sabato 8 febbraio 2014

ECCO I FATTI CHE MOLTI NON SANNO ANCORA O NON VOGLIONO SAPERE



Contro-rivoluzione liturgica 

Il caso “silenziato” di Padre Calmel

di Cristiana de Magistris

Articolo pubblicato sul sito Concilio Vaticano II



Religioso domenicano e teologo tomista di non comune spessore, direttore di anime apprezzato e ricercato su tutto il suolo francese, scrittore cattolico d’una logica stringente e d’una chiarezza inequivocabile, padre Roger-Thomas Calmel (1914-1975) negli anni ruggenti del Concilio e del post-concilio si distinse per la sua azione controrivoluzionaria esercitata – attraverso la predicazione, gli scritti e soprattutto l’esempio –  sia sul piano dottrinale sia su quello liturgico.

Ma su un punto ben preciso la resistenza di questo figlio di san Domenico raggiunse l’eroismo: la Messa, poiché è sulla redenzione operata da Cristo sul Calvario e perpetuata sugli altari che si fonda la Fede cattolica. Il 1969 fu l’anno fatidico della rivoluzione liturgica, lungamente preparata e infine imposta d’autorità ad un popolo che non l’aveva chiesta né la desiderava.

La nascita della nuova Messa non fu pacifica. A fronte dei canti di vittoria dei novatores, vi furono le voci di chi non voleva calpestare il passato quasi bimillenario di una Messa che risaliva alla tradizione apostolica. Questa opposizione ebbe il sostegno di due cardinali di Curia (Ottaviani e Bacci), ma rimase del tutto inascoltata.
L’entrata in vigore del nuovo Ordo Missae era fissata per il 30 novembre, prima domenica d’Avvento, e le opposizioni non tendevano a placarsi. Lo stesso Paolo VI, in due udienze generali (19 e 26 novembre 1969), intervenne presentando il nuovo rito della Messa come volontà del Concilio e come aiuto alla pietà cristiana. Il 26 novembre il Papa disse: 


Nuovo rito della Messa: è un cambiamento, che riguarda una venerabile tradizione secolare, e perciò tocca il nostro patrimonio religioso ereditario, che sembrava dover godere d’un’intangibile fissità, e dover portare sulle nostre labbra la preghiera dei nostri antenati e dei nostri Santi, e dare a noi il conforto di una fedeltà al nostro passato spirituale, che noi rendevamo attuale per trasmetterlo poi alle generazioni venture. Comprendiamo meglio in questa contingenza il valore della tradizione storica e della comunione dei Santi. Tocca questo cambiamento lo svolgimento cerimoniale della Messa; e noi avvertiremo, forse con qualche molestia, che le cose all’altare non si svolgono più con quella identità di parole e di gesti, alla quale eravamo tanto abituati, quasi a non farvi più attenzione. Questo cambiamento tocca anche i fedeli, e vorrebbe interessare ciascuno dei presenti, distogliendoli così dalle loro consuete devozioni personali, o dal loro assopimento abituale. …”.

E proseguiva dicendo che bisogna comprendere il significato positivo delle riforme e fare della Messa “una tranquilla ma impegnativa palestra di sociologia cristiana”.
Sarà bene – avvertiva Paolo VI nella medesima udienza – che ci rendiamo conto dei motivi, per i quali è introdotta questa grave mutazione: l’obbedienza al Concilio, la quale ora diviene obbedienza ai Vescovi che ne interpretano e ne eseguiscono le prescrizioni…”.

Per sedare le opposizioni al Papa non rimaneva che l’argomento di autorità. Ed è su questo argomento che si giocò tutta la partita della rivoluzione liturgica.

Padre Calmel, che con i suoi articoli fu assiduo collaboratore della rivista Itinéraires, aveva già affrontato il tema dell’obbedienza, divenuto nel post-concilio l’argomento di punta dei novatores. Ma, egli affermava, è esattamente in virtù dell’obbedienza che bisogna rifiutare ogni compromesso con la rivoluzione liturgica:

Non si tratta di fare uno scisma ma di conservare la tradizione”. 
Con sillogismo aristotelico faceva notare:
L’infallibilità del Papa è limitata, dunque la nostra obbedienza è limitata”,  indicando il principio della subordinazione dell’obbedienza alla verità, dell’autorità alla tradizione.

La storia della Chiesa ha casi di santi che furono in contrasto con l’autorità di papi che non furono santi. Pensiamo a sant’Atanasio scomunicato da papa Liberio, a san Tommaso Becket sospeso da papa Alessandro III. E soprattutto a santa Giovanna d’Arco.

Il 27 novembre 1969, tre giorni prima della data fatidica in cui entrò in vigore il Novus Ordo Missae, padre Calmel espresse il suo rifiuto con una dichiarazione d’eccezionale portata, resa pubblica sulla rivista Itinéraires.




Mi attengo alla Messa tradizionale – dichiarò –, quella che fu codificata, ma non fabbricata, da San Pio V, nel XVI secolo, conformemente ad un uso plurisecolare. Rifiuto dunque l’Ordo missae di Paolo VI.

Perché? Perché, in realtà, questo Ordo Missae non esiste. Ciò che esiste è una rivoluzione liturgica universale e permanente, permessa o voluta dal Papa attuale, e che riveste, per il momento, la maschera dell’Ordo Missae del 3 aprile 1969. È diritto di ogni sacerdote rifiutare di portare la maschera di questa rivoluzione liturgica. E stimo mio dovere di sacerdote rifiutare di celebrare la messa in un rito equivoco.

Se accettiamo questo nuovo rito, che favorisce la confusione tra la Messa cattolica e la cena protestante – come sostengono i due cardinali (Bacci e Ottaviani) e come dimostrano solide analisi teologiche – allora passeremmo senza tardare da una messa intercambiabile (come riconosce, del resto, un pastore protestante) ad una messa completamente eretica e quindi nulla. Iniziata dal Papa, poi da lui abbandonata alle Chiese nazionali, la riforma rivoluzionaria della messa porterà all’inferno. Come accettare di rendersene complici?


Mi chiederete: mantenendo, verso e contro tutto, la Messa di sempre, hai riflettuto a che cosa ti esponi? Certo. Io mi espongo, per così dire, a perseverare nella via della fedeltà al mio sacerdozio, e quindi a rendere al Sommo Sacerdote, che è il nostro Giudice supremo, l’umile testimonianza del mio ufficio sacerdotale. Io mi espongo altresì a rassicurare dei fedeli smarriti, tentati di scetticismo o di disperazione. Ogni sacerdote, in effetti, che si mantenga fedele al rito della Messa codificata da San Pio V, il grande Papa domenicano della controriforma, permette ai fedeli di partecipare al santo Sacrificio senza alcun possibile equivoco; di comunicarsi, senza rischio di essere ingannato, al Verbo di Dio incarnato e immolato, reso realmente presente sotto le sacre Specie. Al contrario, il sacerdote che si conforma al nuovo rito, composto di vari pezzi da Paolo VI, collabora per parte sua ad instaurare progressivamente una messa menzognera dove la Presenza di Cristo non sarà più autentica, ma sarà trasformata in un memoriale vuoto; perciò stesso, il Sacrificio della Croce non sarà altro che un pasto religioso dove si mangerà un po’ di pane e si berrà un po’ di vino. Nulla di più: come i protestanti. Il rifiuto di collaborare all’instaurazione rivoluzionaria di una messa equivoca, orientata verso la distruzione della Messa, a quali disavventure temporali, a quali guai potrà mai portare? Il Signore lo sa: quindi, basta la sua grazia. In verità, la grazia del Cuore di Gesù, derivata fino a noi dal santo Sacrificio e dai sacramenti, basta sempre. È perciò che il Signore ci dice così tranquillamente: “Colui che perde la sua vita in questo mondo per causa mia, la salverà per la vita eterna”.

Riconosco senza esitare l’autorità del Santo Padre. Affermo tuttavia che ogni Papa, nell’esercizio della sua autorità, può commettere degli abusi d’autorità. 

Sostengo che il papa Paolo VI ha commesso un abuso d’autorità di una gravità eccezionale quando ha costruito un nuovo rito della messa su una definizione della messa che ha cessato di essere cattolica. “La messa – ha scritto nel suo Ordo Missae – è il raduno del popolo di Dio, presieduto da un sacerdote, per celebrare il memoriale del Signore”. Questa definizione insidiosa omette a priori ciò che fa la Messa cattolica, da sempre e per sempre irriducibile alla cena protestante. E ciò perché per la Messa cattolica non si tratta di qualunque memoriale; il memoriale è di tal natura che contiene realmente il sacrificio della Croce, perché il Corpo e il Sangue di Cristo sono resi realmente presenti in virtù della duplice consacrazione. Ora, mentre ciò appare così chiaro nel rito codificato da San Pio V da non poter esser tratti in inganno, in quello fabbricato da Paolo VI rimane fluttuante ed equivoco. Parimenti, nella Messa cattolica, il sacerdote non esercita una presidenza qualunque: segnato da un carattere divino che lo introduce nell’eternità, egli è il ministro di Cristo che fa la Messa per mezzo di lui; ben altra cosa è assimilare il sacerdote a un qualunque pastore, delegato dai fedeli a mantenere in buon ordine le loro assemblee. Orbene, mentre ciò è certamente evidente nel rito della Messa prescritta da San Pio V, è invece dissimulato se non addirittura eliminato nel nuovo rito.


La semplice onestà quindi, ma infinitamente di più l’onore sacerdotale, mi chiedono di non aver l’impudenza di trafficare la Messa cattolica, ricevuta nel giorno della mia ordinazione. Poiché si tratta di essere leale, e soprattutto in una materia di una gravità divina, non c’è autorità al mondo, fosse pure un’autorità pontificale, che possa fermarmi. D’altronde, la prima prova di fedeltà e d’amore che il sacerdote deve dare a Dio e agli uomini è quella di custodire intatto il deposito infinitamente prezioso che gli fu affidato quando il Vescovo gl’impose le mani. È anzitutto su questa prova di fedeltà e d’amore che io sarò giudicato dal Giudice supremo. Confido che la Vergine Maria, Madre del Sommo sacerdote, mi ottenga la grazia di rimanere fedele fino alla morte alla Messa cattolica, vera e senza equivoco. Tuus sum ego, salvum me fac (sono tutto vostro, salvatemi)”.

Di fronte a un testo di tale spessore e ad una presa di posizione così categorica, tutti gli amici e i sostenitori di padre Calmel tremarono, attendendo da Roma le più dure sanzioni. Tutti, tranne lui, il figlio di san Domenico, che continuava a ripetere: “Roma non farà niente, non farà niente…”. E difatti Roma non fece nulla. Le sanzioni non arrivarono. Roma tacque davanti a questo frate domenicano che non temeva nulla se non il Giudice supremo a cui doveva render conto del suo sacerdozio.

Altri sacerdoti, grazie alla dichiarazione di padre. Calmel, ebbero il coraggio di uscire allo scoperto e di resistere ai soprusi di una legge ingiusta e illegittima. Contro coloro che raccomandavano l’obbedienza cieca alle autorità, egli mostrava il dovere dell’insurrezione.

Tutta la condotta di santa Giovanna d’Arco mostra che ella ha pensato così: Certo, è Dio che lo permette; ma ciò che Dio vuole, almeno finché mi resterà un esercito, è che io faccia una buona battaglia e giustizia cristiana. Poi fu bruciata […]. Rimettersi alla grazia di Dio non significa non far nulla. 

Significa invece fare, rimanendo nell’amore, tutto ciò che è in nostro potere […]. A chi non abbia meditato sulle giuste insurrezioni della storia, come la guerra dei Maccabei, le cavalcate di santa  Giovanna d’Arco, la spedizione di Giovanni d’Austria, la rivolta di Budapest, a chiunque non sia entrato in sintonia con le nobili resistenze della storia […] io rifiuto il diritto di parlare di abbandono cristiano […] l’abbandono non consiste nel dire: Dio non vuole la crociata, lasciamo fare ai Mori. Questa è la voce della pigrizia”.

Non si può confondere l’abbandono soprannaturale con una supina obbedienza.

Il dilemma che si pone a tutti – avvertiva padre Calmel – non è di scegliere tra l’obbedienza e la fede, ma tra l’obbedienza della fede e la collaborazione con la distruzione della fede”. Tutti noi siamo invitati a fare “nei limiti che ci impone la rivoluzione, il massimo di ciò che possiamo fare per vivere della tradizione con intelligenza e fervore. Vigilate et orate”.

Padre Calmel aveva compreso perfettamente che la forma di violenza esercitata nella “Chiesa post-conciliare” è l’abuso di autorità, esplicato esigendo un’obbedienza incondizionata. Alla quale i chierici e molti laici si piegarono senza tentare alcuna forma di resistenza. “Questa assenza di reazione – notava Louis Salleron – mi pare tragica. Perché Dio non salva i cristiani senza di essi, né la sua Chiesa senza di essa”.

Il modernismo fa camminare le sue vittime sotto il vessillo dell’obbedienza – scriveva il religioso domenicano–, ponendo sotto sospetto di orgoglio qualunque critica delle riforme, in nome del rispetto che si deve al papa, in nome dello zelo missionario, della carità e dell’unità”. 

Quanto al problema dell’obbedienza in materia liturgica, padre Calmel osservava:
La questione dei nuovi riti consiste nel fatto che sono ambivalenti: essi perciò non esprimono in modo esplicito l’intenzione di Cristo e della Chiesa. La prova è data dal fatto che anche gli eretici l’usano con tranquillità di coscienza, mentre rigettano e hanno sempre rigettato il Messale di san Pio V”. “Bisogna essere o sciocchi o paurosi (o l’uno e l’altro insieme) per considerarsi legati in coscienza da leggi liturgiche che cambiano più spesso della moda femminile e che sono ancora più incerte”.

Nel 1974 in una conferenza diceva:

La Messa appartiene alla Chiesa. La nuova Messa non appartiene che al modernismo. Mi attengo alla Messa cattolica, tradizionale, gregoriana, poiché essa non appartiene al modernismo […]. Il modernismo è un virus. È contagioso e bisogna fuggirlo. La testimonianza è assoluta. Se rendo testimonianza alla Messa cattolica, occorre che io mi astenga dal celebrarne altre. È come l’incenso bruciato agli idoli: o un grano o nulla. Dunque, nulla”.

Nonostante l’aperta resistenza di padre Calmel contro le innovazioni liturgiche, da Roma non giunse mai alcuna sanzione. La logica del padre domenicano era troppo serrata, la sua dottrina troppo ortodossa, il suo amore alla Chiesa e alla sua perenne tradizione troppo leale perché lo si potesse attaccare. Non si intervenne contro di lui poiché non lo si poteva. Allora si avvolse il caso nel più omertoso silenzio, al punto che il teologo domenicano – noto, in parte, al mondo tradizionale francese – è pressoché sconosciuto nel resto dell’orbe cattolico.

Nel 1975, padre Calmel si spegneva prematuramente, coronando il suo desiderio di fedeltà e di resistenza. Nella sua Dichiarazione del 1969 aveva chiesto alla Santissima Vergine di “rimanere fedele fino alla morte alla Messa cattolica, vera e senza equivoco”. La Madre di Dio esaudì il desiderio di questo figlio prediletto che morì senza aver mai celebrato la Messa nuova per rimaner fedele al supremo Giudice al quale doveva rispondere del suo sacerdozio.

Suscipe, sancte Pater, 
Omnipotens aeterne Deus...

L’ITALIA, LA PALUDE E LA CEI


L’ITALIA, LA PALUDE E LA CEI
di L. P.






L’Italia non è un paese allo sbando o una <palude fangosa>. Ha i suoi problemi, è vero – e tra questi la mancanza di lavoro ( soprattutto per i giovani ) e il mancato sostegno alle famiglie sono i dati più drammatici – ma ha anche in sé le forze per risalire la corrente” ha affermato “lanciando un messaggio di speranza” il cardinal  Angelo Bagnasco all’apertura del Consiglio permanente della CEI. (Avvenire – 27 gennaio 2014 ).
   
Questo passo, tratto da un lungo articolo, ci è parso da citare a taglio proprio oggi che osserviamo, sugli schermi tv e della rete, le immagini delle immani alluvioni sotto cui gran parte dell’Italia tròvasi sommersa.
Abbiamo pensato di riportarlo perché la nostra cara Italia è diventata, infatti, una vera e propria palude in termini geofisici e meteorologici.  Non si dà inverno che non si verifichino, da qualche decennio in qua, disastri e cataclismi: frane, alluvioni, crolli, con la conseguenza di uno stato quasi perenne di caos e di sofferenze. Le cronache di questi giorni sono bollettini di guerra.
    
I lettori ci obietteranno che le piogge rovinose, le inondazioni fluviali, gli smottamenti, i venti strapazzoni sono fenomeni che, in sé e per sé, non vanno imputati all’opera dell’uomo. E giustamente, noi rispondiamo, perché le forze della natura sovrastano anche la tecnologìa più raffinata e non conoscono ostacoli. Ma noi preme tirar giù una riflessione di livello più elevato proprio in riferimento agli eventi naturali che in questi giorni hanno funestato paesi, popolazioni, abitazioni. 
     
Intanto, che la campagna si allaghi, così come il mare possa, per forza di cicloni, erompere al di là dei moli è faccenda del tutto spiegabile, cosa che non può dirsi quando questi fenomeni si verificano nelle città.  Esse, specialmente le moderne, sono il prodotto della tecnica umana che, spesso, si compiace di progettare ed erigere complessi urbanistici senza la previsione di opportune  salvaguardie. Non per nulla, ogni volta che si indaga su taluni esiti, vengono fuori e una superficiale progettazione, e una insufficiente vigilanza e una assente manutenzione degli impianti e degli spazi urbani. E ciò vale tanto per la moderna scienza che per l’antica dacché la megalomania di un’architettura, che sembra sfidare la legge di gravità e il buon senso con l’erigere monumentali  edifici sempre più alti e in siti precarii  è diretta filiazione, mai interrotta, di quella torre di Babele che Dio rese, peraltro, inutile sia  per colpire la superbia umana che per diffidare l’umanità dal programmare un’unica entità politica di stampo mondialistico. A Dio piacciono le differenze culturali.
    
Ed eccoci, allora, arrivati al cuore dell’argomento. 
 
La Chiesa, negli anni passati – anni che sembrano secoli! – era solita, in occasione di eventi disastrosi, tanto di origine naturale come tempeste, inondazioni, terremoti, carestie, pestilenze  quanto di origine umana come guerre, crisi economiche, discordie, ecatombi etniche, la Chiesa, dicevamo, aveva nel proprio repertorio eucologico una serie di riti con i quali e durante i quali, riconosciuti a Dio la potenza creatrice e la proprietà delle cose create, se ne invocava e Gli si chiedeva  la cessazione di uno stato di calamità o se ne impetravano benefici quali tempo propizio, raccolti abbondanti, salute fisica, buona e sana prole.
    Gesù che doma la tempesta sul lago di Tiberiade (Mt. 8,23/27 – Mc. 4, 35/41 – Lc. 8, 22/25), così come tutti i miracoli da Lui operati su storpi, ciechi, lebbrosi, indemoniati, muti e morti sono la dimostrazione del dominio di Dio sulla natura e sulle forze demoniache. Le quali ultime, secondo San Tommaso d’Aquino, possono però causare, col permesso divino che a ciò conferisce chiara marca di castigo, turbolenze atmosferiche o altri fenomeni di violenza naturale: 
In angelo aut in daemone, si incorporei ponantur, non est alia potentia neque operatio nisi intellectus et voluntas. . . unde nulla virtus seu potentia in angelo potest esse nisi pertinens ad apprehensionem vel appetitum intellectuale; unde substantia intellectualis separata a corpore potest movere imperio voluntatis aliquod corpus non sibi unitum” (De Malo, q. 16, a. 1, ad 14).
Nell’angelo o nel dèmone, posti come esseri incorporei, non c’è altra potenza  ed operazione se non l’intelletto e la volontà. . .per cui nessuna potenza o nessuna virtù può essere nell’angelo se non pertinente all’apprensione o all’appetito intellettuale; onde la sostanza intellettuale, distinta dal corpo, può muovere, con il comando della volontà, qualche corpo non unito a sé”.
     
Ne parlò, a proposito, Dante tomista  quando descrisse la vicenda di Bonconte da Montefeltro, morto nella battaglia di Campaldino (11 giugno 1289), il cui cadavere fu travolto dall’alluvione, abbattutosi in Pratomagno, ad opera del demonio, quale  vendetta contro il corpo di  chi  èrasi pentito in punto di morte. “ Ben sai come nell’aere si raccoglie/quell’umido vapor che in acqua riede/tosto che  sale dove ‘l freddo il coglie./ Giunse quel mal voler, che pur mal chiede/ con lo ‘ntelletto, e mosse il fummo e ‘l vento/ per la virtù che sua natura diede” (Purg. V, 109/112).

   
A questi eventi, dicevamo, la Chiesa rispondeva con le famose e dimenticate “Rogazioni”, riti distinti in “minori e maggiori” celebrati rispettivamente nei tre giorni precedenti l’Ascensione e il 25 aprile. Lo scopo era quello di “allontanare i flagelli della giustizia di Dio e di attirare le <benedizioni della sua misericordia sui frutti della terra>”. 
Le processioni, tipiche delle Rogazioni minori, svolte in tre giorni, vedevano in testa al corteo le Confraternite con le loro insegne, quindi il clero, le donne, i bambini e gli uomini. I paramenti erano di colore viola, quello che si adotta per il rito penitenziale, e indicavano palesemente la consapevolezza che i disastri venivano considerati quale castigo divino in risposta ai tanti peccati commessi. 
    
A fulgore et tempestate, a peste, fame et bello – libera nos Domine”. 

La processione che il cardinal Federigo Borromeo promuove, in occasione della peste di Milano (Promessi Sposi, cap. XXXII ) è l’esempio di un intervento che si attiva quando la circostanza è eccezionalmente grave. Così come grave, è da qualche anno, quella italiana. E non soltanto in termini  geografici.
    
Ora, se nella celebrazione delle Rogazioni era implicito il riconoscimento dei peccati, l’aver cancellato questa ritualità vuol dire, forse, che l’umanità non pecca più, che gli eventi catastrofici non sono più ritenuti un monito di Dio? Il secondo caso è, probabilmente quello più certificato. Guai, infatti, a dire e a predicare che il terremoto di Haiti, l’inondazione di New Orleans, lo tsunami dell’Indonesia, il terremoto del Giappone, il terremoto di Messina, il naufragio del Titanic sono il segno del dito di Dio che dice “basta !”. C’è sempre qualche teologo, qualche nota rivista, qualche deputato  o qualche autorevole opinionista che riduce a brandelli l’ingenuo e l’improvvido che si azzardi a mescolare la misericordia del Signore con le catastrofi. Al prof. Roberto De Mattei mal gliene incolse quando espose questa verità ché anche dai siti cattolici – e ricordiamo la rivista “Frate Indovino” – lo impallinarono come retrivo, oscurantista e blasfemo.
     
Noi ci prendemmo la briga, e non per una difesa d’ufficio del professore che sa bene difendersi eccome, ma per nostra rappresaglia, di elencare al teologo di turno il catalogo dei disastri biblici che, così come sono riportati nella Sacra Scrittura, non sembrano affatto eventi casuali ma, al contrario, castighi veri, propri e conclamati, comminarti dal Signore all’uomo peccatore. Incominciava, il catalogo, con la cacciata dal paradiso terrestre, tanto per fare un esempio da poco… La moderna cultura cattolica, che  si rifiuta di considerare questi eventi come pedagogìa severa e salutare, ha modellato quello che, dal  1963, si  appella “cristiano adulto”, un tipo che disdegna e nega l’esistenza  di un Dio geloso e severo, un tipo che, confidando molto e molto impegnandosi per i diritti dell’uomo nel solco del 1789  e niente applicandosi per quelli di Dio, è arrivato ad ammettere l’Inferno vuoto, la comunione sulle mani, il divorzio, l’aborto, l’omosessualità, la famiglia allargata, la convivenza, l’autogiustificazione, la fede multipla cioè il credito accordato a tutte le religioni;  un cattolico che alla domenica mattina va a Messa, si comunica e la sera si ritrova in un ashram a mugulare “aum” davanti ad un levigato ed obeso Buddha. Come niente fosse.
    
Accanto al cristiano adulto figura, dal 1963, il “prete adulto”, colui che non sa più come ci si comporta quando cade una sacra particola durante il rito della Comunione, colui che non ritiene di “riconsacrare” una  chiesa violata da atti blasfemi e vandalici quali quelli che si ebbero a Roma tre anni or sono quando un teppista, entrata in una chiesa del centro, e, asportata la statua della vergine Maria la fracassò sulla strada; colui che stima atto canonico il conferimento dell’Eucaristìa a personaggi notoriamente pubblici peccatori, come avvenne, infatti, a Genova durante le esequie del prete Andrea Gallo. 
Se, poi, si aggiunge, che l’autorità laico/politica  nostrana sta, con il varo di leggi inique e oscene che gridano vendetta, dilatando la frattura tra il diritto di Dio e quello dell’uomo a vantaggio di questo, non vediamo come non si possa considerare l’Italia, “una palude fangosa”. 
    
Già, perché la CEI, il quarto grande sindacato italiano, avendo cancellato la vetusta fede  sulla potenza di Dio e scartavetrato i vecchi riti  rogatorii, ha riposto, e ripone la sua fiducia nell’Ufficio Meteo dell’Aeronautica o nell’Istituto Sismologico Italiano, i quali, con illuminata e supponente sicumera ci avvertono che “ il Po è sotto controllo – il sisma è monitorato - l’Etna è sotto osservazione attenta”.
Perciò: sonni tranquilli.
Il cardinal Bagnasco ci assicura che l’Italia non è “una palude fangosa”.

Possiamo affermare che è qualcosa di peggio?

Domenica 9 Febbraio 2014, V Domenica delle ferie del Tempo Ordinario - Anno A


Posted: 03 Feb 2014 07:23 AM PST

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Matteo 5, 13-16. 

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: " Voi siete il sale della terra; ma se il sale perdesse il sapore, con che cosa lo si potrà render salato? A null'altro serve che ad essere gettato via e calpestato dagli uomini. Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città collocata sopra un monte, né si accende una lucerna per 


venerdì 7 febbraio 2014

PURGATORIO



"Tengan piedad de mí, tengan piedad de mí, por lo menos ustedes mis amigos, porque la mano del Señor me ha tocado" (Job 19:21).

Esta es la conmovedora súplica que la Iglesia Purgante envía a sus amigos en la tierra.
Tierra, comiencen, imploren su ayuda, en respuesta a la angustia mas profunda. Muchos dependen de sus oraciones.
Es incomprensible como algunos católicos, aún aquellos que de una u otra forma son devotos, vergonzosamente desatienden a las almas del Purgatorio. Pareciera que no creen en el Purgatorio. Ciertamente es que sus ideas acerca de ello son muy difusas.

Días y semanas y meses pasan sin que ellos reciban una Misa dicha por ellas!
Raramente también, oyen Misa por ellos, raramente rezan por ellos, raramente piensan en ellos! Entretanto están gozando la plenitud de la salud y la felicidad, ocupados en sus trabajos; divirtiéndose, mientras las pobres almas sufren inenarrables agonías en sus lechos de llamas. Cuál es la causa de esta horrible insensibilidad? Ignorancia: gruesa, inexplicable ignorancia.

La gente no se da cuenta de lo que es el Purgatorio. No conciben las espantosas penas, ni tienen idea de los largos años que las almas son retenidas en esas horribles llamas. Como resultado, hacen poco o nada para evitarse a sí mismos el Purgatorio, y aún peor, cruelmente ignoran a las pobres almas que ya están allí y que dependen enteramente de ellos para ser auxiliadas.

Estimado lector, lee detenidamente este pequeño libro con cuidado



¡AUXILIO, AUXILIO, SUFRIMOS MUCHO!


I: Nunca llegaremos a comprender lo suficientemente claro que una limosna, pequeña o grande, dada en favor de las almas sufrientes, se la damos directamente a Dios. El acepta y recuerda como si se la hubieran dado directamente a Él mismo. Así, todo lo que hagamos por ellas, Dios lo acepta hecho para El. Es como si lo aliviáramos o liberáramos a Él mismo del Purgatorio. En qué manera nos pagará!

II. No hay mayor  sed, pobreza, necesidad, pena, dolor, sufrimiento que se compare a los de las Almas del Purgatorio, por lo tanto no hay limosnas más merecidas, ni más placenteras a Dios, ni mérito más alto para nosotros, que rezar, pedir celebraciones de Misas, y dar limosnas en favor de las pobres Santas Almas.


QUE ES EL PURGATORIO


Es una prisión de fuego en la cual algunas  almas salvadas son sumergidas después de la muerte y en la cual sufren las mas intensas penas.

Aquí esta lo que los mas grandes doctores de la iglesia nos dicen acerca del Purgatorio.

Tan lastimoso es el sufrimiento de ellas que un minuto de ese horrible fuego parece ser un siglo.
Santo Tomás Aquino, el príncipe de los teólogos, dice que el fuego del Purgatorio es igual en intensidad al fuego del infierno, y que el mínimo contacto con él es mas aterrador que todos los sufrimientos posibles de esta tierra!
San Agustín, el mas grande de todos los santos doctores, enseña que para ser purificadas de sus faltas previo a ser aceptada en el Cielo, las almas después de muertas son sujetas a un fuego mas penetrante y mas terrible que nadie pueda ver, sentir o concebir en esta vida.

Aunque este fuego está destinado a limpiar y purificar al alma, dice el Santo Doctor, aún es más agudo que cualquier cosa que podamos resistir en la Tierra.

San Cirilo de Alejandría no duda en decir que "sería preferible sufrir todos los posibles tormentos en la Tierra hasta el día final que pasar un solo día en el Purgatorio".
Otro gran Santo dice: Nuestro fuego, en comparación con el fuego del Purgatorio, es una brisa fresca".

Otros santos escritores hablan en idénticos términos de ese horrible fuego.

COMO ES QUE LAS PENAS DEL PURGATORIO SON TAN SEVERAS?

1. El fuego que vemos en la Tierra fue hecho por la bondad de Dios para nuestra comodidad y nuestro bienestar. A veces es usado como tormento, y es lo mas terrible que podemos imaginar



¿PORQUE Y PARA QUE REZAR POR LAS ANIMAS BENDITAS DEL PURGATORIO?


El gran Mandamiento de Nuestro Señor Jesucristo es que nos amemos los unos a los otros, genuina y sinceramente. El Primer Gran Mandamiento es amar a Dios sobre todas las cosas. El Segundo, o mejor dicho el corolario del Primero, es amar al prójimo como a nosotros mismos. No es un consejo o un mero deseo del Todopoderoso. Es Su Gran Mandamiento, la base y esencia de Su Ley. Es tanta la verdad encerrada en esto que El toma como donación todo aquello que hacemos por nuestro prójimo, y como un rechazo hacia El cuando rechazamos a nuestro prójimo.
Leemos en el Evangelio de San Mateo ( Mt 25:34-46), las palabras de Cristo que dirigirá a cada uno en el Día del Juicio Final.
Algunos católicos parecen pensar que su Ley ha caído en desuso, pues en estos días existe el egoísmo, el amor a sí mismo, y cada uno piensa en sí mismo y en su engrandecimiento personal.
"Es inútil observar la Ley de Dios en estos días", dicen, "cada uno debe mirar por sí mismo, o te hundes".
No hay tal cosa! La ley de Dios es grandiosa y todavía y por siempre tendrá fuerza de ley. Por eso, es mas que nunca necesaria, mas que nunca nuestro deber y por nuestro mayor interés.


 

LAS ANIMAS BENDITAS DEL PURGATORIO PUEDEN ACORTAR NUESTRO PROPIO PURGATORIO:

Otra gran gracia que obtenemos por orar por ellas es un corto y fácil Purgatorio, o su completa remisión!

San Juan Massias, sacerdote dominicano, tenía una maravillosa devoción a las Almas del Purgatorio. El obtuvo por sus oraciones (principalmente por la recitación del Santo Rosario) la liberación de un millón cuatrocientas mil almas!!! En retribución, el obtuvo para sí mismo las más abundantes y extraordinarias gracias y esas almas vinieron a consolarlo en su lecho de muerte, y a acompañarlo hasta el Cielo.
Este hecho es tan cierto que fue insertado por la Iglesia en la bula de decretaba su beatificación.

El Cardenal Baronio recuerda un evento similar.
Fue llamado a asistir a un moribundo. De repente, un ejército de espíritus benditos apareció en el lecho de muerte, consolaron al moribundo, y disiparon a los demonios que gemían, en un desesperado intento por lograr su ruina. Cuando el cardenal les preguntó quiénes eran, le respondieron que eran ocho mil almas que este hombre había liberado del Purgatorio gracias a sus oraciones y buenas obras. Fueron enviadas por Dios, según explicaron, para llevarlo al Cielo sin pasar un solo momento en el Purgatorio.

Santa Gertrudis fue ferozmente tentada por el demonio cuando estaba por morir. El espíritu demoníaco nos reserva una peligrosa y sutil tentación para nuestros últimos minutos. Como no pudo encontrar un asalto lo suficientemente inteligente para esta Santa, el pensó en molestarla su beatífica paz sugiriéndole que iba a pasar larguísimo tiempo en el Purgatorio puesto que ella desperdició sus propias indulgencias y sufragios en favor de otras almas. Pero Nuestro Señor, no contento con enviar Sus Angeles y las miles de almas que ella había liberado, fue en Persona para alejar a Satanás y confortar a su querida Santa. El le dijo a Santa Gertrudis que a cambio de lo que ella había hecho por las ánimas benditas, le llevaría directo al Cielo y multiplicaría cientos de veces todos sus méritos.

El Beato Enrique Suso, de la Orden Dominicana, hizo un pacto con otro hermano de la Orden por el cual, cuando el primero de ellos muriera, el sobreviviente ofrecería dos Misas cada semana por su alma, y otras oraciones también. Sucedió que su compañero murió primero, y el Beato Enrique comenzó inmediatamente a ofrecer las prometidas Misas. Continuó diciéndolas por un largo tiempo. Al final, suficientemente seguro que su santamente muerto amigo había alcanzado el Cielo, cesó de ofrecer las Misas. Grande fue su arrepentimiento y consternacion cuando el hermano muerto apareció frente a él sufriendo intensamente y reclamándole que no hubo celebrado las Misas prometidas. El Beato Enrique replicó con gran arrepentimiento que no continuó con las Misas, creyendo que su amigo seguramente estaría disfrutando de la Visión Beatífica pero agregó que siempre lo recordaba en sus oraciones. "Oh hermano Enrique, por favor dame las Misas, pues es la Preciosísima Sangre de Jesús lo que yo más necesito" lloraba la sufriente alma. El Beato recomenzó a ofrecerlas, y con redoblado fervor, ofreció Misas y ruegos por su amigo hasta que recibió absoluta certeza de su liberación. Luego fue su turno de recibir gracias y bendiciones de toda clase por parte de su querido hermano liberado, y muchas más veces que las que hubiera esperado.

III. Es muy posible que algunos de nuestros más cercanos y queridos parientes estén todavía sufriendo las purificantes penas del Purgatorio y llamándonos entre lastimosos gemidos para que los ayudemos y aliviemos.

IV. ¿¿No es terrible que seamos tan duros que no podamos pensar en ellos, ni tampoco podemos ser tan crueles que deliberadamente los olvidemos?

Por el amor de Cristo, hagamos todo, pero todo, lo que podamos por ellas.


Cada católico debería unirse a la Asociación de las Animas Benditas.


TRES HORAS EN EL PURGATORIO



 


Las almas que están en el Purgatorio siempre desean ir lo más pronto a Dios, se siente amadas por nuestro Padre Dios, desean la presencia de Jesucristo, algo que les haría olvidar los sufrimientos que padecen. Pero han de esperar todo el tiempo que Dios haya determinado hasta quedar totalmente purificadas todas las almas que están el Purgatorio. 

 


Hay personas que dicen que pasarán al Purgatorio antes de ir al cielo. Pues nada manchado puede entrar el Reino de Dios. Se le podría preguntar, ¿Quieres pasar de aquí al Purgatorio cuando no puedes soportar los sufrimientos que Dios te permite tener con las enfermedades, adversidades ahora que puedes? ¿Y te quejas mucho? Ya quisieran las almas del purgatorio sufrir tus enfermedades, lo llevarían mucho mejor, pues existe una gran diferencia. 

 


Pero seria mejor que el Purgatorio lo debemos pasar en la tierra. A Fray Daniele también pensaba que después de morir pasaría un tiempo en el Purgatorio, pero el Señor le llevó allí en vida para hacerle reflexionar.

 


Una cosa es pensar, pero otra es vivirla, sentir en su propio ser los padecimientos, las penas del Purgatorio. Después de que en su cuerpo sintió el gran rigor de las penas del Purgatorio, y cuando volvió en sí, determinó servir de un modo más perfecto a Dios y pasar su purgatorio en vida. Y esto es lo que debemos hacer todo. Porque la experiencia de Fray Daniele, nos hace saber que un momento en el Purgatorio es mucho tiempo; una hora en el Purgatorio parece una eternidad.

 


Vivamos en gracia de Dios, pidamos a Dios ahora que podemos que nos de fortaleza para no sucumbir en nuestros dolores. Por muy terrible que nos parezca todo tipo de dolores, de persecuciones, de adversidades, de incomprensiones, todo eso es nada ante la eternidad feliz que Dios tiene preparado para sus fieles, para sus hijos. Soportémoslo todo como lo hizo con infinita perfección nuestro Santísimo Señor Jesucristo y la Santísima Virgen María. 

 


SOL DE FATIMA publica el testimonio de Fray Daniele, compañero inseparable del P. Pío. Este interesante relato sobre la experiencia del Fray Daniele y el purgatorio y posterior resurrección, está tomado del libro «Omagio a Fray Daniele». 

 


Traducción del italiano del libro «Omagio a Fra'Daniele, capuchino». Autor, Padre Remigio Fiore, capuchino y sobrino de Fray Daniele, 

 


Aprobación eclesiástica de Monseñor Serafino Spreafico, Obispo Capuchino, 29 de julio de 1998. «Convento de Santa María de las Gracias», San Giovanni Rotondo Foggia). Fray Daniele y el purgatorio Relato de Fray Daniele Soy un simple hermano lego capuchino.

 


He desenvuelto mi vida haciendo el trabajo que me correspondía; de portero, sacristán, pedir limosnas y cocinero. Con frecuencia me iba con la mochila en la espalda a pedir limosnas de puerta en puerta. Hacía la compra todos los días para el convento. Todos me conocían y me querían bien. Siempre que compraba alguna cosa me hacían descuentos, y aquellas pocas liras que recogía, en vez de entregárselas al superior, las conservaba para la correspondencia, para mis pequeñas necesidades y también para ayudar a los militares que llamaban a la puerta del convento.

 


Inmediatamente después de la guerra, me encontraba en San Giovanni Rotondo, mi pueblo nativo, en el mismo convento del P. Pío. Un poco tiempo después comencé con algunos dolores en el aparato digestivo y me fui a una consulta médica, y el médico me diagnosticó un mal incurable: un tumor. 

 


Pensando ya en la muerte, fui a referírselo todo al Padre Pío, el que -después de haberme escuchado- bruscamente me dijo: «Opérate.» Permanecí confuso y reaccionando le dije: «Padre, no me vale la pena. El médico no me ha dado ninguna esperanza. Ahora sé que debo morir.»

 


«No importa lo que te ha dicho el médico: opérate, pero en Roma en tal clínica y con tal profesor.»

 


El P. me dijo esto con tal fuerza y con tanta seguridad que le contesté: 

 


«Si Padre, lo haré». Entonces él me miró con dulzura y, conmovido, añadió: 

 


«No temas, yo estaré siempre contigo». 

 


A la mañana siguiente salí ya en viaje para roma, y estando sentado en el tren. Advertí al lado mío una presencia misteriosa: era el Padre Pío que mantenía la promesa de estar conmigo.

 


Cuando llegué a Roma super que la clínica era «Regina Elena», y que el profesor se llamaba Ricardo Moretti. Hacia el atardecer ingresé en la clínica. Parecía que todos me esperaban, como si alguno hubiera anunciado mi llegada, y me acogieron inmediatamente. 

 


A las 7 de la mañana estaba ya en la sala de operaciones. Me prepararon la intervención. A pesar de la anestesia, permanecí despierto y me encomendé al Señor con las mismas palabras que Él dirigía al Padre antes de morir:

 


«Padre, en tus manos encomiendo mi espíritu».

 


Comenzaron los médicos la intervención y yo sentía todo lo que decían. Sufría dolores atroces, pero no me lamentaba, al contrario, estaba contento de soportar tanto dolor que ofrecía a Jesús, ya que aquellos todos sufrimientos purificaban mi alma de mis pecados. Un rato después me adormecí. 

 


Cuando recobré la conciencia me dijeron que había estado tres días en coma antes de morir. Me presenté delante del Trono de Dios. Veía a Dios pero no como juez severo, sino como Padre afectuoso y lleno de amor. Entonces comprendí que el Señor había hecho todo por amor hacia mí desde el primero al último instante de mi vida, amándome como si fuera la única criatura existente sobre la tierra. 

 


No obstante me di cuenta también de que no solamente no había cambiado este inmenso amor divino, sino que lo había descuidado totalmente.

 


Fui condenado a dos / tres oras de Purgatorio

 


«¿Pero cómo? -me pregunté- ¿Solamente dos / tres horas? Y después podré quedarme siempre próximo a Dios eterno amor? Di un salto de alegría y me sentía como hijo predilecto. La visión desapareció y me volví a encontrar en el Purgatorio.

 


Las dos / tres horas de Purgatorio fueron dadas sobre todo por haber faltado al voto de pobreza, es decir, por haber conservado para mí unas pocas liras -como dije antes.

 


Eran unos dolores terribles que no sabia de donde venían, pero se sentía intensamente. Los sentidos con los cuales se había ofendido más a Dios en este mundo: los ojos, la lengua... experimentaba mayor dolor y era una cosa increíble porque allí abajo, en el Purgatorio, uno se siente como si tuviese cuerpo y conoce / reconoce a los demás como sucede en el mundo.

 


Mientras tanto, que no había pasado más que unos instantes con aquellas penas, me parecía ya que fuera una eternidad. Lo que más hace sufrir en el Purgatorio no es tanto el fuego -también muy intenso- sino aquel sentirse lejos de Dios -y lo que más aflige es haber tenido todos los medios a disposición para la salvación y no haber sabido aprovecharse de ellos.

 


Fue entonces cuando pensé ir a un hermano de mi convento para pedirle que rezara por mí que estaba en el Purgatorio. Aquel hermano quedó maravillado porque sentía mi voz pero no me veía y me preguntó:

 


¿Dónde estás, porque no te veo?

 


Yo insistían y, viendo que no tenía otro medio para llegar a él, pero mis brazos se cruzaban pero no llegaba. Sólo entonces me di cuenta que estaba sin cuerpo. Me contenté con insistirle para que rezase mucho por mí y me fuera del Purgatorio.

 


«¿Pero cómo? -me decía a mí mismo- ¿no debería estar solo dos / tres horas en el Purgatorio? Y han transcurrido ya trescientos años? Por lo menos así me parecía. De repente se me aparece la Bienaventurada Virgen María y le pedí insistentemente, le supliqué, diciéndole:

 


«¡Oh Santísima Virgen María, Madre de Dios, consígueme del Señor la gracia de volver a la tierra para vivir y trabajar solamente por amor de Dios!».

 


Acudí también ante el P. Pío e igualmente le supliqué: «Por tus atroces dolores, por tus benditas llagas, padre Pío, ruega por mí a Dios para que me libere de estas llamas y me conceda continuar el Purgatorio en la tierra».

 


Después no vi nada más, pero me di cuenta de que el Padre hablaba a la Virgen. Unos instantes después se me apareció nuevamente la Bienaventurada Virgen María: era Santa María de las gracias, pero venía sin el Niño Jesús, inclinó la cabeza y me sonrió. En aquel mismo momento volví a tomar posesión de mi cuerpo, abrí los ojos y extendí los brazos. Después, con un movimiento brusco, me liberó de la sabana que me cubría. Estaba contento, había recibido la gracia. La Santísima Virgen me había escuchado.

 


Inmediatamente después los que me velaban y rezaban, asustadísimos, se precipitaron fuera de la sala a buscar enfermeros y doctores. En pocos minutos la clínica estaba abarrotada de gente. Todos creían que yo era un fantasma y decidieron cerrar bien las puertas y desaparecer, por cierto temor a los espíritus.

 


A la mañana siguiente me levanté muy pronto y me senté en una butaca. A pesar de que la puerta estaba cuidadosamente vigilada, algunos lograron entrar y me pidieron les explicara lo que me había sucedido. Para tranquilizarles, les dije que estaba llegando el médico de guardia, al cual tenía que decir lo que me había pasado. Corrientemente los médicos no llegaba antes de las diez, pero aquella mañana todavía no eran las siete y dije a los presentes:

 


«Mirad; el médico está llegando; ahora está aparcando el coche en tal puesto».

 


Pero nadie me creía. Y yo continuaba diciéndole:

 


«Ahora está atravesando la carretera, lleva la chaqueta sobre el brazo y se pasa la mano por la cabeza como si estuviera preocupado, no sé que tendrá»...

 


Pero nadie daba crédito a mis palabras. Entonces dije: «Para que me creáis que no os miento, os confirmo que ahora el médico está subiendo en el ascensor y está para llamar a la puerta». Apenas había terminado de hablar, se abre la puerta y entró el médico quedando maravillados todos los presentes. Con lagrimas en los ojos, el doctor dijo:

 


«Sí, ahora creo en Dios, creo en la Iglesia y creo en el Padre Pío...». 

 


Aquel médico que primero no creía o cuya fe era como agua de rosas, confesó que aquella noche no había logrado cerrar los ojos pensando en mi muerte, que él había comprobado, sin dar más explicaciones. Dijo que a pesar del certificado de muerte que había escrito, había vuelto para cerciorarse qué era lo que había sucedido aquella noche que tantas pesadillas le había ocasionado, porque aquel muerto (que era yo) no era un muerto como los demás y que, efectivamente, no se había equivocado.

 


Conclusión Después de esta experiencia, Fray Daniele vivió verdaderamente el Purgatorio en esta tierra, purificándose a través de enfermedades, sufrimientos y dolores, conformándose siempre y en todo con la voluntad de Dios. Solamente recuerdo algunas intervenciones que sufrió: de próstata, coliscititis, aneurisma de la vena abdominal con relativa prótesis; otra intervención después de un accidente callejero cerca de Bolonia, prescindiendo ya de otros dolores no sólo físicos, sino también morales.

 


A la hermana Felicetta, que le preguntó cómo se sentía de salud, Fray Daniele le confió: «Hermana mía, hace más de 40 años que no recuerdo que significa estar bien».

 


Para terminar podría decir que este relato de Fray Daniele es un episodio más que prueba el amor de Fray Daniele por la Virgen. Fray Daniele falleció el 6 de julio de 1994. Mientras colocaban convenientemente sus restos mortales en la capilla de la Enfermería del Convento de los Hermanos Capuchinos, en San Giovanni Rotondo, y se recitaba el Rosario en sufragio de su alma, a algunos de los presentes les parecía que Fray Daniele movía los labios como para contestar al Ave María del Rosario. La voz se difundió tan rápidamente, que el superior, Padre Livio de Matteo, para quedar tranquilo, quiso cerciorarse de que no se trataba de una muerte aparente. Por este motivo hizo venir de la Casa Alivio del sufrimiento próxima, al doctor Nicolás Silvestri, ayudante de Medicina Legal y doctor José Pasanella, asistente también de medicina Legal, los cuales hicieron un electrocardiograma a Fray Daniele y le tomaron la temperatura, por lo cual confirmaron definitivamente su muerte.

 


Ahora Fray Daniele goza ciertamente de la visión beatifica de Dios y, desde el cielo, sonríe, bendice y protege.

 


(SOL DE FATIMA, número 188, pagina 26-27. noviembre-diciembre, 1999), 

 


«A algunos de los presentes les parecía que Fray Daniele moviera los labios, como para contestar al Ave María del rosario». Después de que el alma ya no estaba en el cuerpo de Fray Daniele, aún así, para aquellos, algunos de los presentes, veían como seguía orando al Señor.

 


«Y lo vieron más de uno.»

 


El cuerpo acostumbrado a tanta oración, todavía permanecía como si estuviera bien vivo, aunque en ese mismo momento su alma ya gozaba de la presencia de Dios. Se había convertido en instrumento de oración, aun cuando su alma había quedado libre de aquel cuerpo bendecido por Dios. Se cuenta también en la historia que ha habido personas que poco antes de morir, tuvieron deseos de pecar, y acabaron en ruina perpetua. Unos cuerpos se convierten en bendición y otros en maldición.

 


A esto, remito el Santo Rosario que Adry Treviño nos ha aportado para alivio de las benditas almas del Purgatorio:

 

Sagrado Corazón de Jesús en Vos Confío, Sagrado Inmaculado Corazon de María Santisima, sed nuestra salvación. Jesús y María Santísima, bendecid y proteged a todos tus hijos e hijas que participan con deseos de aprender las enseñanzas de Jesús en la Iglesia católica, Santa, Apostólica y Romana.