"Dignare me laudare Te Virgo sacrata. Da mihi virtutem contra hostes tuos". "Corda Iésu et Marìae Sacratìssima: Nos benedìcant et custòdiant".
lunedì 7 aprile 2014
Aurea Galla Cristiana
427. Aurea Galla istruita da Bartolomeo e poi mandata a Nazaret.
Sono così precoci le albe estive che breve è il tempo che intercorre fra il tramonto
della luna e il sorgere del primo albore. Di modo che, per quanto abbiano
camminato solleciti, il periodo più oscuro della notte li
sorprende ancora nelle vicinanze della città di Cesarea, né fa luce sufficiente
un ramo di pruno acceso.
Occorre sostare per qualche tempo, anche perché la fanciulla, meno usa
di loro a camminare nella notte,
inciampa sovente nei sassi sepolti a mezzo del polverume.
«È meglio fermarsi qualche tempo. La fanciulla non ci vede ed è stanca »,
dice Gesù.
«No, no, posso… Andiamo lontano, lontano… Potrebbe venire. Di qui siamo
passati per venire a quella casa», dice battendo i denti la fanciulla, mescolando
ebreo a latino in un nuovo idioma per farsi capire.
«Andremo dietro quegli alberi e non ci vedrà nessuno. Non temere »,
le risponde Gesù.
«Sì, non temere. Quel… romano a quest’ora è ubriaco fradicio sotto la tavola… »,
dice Bartolomeo per rassicurarla.
«E poi sei con noi. Ti vogliamo bene noi! Non ti lasciamo fare del male.
Ohè! Siamo dodici uomini robusti… », dice Pietro, poco più alto di lei, ma
tarchiato per quanto elle è snella, bruciato dal sole quanto lei
è di neve, povero fiore cresciuto nell’ombra per essere più solleticante e prezioso.
«Una piccola sorella sei. E i fratelli difendono le sorelle… », dice Giovanni.
La fanciulla, all’estrema fiammella dell’improvvisata torcia, alza sui suoi
confortatori le chiare iridi grigio ferro intinto appena di azzurro,
due limpide iridi ancor lucide del pianto versato nel terrore di poc’anzi… È
sospettosa. Eppure di loro si fida. E passa con gli altri il rigagnolo asciutto
oltre la via, per entrare in una proprietà che finisce lì in un frutteto folto.
Si siedono al buio. E attendono. Gli uomini dormirebbero forse.
Ma ogni rumore fa dare un gemito alla fanciulla, e il galoppo di un cavallo
la fa aggrappare convulsa al collo di Bartolomeo, che forse, perché è
molto anziano, attira la sua fiducia e confidenza. Perciò è impossibile dormire.
«Ma non temere! Quando si è con Gesù non succede più nulla di male », dice Bartolomeo.
«Perché? », domanda la fanciulla tremante e ancora avviticchiata al collo
dell’apostolo.
«Perché Gesù è Dio in Terra, e Dio è più forte degli uomini ».
«Dio? Cosa è Dio? ».
«Povera creatura! Ma come ti hanno allevata! Non ti hanno insegnato niente? ».
«A tenere bianca la pelle, lucidi i capelli, a ubbidire ai padroni…
a dire sempre sì… Ma io non potevo dire di sì al romano… era
brutto e mi faceva paura… Tutto il giorno paura… Sempre lì… al bagno, alla
vestizione… certi occhi… le mani… oh!… E chi non dice “sì” è bastonato… ».
«Non sarai bastonata. Non c’è più il romano né le sue mani… C’è la pace… »,
le risponde Gesù.
E gli altri commentano: «Ma è un orrore! Come bestie di valore,
non più che a bestie! E peggio ancora…
Perché una bestia sa almeno che le insegnano ad arare o a portare la
sella e il morso perché quello è il suo ufficio. Ma questa creatura è stata
gettata là senza sapere!… ».
«Se sapevo mi gettavo in mare. Aveva detto: “Ti farò felice”… ».
«Infatti ti ha fatta felice. In maniera che non immaginava. Felice per la Terra
e per il Cielo. Perché conoscere Gesù è felicità », le dice lo Zelote.
Un silenzio, in cui ognuno medita sugli orrori del mondo. Poi, sottovoce,
la fanciulla chiede a Bartolomeo:
«Mi dici cosa è Dio? Perché Lui è Dio? Perché è bello e buono? ».
«Dio… Come fare a insegnarti tanto a te vuota di ogni idea religiosa? ».
«Religiosa? Cosa è? ».
«Altissima Sapienza! Io sono come uno che affoga in grande mare!
Come faccio davanti a questo abisso? ».
«È tanto semplice, Bartolomeo, ciò che ti pare difficile. È un abisso sì,
ma vuoto. E tu puoi colmarlo del Vero. Peggio è quando gli abissi sono
colmi di fango, veleni, serpi… Parla con la semplicità a cui parleresti
ad un infante. Ed ella ti capirà come meglio non farebbe un adulto ».
«Oh! Maestro! Ma non potresti farlo Tu? ».
«Lo potrei. Ma la fanciulla accetterà le parole di un suo simile
più facilmente che le mie di Dio. E d’altronde… Davanti a questi abissi
sarete, in futuro, ad empirli di Me. Dovete pure imparare a farlo ».
«È vero! Mi ci proverò. Senti, fanciulla… Te la ricordi la mamma tu? ».
«Sì, Signore. Sono fioriti da sette anni i fiori senza di lei. Ma prima ero con lei ».
«Va bene. E la ricordi? Le vuoi bene? ».
«Oh! », un singhiozzo unito all’esclamazione dice tutto.
«Non piangere, povera creatura… Senti… L’amore che tu hai per la mamma… ».
«…e il padre… e i fratellini… », dice fra i singhiozzi la fanciulla.
«Sì… per la tua famiglia, l’amore per la tua famiglia, il pensiero che hai di essa,
il desiderio di tornare ad essa… ».
«Mai più!!… ».
«Mah!… Tutto questo è una cosa che può essere detta la religione
della famiglia. Le religioni, le idee religiose, perciò, sono l’amore, il pensiero
e il desiderio di andare dove è Colui o coloro in cui noi crediamo,
che noi amiamo e desideriamo ».
«Ah! E se io crederò in quel Dio lì, avrò una religione… È facile! ».
«Bene. Facile che? Avere una religione o credere a quel Dio lì? ».
«Questo e quello. Perché si crede facilmente ad un Dio buono come quello lì.
Il romano ne nominava tanti e giurava… Dicevo: “per la dea Venere!”,
“per il dio Cupido”. Ma dovevano essere dèi non buoni, perché lui
faceva cose non buone nel nominarli ».
«Non è stupida la fanciulla », commenta Pietro sottovoce.
«Ma io ancora non so cosa è Dio, allora. E come si fa a capirlo, allora?
In che è forte più di tutti? Non ha né spada né servi… ».
«Maestro, aiutami… ».
«Ma no, Natanaele! Insegni così bene… ».
«Lo dici per bontà… Vediamo ad ogni modo di andare avanti. Senti fanciulla…
Dio non è uomo. Egli è come una luce, uno sguardo, un suono, così grande
che empie cielo e terra e tutto illumina, tutto vede, tutto
istruisce e a tutto dà ordine… ».
«Anche al romano? Allora non è un Dio buono. Ho paura! ».
«Dio è buono e dà buoni ordini, e agli uomini aveva dato ordini di non fare
guerre, di non fare schiavi, di lasciare le bambine alle madri loro e di
non spaventare le fanciulle. Ma gli uomini non ascoltano sempre gli
ordini di Dio ».
«Tu sì, però… ».
«Io sì ».
«Ma se è più forte di tutti, perché non si fa ubbidire? E come parla se
non è uomo? ».
«Dio… oh! Maestro!… ».
«Và avanti, Bartolmai. Sei un maestro così saggio, sai dire con tanta
semplicità i pensieri più alti, e hai paura? Non sai che lo Spirito Santo è
sulle labbra di quelli che insegnano la Giustizia? ».
«Sembra così facile quando ti si ascolta… e tutte le tue parole sono
qui dentro… Ma a tirarle fuori quando si deve fare ciò che Tu fai!…
Oh! miseria di noi poveri uomini! Che maestri da nulla! ».
«Riconoscere il nulla vostro predispone lo spirito all’insegnamento
dello Spirito Paraclito… ».
«Va bene. Senti, bambina. Dio è forte, fortissimo, più di Cesare,
più di tutti gli uomini messi insieme coi loro eserciti e macchine
da guerra. Ma però non è un padrone spietato, il quale faccia dire
sempre sì, pena la sferza, a chi non lo dice. È un padre, Iddio. Tuo padre
ti voleva bene? ».
«Tanto! Mi ha messo nome Aurea Galla perché l’oro è prezioso
e la Gallia è la patria, e diceva che io gli ero più cara dell’oro avuto
un tempo e delle patria… ».
«Tuo padre ti bastonava? ».
«No. Mai. Anche se ero cattiva mi diceva: “Povera figlia mia!”, e piangeva… ».
«Ecco! Così fa Dio. È padre, ci ama e piange se siamo cattivi, ma non
ci forza a ubbidirlo. Però chi è cattivo sarà un giorno castigato
con supplizi orrendi… ».
«Oh! bello! Il padrone che mi ha levata alla madre e portata nell’isola
e il romano nei supplizi! E io vedrò? ».
«E tu vedrai da vicino a Dio, se in Lui crederai e se sarai buona.
Ma per essere buona non devi odiare neppure il romano ».
«No? Come faccio?!… ».
«Pregando per lui o… ».
«Cosa è pregare? ».
«Parlare a Dio dicendogli ciò che vogliamo… ».
«Ma io voglio la mala morte per i padroni! », dice con veemenza selvaggia
la fanciulla.
«No, non devi. Gesù non ti ama se tu dici così… ».
«Perché? ».
«Perché non si deve odiare chi ci ha fatto del male ».
«Non posso amarli, però… ».
«Per ora dimenticali… Cerca di dimenticarli. Poi, sarai più… istruita
a Dio, pregherai per loro… Dunque dicevamo che Dio è potente ma
lascia liberi i suoi figli ».
«Io figlia di Dio? Ho due padri? Quanti figli ha? ».
«Tutti gli uomini sono figli di Dio, perché Egli li ha fatti. Vedi le stelle
lassù? Lui le ha fatte. E queste piante? Lui le ha fatte. E la terra su cui
sediamo, e quell’uccello che canta, e il mare che è tanto grande, tutto
e tutti gli uomini. E gli uomini sono più figli di tutto, perché sono figli per
quella cosa che si chiama anima e che è luce, suono, sguardo, non
grandi come i suoi che empiono tutto il Cielo e la Terra, ma però belli e che
non muoiono mai come Egli non muore ».
«Dove è l’anima? Io ce l’ho? ».
«Sì. Nel tuo cuore, ed è quella che ti ha fatto capire che il romano era
cattivo e che non ti farà certo desiderare di essere come lui. Non è vero? ».
«Sì… ». La fanciulla riflette dopo l’incerto “sì”… Poi dice sicura: «Sì! Era
come una voce dentro e un bisogno di avere soccorso… e con un’altra
voce dentro, ma quella era mia, chiamavo la mamma… perché io
non sapevo che c’era Dio, che c’era Gesù… Se l’avessi saputo,
avrei chiamato Lui con quella voce che avevo dentro… ».
«Tu hai capito bene, fanciulla, e crescerai nella Luce. Io te lo dico.
Credi nel Dio vero, ascolta la voce della tua anima vergine di sapienza
acquisita, ma vergine anche di mala volontà, a avrai in Dio un Padre, e nella
morte, che è passaggio dalla Terra al Cielo per quelli che credono
al Dio vero e sono buoni, avrai un posto in Cielo, vicino al tuo Signore »,
dice Gesù posando la mano sul capo della fanciulla.
La quale muta posizione e si inginocchia dicendo: «A Te.
È bello stare con Te. Non ti separare da me, Gesù. Ora so Chi sei e
mi prostro. A Cesarea avevo paura di farlo… Ma mi parevi un uomo.
Ora so che sei un Dio nascosto in un uomo e mi sei Padre e Protettore ».
«E Salvatore, Aurea Galla ».
«E Salvatore. Mi hai salvato ».
«E più ti salverò. Avrai un nome nuovo… ».
«Mi levi il nome che mi ha dato il padre mio? Il padrone nell’isola mi
chiamava Aurea Quintilla, perché ci dividevano per colore e per numero
e io ero la quinta bionda così… Ma perché non mi lasci il nome dato dal
padre mio? ».
«Non te lo levo. Ma al tuo nome antico porterai aggiunto il nome
nuovo, eterno ».
«Quale? ».
«Cristiana. Perché il Cristo ti ha salvata. Ma ecco che albeggia.
Andiamo… Vedi, Natanaele, che è facile parlare di Dio agli abissi vuoti?…
Hai parlato molto bene. La fanciulla si formerà rapidamente nella Verità…
Vai avanti con i miei fratelli, Aurea… ».
La fanciulla ubbidisce ma con timore. Preferirebbe rimanere presso
Bartolomeo, il quale capisce e promette:
«Vengo subito io pure. Và, ubbidisci… ». E rimasto con Gesù, Pietro,
Simone e Matteo, osserva: «Peccato che la tenga Valeria. È sempre una pagana… ».
«Non posso importa a Lazzaro… ».
«C’è Niche, Maestro », suggerisce Matteo.
«E Elisa… », dice Pietro.
«E Giovanna… È amica di Valeria, e Valeria gliela cede certo
volentieri. Sarebbe in una casa buona », dice lo Zelote.
Gesù pensa e tace…
«Farai Tu… Io raggiungo la fanciulla che sempre si volge. Si fida di me
perché vecchio… La terrei… una figlia di più… Ma non è di Israele… »,
e se ne va, il buono ma troppo israelita Natanaele.
Gesù lo guarda andare e scrolla il capo.
«Perché quel gesto, Maestro? », chiede lo Zelote.
«Perché mi fa pena vedere che anche i saggi sono schiavi delle prevenzioni… ».
«Però… sia detto fra noi… Bartolmai ha ragione… e anzi… dovresti
provvedere… Ricordati di Sintica e Giovanni… che non succeda una
cosa uguale… Mandala a Sintica… », dice Pietro che ha paura di noie per
la paganella fra loro.
«Presto Giovanni sarà morto… Sintica è ancora troppo informe per essere
maestra di una fanciulla quale è questa… Non è ambiente adatto… ».
«Eppure non devi tenerla. Pensa che Giuda presto sarà con noi.
E Giuda, Maestro, lasciamelo dire, è un lussurioso e un… uno
che è facile a parlare per avere degli utili… e ha troppi amici fra i farisei… », incalza
lo Zelote.
«Ecco! Simone dice bene! Proprio quello che pensavo io! », esclama Pietro.
«Ascoltalo, Maestro!… ».
Gesù pensa e tace… Poi dice: «Preghiamo! E il Padre ci aiuterà… »;
e, in coda agli altri, pregano fervorosamente…
L’alba si muta in aurora… Superano un paesetto, riprendono la via fra le
campagne… Il sole si fa forte sempre più. Si fermano a mangiare all’ombra
di un noce gigantesco.
«Sei stanca? », chiede Gesù alla fanciulla, che mangia svogliata. «Dillo e ci fermeremo ».
«No, no. Andiamo… ».
«Glielo abbiamo chiesto più volte. Ma dice sempre di no… », dice Giacomo d’Alfeo.
«Posso, posso! Andiamo lontano… ».
Riprendono ad andare. Ma Aurea si risovviene. «Ho una borsa.
Mi hanno detto le dame: “La darai quando
cominciano i monti”. I monti sono qui. E la do ». E fruga nella sacca
dove Livia le ha messo qualche indumento… Trae la borsa e la dà a Gesù.
«L’obolo… Non hanno voluto essere ringraziate. Sono migliori di
molti fra noi… Prendi, Matteo. E conserva queste monete. Serviranno
a elemosine segrete ».
«Non devo dirlo a Giuda di Keriot? ».
«No ».
«Ma vedrà la fanciulla… ».
Gesù non risponde… Riprendono ad andare. Faticosamente per il gran
caldo, la polvere e la luce abbacinante. Poi si inizia la salita sulle prime
propaggini del Carmelo, credo. Ma, benché qui sia più ombra e
più fresco, Aurea va lentamente, inciampando spesso. Bartolomeo torna
indietro, dal Maestro. « Maestro, la fanciulla è febbricitante ed esausta.
Come facciamo? ».
Si consultano. Sostare? Prenderla di peso e proseguire? Sì. No. Infine
decidono che occorre almeno raggiungere la via che va a Sicaminon, per
chiedere a qualche viandante, che ha cavalcature o carro, un aiuto.
E vorrebbero caricarsi sulle braccia la fanciulla, ma lei, eroica nella sua
volontà di allontanarsi, ripete il suo: «Posso! Posso! », e vuol andare
da sé. È rossa, con occhi febbrili, esausta realmente. Ma non cede…
Va lentamente, accettando di essere sorretta da Bartolomeo e Filippo…
Ma cammina… Sono tutti stanchi veramente. Ma comprendono che è
necessario andare e vanno…
Il colle è superato. Ecco la coda opposta… il piano d’Esdrelon là in
basso, e oltre ecco i colli fra i quali è Nazaret…
«Se non troveremo, sosteremo dai contadini… », dice Gesù…
Vanno, vanno… Quasi al piano vedono un gruppo di discepoli.
C’è Isacco e Giovanni d’Efeso con la madre,
e Abele di Betlemme con la sua, fra altri che non conosco a nome.
E per le donne c’è un rustico carro tirato
da un forte muletto. E c’è Daniele e Beniamino pastori, Giuseppe barcaiolo e altri.
«È la Provvidenza che ci soccorre! », esclama Gesù e ordina di sostare,
mentre Lui va a parlare ai discepoli e specie alle due discepole.
Le prende in disparte insieme a Isacco e racconta in parte la
vicenda di Aurea: «L’abbiamo sottratta ad un immondo padrone…
Vorrei portarla a Nazaret per curarla, perché è malata di paura e di fatica.
Ma non ho veicolo. Voi dove andavate? ».
«A Betlemme di Galilea presso Mirta. È impossibile resistere ai
calori del piano », risponde Isacco.
«Andate a Nazaret prima, ve lo chiedo in carità. Portate a mia Madre
la fanciulla e ditele che fra due, tre giorni sarò da Lei. La fanciulla è
febbrile. Non accogliete perciò i suoi deliri. Vi dirò poi… ».
«Sì, Maestro. Ciò che Tu vuoi. Partiamo subito. Povera creatura!
La bastonava? », chiedono i tre.
«La voleva profanare ».
«Oh!… Quanti anni ha? ».
«Si e no tredici… ».
«Il vile! L’immondo! Ma noi l’ameremo. Non siamo madri per merito,
vero Noemi? ».
«Se non troveremo, sosteremo dai contadini… », dice Gesù…
Vanno, vanno… Quasi al piano vedono un gruppo di discepoli.
C’è Isacco e Giovanni d’Efeso con la madre, e Abele di Betlemme con la
sua, fra altri che non conosco a nome. E per le donne c’è un rustico carro tirato
da un forte muletto. E c’è Daniele e Beniamino pastori, Giuseppe barcaiolo e altri.
«È la Provvidenza che ci soccorre! », esclama Gesù e ordina di sostare,
mentre Lui va a parlare ai discepoli e specie alle due discepole.
Le prende in disparte insieme a Isacco e racconta in parte la vicenda
di Aurea: «L’abbiamo sottratta ad un immondo padrone… Vorrei portarla
a Nazaret per curarla, perché è malata di paura e di fatica. Ma non ho
veicolo. Voi dove andavate? ».
«A Betlemme di Galilea presso Mirta. È impossibile resistere ai calori
del piano », risponde Isacco.
«Andate a Nazaret prima, ve lo chiedo in carità. Portate a mia Madre
la fanciulla e ditele che fra due, tre giorni sarò da Lei. La fanciulla è
febbrile. Non accogliete perciò i suoi deliri. Vi dirò poi… ».
«Sì, Maestro. Ciò che Tu vuoi. Partiamo subito. Povera creatura!
La bastonava? », chiedono i tre.
«La voleva profanare ».
«Oh!… Quanti anni ha? ».
«Si e no tredici… ».
«Il vile! L’immondo! Ma noi l’ameremo. Non siamo madri per merito,
vero Noemi? ».
«Certo, Mirta. Signore, la tieni per discepola? ».
«Non so ancora… ».
«Se la tieni, noi ci siamo. Io non torno ad Efeso. Ho mandato amici a
liquidare tutto. Resto con Mirta…
Ricordati di noi per la fanciulla. Tu ci hai salvato i figli. Noi vogliamo salvare costei ».
«Vedremo in seguito… ».
«Maestro, le due discepole danno garanzia di santità… », perora Isacco.
«Non dipende da Me… Pregate molto e tacete con tutti. Intendete? Con tutti ».
«Taceremo ».
«Venite col carro ».
E Gesù retrocede, seguito da Isacco che guida il carro e dalle due donne.
La fanciulla si è sdraiata sull’erba, cercando refrigerio fra gli steli alla gran febbre…
«Povera creatura! Ma non morirà, vero? ».
«Che bella fanciulla! ».
«Cara, non temere. Sono una mamma, sai? Vieni… Sorreggila, Mirta…
Vacilla… Aiutaci, Isacco… Qui dove ha meno scosse… La sacca sotto il capo…
Mettiamogli sotto i nostri manti… Isacco, bagna questi lini
da mettere sulla fronte… Che febbre, povera figlia… ».
Le due donne sono sollecite e materne. Aurea, stordita dal febbrone,
è quasi assente…
Tutto è a posto… Il carro può partire… Isacco, prima di frustare,
si sovviene: « Maestro, se vai al ponte trovi Giuda di Keriot. Ti attende con
un mendico… È lui che ci ha detto che saresti passato di qui. La pace a Te,
Maestro. Entro notte saremo a Nazaret! ».
«La pace a Te, Maestro », dicono le discepole.
«La pace a voi! »…
Il carro se ne va di trotto…
«Sia ringraziato il Signore!… », dice Gesù.
«Sì. Bene per la fanciulla e bene per via di Giuda… Meglio se non sa nulla… ».
«Sì. È meglio. Tanto meglio che chiedo al vostro cuore un sacrificio.
Ci separeremo avanti di essere a Nazaret, e voi del lago andrete
con Giuda a Cafarnao, mentre Io coi fratelli, Toma e Simone, andrò a Nazaret».
«Così faremo, Maestro. E a questi che ti attendono, che dirai? ».
«Che avevamo urgenza di avvertire mia Madre del mio arrivo…
Andiamo… », e raggiunge i discepoli che, troppo felici per avere con loro
il Maestro, non fanno domande di sorta.
"La fenice dei vescovi"
Carissimo Amico,
Re Enrico IV chiamava san Francesco di Sales “la fenice dei vescovi”, perché, diceva, “è un uccello raro sulla terra”. Dopo aver rinunciato ai fasti di Parigi e alle proposte reali di una sede episcopale prestigiosa, Francesco di Sales divenne il pastore instancabile della sua terra savoiarda, che amava sopra ogni cosa. Lasciandosi guidare dai Padri della Chiesa, egli attingeva dalla preghiera e da una grande conoscenza meditata della Scrittura la forza necessaria a compiere la sua missione e guidare le anime a Dio (cfr. Giovanni Paolo II, Lettera al Vescovo di Annecy, 23 novembre 2002).
Francesco di Sales nasce il 21 agosto 1567, in una famiglia cattolica della nobiltà savoiarda, nel castello di Sales, a una ventina di chilometri a nord di Annecy. È il maggiore di sei fratelli e sorelle. I suoi genitori seguono il principio educativo di spiegare le ragioni di ciò che esigono, perché l’obbedienza dei loro figli sia più consapevole. Molto presto, il bambino impara a servirsi di una spada, ma anche a fare l’elemosina ai poveri: se sente un povero che chiama, lascia la tavola per portargli una parte del suo pasto. Tuttavia, non è perfetto: un giorno, entra in cucina, nonostante il divieto ricevuto, e chiede al cuoco un piccolo pâté succulento ma ancora fumante. Il bruciore che sente non gli impedisce di portarlo in mano e di mangiarlo. Va quindi a farsi curare da sua madre senza rivelarle la causa di questa scottatura.
Francesco di Sales nasce il 21 agosto 1567, in una famiglia cattolica della nobiltà savoiarda, nel castello di Sales, a una ventina di chilometri a nord di Annecy. È il maggiore di sei fratelli e sorelle. I suoi genitori seguono il principio educativo di spiegare le ragioni di ciò che esigono, perché l’obbedienza dei loro figli sia più consapevole. Molto presto, il bambino impara a servirsi di una spada, ma anche a fare l’elemosina ai poveri: se sente un povero che chiama, lascia la tavola per portargli una parte del suo pasto. Tuttavia, non è perfetto: un giorno, entra in cucina, nonostante il divieto ricevuto, e chiede al cuoco un piccolo pâté succulento ma ancora fumante. Il bruciore che sente non gli impedisce di portarlo in mano e di mangiarlo. Va quindi a farsi curare da sua madre senza rivelarle la causa di questa scottatura.
«Memorare!»
La gratitudine
Il colombo riconoscente (India)
All'estremità del villaggio abitava in una misera capanna un buon contadino di nome Kizavan. Non aveva né amici né parenti, ma in compenso era benvoluto da tutti gli animali della foresta perché conosceva la loro lingua.
Un giorno, mentre stava raccogliendo dei fuscelli, udì un gemito.
Subito scorse, non lontano, un colombo con un'ala spezzata. Lo raccolse delicatamente e se lo portò a casa.
- Starai con me finché non sarai guarito - gli disse - mi spiace soltanto che oggi dovremo digiunare insieme: non ho nulla da darti da mangiare.
- Non ti preoccupare - rispose il colombo - nella foresta c'è un grosso mango: nella sua cavità troverai del riso. lo l'ho raccolto e conservato, pensando al vicino inverno.
Kizavan andò nella foresta, individuò il mango e in effetti trovò nel cavo dell'albero un bel pugno di riso e insieme notò, con stupore, dei brillanti. Ma non li toccò.
"Gradisco il riso - disse fra sé e sé - ma non ho bisogno dei brillanti. Là dove si possiedono o si scambiano queste pietre preziose c'è sempre invidia e c'è cattiveria".
Portò il riso al colombo e rimase a guardarlo mentre mangiava.
- Perché non ne mangi pure tu? - chiese il colombo.
- E' sufficiente appena per te. Non ti preoccupare per me, sono abituato a saltare i pasti.
Il colombo mangiò di gusto un po' per giorno il suo riso finché guarì, e allora, tubando un saluto, volò via. Ma ritornò dopo qualche ora, recando nel becco un anello.
- Mettilo al dito - disse a Kizavan - ed esprimi un desiderio. Qualunque sia verrà soddisfatto.
- Oh, come vorrei avere un po' di pane e una buona tazza di latte! - sospirò il buon uomo.
Non aveva finito di parlare che sulla tavola comparve una fumante tazza colma di latte e un bel pane appena sfornato. Kizavan mangiò con evidente piacere e lasciò le briciole al colombo.
E fu felice per lunghissimi anni: non soltanto perché, grazie al dono del colombo, ebbe sempre cibo, ma soprattutto perché aveva trovato un amico.
L'istrice , il lupo e ...compagna bella!
LETTERATURA E CRITICA - Favole e fiabe orientali antiche -
Di chi sono le pigne?(Bulgaria)
Un giorno in cui l'istrice stava pacificamente raccogliendo bacche in un bosco si trovò improvvisamente davanti il lupo indignatissimo:
- Che cosa stai facendo nel mio bosco?
- Scusami - rispose l'istrice - non sapevo che il bosco fosse tuo, pensavo appartenesse a tutti gli animali.
- Adesso ti faccio vedere io chi è il padrone qui dentro - strillò il lupo, avventandosi sulla povera istrice.
Questa, però, si raggomitolò all'istante, trasformandosi in una palla irta di aculei, e colpì il lupo proprio sul naso.
Che urli! Due spine sottili si erano conficcate nel naso del lupo abbastanza profondamente e il ferito minacciava terribili vendette.
Lo udì il corvo e accorse: con un paio di beccate ben assestate liberò l'amico lupo da quel tormento.
Si fece avanti la volpe che, predatrice di galline, spesso banchettava con il lupo. Insieme considerarono la situazione.
- Hai ragione, amico lupo, le istrici, le lepri, gli uccelli sono diventati troppo sfacciati. Non se ne può più: brucano l'erba, mangiano i vermi, si rimpinzano di bacche. E si tratta delle nostre erbe, delle nostre bacche, dei nostri vermi...
- Hai ragione - confermò il lupo arrabbiatissimo. E anche il corvo fu d'accordo. Decisero quindi di appendere agli alberi del bosco dei cartelli minacciosi: "Proprietà privata" "Proibito toccare!" "Vietato annusare!"
Sotto ogni cartello il lupo appose la sua firma, cioè l'impronta della sua zampa destra.
Presa visione dei divieti, gli animali del bosco ebbero una crisi di sconforto:
- Poveri noi! Non avremo più cibo! Moriremo di fame! Forse ci toccherà emigrare!
Soltanto lo scoiattolo non lesse i cartelli: stava appollaiato sull'alto ramo di un pino intento a mangiare gli squisiti pinoli che man mano estraeva da una grossa pigna.
- Ehi, tu lassù, come osi? Non sai che le pigne sono mie? - gli urlò il lupo.
- Scusami tanto - rispose umilmente lo scoiattolo. - Pensavo fossero di tutti, ma se questa è tua, prendila pure.
E lanciò la dura pigna giusto giusto sul muso del lupo.
A quella scena anche gli altri animali del bosco cominciarono a lanciare tutto quanto si trovava a portata di mano, cioè di zampe. Perfino il pacioso orso centrò la testa del lupo con una grossa zucca.
Lupo, volpe, corvo, a quel bombardamento, scapparono a gambe levate. Il lupo dovette stare tre giorni, nascosto nella sua tana a leccarsi le ammaccature.
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