliosa purezza di cuore e di corpo, non cessava di purificare gli 
occhi del suo spirito con un profluvio di lacrime, senza badare al danno che ne subivano gli occhi del 
corpo. Infatti, in conseguenza del continuo piangere, aveva contratto una gravissima malattia agli occhi. 
Perciò il medico cercava di persuaderlo a desistere dal piangere, se voleva sfuggire alla cecità. 

Ma il Santo replicava: «O fratello medico, non si deve, per amore della vista che abbiamo in comune con 
le mosche, allontanare da noi, neppure in piccola misura, la luce eterna, che viene a visitarci. Il dono della 
vista non l’ha ricevuto lo spirito per il bene del corpo, ma l’ha ricevuto il corpo per il bene dello spirito». 
Preferiva, evidentemente, perdere la luce degli occhi, piuttosto che soffocare la devozione dello spirito, 
frenando le lacrime, che mondano l’occhio interiore e lo rendono capace di vedere Dio. 

9. Una volta i medici lo consigliarono, e i frati lo esortarono insistentemente, ad accettare di farsi curare 
gli occhi mediante la cauterizzazione. L’uomo di Dio accondiscese umilmente, ritenendo che l’operazione 
era salutare e dolorosa nello stesso tempo. Chiamarono, dunque, il chirurgo. Venne e immerse nel fuoco 
lo strumento di ferro per la cauterizzazione. 
Ma il servo di Cristo, confortando il corpo già scosso e inorridito, si mise a parlare col fuoco, come con 
un amico, e gli disse: «O mio fratello fuoco, l’Altissimo ti ha creato splendido e invidiabile per tutte le 
altre creature, forte, bello ed utile. In questo momento sii buono con me, sii gentile. Io prego il grande 
Signore che ti ha creato, perché moderi per me il tuo calore. Così tu brucerai dolcemente ed io riuscirò a 
sopportarti». Finita la preghiera, tracciò il segno della croce sopra il ferro ormai incandescente – e se ne 
stava intrepido in attesa. 

Il ferro sprofondò crepitando nella tenera carne, mentre la cauterizzazione veniva estesa dall’orecchio 
fino al sopracciglio. Quanto sia stato intenso il dolore che il fuoco gli inflisse, lo dichiarò il Santo stesso, 
dicendo ai frati: «Lodate l’Altissimo, perché, dico la verità, non ho sentito né il calore del fuoco né alcun 
dolore nella carne». E volgendosi al medico: «Se la carne non è ancora cotta bene, scava pure un’altra 
volta». 
Quel medico sperimentato, ammirando come un miracolo divino quella forza di spirito così sublime, in 
quella carne così debole, esclamò: «O frati, vi dico che oggi ho visto meraviglie». 
Francesco, in realtà, aveva raggiunto tale purezza che il suo corpo si trovava in meravigliosa armonia con 
lo spirito e lo spirito in meravigliosa armonia con Dio. Perciò avveniva, per divina disposizione, che la 
creatura, servendo al suo Fattore, sottostava in modo mirabile alla volontà e ai comandi del Santo. 

10. Un’altra volta il servo di Dio si trovava nell’eremo di Sant’Urbano, tormentato da una malattia 
gravissima. Sentendosi venir meno, chiese un po’ di vino. 
Gli risposero che non potevano portarglielo, perché non ce n’era assolutamente. Allora egli comandò di 
portargli dell’acqua; poi la benedisse col segno della croce. Subito diventa vino ottimo quella che prima 
era acqua pura. 
Così la purità del Santo ottenne ciò che la povertà del luogo non poté offrire. 
Come ebbe bevuto quel vino, egli si ristabilì immediatamente e con estrema facilità. 
Un cambiamento miracoloso e una miracolosa guarigione: due prodigi che avevano trasformato sia la 
bevanda sia colui che aveva bevuto. Erano due modi per indicare quanto perfettamente ormai Francesco 
si era spogliato dell’uomo vecchio e si era trasformato nell’uomo nuovo. 

11. Ma non soltanto la creatura si piegava al cenno del servo di Dio: anche il provvido Creatore di tutte le 
cose accondiscendeva ai suoi desideri. 
Una volta il Santo, prostrato da molte malattie insieme, sentì il desiderio di un po’ di bella musica, che gli 
ridonasse la gioia dello spirito. 
Convenienza e decoro non permettevano che ciò avvenisse ad opera degli uomini – e allora intervennero 
gli Angeli compiacenti a realizzare il suo desiderio. 
Infatti, una notte, mentre vegliava in meditazione, improvvisamente sentì una cetra suonare con 
un’armonia meravigliosa e una melodia dolcissima. Non si vedeva nessuno, ma si avvertiva benissimo 
l’andare e venire del citaredo dal variare del suono, che ora proveniva da una parte ed ora dall’altra. 
Rapito in Dio, a quel canto melodioso, fu invaso da tanta dolcezza che credette di trovarsi nell’altro 
mondo. 
L’avvenimento non sfuggì ai frati suoi familiari. Essi, d’altronde, sapevano da indizi sicuri che il Signore 
veniva spesso a visitarlo, donandogli consolazioni così sovrabbondanti che non riusciva a tenerle 
completamente nascoste. 

12. In un’altra circostanza, l’uomo di Dio era in viaggio col compagno per motivi di predicazione, tra la 
Lombardia e la Marca Trevigiana. Sopraggiunse la notte, mentre si trovavano vicino al Po. 
Siccome la strada era piena di pericoli, a causa del buio, del fiume e delle paludi, il compagno disse al 
Santo: «O Padre, prega Dio, che ci faccia scampare dai pericoli». 
L’uomo di Dio, con molta fiducia, gli rispose: «Dio può, se piace alla sua cortesia, fugare le tenebre e 
donarci la luce benefica». 
Aveva appena finito di parlare, che l’Onnipotente fece risplendere intorno a loro una luce grandissima, 
tanto che, mentre nelle altre parti persisteva l’oscurità della notte, potevano distinguere con chiarezza non 
soltanto la strada, ma anche moltissimi oggetti tutt’intorno. Ben indirizzati e spiritualmente confortati da 
quella luce, percorsero un lungo cammino, fra inni e canti di lode al Signore, finché giunsero all’ospizio. 
Valuta bene quale meravigliosa purezza e quale virtù abbia raggiunto quest’uomo, al cui cenno il fuoco 
modera il suo calore, l’acqua cambia sapore, gli Angeli offrono il conforto delle loro melodie e la luce 
divina dona la sua guida. 
Sembra davvero che tutta la macchina del mondo si metta al servizio dei sensi, ormai così santificati, di quest’uomo santo.

SAN ENRICO II


 PROPRIO IN LATINO DELLA S. MESSA
tratto dal Missale Romanum a.D. 1962 promulgatum
e traduzione italiana delle letture secondo
la traduzione proposta dalle CEI

15 LUGLIO

SAN ENRICO II
Duca di Baviere
RE D’ITALIA E DI GERMANIA

XV IMPERATORE
DEL
SACRO ROMANO IMPERO
 

Enrico II il Santo (Bad Abbach , Baviera o Hildesheim, 6 maggio 973 o 978 – Grona presso Gottinga, 13 luglio 1024) fu Re d'Italia dal 1002 al 1024, XV Imperatore del Sacro Romano Impero e ultimo esponente della dinastia sassone.

Figlio di Enrico il Pacifico, alla sua morte, nel 995, divenne Duca di Baviera.

Nel 1002, in seguito alla morte del cugino Ottone III, venne eletto Re di Germania a Magonza fu coronato da Willigis arcivescovo di Magonza.

Enrico si dedicò fondamentalmente a risolvere i problemi della Germania, poiché fin dalla sua elezione gli equilibri di potere tra i vassalli si erano di nuovo spezzati, soprattutto a seguito dell'orientamento prevalentemente italiano nella politica dei suoi predecessori. Negli anni del suo regno dovette così combattere a lungo contro vari signori ribelli, come Baldovino di Fiandra, Federico conte di Lussemburgo, Enrico duca di Baviera o l'arcivescovo di Metz.

Per salvare l’unità del Sacro Romano Impero non esitò ad allearsi con le tribù slave, ancora pagane, contro il duca cristiano Boleslao che mirava a sfasciare l’Impero prendendo per se e la sua casata nobiliare la Polonia. La guerra servì per reprimere le perfide ambizioni di Boleslao anche se con un colpo di mano si annesse illegittimamente come bottino personale i territori della Lusazia.

A causa dei problemi della Germania, l'attenzione per la situazione in Italia fu minore dei suoi predecessori. Vi scese nel 1004 per sconfiggere Arduino d'Ivrea, che i grandi signori italici avevano eletto Re d'Italia alla morte di Ottone III. Una volta sconfitto, Enrico cinse a Pavia la Corona del Regno (14 maggio), nonostante le proteste dei nemici del Sacro Romano Impero.

Tornò nel 1013 per dirimere le controversie tra i candidati al papato della famiglia Crescenzi e dei Conti di Tuscolo, assicurando ai secondi il proprio appoggio. Il 14 febbraio fu incoronato imperatore a Roma per mano del neo papa Benedetto VIII. Ridiscese ancora nel 1021-22 per condurre, incoraggiato dal papa, una breve campagna militare in Puglia e Campania contro i Bizantini che volendo conquistare per interesse, terre e risorse opprimendo le popolazioni locali.  Presiedette solennemente insieme al Pontefice Romano, il Sacro Concilio di Pavia, che diede regole contro i costumi corrotti del Clero e dell’Episcopato vennero infatti emanati sette canoni contro il concubinato degli Ecclesiastici e difese contro l’arroganza dei Principi locali l'integrità dei patrimoni culturali, spirituali e materiali dei Monasteri.

Molto religioso e convinto assertore delle responsabilità dell'Imperatore nei confronti della fede e della prosperità dei suoi sudditi, esercitò sulla Chiesa e sui Monasteri del Sacro Romano Impero un forte controllo, inteso in primo luogo a promuovere una riforma morale dei costumi nello spirito dell'ordine cluniacense. Il Santo Imperatore sostenne la riforma iniziata da Sant’Odilone di Cluny e Riccardo di Saint-Vanne, e fu lui a sollecitare l’introduzione della recita del Credo nella Messa festive e inoltre a livello politico a neutralizzare il potere e l'ingerenza dell'aristocrazia laica, verso le cose ecclesiastiche così come era già stato fatto da Ottone I.

La sua morte, nel luglio del 1024, fu accompagnata in Italia da sommosse di popolo contro chi voleva usurpare illegittimamente il suo posto con l'incendio del palazzo imperiale di Pavia. In Germania non ci furono conflitti intestini tra i Principi, segno del suo ottimo lavoro per una politica interna giusta ed equa. Gli succedette Corrado II il Salico, iniziatore della dinastia di Franconia.

Enrico II venne canonizzato nel 1146, nonostante calunnie costruite (ancora oggi) per offuscare la sua vita. Fu proclamato solennemente quale  Imperatore Santo e devoto, patrono degli Oblati Benedettini di tutto il Mondo.

cfr anche: http://www.santiebeati.it/dettaglio/28200

Dai suoi scritti:

Perché a tutti sia noto con quale vigilanza quest'uomo Santo abbia provveduto a dare alla Chiesa i beni della pace e della tranquillità anche per i tempi futuri, inseriamo qui, a conferma, una sua lettera:

«Enrico per divina Provvidenza Re e Imperatore del Sacro Romano Impero, a tutti i figli della Santa Chiesa presenti e futuri. Siamo invitati e ammoniti dai salutari insegnamenti della Sacra Scrittura di abbandonare i beni temporali e le comodità di questa terra e cercare con ogni mezzo di conseguire le dimore eterne dei cieli. Infatti il godimento della gloria presente è transitorio e vano, a meno che non sia orientato all'eternità celeste. E la misericordia di Dio provvide al genere umano un utile rimedio quando stabilì che i beni della terra fossero il prezzo della patria celeste.

Perciò a noi, memori di questa clemenza e ben sapendo di essere stati innalzati alla dignità regale per una gratuita disposizione della misericordia di Dio, è parsa cosa buona non solo di ampliare le chiese costruite dai nostri predecessori, ma di costruirne delle nuove a maggior gloria di Dio e dotarle di benefici e favori in segno della nostra devozione. Perciò, porgendo vigile ascolto ai comandamenti del Signore e osservando i divini consigli, desideriamo mettere in serbo in cielo i tesori elargiti dalla generosa liberalità divina; in cielo dove i ladri non sfondano né rubano, né il tarlo o la tignola li consumano; in cielo dove, mentre ora ci diamo premura di raccogliervi tutte le nostre cose, anche il nostro cuore possa rivolgersi più spesso con desiderio e con amore.
Pertanto vogliamo che tutti i fedeli sappiano che noi abbiamo innalzato alla dignità di prima sede episcopale una località che si chiama Bamberga, lasciataci in eredità dal nostro padre, perché là si mantenga un solenne ricordo di noi e dei nostri genitori e si offra continuamente il sacrificio di salvezza per tutti i fedeli».

MESSALE

INTRÓITUS                 
Ps. 36, 30-31. Os justi meditábitur sapiéntiam, et lingua ejus loquétur judícium: lex Dei ejus in corde ipsíus. Ps. ibid., 1. Noli æmulári in malignántibus: neque zeláveris faciéntes iniquitátem. Glória Patri. 

Il giusto parla con sapienza, la sua lingua proferisce cose giuste: egli conserva nel cuore la legge del suo Dio. Non ti adirare contro i malvagi e non invidiare quanti compiono il male. Gloria al Padre.

ORÁTIO                 
Deus, qui hodiérna die beátum Henrícum Confessórem tuum e terréni cúlmine impérii ad regnum ætérnum transtulísti: te súpplices exorámus; ut, sicut illum, grátiæ tuæ ubertáte prævéntum, illécebras sǽculi superáre fecísti, ita nos fácias, ejus imitatióne, mundi hujus blandiménta vitáre, et ad te puris méntibus perveníre. Per Dóminum nostrum.  

O Signore che in questo giorno elevasti il beato Enrico tuo Confessore dal culmine di un impero terreno al regno eterno, Ti supplichiamo che, come facesti vincere a lui, prevenuto dall’abbondanza della tua grazia, le attrattive del mondo, così Tu ci aiuti, a sua imitazione, ad evitare le seduzioni della terra e a giungere a Te con anima pura. Per il nostro Signore.

EPISTOLA                 
Léctio libri Sapiéntiæ. Eccli. 31, 8-11.

Beátus vir, qui invéntus est sine mácula, et qui post aurum non ábiit, nec sperávit in pecúnia et thesáuris. Quis est hic, et laudábimus eum? fecit enim mirabília in vita sua. Qui probátus est in illo, et perféctus est, erit illi glória ætérna: qui potuit tránsgredi, et non est transgréssus: fácere mala, et non fecit: ídeo stabilíta sunt bona illíus in Dómino, et eleemósynis illíus enarrábit omnis ecclésia sanctórum. 
M. - Deo grátias.  

Beato l’uomo, che si trova senza macchia e che non corre dietro all`oro. Chi è costui? noi lo proclameremo beato: difatti egli ha compiuto meraviglie in mezzo al suo popolo. Chi ha subìto la prova, risultando perfetto? Sarà un titolo di gloria per lui. Chi, potendo trasgredire, non ha trasgredito, e potendo compiere il male, non lo ha fatto? Si consolideranno i suoi beni e l’assemblea celebrerà le sue beneficenze.
M. - Deo grátias.  

GRADUALE                
Ps. 91, 13 et 14. Justus ut palma florébit: sicut cedrus Líbani multiplicábitur in domo Dómini. Ibid., 3. Annuntiándum mane misericórdiam tuam, et veritátem tuam per noctem.  

Il giusto cresce come palme, si ergerà come cedro del Libano nella casa del Signore. Per celebrare al mattino la tua misericordia e la tua fedeltà nella notte.

ALLELÚIA             
Allelúja, allelúja. Jac. 1, 12. Beátus vir, qui suffert tentatiónem: quóniam, cum probátus Commune Confessoris non Pontificis fúerit, accípiet corónam vitæ. Allelúja. Allelúja.

Allelúja, allelúja. Beato l’uomo che che sostiene la prova, perchè dopo averla superata, riceverà la corona di vita. Allelúja.              

EVANGÉLIUM               
Sequéntia sancti Evangélii secúndum Lucam. Luc. 12, 35-40.

In illo témpore: Dixit Jesus discípulis suis: Sint lumbi vestri præcíncti, et lucernæ ardéntes in mánibus vestris, et vos símiles homínibus exspectántibus dóminum suum, quando revertátur a núptiis: ut, cum vénerit et pulsáverit, conféstim apériant ei. Beáti servi illi, quos, cum vénerit dóminus, invénerit vigilántes: amen, dico vobis, quod præcínget se, et fáciet illos discúmbere, et tránsiens ministrábit illis. Et si vénerit in secúnda vigília, et si in tértia vigília vénerit, et ita invénerit, beáti sunt servi illi. Hoc autem scitóte, quóniam, si sciret paterfamílias, qua hora fur veníret, vigiláret útique, et non síneret pérfodi domum suam. Et vos estóte paráti, quia, qua hora non putátis, Fílius hóminis véniet. 
M. – Laus tibi Christe.
  


ANTÍPHONA AD OFFERTÓRIUM               
Ps. 88, 25. Véritas mea et misericórdia mea cum ipso: et in nómine meo exaltábitur cornu ejus.  

Ps. 88, 25. La mia fedeltà e la mia grazia saranno con lui e nel moi nome egli crescerà in potenza.

SECRÉTA               
Laudis tibi, Dómine, hóstias immolámus in tuórum commemoratióne Sanctórum: quibus nos et præséntibus éxui malis confídimus et futúris. Per Dóminum.

Ti offriamo, o Signore, in memoria dei tuoi Santi questo sacrificio di lode, per il quale confidiamo di essere liberati dai mali presenti e futuri. Per il nostro Signore.

PREFAZIO DELLA SANTISSIMA TRINITÀ            

COMMÚNIO               
Matth. 24, 46-47. Beátus servus, quem, cum vénerit dóminus, invénerit vigilántem: amen, dico vobis, super ómnia bona sua constítuet eum.  

Matth. 24, 46-47. Felice il servitore che il Padrone, al suo arrivo, troverà vigilante! In verità vi dico: gli affiderà tutti i suoi beni.

POSTCOMMÚNIO               
Refécti cibo potúque coelésti, Deus noster, te súpplices exorámus: ut, in cujus hæc commemoratióne percépimus, ejus muniámur et précibus. Per Dóminum.

Ristorati dal cibo e dalla bevanda celeste, supplichevolmente Ti preghiamo, o Dio nostro, di essere protetti dalle preghiere del Santo, nella cui festa abbiamo ricevuto questi doni. Per il nostro Signore.


lunedì 14 luglio 2014

LA MEDITAZIONE DELLA MISERIA UMANA



LA MEDITAZIONE DELLA MISERIA UMANA

  1.     Dovunque tu sia e dovunque ti volga, sei sempre misera cosa; a meno che tu non ti volga tutto a Dio. Perché resti turbato quando le cose non vanno secondo la tua volontà e il tuo desiderio? Chi è colui che tutto ha secondo il suo beneplacito? Non io, non tu, né alcun altro su questa terra. Non c'è persona al mondo, anche se è un re o un papa, che non abbia qualche tribolazione o afflizione. E chi è dunque che ha la parte migliore? Senza dubbio colui che è capace di sopportare qualche male per amore di Dio. Dice molta gente, debole e malata nello spirito: guarda che vita beata conduce quel tale; come è ricco e grande, come è potente e come è salito in alto! Ma, se poni mente ai beni eterni, vedrai che tutte queste cose passeggere sono un nulla, anzi qualcosa di molto insicuro e particolarmente gravoso, giacché le cose temporali non si possono avere senza preoccupazioni e paure. Per la felicità non occorre che l'uomo possieda beni terreni in sovrabbondanza; basta averne una modesta quantità, giacché la vita di quaggiù è veramente una misera cosa. Quanto più uno desidera elevarsi spiritualmente, tanto più la vita presente gli appare amara, perché constata pienamente le deficienze dovute alla corrotta natura umana. Invero mangiare, bere, star sveglio, dormire, riposare, lavorare, e dover soggiacere alle altre necessità che ci impone la nostra natura, tutto ciò, in realtà, è una miseria grande e un dolore per l'uomo religioso; il quale amerebbe essere sciolto e libero da ogni peccato. In effetti l'uomo che vive interiormente si sente schiacciato, come sotto un peso, dalle esigenze materiali di questo mondo; ed è perciò che il profeta prega fervorosamente di essere liberato, dicendo: "Signore, toglimi da queste necessità" (Sal 24,17).  

  2.     Guai a quelli che non riconoscono la loro miseria. Guai, ancor più, a quelli che amano questa vita miserabile e destinata a finire; una vita alla quale tuttavia certa gente - anche se, lavorando o elemosinando, mette insieme appena appena il necessario - si abbarbica, come se potesse restare quaggiù in eterno, senza darsi pensiero del regno di Dio. Gente pazza, interiormente priva di fede; gente sommersa dalle cose terrene, tanto da gustare solo ciò che è materiale. Alla fine, però, constateranno, con pena, quanto poco valessero - anzi come fossero un nulla - le cose che avevano amato. Ben diversamente, i santi di Dio, e tutti i devoti amici di Cristo; essi non andavano dietro ai piaceri del corpo o a ciò che rende fiorente questa vita mortale. La loro anelante tensione e tutta la loro speranza erano per i beni eterni; il loro desiderio - per non essere tratti al basso dall'attaccamento alle cose di quaggiù - si elevava interamente alle cose invisibili, che non vengono meno. O fratello, non perdere la speranza di progredire spiritualmente; ecco, ne hai il tempo e l'ora. Perché, dunque, vuoi rimandare a domani il tuo proposito? Alzati, e comincia all'istante, dicendo: è questo il momento di agire; è questo il momento di combattere; è questo il momento giusto per correggersi. Quando hai dolori e tribolazioni, allora è il momento per farti dei meriti. Giacché occorre che tu passi attraverso il "fuoco e l'acqua" prima di giungere nel refrigerio (Sal 65,12). E se non farai violenza a te stesso, non vincerai i tuoi vizi. Finché portiamo questo fragile corpo, non possiamo essere esenti dal peccato, né vivere senza molestie e dolori. Ben vorremmo aver tregua da ogni miseria; ma avendo perduto, a causa del peccato, la nostra innocenza, abbiamo perduto quaggiù anche la vera felicità. Perciò occorre che manteniamo in noi una ferma pazienza, nell'attesa della misericordia divina, "fino a che sia scomparsa l'iniquità di questo mondo" (Sal 56,2) e le cose mortali "siano assunte dalla vita eterna" (2Cor 5,4).  

  3.     Tanto è fragile la natura umana che essa pende sempre verso il vizio. Ti accusi oggi dei tuoi peccati e domani commetti di nuovo proprio ciò di cui ti sei accusato. Ti proponi oggi di guardarti dal male, e dopo un'ora agisci come se tu non ti fossi proposto nulla. Ben a ragione, dunque, possiamo umiliarci; né mai possiamo avere alcuna buona opinione di noi stessi, perché siamo tanto deboli e instabili. Inoltre, può andare rapidamente perduto per negligenza ciò che a stento, con molta fatica, avevamo alla fine raggiunto, per grazia di Dio. E che cosa sarà di noi alla fine, se così presto ci prende la tiepidezza? Guai a noi, se pretendessimo di riposare tranquillamente, come se già avessimo raggiunto pace e sicurezza, mentre, nella nostra vita, non si vede neppure un indizio di vera santità. Occorrerebbe che noi fossimo di nuovo plasmati, quasi in un buon noviziato, a una vita irreprensibile; in tal modo potremo sperare di raggiungere un certo miglioramento e di conseguire un maggior profitto spirituale.

sabato 12 luglio 2014

30 jun 2014 Solo se puede mantener en alto la Verdad, porque Yo Soy la Verdad. Negad la Verdad y a Mí me negáis

30 jun 2014 Solo se puede mantener en alto la Verdad, porque Yo Soy la Verdad. Negad la Verdad y a Mí me negáis

11.07.2014 13:58
Lunes 30 de junio de 2014 a las 23:50 hrs.
Mi muy querida bienamada hija, vosotros, Mis queridos seguidores, debéis saber que las puertas del Infierno nunca prevalecerán contra Mi Iglesia, aunque gran parte de Mi Iglesia en la Tierra será aplastada, como fue predicho. Pero, la Verdad nunca puede morir. Mi Palabra nunca morirá ni Mis Enseñanzas serán olvidadas por los que están en verdadera unión Conmigo.
Solo aquellos que se mantienen fieles a Mi Palabra pueden decir que son parte de Mi Iglesia en la tierra. Aquellos que aplauden cualquier forma de manipulación de los Santos Evangelios o la adaptación de Mis Enseñanzas ya no serán capaces de decir que están a Mi servicio. Si un santo siervo/servidor Mío se atreviera a proclamar una doctrina alternativa a la única dada al hombre por Mis apóstoles y los profetas antes de Mi Tiempo, serán expulsados ​​inmediatamente. 
Advierto a todos los que abrazan(aceptan) cualquier cosa que es considerada como sagrada - pero que está formada(creada) por manos humanas y la creación - y quien acepte esto como Mío, que Yo os arrojaré fuera, porque ya no seréis capaces de llamaros Mi siervos. Y en caso de que condujierais a las almas al error, vuestro castigo se iniciará en vuestro tiempo y continuará aún mucho después de vuestra partida de esta vida. 
Mi ira es desconocida para vosotros, porque todavía tenéis que presenciarla. Pero sabed esto. Vosotros, los que me traicionaréis ya sabéis quiénes sois, porque vuestra fe ya se ha debilitado. Muchos de vosotros ya habéis caído y vuestra debilidad será vuestra perdición. Vosotros me traicionaréis;  me negaréis y abrazaréis a Mis enemigos, porque estaréis tan atrapados en la nueva religión - el humanismo secular, que vendrá como lobo vestido con piel de cordero para devoraros - que Yo seré olvidado. Vuestra ambición y deseo de complacer a aquellos enemigos Míos, que se elevarán a grandes alturas, dentro de los escalafones de Mi Iglesia - os cegarán a la Verdad. Esta será la causa de vuestro fin  y la de todos aquellos a los que empujéis al grave error.
Es cuando Mi Iglesia vuelva Mis Enseñanzas al revés: de adentro hacia afuera y de atrás hacia adelante, que vosotros reconoceréis que la hora ha llegado para que el anticristo tome el centro del escenario. Los que adoran a la bestia firmarán su propia sentencia de muerte y le entregarán su libre albedrío, un Don Sagrado de Dios, a Mis enemigos. Una vez que vosotros juréis un juramento a esta nueva falsa doctrina, seréis culpables de crucificarme y vuestro castigo será severo. 
¿Por qué, - podéis preguntaros - podríais ser castigados por vuestra obediencia a los mayores? La respuesta es simple. Cuando jurasteis un juramento para estar a Mi servicio, estuvisteis de acuerdo para defender(mantener en alto) la Verdad. Si rompéis este juramento, a causa de vuestra obediencia a aquellos enemigos Míos que vienen, entonces no Soy Yo, Jesucristo, al que serviréis.
Solo podéis defender(mantener en alto) la Verdad, porque Yo Soy la Verdad. Negad la Verdad y a Mí me negáis. Cuando me negáis, siendo un siervo de Dios, ya no seréis aptos para instruir a los hijos de Dios hacia su Salvación Eterna.
Vuestro Jesús



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venerdì 11 luglio 2014

Io, Suor Faustina, per ordine di Dio sono stata negli abissi dell'inferno, allo scopo di raccontarlo alle anime e testimoniare che l'inferno c'è

..... Sebbene fossi malata, oggi ho deciso di fare come al solito l'ora santa.

Durante tale ora ho visto Gesù flagellato alla colonna. Durante quella
tremenda tortura, Gesù pregava e dopo un momento mi ha detto: «Sono
poche le anime che meditano sulla Mia Passione con vero
sentimento. Alle anime che meditano devotamente sulla Mia
Passione, concedo il maggior numero di grazie.
Senza un Mio aiuto particolare, non sei nemmeno capace di
ricevere le Mie grazie; sai che cosa sei ». 

Oggi dopo la santa
Comunione ho parlato moltissimo con Gesù di persone che mi sono
particolarmente care. Tutto ad un tratto ho udito queste parole: «Figlia
Mia, non ti sforzare con tale loquacità. Quelli che tu ami in
modo particolare, anch'io li amo in modo particolare e per
riguardo a te, li colmo con le mie grazie. Mi fai piacere quando
Mi parli di loro, ma non farlo con sforzi eccessivi».

O Salvatore del mondo, mi unisco alla Tua Misericordia. O mio Gesù,
unisco tutte le mie sofferenze alle Tue e le depongo nel tesoro della
Chiesa per il bene delle anime. 


Oggi, sotto la guida di un angelo, sono
stata negli abissi dell'inferno. E un luogo di grandi tormenti per tutta la
sua estensione spaventosamente grande. 

Queste le varie pene che ho
viste: la prima pena, quella che costituisce l'inferno, è la perdita di Dio;
la seconda, i continui rimorsi di coscienza; la terza, la consapevolezza
che quella sorte non cambierà mai; la quarta pena è il fuoco che
penetra l'anima, ma non l'annienta; è una pena terribile: è un fuoco
puramente spirituale acceso dall'ira di Dio; la quinta pena è l'oscurità
continua, un orribile soffocante fetore, e benché sia buio i demoni e le
anime dannate si vedono fra di loro e vedono tutto il male degli altri ed il
proprio; la sesta pena è la compagnia continua di satana; la settima
pena è la tremenda disperazione, l'odio di Dio, le imprecazioni, le
maledizioni, le bestemmie. Queste sono pene che tutti i dannati soffrono
insieme, ma questa non è la fine dei tormenti. 

Ci sono tormenti
particolari per le varie anime che sono i tormenti dei sensi. Ogni anima
con quello che ha peccato viene tormentata in maniera tremenda e
indescrivibile. Ci sono delle orribili caverne, voragini di tormenti, dove
ogni supplizio si differenzia dall'altro. Sarei morta alla vista di quelle
orribIli torture, se non mi avesse sostenuta l'onnipotenza di Dio. 

Il
peccatore sappia che col senso col quale pecca verrà torturato per tutta
l'eternità. Scrivo questo per ordine di Dio, affinché nessun'anima si
giustifichi dicendo che l'inferno non c'è, oppure che nessuno c’è mai stato
e nessuno sa come sia. Io, Suor Faustina, per ordine di Dio sono stata
negli abissi dell'inferno, allo scopo di raccontarlo alle anime e
testimoniare che l'inferno c'è. Ora non posso parlare di questo. Ho
l'ordine da Dio di lasciarlo per iscritto. I demoni hanno dimostrato un
grande odio contro di me, ma per ordine di Dio hanno dovuto ubbidirmi.
Quello che ho scritto è una debole ombra delle cose che ho visto. 

Una
cosa ho notato e cioè che la maggior parte delle anime che ci sono, sono
anime che non credevano che ci fosse l'inferno. 

Quando ritornai in me,
non riuscivo a riprendermi per lo spavento, al pensiero che delle anime là
soffrono così tremendamente, per questo prego con maggior fervore per
la conversione dei peccatori, ed invoco incessantemente la Misericordia
di Dio per loro. O mio Gesù, preferisco agonizzare fino alla fine del
mondo nelle più grandi torture, piuttosto che offenderTi col più piccolo
peccato.