mercoledì 23 ottobre 2013

Obbedienza



I TESORI DI CORNELIO A LAPIDE: Obbedienza

Data: Domenica, 09 settembre @ 08:14:54 CEST
Argomento: Vita cattolica: Matrimonio, laicato...


1. Gesù modello di obbedienza. 

2. L'obbedienza è necessaria. 
3. Bisogna obbedire ai superiori. 
4. Se sia troppo difficile l'obbedire. 
5. Eccellenza dell'obbedienza. 
6. Vantaggi dell'obbedienza: 1° La vittoria; 2° L'obbedienza nutrisce l'anima; 3° E un rimedio; 4° Innalza l'uomo; 5° Attira le benedizioni di Dio; 6°.E la prima delle virtù della vita cristiana; 7° E principio di vera felicità; 8° E un segno di predestinazione; 9° Ha il merito e la gloria del martirio; 10° Procura una buona morte. 
7. Come bisogna obbedire.






1. GESÙ MODELLO DI OBBEDIENZA. - Di Gesù Cristo, l'evangelista scrive che stava sottomesso a Giuseppe e a Maria (Luc. II, 51). Con trent'anni di soggezione ai suoi parenti, Gesù ha voluto insegnarci che la perfezione della virtù e della religione sta principalmente nell'obbedienza. Il divin Redentore scelse, dice San Paolo, perdere la vita anzi che venire meno all'obbedienza (Philipp. II, 8). Grandi cose ha certamente fatto e detto il Figliuolo di Dio nei primi trent'anni di sua vita e il Vangelo le racchiude tutte in queste tre parole: - Erat subditus illis, - Egli stava loro sottomesso! Gesù Cristo faceva tutto per obbedienza: bisogna dunque dire che l'obbedienza è di un merito infinito... Tanto più se badiamo che egli, sebbene Figliuolo di Dio, imparò quest'obbedienza a costo di patimenti e di sacrifici (Hebr. V, 8). 


Del resto, qual conto facesse Gesù dell'obbedienza, lo possiamo udire da Lui medesimo: «Il mio cibo consiste nel fare la volontà di colui che mi ha inviato e di compire l'opera sua; io cerco la sua volontà e non la mia; sono disceso dal cielo non per fare quello che piace a me, ma la volontà di colui che mi ha mandato» (IOANN. IV, 34), (Id. V,3D), (Id. VI, 38). Una prova eroica di questa obbedienza ce la dà nel giardino degli Olivi, quando. in mezzo ad angosce ineffabili, esclama: «Padre, se a voi piace, passi da me questo calice; ad ogni modo però non si faccia la mia volontà, ma la vostra» (Luc. XXII, 42). 

Così egli adempì alla lettera quello che di sé già aveva predetto per bocca di Davide: «Eccomi: In capo al libro sta scritto di me, che avrei fatto la tua volontà; mio Dio, io l'ho voluto» (Psalm. XXXIX, 7-8). Avvertiamo qui con S. Agostino, che siccome l'obbedienza del secondo uomo è più lodevole perché lo portò ad essere obbediente fino alla morte, così tanto più abominevole è la disobbedienza del primo uomo, perché fu disobbediente fino alla morte (De Civ. Dei, lib. XIV, c. 15). Che meraviglia dunque, se l'obbedienza tiene un luogo splendido tra le virtù dei Santi, in ogni tempo?.. 

2. L'OBBEDIENZA È NECESSARIA. - «Ascolta, figliuol mio, dice il Savio, le correzioni di tuo padre, e non trascurare i comandi di tua madre» (Prov. I, 8). «Figliuoli, dice S. Paolo, obbedite ai vostri genitori, nel Signore; voi, servi, obbedite ai vostri padroni» (Eph. VI, 1, 5). Se S. Paolo, come osserva qui il Crisostomo, dà ordine così severo ai servi di obbedire ai padroni, con quanta più prontezza ed esattezza dobbiamo obbedire a Dio, che ci ha tratti da nulla, e ci nutre e ci veste, e ci conserva, e ci ha redenti! (In Ep. ad Eph.). 

Quando Iddio fa sentire la sua voce, bisogna obbedire e non discutere, dice S. Agostino (De Civ. Dei), lasciarsi cioè muovere dalla sua volontà come, secondo l'espressione di S. Giustino martire, l'argilla si lascia maneggiare dal vasaio (Epist.). Infatti, come diceva Samuele, «vuol forse Iddio vittime ed olocausti, e non piuttosto che si obbedisca alla sua voce? Vale di più l'obbedienza che non tutte le vittime» (I Reg. XV, 22). 
Il grande Apostolo scriveva a Tito, che ammonisse i fedeli e loro inculcasse di stare sottomessi al principi ed alle potestà, di obbedire alla parola e di essere pronti ad ogni buona opera (TIT. III, 1). Come si vede, questo testo apostolico ordina l'obbedienza verso tutti i superiori spirituali e temporali. 

Difatti osserva S. Lorenzo Giustiniani: «Come non ha nessuna speranza di vittoria un esercito senza capitano, e nessuna nave non arriva in porto senza un guidatore; così, senza obbedienza, è impossibile che l'uomo navighi sul mare della vita e non rompa negli scogli (De Ligno vitae, v. III)». «Molto importa all'uomo, dice S. Gregorio, che egli sia in tutti i suoi movimenti contenuta dalla legge e serva come un animale domestico incatenato, e viva sempre conforme alle leggi eterne (Lib. Moral.)». 

«Che altro ha fatto Gesù in mezzo a noi, se non obbedire per mostrarci la necessità dell'obbedienza?», dice il Venerabile Beda (Collectan.). «E che cosa ha fatto Gesù con la sua obbedienza, domanda S. Ambrogio, se non che adempire il precetto della pietà?» (Offic. lib. III, c. V). 
Gesù ha fatto un rigoroso precetto di obbedienza verso i superiori ecclesiastici, allorché disse agli apostoli: «Chi ascolta voi, ascolta me; chi disprezza voi, disprezza me» (Luc. X, 16). «Ricordatevi, dice Clemente Alessandrino, che se voi obbedite, avrete la luce eterna; se non obbedite, vi toccherà il fuoco (Strom. lib. III)». 

3. BISOGNA OBBEDIRE AI SUPERIORI. - Gli inferiori devono vedere nei loro superiori la persona medesima di Gesù Cristo e stare ai loro comandi come se venissero dalla bocca medesima del Salvatore... «Sia Dio, o sia l'uomo suo rappresentante, diceva S. Bernardo, colui che ci dà un comando, noi dobbiamo riceverlo e osservarlo con la medesima premura e riverenza. In tutto ciò che non fa apertamente contro Dio, noi dobbiamo ascoltare come Dio colui che per noi tiene il luogo di Dio... Se l'anima vuole regnare sopra la carne, deve prima stare sottomessa al suo superiore; perché tale troverà verso di sé il suo inferiore, quale essa si contenne col suo superiore, armandosi la creatura a vendicare il Creatore. Sappia dunque l'anima che ha ribelle a sé la carne, che essa non è sottomessa ai suoi superiori (Serm. I in Fest. omn. Sanctor.)». Anche S. Agostino ci fa osservare che l'anima ragionevole è padrona del proprio corpo, ma essa non saprà mai comandare a questo suo inferiore, se non serve essa medesima con tutta la soggezione della carità, a Dio suo signore (Enchirid.). 

«Obbedite - scriveva S. Paolo agli Ebrei, - ai vostri superiori e state loro sottomessi; affinché, dovendo essi vegliare su di voi, come incaricati di rendere conto delle anime vostre, adempiano questo ufficio con gioia, non con rammarico, perché questo a voi non giova» (Hebr. XIII, 17). «Siate soggetti a Dio, ripete S. Giacomo, e al vostri superiori come luogotenenti di Dio» (IACOB. IV, 7). 

S. Gerolamo accertava Rustico, che riesce salutare all'anima di chi obbedisce, ogni comando di un superiore di monastero; e lo ammoniva che era suo dovere l'obbedire, l'adempiere gli ordini imposti, l'osservare i comandi tacendo, senza pretendere di giudicarli (Epistola ad Rustic.). Perché, come già avvertiva San Gregorio, non sa discutere, chi ha imparato a obbedire prontamente (Lib. II in Reg). Dei monaci di Egitto attesta Cassiano, che ricevevano gli ordini dei loro superiori, come se fossero venuti direttamente da Dio, ed erano solleciti di uniformarvisi senza replicare. 

4. SE SIA TROPPO DIFFICILE L'OBBEDIRE. - A chi opponesse la troppa difficoltà che porta l'obbedienza, si potrebbe domandare se la sua obbedienza sia già stata posta a quei duri cimenti a cui fu posta l'obbedienza di alcuni santi personaggi dell'antico e del nuovo Testamento. Di Abramo, per esempio, leggiamo che Iddio volendone provare l'obbedienza, gl'intimò che sacrificasse sopra un monte, che gli avrebbe indicato, l'unigenito suo Isacco, amore e delizia del suo cuore paterno (Gen. XXII, 2). 

Notate l'obbedienza pronta, assoluta, intera, del buon patriarca! Dio lo. chiama, ed egli risponde subito: Eccomi - Adsum. - Dio gli manifesta la sua volontà, ma ciascuna delle sue parole è un colpo di spada: 1° Prendi, non uno straniero, ma tuo figlio...; 2° il tuo figlio unico...; 3° il tuo figlio diletto...; 4° il tuo Isacco, cioè la tua gioia...; 5° l'offrirai in olocausto; non lo farai immolare da mano straniera, ma tu, tu medesimo, suo padre, lo sacrificherai, adempirai le funzioni di sacrificatore...; 6° l'offrirai a me... Poteva ben egli rispondere... Dove sono le vostre promesse, o Signore, se io sacrifico questo figlio?... ma egli non muove labbro...; 7° tu lo offrirai in olocausto, cioè lo ridurrai in cenere tutto quanto, di modo che non resti nessuna parte del suo corpo a te suo padre...; 8° Tolle, prendilo, non mettere indugio all'esecuzione...; 9° esponiti ai disagi di un lungo viaggio e di una faticosa salita, per privarti dell'unico tuo sostegno... 

La nostra obbedienza viene messa alle prove a cui già fu assoggettata quella di Giobbe?.., di Tobia..., della madre dei Maccabei?.. Abbiamo noi da obbedire a ordini così severi e tremendi, come quelli cui si sottomise Gesù Cristo, come agnello condotto al macello? E Maria, e gli apostoli, forse che non ebbero nulla di difficile da compiere? «Chino il capo, dice S. Basilio, gli apostoli si sottoposero al giogo dell'obbedienza, e con lieta faccia e con animo pronto affrontarono le pubbliche piazze, le lapidazioni, gli oltraggi, le croci e diversi generi di supplizi (Homil. in Act. Apost.)»... Pensiamo ora quello che da noi si esige e facciamone il confronto. 

5. ECCELLENZA DELL'OBBEDIENZA. - La disubbidienza di Adamo perdette tutti gli uomini, l'ubbidienza di Gesù Cristo li ha salvati tutti. Papa Giovanni XXII dice: «Gran bene è la povertà, più grande è la castità, ma grandissimo è l'obbedienza: perché la povertà non regna che su cose esteriori e di poco valore; la castità domina su la carne; mentre l'obbedienza comanda su lo spirito e sul cuore» (Stor. eccles.).

Eccellentissima virtù è l'obbedienza, perché sottomette l'uomo a Dio e per mirabile vicenda Dio all'uomo... Immola a Dio in olocausto le più nobili facoltà dell'uomo, cioè l'intelletto e la volontà, le quali egli rinunzia e consacra a Dio nella persona dei suoi superiori. Perciò S. Gregorio, commentando quelle parole di Samuele a Saulle: «L'obbedienza è migliore del sacrifizio» - dice: «Il profeta parla così perché il sacrifizio delle vittime è immolazione di carne straniera, mentre l'obbedienza è immolazione della volontà propria (Moral. 1. XXXIV, c. X)». Tutto ciò che si fa per obbedienza, acquista un merito infinito e procura gran quantità di beni. Parlando di S. Francesco d'Assisi, S. Bonaventura scrive che questo gran Santo assicurava che tanto copiosa mercede ottiene l'obbedienza, che coloro i quali la praticano, non passano un istante senza ricevere qualche grazia... L'obbedienza è la madre delle virtù; perciò S. Gregorio scrive: «L'obbedienza è la sola virtù che semina le altre virtù dell'anima e seminate le conserva (Moral. 1. XXXIV, c. X)». Dio guida in modo certo e sicuro colui che si sottomette ai suoi superiori, e lo conduce direttamente al porto della salute. Dice S. Giovanni Climaco
«L'obbedienza è una perfetta abnegazione dell'anima e del corpo, una morte volontaria; è vita di umiltà senza inquietudine, navigazione senza pericoli, sepolcro della volontà; ci fa simili a un uomo che, anche dormendo, cammini e avanzi verso la mèta del suo viaggio. Vivere nell'obbedienza è un caricare su gli altri il proprio fardello, è un nuotare sostenuti dalla mano altrui, è un essere portati su le onde perché non naufraghiamo, ma passiamo senza rischio, per la via più spedita e più comoda, il grande e pericoloso oceano della vita» (Grad. IV). 

L'eccellenza dell'obbedienza si rileva da ciò che Gesù preferì l'obbedire al vivere. Egli si è fatto obbediente fino alla morte, dice San Paolo, e alla morte di croce. Ma ecco il premio che ricevette: «Perciò Dio lo esaltò, e gli diede un nome che è superiore ad ogni nome, tanto che al nome di Gesù si piega ogni ginocchio in cielo, in terra e nell'inferno» (Philipp. II, 9-10). 
Chi obbedisce volentieri si cattiva la grazia dei suoi compagni; ama di rendersi utile a tutti e di peso a nessuno; egli è pio con la divinità, buono con i suoi simili, riserbato col mondo; si porta da servo fedele con Dio, da buon amico col prossimo, da padrone con se stesso... «L'obbedienza, continua S. Giovanni Climaco, è una vita che non sacrifica nulla alla curiosità ed è fuori di ogni pericolo, è scusa immediata presso Dio, cammino sicuro, deposizione di un giudizio che spesso sbaglia, rinunzia di ogni desiderio pericoloso. Come gli alberi sbattuti dalla bufera si tengono diritti per mezzo di salde e profonde radici, cosi coloro che nella pratica dell'obbedienza sono esercitati e provati, mantengono la loro anima forte e irremovibile...». 

L'obbedienza è superiore ai sacrifizi: 

perché l'obbedienza è l'immolazione della volontà, e la volontà dell'uomo supera in valore ogni altra vittima. «L'uomo, dice S. Bernardo, tanto più piace a Dio, quanto più prontamente s'immola agli occhi di lui con la spada del precetto, reprimendo l'orgoglio del suo libero arbitrio (Epist.)». 

Perché l'obbedienza rende la nostra volontà conforme alla volontà di Dio, la quale, santissima in se stessa, è ancora forma e regola di ogni santità e virtù. Possono convenire alla volontà umana, trasformata in tale maniera, le parole del Signore: «Tu ti chiamerai la volontà mia» (ISAI. LXII, 4).
Perché l'obbedienza fa della volontà un sacrifizio vivente e continuo offerto a Dio, mentre gli antichi sacrifizi, oltre all'essere soltanto di carne di animali immolati, non duravano che pochi istanti. L'obbedienza è un olocausto nobilissimo, benché mistico, il quale consacra l'uomo intero al suo Creatore. In questo sacrifizio la volontà è immolata come una vittima; muore e intanto vive; muore a se stessa e vive in Dio e nella volontà divina. Perciò S. Gregorio afferma che è maggior merito il sottoporre la propria all'altrui volontà, che non il macerare il corpo con lunghi digiuni, o immolarsi con segreto sacrifizio per mezzo dell'interiore compunzione. Chi avrà imparato ad adempiere perfettamente la volontà dei suoi superiori, sopravanzerà in meriti e gloria nel cielo, quelli che digiunano e piangono (Mor.). 

Saper comandare e vincere se stesso è la più eccellente, è la più bella delle sovranità: chi obbedisce con semplicità e modestia è degno di comandare. «Dà orecchio, figlio mio, dice Iddio nei Proverbi, alle correzioni di tuo padre e non trascurare gli ordini di tua madre, affinché tu riceva una corona in capo, ed un monile al collo» (Prov. I, 8-9). Questa corona e questa collana, sono l'emblema dell'ornamento che l'obbedienza reca all'anima; essa la rende vaga e l'adorna una corona e una collana. Molte corone, principio di grazia e di bellezza, sono promesse all'obbedienza. 

La prima è la corona dell'amor di Dio e del prossimo... La seconda è la corona di tutte le virtù, perché l'obbedienza le rende obbligatorie o le consiglia. Essa comanda atti ora di religione, ora di sobrietà, ora di mortificazione, ora di modestia, ora di umiltà; ora di elemosina, ora di carità. Ecco in qual modo colui che si applica all'obbedienza, nell'esercizio di tutte le virtù si forma una bella e ricca corona, una magnifica collana. La collana può anche significare la pratica continua delle virtù e la loro unione abituale; e la corona il loro valore. L'abate Giovanni, interrogato in punto di morte dai suoi religiosi, come mai fosse arrivato a un cosi alto grado di perfezione, rispose: «Io non ho mai fatto la mia volontà, non ho mai comandato agli altri cosa alcuna che non abbia fatto io prima» (CASSIAN. De Instit. monach., lib. V, c. 28). La terza corona dell'obbedienza è la pienezza, l'abbondanza delle grazie, che Dio, rimuneratore dell'obbedienza, dà all'uomo veramente ed interamente obbediente...La quarta corona è quella del trionfo celeste e del paradiso. 

L'obbedienza è la salute di tutti i fedeli... È la madre di tutti i santi; per lei essi furono concepiti, partoriti, allattati, nutriti, vestiti; per lei crescono, si fortificano, salgono e toccano la perfezione. L'obbedienza mostra all'uomo il regno del cieli, glielo apre, ve lo introduce e lo la sedere sul trono. Bene sta, che quel capo che si curvo quaggiù sotto un giogo volontario, sia alzato e coronato di gloria: bene sta che la collana dell'onore adorni il collo di chi ha incatenato per amor di Dio la sua volontà. 

6. VANTAGGI DELL'OBBEDIENZA:

 l° La vittoria. - Il primo vantaggio dell'obbedienza sta nel renderci vittoriosi. Chiara e formale è la promessa dello Spirito Santo: «L'uomo obbediente narrerà vittorie» (Prov. XXI, 28). E sapete perché l'obbediente avrà vittorie da raccontare? «Perché, risponde S. Bernardo, quando umilmente ci assoggettiamo alla voce degli altri, noi vinciamo noi medesimi in fondo al cuore (Serm. de virt. Obed.)». Se con la vostra obbedienza voi vi assoggettate pienamente a Dio, alla sua legge e al suo volere, per piacere a lui in tutto, i vostri sensi, i vostri appetiti, il vostro corpo, i vostri pensieri, le tentazioni, la concupiscenza si sottoporranno al vostro spirito e alla vostra volontà; vi riuscirà facile il calmarle, e arriverete a dominarle come Adamo le dominò nell’Eden finché obbedì a Dio. Ma non appena ebbe disobbedito, subito sentì la sua carne ribellarsi a lui e la concupiscenza lo dominò. Se vi assoggettate al vostro superiore, tutto quello che è a voi inferiore, vi starà sottomesso; al contrario se vi ribellate a lui, avrete ribelle a voi tutto quello che a voi sta soggetto. 

A proposito di Adamo disobbediente osserva S. Agostino, che sarebbe stato ingiusto se il suo servo, cioè il suo corpo, avesse obbedito a lui che non aveva obbedito al suo Signore. Nel castigo di quel peccato, che pena fu mai inflitta alla disobbedienza, se non un'altra disobbedienza? (Tract. VIII in Ep. S. Joannis). Ah, conchiude altrove il medesimo Padre: «solo l'obbedienza tiene la palma, solo la disobbedienza incontra punizione (In psalm. LXXIII)». 
Gesù Cristo, obbedendo al Padre, ed anche ad Anna, a Caifa, a Pilato, ai suoi manigoldi, fino alla morte di croce, trionfò di tutto, del peccato, della morte, dell'inferno. La croce fu il carro trionfale, il trono del Salvatore; su la croce egli ascese per obbedienza, e su la croce sconfisse i suoi nemici, e fu dichiarato re... 

L'obbediente canterà vittoria 
1) sul demonio e su l'inferno... «Quando ci assoggettiamo agli uomini per riguardo a Dio, trionfiamo degli spiriti superbi, dice S. Gregorio; con le altre virtù combattiamo i demoni, con l'obbedienza li debelliamo. Vincitori dunque sono quelli che obbediscono, perché soggiogando in tutto la volontà loro a quella degli altri, comandano agli angeli decaduti per disobbedienza (In I Reg., lib. IV)»... Una delle principali ragioni per cui l'obbediente trionfa sui demoni, sta in ciò che egli con questa preziosa virtù scopre i loro tranelli. Perciò quel detto di S. Antonio: «È utile al religioso, che egli palesi, per quanto è possibile, tutti i passi suoi ai superiori, affinché tenga sempre la retta via» (Vit. Patr.). 

2) L'obbediente canterà vittoria sul mondo. Questo è chiaro perché non facendo egli mai la sua volontà, ma sempre quella di Dio, della Chiesa, dei suoi superiori, non farà mai quella del mondo, che è del tutto opposta a quella della Chiesa e di Dio... 

3) L'obbediente canterà vittoria sopra un nemico acerrimo e più pericoloso di tutti gli altri, sopra se stesso. Perciò il Kempis scrive: «Chi di buon animo e spontaneamente non si assoggetta al suo superiore, dimostra che egli non ha ancora del tutto obbediente la propria carne, che anzi frequentemente ricalcitra e gli mormora contro» (Imit. Chr. lib. III. c. 13). Con l'obbedienza l'uomo vince se stesso e la sua volontà, e soggioga il suo giudizio. Arrischiatissima impresa è servirsi della propria volontà, ma difficilissima e quasi impossibile è servirsene come bisogna; trionfarne poi con l'obbedienza è la più gloriosa e la più utile delle azioni. «In verità, dice Alvarez, vincere se stesso è la principale vittoria dell'obbedienza. Quando l'uomo, che vince tutto Il resto, giunga a dominare se stesso, si dimostra potentissimo, e più gloria ritrae da questo gran fatto che da ogni altra vittoria. Con l'obbedienza l'uomo trionfa di se stesso, perché lega il suo giudizio, incatena la sua volontà, preserva da una fallace libertà il suo corpo e tutte le sue pericolose inclinazioni, mette tutte le sue facoltà a servigio di Dio. Trionfa di se stesso, perché fa violenza ai suoi desideri, e per amar di Dio si assoggetta liberamente alla volontà di un altro» (Tract. de Obedient.). 

L'uomo obbediente proclamerà adunque e celebrerà le sue vittorie, riportate su l'inferno, sul mondo, su di se stesso, e molti e grandi premi ne riceverà da Gesù Cristo, secondo le promesse da lui fatte 
nell'Apocalisse, dove è detto che al vincitore sarà dato da mangiare dell'albero della vita che è nel paradiso di Dio; gli sarà data una manna nascosta e una bianca pietra, su la quale starà scritto un nome nuovo che nessuno conosce, eccetto colui che lo riceve; acquisterà diritto di signoria su tutte le nazioni, e più non avrà a temere la seconda morte. Sarà vestito di bianca stola; il suo nome non sarà mai cancellato dal libro della vita, ma riconosciuto e consegnato da Gesù Cristo in faccia al Padre e alla corte angelica. Sarà costituito come colonna nel tempio di Dio e non ne sarà più smosso: Gesù Cristo scriverà sopra di lui il nome di Dio e il nome della città di Dio, la nuova Gerusalemme discesa dal cielo da Dio, ed il nome nuovo del medesimo Gesù Cristo. Gli sarà concesso di sedere sul trono medesimo del Figliuolo di Dio incarnato. Colui che riuscirà vincitore possederà tutte queste cose, e Dio sarà suo Dio, ed egli sarà suo figlio (Apocal. II, 7, 11, 17, 26 - III, 5, 12, 21 - XXI, 7). Quando mai si udirono promesse o più splendide o più vantaggiose? Ora Gesù Cristo le adempirà tutte a favore di chi avrà praticato l'obbedienza, perché questi solo riporta vere vittorie. 

4) L'uomo obbediente uscirà vittorioso di ogni sorta di nemici, cioè di tutti gli uomini empi o malvagi, o ipocriti... Che più? sarà vincitore di Dio medesimo, perché Dio esaudisce sicuramente chi pratica l'obbedienza; o, secondo la frase del Salmista, «farà la volontà di colui che gli obbedisce e lo teme» (Psalm. CXLIV, 19). S. Domenico diceva che in forza della sua obbedienza otteneva tutto ciò che dimandava a Dio (In Vita). Tutti i Santi in tutti i tempi hanno fatto la medesima esperienza, Dio obbediva loro, perché essi obbedivano a lui. 

L'obbedienza ci fa trionfare della terra, degli animali, del mare, del fuoco, del sole, del cielo e dell'inferno. Tutto quello che si fa per obbedienza riesce quasi sempre bene per virtù di quel Dio a cui si obbedisce. Obbedendo a Dio, Mosè trionfò del Mar Rosso; Giosuè divise il Giordano e comandò al sole; i tre fanciulli gettati nella fornace ardente rimasero illesi. Perché obbedisce a Gesù, Pietro cammina su le onde come su terra ferma. Quante volte grandi Santi arrestarono terremoti ed altri flagelli! Dio non nega nulla all'uomo obbediente e l'inferno medesimo è costretto a sottomettersi a colui che obbedisce a Dio. 

L'obbedienza nutre l'anima. - Il secondo vantaggio dell'obbedienza proviene da ciò che essa è eccellente nutrimento dell'anima. «Il mio cibo, disse Gesù, è di fare la volontà di Colui che mi ha mandato» 
(IOANN. IV, 34). Sappiano i cristiani che loro alimento spirituale dev'essere l'obbedienza, perché 1) nutrisce l'anima; 2) la rinvigorisce, come il pane fortifica il corpo; 3) la fa crescere finché tocchi l'età virile dello Spirito Santo o della virtù, come il cibo fa crescere i bambini e li trasforma in uomini. 

E’ un rimedio. - Il terzo vantaggio che reca l'obbedienza è che purifica e guarisce l'anima e talora anche il corpo. Elia comandò a Naaman Siro di andarsi a lavare sette volte nelle acque del Giordano; egli obbedisce, e la sua lebbra scompare su l'istante (IV Reg. V). I dieci lebbrosi ricevono da Gesù Cristo l'ordine di andarsi a presentare ai sacerdoti; obbediscono, e mentre vanno si trovano guariti (Luc. XVII). 

4°. Innalza l'uomo. - Il quarto vantaggio dell'obbedienza sta in ciò, che innalza l'uomo, lo fa crescere in dignità e lo nobilita. Mosè obbedisce a Dio, diventa capo del popolo eletto, opera numerosi e stupendi prodigi, fa tremare di sgomento l'Egitto e il cuore indurito del suo re colpevole. Obbediscono gli apostoli a Gesù Cristo, e divengono, in grazia della loro obbedienza, i fondatori della cristianità, i principi della Chiesa militante e trionfante. 

5°. Attira le benedizioni di Dio. - Dio spande le sue più elette benedizioni su quelli che l'obbediscono. Per la sua obbedienza, Abramo merita di udirsi dire da Dio: «Ti farò ceppo di una grande nazione, ti benedirò, esalterò il tuo nome, e tu sarai benedetto. Benedirò coloro che a te benediranno, maledirò quelli che ti malediranno; e in te saranno benedette le nazioni tutte della terra» (Gen. XII, 2-3). In premio della sua obbedienza, Abramo è colmato di benedizioni temporali e spirituali e concorre alla grande benedizione dell'universo, proveniente dall'incarnazione del Verbo.. 

Sette benedizioni o ricompense dell'obbedienza ravvisa il Cardinal Gaetano nelle parole di Dio ad Abramo. Con 1.a il patriarca è stabilito capo di una grande nazione... La 2.a è una benedizione di ricchezze e di frutti, significata da quelle parole: - Io ti benedico... - La 3.a è la celebrità e la gloria promessa al nome di lui... La 4.a è la riunione di tutte le benedizioni e dL tutti i beni accennata in quella frase: ­ E tu sarai benedetto... - La 5.a è la promessa di benedire quelli che lo benediranno... La 6.a è quella di essere suo custode e vendicatore... La 7.a è la dichiarazione che tutte le nazioni saranno benedette in lui, cioè per riguardo all'obbedienza da lui mostrata nell'essere disposto a sacrificargli il figlio ad un solo suo cenno, egli avrebbe versato su la terra tutta la sua benedizione, facendo nascere dalla sua stirpe il Redentore del mondo (DELRIO, Commento in Gen.). 

Mosè, consegnate agli Israeliti le tavole della legge, loro disse: «Io vi porgo quest'oggi la benedizione e la maledizione: la benedizione, se obbedite ai comandi del Signore Dio vostro; la maledizione, se disobbedite» (Deuter. XI, 26, 28). La voce interiore di Dio ha fatto intendere a ciascuno di noi la stessa promessa e la stessa minaccia. 
6°. E’ la prima delle virtù della vita cristiana. - Quattro religiosi andarono a trovare S. Pambo, pregandolo che volesse accoglierli sotto la sua direzione. Ora il venerabile abate non volendone ammettere più che uno, li tastò intorno all'idea che ciascuno di essi si era fatta della perfezione religiosa. Il primo praticava un continuo digiuno; il secondo, la povertà; il terzo, la carità; il quarto, l'obbedienza. S. Pambo scelse quest'ultimo, dicendo: Gli altri tre tengono della propria volontà le virtù che esercitano, mentre quest'ultimo, rompendo la propria volontà, si assoggetta al volere di un altro e può quindi conseguire ogni sorta di virtù. La condotta e le parole di questo Santo 
dimostrano quale posto tenga fra le virtù l'obbedienza, e quanto la perfezione cristiana s'avvantaggi per mezzo di essa. 

7°. E’ principio di vera felicità. - «Disse il Salvatore a Simone: Spingi in alto mare, e getta le reti per la pesca. Maestro, risponde Simone, già vi ci siamo affaticati tutta la scorsa notte e non abbiamo preso nulla; ma su la tua parola spiegherò la rete. E ciò fatto, tanta fu la copia di pescagione; che la rete si rompeva per il troppo peso» (Luc. V, 4-6). Bel simbolo dell'utile e della prosperità che produce l'obbedienza ! 

Quanti uomini gli apostoli non trassero dall'abisso e condussero al cielo, perché obbedienti predicarono nel nome di Gesù Cristo!... Leggiamo nella vita di S. Francesco Saverio che quando egli stava per andare nelle Indie, i suoi amici cercavano di distoglierlo, dipingendogli i pericoli del caldo eccessivo e la difficoltà di provvedere ai suoi bisogni, e la barbarie degli abitanti, che adoperavano il ferro e il veleno perfino contro i loro familiari. Il grande missionario loro rispose: Pericoli ben più spaventosi e terribili, di questi io creerei a me stesso, se non obbedissi a Dio che mi chIama. Partì dunque e nella sola città di Tolo convertì venticinque mila indigeni formandone tanti ferventi cristiani. Ecco i vantaggi dell'obbedienza! 

Samuele poneva tutta la sua cura e la sua gioia nell'obbedire ad Eli. Per questa obbedienza, dice S. Efrem, meritò d'intendere la voce di Dio (Serm. III). «Felici quelli, esclama Origene, che, praticano l'obbedienza, che sopportano il freno, che fanno tutto ciò che Dio vuole e che prendono per guida i suoi comandi; essi non camminano secondo la loro volontà, ma diretti in tutto dalla volontà di Dio; nel che sta la sorgente della più alta felicità» (Homil. I in Cant.)... Che felicità, infatti, è paragonabile a quella di colui che è sicuro di fare in tutto e del continuo la volontà di Dio! Dove trovare utilità più grande?... 

8°. E un segno di predestinazione. - L'obbedienza è segnale più sicuro di predestinazione. Obbedire a Dio è il segno evidente di salute; al contrario disobbedire a Dio, è segno e causa dell'abbandono di Dio e della riprovazione, perché si disobbedisce a Dio per seguire le proprie inclinazioni, la volontà, le passioni perverse e corrotte. Gesù Cristo disse ai Giudei: «Le mie pecore ascoltano la mia voce; io le conosco ed esse mi vengono dietro; io dò loro la vita eterna; esse non andranno mai perdute, e nessuno me le strapperà di mano» (IOANN. X, 27-28). Ecco perché colui al quale sta a cuore la sua salute deve sempre desiderare e domandare questa sola cosa, cioè che Dio lo diriga nei suoi affari, nelle sue azioni, e che egli medesimo abbia la volontà di seguirlo, di obbedirgli, e di non dar retta ad altri che a lui. Infatti le vie preparate da Dio sono certe e sicure, e il non abbandonarle è predestinazione e salvezza. Quelli che docilmente si lasciano condurre in questo modo, sono esenti dal peccare e non arrischiano la propria salute: corrono invece il pericolo di perderla colore? i quali, volendosi dare vanto di saggi e d'illuminati, non prendono Dio per guida, ma scelgono di proprio capriccio le loro vie. 
Giona, col fuggire da Dio, gli recò disgusto, perdette la patria, l'uso del tempio e quasi la vita, corse i rischi del mare, e non ebbe per altare sacro altra terra che la profana di Tarso. Così i disobbedienti si lanciano nei più terribili pericoli, perdono Gesù Cristo, vero pilota, e fanno naufragio; mentre gli obbedienti che si lasciano guidare da Gesù Cristo, viaggiano senza rischio sul mare del mondo, lo attraversano senza fare naufragio e giungono felicemente al porto della salute. «Potrebbe mai, esclama il Salmista, l'anima mia non starsene soggetta a Dio, se da lui solo viene la mia salute?» (Psalm. LXI, 1). 

Ha il merito e la gloria del martirio. - S. Gerolamo, scrivendo ad Eustochio della morte di S. Paola, così si esprimeva: «Della corona di lungo martirio fu coronata la madre tua. Poiché non la sola effusione del sangue è confessione di fede; ma è martirio quotidiano anche la servitù immacolata di un'anima pia (Epistola)». 
10° Procura una buona morte. - L'uomo obbediente muore nella pace del Signore. L'abate Giovanni, in fine di vita, raggiante di gioia diceva: «Muoio contento perché non ho mai fatto la mia volontà» (Vit. Patr.). Nessuno mai, infatti, meglio dell'obbediente, adempie quel precetto del Signore: «Allontanati dal male e fa' il bene» (Psalm. XXXVI, 27). Ora come potrà provare inquietudine sul letto di morte, colui che non ha fatto il male, ma che visse nella pratica della virtù? 
Obbedienza: ecco dunque il gran segreto per incontrare la morte, non solo senza spavento, ma con gioia; l'immagine dell'inferno non conturba l'anima e la speranza del paradiso la rallegra. «Cessi la volontà propria, dice S. Bernardo, e non ci sarà più inferno (Serm. III de Resurrect.)». Ma solo l'obbediente rinunzia al proprio volere: egli dunque, più che ogni altro, non va esposto a pericolo di dannazione; è anzi sicuro di arrivare al cielo, avendo per garanzia quelle parole di Gesù Cristo: «Sta di buon animo, servo buono e fedele, poiché sei stato fedele nel poco, entra nel gaudio del tuo Signore» (MATTH. XXV, 21). 

7. COME BISOGNA OBBEDIRE? - Come bisogna obbedire? Dice S. Paolo: «Fate ogni cosa che vi è imposta senza mormorazione od esitanza; affinché siate in tutta semplicità figli di Dio, senza rimprovero» (Philipp. II, 14-15). Vedete Saulo prostrato nella via di Damasco. Cadendo a terra, ode una voce che gli grida: Saulo, Saulo, perché mi perseguiti? Chi siete voi, o Signore? egli risponde; e appena udito: - Io sono quel Gesù che tu perseguiti - subito domanda: Che volete, o Signore, ch'io faccia? (Act. IX, 6); ed eseguisce tosto gli ordini che gli vengono dati. Ecco il modo con cui si deve obbedire. 
«Colui che poco innanzi perseguitava e infieriva contro i fedeli, già si prepara ad obbedire, osserva S. Agostino: quindi in quel medesimo istante si cambia di persecutore in predicatore, di lupo in agnello, di nemico in soldato di Gesù Cristo». 
«L'uomo veramente obbediente, dice S. Bernardo, tiene pronte le orecchie a udire, la lingua a rispondere, le mani a operare; i piedi a camminare; e così tutto in se stesso si raccoglie, per obbedire prontamente agli ordini che gli sono dati (De praecept. et dispensat.)». «Il vero obbediente, dice S. Gregorio, non sofistica sull'intenzione di chi gli ha dato un ordine; non fa distinzione tra precetti e precetti; perché chi ha affidato la direzione di tutta la sua vita al suo superiore non conosce altra gioia che quella di fare esattamente ciò che gli è imposto; una sola cosa parendogli bene, l'obbedire ai comandi (In Samuele)». 
Dove conduca la titubanza nell'obbedire, ce lo mostra la disgraziata Eva. Dio afferma che se Adamo ed Eva toccano il frutto vietato, morranno. - Ma Eva, tentata dal serpente, tentenna nell'obbedire e quindi mette in dubbio che, se disobbediscono, morranno. - Il serpente nega recisamente che ciò possa essere. - Ed Eva perché ha indugiato a seguire gli ordini del Signore, perde l'innocenza e trae con sé nella rovina i figli suoi... I superiori comandano, gli inferiori tentennano e discutono; arriva il demonio, nega l'obbligo di obbedire, e si finisce come finirono Adamo ed Eva... 

Come bisogna obbedire? Come Abramo. «Esci, gli dice Iddio, dalla patria, dalla parentela, e dalla famiglia del padre tuo e vieni alla terra che t'indicherò. E Abramo se ne andò, come gli aveva comandato il Signore» (Gen. XII, 1, 4). L'obbedienza di Abramo ci sia il modello della perfetta ubbidienza. 
La prima qualità sta nell'obbedire prontamente e di piena volontà. Abramo non esita neppure un momento. 
«Chi obbedisce fedelmente, dice S. Bernardo, non sa che cosa sia indugio; fugge il domani, non conosce ritardo, previene colui che comanda (De virt. obed. Serm.)». E in altro luogo: «Il vero obbediente rinunzia al suo volere o non volere, per poter dire: Il mio cuore è pronto, o mio Dio; pronto a fare tutto quello che ordinerete; pronto ad obbedire al minimo cenno; pronto ad occuparsi di voi, a servire il prossimo, a guardare me stesso, ad attendere alla contemplazione delle cose celesti (Serm. de Epiph.)». 
La seconda è di obbedire con semplicità; il che si avvera quando sottomettiamo il nostro giudizio a quello dei nostri superiori. Abramo parte senza sapere dove andrà. Chiamati da Gesù Cristo, Pietro e Andrea lo seguono immediatamente, senza darsi pensiero del come vivranno; senza esaminare come mai essi, ignoranti pescatori, diventeranno pescatori di uomini. «Abbandonata ogni cosa, seguirono Gesù Cristo» - dice l'Evangelista. «Siate certi, dice S. Gerolamo, che tutto quello che ordina un superiore è salutare; non giudicatene di vostro capo» (Epl. ad Rustic.). «E chi sa bene obbedire, non sta a giudicare», dice S. Gregorio (In Samuel.). 
L'obbedienza semplice e perfetta ignora i motivi che possono muovere chi comanda: non si lascia fermare o intiepidire da comandi duri, o duramente dati, né dalle gravi prove alle quali può soggiacere, ma si appoggia sopra una larga volontà e si eleva fino all'altezza della carità. Armata di coraggio attivo, di risoluzione pronta, di abnegazione intera, ella abbraccia tutto ciò che le è comandato. 
La terza consiste nell'obbedire con gioia. Così si diportarono gli Apostoli in mezzo alle più crudeli prove, alle persecuzioni, alla morte... 
La quarta è di obbedire con umiltà... 
La quinta di obbedire con coraggio e costanza. «Confidatevi sempre a Dio, scrive S. Agostino, abbandonatevi interamente nelle sue mani; cosi egli non cesserà di sollevarvi fino a sé e non permetterà che avvenga cosa se non utile anche a vostra insaputa (Soliloq. lib. I, c. XVI)». 
La sesta è obbedire con indifferenza e pieno abbandono. Poco importava ad Abramo il luogo, in cui Dia lo chiamasse; egli abbandonava interamente a lui la cura del suo avvenire. S. Agostino dice: «Non possiamo offrire a Dio nessuna cosa più gradita, che il dirgli con Isaia: Possiedici (In Psalm. CXXXI)». 

La settima è di obbedire con perseveranza... Così Gesù Cristo fu obbediente fino alla morte. 
Vero esemplare di obbedienza è Samuele; chiamato diverse volte nel cuore della notte, egli risponde immantinente e si presenta pronto ad obbedire... «Tutto umile e soggetto ad Eli e sostenuta dall'obbedienza, questo giovane, dice S. Gregorio, è chiamato e viene; è rimandato, si parte; e questo fa per tre volte di seguito. Chi di noi in simile caso si sarebbe trattenuto dal mormorare? Chi frenerebbe la sua impazienza se, chiamato ripetutamente, udisse sempre rispondersi che non fu chiamato?» (In Samuel.). Il vero obbediente deve imitare Tobia il quale, uditi gli ultimi ammaestramenti del padre, rispose: «Io farò, padre mio, tutto quello che mi avete ordinato» (Tob. V, l). 
«Lo spirito del giusto medita l'obbedienza», leggiamo nei Proverbi (Prov. XV, 28); cioè riflette sui motivi che lo spingono ad obbedire, si studia di mitigare il rigore degli ordini che presume essergli stati dati, affinché nel punto in cui il superiore lo chiamerà a sé e gli ingiungerà qualche cosa di duro, risponda pronto e lieto come Samuele: «Eccomi» (I Reg. III), a con S. Paolo: «Signore, che cosa volete ch'io faccia» (Act. IX, 16). Egli medita sopra tutto l'obbedienza di Gesù Cristo che si è fatto obbediente fino alla morte, ed alla morte di croce, per insegnare a noi ad obbedire, e salvare; con l'esempio e col merito della sua obbedienza, noi che eravamo perduti per la disobbedienza di Adamo. In questo senso a ciascuno di noi è detto: «Guarda, e fa' secondo il modello che ti è stato mostrato sul monte (Calvario)» (Exod. XXV, 40). 

Il giusto medita sui diversi gradi dell'obbedienza, per poterli raggiungere. Questi gradi sono tre. Il prima, meno perfetto, sta nel fare ciò che ci è comandato... Il secondo è di volere e amare l'opera prescritta e compierla volentieri, prontamente e con coraggio... Il terzo è di non solamente volere quello che è comandato, ma di crederlo migliore di quello che vorremmo noi medesimi; di guisa che non solo si sottomette volentieri la propria volontà a quella del superiore, ma anche il proprio giudizio, credendo che quanto ordina il superiore vale più di quanto potrebbe suggerire sia lo spirito privato, sia qualunque altra persona... Il giusto si propone, dice l'Apostolo, di obbedire con gioia e non con tristezza o per necessità (Hebr. XIII, 17). La serenità del volto e la dolcezza del parlare dànno all'obbedienza un bell'incanto e un soave profumo. Come si può dire che vi sia questa virtù dove si trova l'asprezza e il malgarbo? I segni esteriori indicano la disposizione dell'animo, ed è difficile che chi ha cattiva volontà non la manifesti nei tratti. 

Si unisca all'obbedienza la carità che è sua sorella: esse devono andare unite e legate insieme, perché l'una perfeziona l'altra. I perfetti, obbediscono amando, e amano obbedendo; l'amore dell'obbedienza porta ad amare i superiori, come i propri genitori...; 2° amano quello che loro è ordinato...; amano la loro obbedienza e quest'amore la rende facile e perfetta. Infatti, come dice S. Leone, l'amore dell'obbedienza addolcisce l'ordine di obbedire: non si obbedisce più per dura necessità, quando si ama quello che è prescritto (Serm. VI, de Ieiun.).
S. Ambrogio, commentando quelle parole del Salmista: «Signore, io ho alzato le mie mani verso i vostri comandi che ho amato» (Psalm. ex VIII, 48), scrive: «Davide amava i comandi del Signore, per compirli volentieri. Difatti chi ama, fa volentieri quello che gli è ordinato; chi teme, obbedisce solo per necessità (Serm. XIII)». S. Bonaventura distingue tre specie di obbedienza: l'obbedienza per necessità, l'obbedienza per piacere o interesse, l'obbedienza per carità: solo l'obbedienza per carità è grande (Proces. VI, Relig. c. XL), perché essa sola, dice S. Bernardo, ha per effetto di rendere l'obbedienza gradita e accetta a Dio (Serm. in Fest. Omn. Sanct.).


La lingua




I TESORI DI CORNELIO A LAPIDE: La lingua

Data: Domenica, 04 maggio @ 09:56:14 CEST
Argomento: Vita cattolica: Matrimonio, laicato...


1. La lingua è l'interprete dell'anima e del cuore
2. Stoltezza e pericolo del parlare troppo
3. Chi ciarla molto commette molti peccati.
4. Il parlare troppo porta confusione e fa perdere il tempo
5. Danni della cattiva lingua
6. Chi ha cattiva lingua manca di religione
7. È proibito profanare la lingua
8. Chi parla male dovrà sempre pentirsene
9. Ciascuno renderà conto delle sue parole
10. Castighi della lingua cattiva.
11. Le cattive lingue si devono fuggire
12. Ottima cosa è la lingua, quando se ne faccia buon uso
13. vantaggi che derivano dal buon uso della lingua.
14. Bisogna fare buon uso della lingua
15. Mezzi per ben servirsi della lingua
16. Bisogna osservare il silenzio.





1. LA LINGUA È L'INTERPRETE DELL'ANIMA E DEL CUORE, - Qual è il linguaggio, tale è il cuore... Volete voi conoscere l'anima di qualcuno? Ascoltate le sue parole, perché «la bocca riversa la pienezza del cuore, disse Gesù Cristo; perciò l'uomo buono trae dalla bontà del suo cuore buone parole, e l'uomo cattivo cava da un tesoro cattivo, cattive mercanzie» (MATTH. XII, 34-35; Ecco perché Socrate diceva a un giovane: «Parla, o ragazzo, perché io ti veda (De lingua)». La lingua è lo specchio dell'anima...

Quando si apre un vaso pieno d'immondizie, spande tutt'intorno un fetore pestilenziale e così il cuore malvagio, allorché si apre, esala per la bocca la corruzione di cui è pieno; macchia e avvelena coloro che conversano con esso. Dalla bocca, che racchiude un delizioso profumo, emana un odore soave; tale è la lingua che serve ad un cuore puro, ad un'anima innocente.
Ancora una volta: volete voi penetrare il segreto di un cuore? volete vederne l'anima, conoscerne l'interno? ascoltate quello che dice spesso e con compiacenza... Se incontrate uno che si diletti di parole vane e inutili, di discorsi sconci, di parole di superbia, d'invida, di maldicenza, di collera, sappiate che il cuore di lui è vano, superbo, curioso, collerico, geloso, corrotto... Se al contrario, una persona vi si mostra nel conversare riservata, morigerata, casta, se i suoi trattenimenti versano su oggetti seri, utili, pii, virtuosi, sappiate che l'anima sua è tempio dello Spirito Santo, che il suo cuore è puro, umile, caritatevole... Dall'odore che esala, voi giudicate se un vaso contenga vino, o aceto, o balsamo; lo stesso dite della Lingua riguardo a una persona; essa ne rivela l'anima.


«Essi sono del mondo, scrive S. Giovanni, perciò parlano del mondo, e il mondo li ascolta. Ma quanto a noi, siamo di Dio e chi conosce Dio ci ascolta. Chi, al contrario, non conosce Dio, non ci ascolta ed è questo il segno da cui discerniamo lo spirito di verità dallo spirito di errore». (I IOANN. IV, 5-6). L'uomo che ama occuparsi di fole, mostra uno spirito leggero, frivolo, imprudente... Se è proclive alle frasi sconvenienti, turpi, disoneste, lascia travedere che in fondo al suo cuore bolle la lussuria... Se è corrivo a dir male del prossimo, dà prova che l'anima sua non conosce né carità, né giustizia, né coscienza... Se parla volentieri di odio e di vendetta è segno che il suo cuore è agitato dalle passioni... «Un discorso vano manifesta una coscienza leggera», scrive S. Bernardo (Epist.).


Come ciascun uomo parla il linguaggio della sua nazione, casi chi ha un'anima spirituale e celeste, ama trattenersi di argomenti spirituali e celesti; chi ha il cuore alla terra, discorre di cose terrene... «L'uomo è ricco dei frutti che cadono dalla sua bocca» (Prov. XII, 14); «e la gola degli empi ribocca di malizia» (Ib. XV, 28), leggiamo nella sacra Scrittura; questo, dice Giobbe, perché «l'iniquità del cuore muove le labbra a parlare» (IOB. XV, 5); o, come s'esprime l'Ecclesiastico: «Il cuore degli insensati è su la loro lingua e la bocca del Savio è nel cuore» (Eccli. XXI, 29).


2. STOLTEZZA E PERICOLO DEL PARLARE TROPPO. - Il tuono fa udire lontano i suoi rombi e che cosa produce? Le tempeste rumoreggiano e quali ne sono gli effetti ? Ebbene, i ciarloni somigliano al tuono e alle tempeste, fanno gran rumore e sono pericolosi. Il vocabolo fatuus, fatuo, ha sua radice nel verbo fari, ciarlare; il che vuol dire che coloro i quali parlano molto ed a vanvera, sono stolti e dissennati. Perciò diceva Salone: «Lo stolto non sa tacere (Ita Stobaeus, serm. XXXIV)» Teocrito udendo discorrere di Anassimene, così lo qualificava: «Una goccia di buon senso, galleggiante in un fiume di parole (STOBAEUS, sermon. XXXIV)»; un antico padre del deserto chiamava « stalla senza uscio» l’uomo che non sa frenare la lingua (In Vit. Patr.).


«Come l'acqua chiusa fra dighe ingrossa e si solleva, così l'anima chiusa al mondo si innalza fino alle regioni celesti» scrive San Gregorio, mentre se si divaga in bassi negozi, si snerva e perisce. Quanto più si sottrae dalla salutare disciplina del silenzio, tanto più, come per tanti rigagnoli, si spande fuor di sé; e così non ha più forza da ritornare in se stessa e avere cognizione del suo stato, perché il ciarlare la dissipa e le toglie ogni vigore di meditazione.


Ecco perché la Scrittura dice: L'uomo che non sa frenare le lingua, è come cittadella smantellata (Prov. XXV, 28). L'anima, che non è protetta dal muro del silenzio, sta esposta agli assalti del nemico. Per le sue parole ella si mette allo scoperto, si espone ai colpi del suo avversario il quale può tanto meglio abbatterla perché essa, col troppo ciarlare, combatte contro se stessa e aiuta alla propria disfatta (ad Monit. c. XV)».

«L'insensato moltiplica i suoi d scorsi» (Eccle. X, 14); «e le labbra degli imprudenti narreranno stoltezze» (Ib. XXI, 28); cioè i discorsi dello stolto, del ciarliero, sono di cose insipide, immodeste, arroganti, imprudenti... ma essi lo trarranno a rovina, dice l'Ecclesiaste (Eccle. X, 12). E l'autore dei proverbi ci assicura che vi è più da sperare della correzione di un pazzo che non di un uomo avventato nel parlare (Prov. XXIX, 20). E viceversa: «quelli che lasciano che il loro senso si depravi, sono leggeri, scrive S. Gregorio, e pronti a parlare senza regola, né misura (Moral. lib. V, c. XI)»; essi, come dice il Salmista, si perdono in frivoli discorsi (Psalm. XI, 3); e «la loro bocca versa stoltezza» (Prov. XV, 2).


Il chiacchierone somiglia a uno straniero il quale, non avendo né terra, né casa, va girando per vie sconosciute e regioni ignote, spesso sbaglia strada, più spesso ancora si mette per sentieri che lo allontanano dalla mèta e lo conducono tra rocce e precipizi. L'imprudente parla di ciò che non sa e giudica di quello che non conosce; va da uno sproposito all'altro; si allontana dalla verità, dal giusto e dall'onesto; salta di palo in frasca, prende granchi, cade nel falso e nel ridicolo, si dà a ciance sconce e nauseanti, il cui minore difetto è di riuscire insipide e inutili.


«Il moltiloquio, scrive un autore, è prova d'insipienza, strumento di menzogna; conduce alla scurrilità e alla leggerezza, tracanna a larghi sorsi la maldicenza, soffoca il pentimento, produce l'accidia, dissipa la divozione, rende difficile la preghiera, intepidisce il fervore della pietà, estingue la pace, distrugge ogni rettitudine (Henrici Harpii, lib. I, Cant. p. II, cap. XXXV)».


«Molto sonori sono i vasi vuoti, dice Ausonio; gli scemi sono bocche loquacissime (Ita Laertius, lib. VII)». «E siccome sono inutili gli edifizi senza uscio che ne difenda l’entrata, similmente, e più ancora, avverte Plutarco, non serve a nulla la bocca che non sa stare chiusa (Lib. de garrulit)». Anzi, come dice Teofrasto, «si può fare più a fidanza con un cavallo sbrigliato, che non con chi parla molto ed a sproposito (Ita Laert., lib. VII, c. V)».

3. CHI CIARLA MOLTO COMMETTE MOLTI PECCATI. - «Essi parlavano di cose vane, dice di costoro il Salmista, ed il cuore loro si è riempito d'iniquità» (Psalm. XL, 6). «Nella moltitudine delle parole, difficile è che non s'insinui il peccato», sentenzia il Savio (Prov. X, 19). «O quanto è vera, esclama qui S. Bernardo, questa sentenza, che è impossibile parlare molto e non peccare! (Serm. de Triplici custod.)».

L'abbondanza delle parole è una passione che signoreggia interamente l'uomo in cui si è introdotta; gli fa dire quello che gli converrebbe tacere; nella foga del ciarlare, egli cade facilmente nel peccato; perché quando la lingua è continuamente in moto, la memoria sbaglia, incespica e facilmente si confonde il vero col falso, l'utile col nocevole, il necessario con l’inutile. In mezzo al profluvio impetuoso delle parole chi baderà alla prudenza, alla circospezione? Perché noi vediamo i ciarloni intricarsi in uno spinaio d'imprudenze, offendere ora gli uni ora gli altri, schernire, affilare la lingua a maldicenze, non perdere nessuna occasione di eccitare l'odio, di fare affronti...

«Se disgraziatamente ci uscì di bocca parola men che ponderata, chiudiamo almeno la porta, avverte S. Ambrogio; affinché non v'entri la colpa. Ecco in qual modo entra il peccato nel cuore. Chi parla molto, dice la Scrittura, non si sottrae al peccato. Le parole uscirono e il peccato entrò; poiché quando si parla troppo, non si pesano le frasi, ma si gettano la alla sbadata; quindi si offende Iddio più o meno gravemente, quantunque l'eccedere nel parlare non comporti per sé peccato grave. Facciamo dunque tesoro dell’ammonimento che il medesimo santo ci dà poco dopo: «Lega la tua lingua affinché non trasmodi e non prorompa in discorsi osceni e col troppo parlare ti carichi di peccati. Frenala con dighe, sicché non straripi. Il fiume che esce di letto, porta la melma (De Cain et Abel. 1. I, c. IX)».

«Chi parla troppo, ferisce l'anima sua» (Eccli. XX, 8). Infatti, cedendo al prurito di cicalare, si esagera: 1° si va dall' utile al nocevole, dalla troppa dolcezza alla troppa severità, dalla carità alla maldicenza...; 2° si incorre nell'imprudenza...; 3° si tratta e si spazi a per mille cose che macchiano l'anima; si trascura la prudenza...; 4° si perde tempo e si fa sciupare agli uditori...; 5° si perde la divozione...; 6° l'anima si espone alle ferite del nemico, perché non è in guardia e si trova disarmata.

4. IL PARLARE TROPPO PORTA CONFUSIONE E FA PERDERE IL TEMPO. - «La lingua dell'insensato, troviamo nei Proverbi, conduce presto alla vergogna e alla confusione» (Prov. X, 14). I ciarloni hanno fama di leggeri, di vani, di mentitori, di maldicenti; chi li dice frasche e chi cornacchie; e questi titoli non danno certo troppo favorevole idea del credito in cui sono tenuti e li coprono di onta e di confusione in faccia al mondo medesimo... «I ciarloni, scrive Plutarco, sono vuoti di mente e pieni di rumore; né sono ascoltati; la loquacità è odiosa, pericolosa e ridicola (De garrulit.)»; come gia aveva avvertito il Savio, leggendosi nell’Ecclesiastico: «L'uomo diventa od oso per l'intemperanza delle sue parole» (Eccli. XX, 5).
Udite l'esortazione di S. Bernardo: «Nessuno di noi faccia poco conto del tempo che si perde in discorsi oziosi; perché il tempo è un dono che l’uomo ha ricevuto e giorni di salute sono i giorni che Dio gli concede. 
La parola fugge e non si può più riprendere; il tempo vola e più non torna indietro; perdendo queste due cose, l'insensato non avverte quello che perde. Non sarà lecito, dirà alcuno, il chiacchierare per passare un'ora? Che dite mai? passare un'ora! ammazzare il tempo! Passare inutilmente quell’ora che la misericordia divina vi concede per fare penitenza, per ottenere il perdono, per acquistare la grazia, per meritare la gloria! Perdere quel tempo che vi è dato affinché vi rendiate propizia la bontà divina, vi facciate degni di entrare nella società degli angeli, ricuperiate l’eredità perduta, aspiriate alla felicità che vi è promessa, rianimiate la volontà snervata, piangiate le colpe commesse! (Serm. de Triplici metod.)». Meditiamo con attenzione queste frasi piene di tanta verità e di tanto senno!...

5. DANNI DELLA CATTIVA LINGUA. - Chi non frena la lingua, principalmente in un atto di collera, costui, dice Iperichio, non sarà mai vittorioso delle passioni carnali (In Vit. Patr.). Né solamente a sé nuoce la cattiva lingua, ma anche agli altri, dicendo S. Gregorio, che l'intemperanza della lingua è la sorgente di ogni discordia (Moral. lib, V).
«Piccolo membro è la lingua, scrive S. Giacomo apostolo, eppure fa grandi cose. Vedete quanto piccola scintilla basta a mandare in fiamme una grandissima selva. E la lingua è un fuoco, un mondo d'iniquità. La lingua non è che uno dei nostri membri e macchia tutto il corpo; accesa dal demonio, accende la ruota del nostro vivere. Ogni genere di fiere e di uccelli e di mostri marini si domano e sono state domate dall'umana virtù. Ma la lingua nessun uomo basta a domarla; è male che non patisce freno, pieno di veleno mortale. Con essa benediciamo Iddio e il Padre; e con essa malediciamo gli uomini, che portano in sé l'immagine di Dio. Dalla stessa bocca esce la benedizione e la maledizione. Non dobbiamo fare così, fratelli miei» (IACOB. III, 6-10).


«La lingua, dice S. Gregario di Nazianzo, è piccola, ma, in quanto a forza, vince tutto (In Distich)». Perciò, secondo l'osservazione del Crisostomo, «benché il demonio usi tenderci agguati da ogni parte, più facilmente però e più frequentemente si serve di una lingua cattiva, di una bocca maldicente; nessuna cosa gli serve meglio di questa per uccidere l'anima e far commettere il peccato (Homil. ad Baptiz.)». S. Bernardo scrive: «Piccolo membro è la lingua, ma se non si sta attenti fa un gran male; accarezza con l adulazione, morde con la maldicenza, uccide con la menzogna. Essa lega e nessuno può legarla, guizza come anguilla, penetra come dardo, rompe l'amicizia, moltiplica i nemici, muove le risse, semina le discordie, d'un solo colpo percuote e ammazza molte persone; accarezza e soppianta, sempre pronta a fare il male. Noi diciamo: è poca cosa una parola; sì poca cosa è in verità una parola, perché presto vola, ma ferisce gravemente; passa veloce, ma brucia crude e; penetra con facilità nell'animo, ma con difficoltà n'esce; si lascia cadere alla sventata, ma riesce quasi impossibile il ritirarla; facilmente vola e perciò lacera la carità così frequentemente (Serm. ad Custod. linguae, etc.) ».


Per tagliare e abbattere più facilmente le legna, il boscaiolo prepara ed affila l'accetta; così i demoni, questi operai dell'inferno, preparano, aguzzano, temperano essi medesimi al furore e all’odio la lingua perfida, per abbattere la virtù degli uomini, per diffamarne i costumi, rapire loro l'onore, la fama, la vita medesima. Tale lingua lacera e sbrana il prossimo, accende gli odi, suscita le liti, spinge alla rapina, all'ingiustizia, alla vendetta, alla strage, mette sossopra le famiglie, le province, i regni. Essa è veramente, come la chiama S. Giacomo, artefice e arsenale di ogni iniquità; male inquieto, riboccante di veleno mortale, che nessuno può domare (Iacob. III, 6, 8).


«L'uomo, scrive S. Agostino, doma le belve e non doma la lingua; incatena e domina il leone, non frena e domina la smania del parlare egli comanda, ma non comanda a se stesso; arriva a soggiogarci quello che gli incuteva spavento e per soggiogare se medesimo non teme quello che dovrebbe temere. Imparate dalle bestie che domiamo; né il cavallo, né il leone si mansuefanno da se stessi, ma per mansuefarli ci vuole l'uomo; così l'uomo non si doma da se stesso, ma per domarlo bisogna ricorrere a Dio (Serm. IV de verb. Dom. in Matth.)». No l'uomo, non si soggioga con le forze della natura, ma con l'influenza della grazia...testimonio Saulle..


Le citate frasi di S. Giacomo, ci rivelano dodici mali che derivano dalla lingua imprudente e cattiva. 1° Ella somiglia negli effetti ad un cavallo indomito; 2° solleva delle tempeste; 3° è scintilla che desta un vasto incendio; 4° è un'officina d'iniquità; 5° macchia il corpo; 6° devasta tutta la vita; 7° attinge il suo ardore al fuoco dell'inferno; 8° è più indomabile delle fiere e nessuno può signoreggiarla a talento; 9° è un male inquieto che mai non posa; 10° ribocca di veleno mortale; 11° maledice il prossimo; 12° è una fonte da cui scaturisce un'onda amara.


Al linguacciuto possono adattarsi quelle parole dell'Apocalisse: «Dalla sua bocca usciva una spada a due tagli» (Apoc. I, 16); perché col suo parlare fa male a sé ed agli altri. NeiProverbi occorrono queste due sentenze: «Dove abbondano le parole, là si trova miseria» (Prov. XIV, 23). «La lingua che non sa moderarsi, uccide lo spirito» (Id. XV, 4). Sì, la mala lingua danneggia e sé e gli altri e nell'anima e nel corpo, per causa della maldicenza e della calunnia, delle contese e delle liti che suscita, delle sciagure e delle uccisioni che cagiona. Essa è un principio di intrighi, di dispiaceri, di odii, di vendette, di disperazione, di perdite considerevoli. Chi non sa frenare la lingua, o è o diventa uomo collerico, superbo, geloso, invidioso, avido, curioso, ecc.


Nessuno meglio di Davide tracciò il quadro degli orrori che produce la lingua perversa: « La loro gola è un sepolcro scoperchiato; la lingua distilla la menzogna, le labbra sono gonfie del veleno dell'aspide. La loro bocca vomita maledizioni, parole amare ed ingannatrici che producono l'angoscia ed il dolore (Psalm. XIII, 3) e accumulano tesori d'iniquità nel cuore di chi le pronunzia» (XL, 6).


«Tranquillamente seduto tu parlavi contro tuo fratello e gettavi il disordine in capo al figlio di tua madre. La tua bocca si saziava di maldicenza e la lingua tua ordiva inganni. Ecco quello che tu hai fatto e perché io non ti ho fulminato su l'istante, tu mi hai stimato simile a te, o iniquo; ma io ti accuserò e ti farò vedere la tua laidezza. Bada, o bocca infernale, che dimentichi il Signore» (XLIX, 19-22).


«Perché mai andar fiero della tua cattiveria, o tu che sei potente nel delitto? la tua lingua si arrota continuamente su la cote dell'ingiustizia, è un rasoio affilato che tempra la frode. Hai preferito il male al bene, il linguaggio dell'iniquità alle parole di giustizia; hai amato i discorsi dannosi e desolanti. Ma l'Onnipotente ti distruggerà per sempre; ti strapperà dalla tua dimora e ti sradicherà dal suolo dei viventi » (LI, 3-7).


«La lingua dei malevoli è spada acuta (LVI, 6), ma la bocca degli iniqui sarà turata per sempre (LXII, 11). Essi aguzzarono come spada la loro lingua, la tesero come arco, per colpire coi dardi loro l'innocente (LXIII, 3-4). Le bugie dei perversi prevalsero ai miei danni; essi parlarono a mia ignominia e fecero di me il bersaglio dei loro motteggi (LXIV, 3; LXVIII, 13). Concepirono l’iniquità nel loro pensiero e partorirono la calunnia; parlarono contro l'Altissimo; posero la loro bocca in cielo, e la loro lingua serpeggiò su la terra (LXXII, 8-9). E fino a quando, o Signore, le lingue malediche trionferanno? fino a quando si abbandoneranno a discorsi ingiusti e colpevoli? Essi calpestano, o Signore, il vostro popolo e disertano la vostra eredità. Sventrano la vedova e lo straniero, strozzano l'orfano (XCII, 3, 5-6). Le frecce della mala lingua sono appuntate, divorano come fiamma (CIX, 4). Aguzzarono la loro lingua a foggia di serpente, dalle labbra schizzano il veleno dell'aspide» (CXXXIX, 3).
La lingua del serpente è triforcata, perciò il Salmista a lei paragona la lingua dei cattivi, perché anch'essa ha tre punte, delle quali una si volge contro Dio, l'altra si dirige verso il prossimo, la terza contro il medesimo parlatore. La lingua malèdica è un flagello pubblico: blandisce il vizio, fomenta le passioni, spande lo scandalo, riempie la società di errori e di scompiglio. 

6. CHI HA CATTIVA LINGUA MANCA DI RELIGIONE. - «Se alcuno di voi, dice S. Giacomo, si stima religioso, non frenando la sua lingua, ma pascendo d'illusione il suo cuore, la sua religione non vale nulla» (Iacob. I, 26). Chi non tiene a segno la propria lingua, non onora, né serve, né obbedisce Dio... Non porta amore né a Dio, né al prossimo, né a se stesso...
Come mai saprà governare gli occhi, le orecchie, le mani, i piedi, il cuore, l'anima, lo spirito suo, chi non sa governare la lingua? Tutto in lui va in disordine e il disordine distrugge la pietà... «Incatenate la lingua, predica S. Bernardo, se volete essere pii e divoti
cristiani, perché senza il freno della lingua, vana è la religione. Ben sanno gli uomini spirituali che ne ebbero esperienza, quanto indebolimento apporti alla pietà il troppo parlare, quanta divagazione porti alo spirito. A quel modo che un forno aperto non può trattenere il calore, così non può conservare la grazia del fervore quella persona la cui bocca non è chiusa dalla porta del silenzio (Tract. de Passion., c. XXVI)».


«La bocca dell'insensato lo trae alla perdita e le sue labbra si fanno la rovina dell'anima sua», dicono i Proverbi (XVIII, 7); e «basta una parola maliziosa a pervertire il cuore», dice l'Ecclesiastico (XXXVII, 21); e un cuore pervertito, o già più non ha, o perde ben presto ogni fondamento di verace pietà e sana religione.

7. E' PROIBITO PROFANARE LA LINGUA. - «Badate, scriveva S. Paolo egli Efesini, che non v'esca mai di bocca nessuna parola cattiva; perciò guardatevi, come si conviene ai santi, dal fare nelle vostre conversazioni il menomo cenno di cose attinenti a impurità od avarizia» (Eph. IV, 29), (Id. V, 3). «Né vi lasciate andare a scurrilità, a buffonerie, a inezie. Nessuno vi seduca con parole vane» (Ib. 4-6). Ai Corinzi poi raccomandava che non si lasciassero ingannare, perché le cattive conversazioni guastano i buoni costumi (I Cor XV, 33).

8. CHI PARLA MALE DOVRÀ SEMPRE PENTIRSENE. - «Mi accadde spesso di dovermi pentire per aver parlato, non mai di aver taciuto (Anton. in Meliss.)». Ciascuno può e deve far sua questa sentenza di Simonide. E’ infatti quasi impossibile che si possa conversare a lungo e di frequente senza che si inciampi in qualche cosa che ferisca, o la carità, o la purità, o la verità, o simili.


E poi come volete che uno non deva pentirsi di aver parlato troppo, mentre non si dà cosa tanto cattiva quanto la lingua male adoperata? «La bocca degli empi ricetta l’iniquità» (Prov. X, 11), dicono i Proverbi, e S. Giacomo dice che la lingua è un male inquieto, pieno di tossico mortale... Sì, la bocca dell'empio è una cloaca riboccante di melma avvelenata... Somiglia al lago di Asialtide, in cui stanno sepolte le sodomitiche città della Pentapoli... Il cuore dell'empio è così pieno dì malizia, che rigurgita per la bocca. E il cratere di un vulcano, dal quale si slancia a inondare dare le vicinanze, l'ardente lava delle passioni di cui il cuore è il focolare…

9. CIASCUNO RENDERÀ CONTO DELLE SUE PAROLE. - La sentenza di Gesù Cristo è perentoria: «Vi assicuro che nel giorno del giudizio gli uomini renderanno conto di una parola oziosa da essi pronunziata. Poiché la giustificazione o la condanna vostra dipenderà dai discorsi che avrete fatto» (MATTH. XII, 36-37). O Dio! che terribile conto avrà da rendere una lingua maledicente, calunniatrice, impura, scandalosa; una lingua che lancia bestemmie, imprecazioni, maledizioni!...
«Se una parola è dichiarata oziosa, commenta S. Bernardo; perché non si ha ragionevole motivo di proferirla; che ragione potremo dare delle parole che sono contrarie alla ragione, che la feriscono e la disonorano? (Serm. de custod. Ling.)».

10. CASTIGHI DELLA LINGUA CATTIVA. - «L'uomo che abusa della sua lingua non si assoderà su la terra; molti mali lo incoglieranno in punto di morte», dice il Salmista (Psalm. CXXXIX, 12). «Allo stolto faranno piaga le labbra», dice il Savio (Prov. X, 10). Sarà punito, in punto di morte e nell'eternità... Sarà condannato da Dio..., castigato da coloro che ha ferito od oltraggiato... L'uomo che impiega la sua lingua a servizio dell'iniquità prepara dolori e supplizi a sé ed agli altri. Lacera ed è lacerato; cade in abominio a Dio ed agli uomini, che è il più spaventevole dei castighi...


«La rovina corre verso il malvagio, a cagione dei peccati delle sue labbra», dice il Savio (Prov. XII, 13). Perde la pace del cuore, la grazia di Dio, condanna l'anima sua ad essere eternamente infelice. Può immaginarsi punizione più tremenda? Il Crisostomo dice che Adamo ed Eva furono cacciati dal paradiso terrestre perché non stettero abbastanza guardinghi su la loro lingua, ma si trattennero col serpente (Homil. ad baptiz.).


Chi non vigila su la sua lingua e la macchia si attira molti castighi tra cui i seguenti: il rimorso della coscienza; il rammarico di aver detto qualche parola imprudente e nocevole; il dispiacere di aver fatto nascere inimicizie, rancori, liti, vendette, ingiustizie; il dolore di essersi meritata la prigione, o incontrato l'infamia; l'obbligo di risarcire il prossimo della riputazione ingiustamente tolta; la necessità di riparare i danni cagionati dalla maldicenza, dalle calunnie, dai cattivi consigli; la vendetta di Dio; la prospettiva del giudizio e della dannazione... Tutti questi castighi sono per il linguacciuto come tanti strali ardenti che lo feriscono, lo straziano, lo tormentano...

11. LE CATTIVE LINGUE SI DEVONO FUGGIRE. - «Nessuno vi seduca con discorsi vani, ammoniva S. Paolo gli Efesini, perché a cagione di tali cose cade la collera di Dio sui figli della disubbidienza. Non praticate dunque con tale gente» (Eph. V, 6-7). Davide pregava Dio: «Liberate, Signore, l'anima mia dalle labbra inique e dalla lingua ingannatrice» (Psalm. CXIX, 2).

12. OTTIMA COSA È LA LINGUA, QUANDO SE NE FACCIA BUON USO. - Abbiamo parlato dei mali che cagiona la lingua, se è male adoperata; ora vediamo i grandi beni che ne derivano, quando si adopera secondo Dio, la sana ragione e la coscienza.
«La bocca del giusto è il canale della vita» (Prov. X, 11), dicono i Proverbi; perché il giusto si serve della lingua per discorrere di cose giuste, utili, edificanti, feconde in bene e che apportano a quelli che le ascoltano, la vita della grazia. «La lingua dell'uomo retto, leggiamo ancora nei Proverbi, somiglia l'argento puro» (X, 20). Cinque affinità si possono notare tra l'argento e la lingua del giusto: L'argento puro ha per sue qualità la bianchezza, il valore, la solidità, la purezza, il tintinnio sonoro; la lingua prudente e riservata riveste tutte queste qualità...


«Considerate, dice il Crisostomo, che la lingua è uno strumento con cui noi preghiamo Dio, lo benediciamo e parliamo con lui. Questo è il membro per mezzo del quale noi riceviamo il venerabile ed augustissimo Sacramento in virtù della potente lingua del sacerdote sacrificante, Gesù Cristo discende su l'altare. La lingua degli apostoli illuminò e convertì rimi verso pagano. La lingua dei giusti ha salvato il mondo in tutti i secoli. La lingua serve da mediatore tra Dio e gli uomini; stabilisce la pace su la terra; unisce per mezzo della carità gli uomini tra di loro; inebria i cuori delle grazie e dolcezze divine; immenso, preziosissimo dono di Dio è una lingua saggia, pia, persuasiva. Quello che forma una lingua pura e zelante è l'amor di Dio e del prossimo, nato dalla grazia interiore» (In Psalm. CXL).

13. VANTAGGI CHE DERIVANO DAL BUON USO DELLA LINGUA. - «Chi non pecca nel parlare, dice S. Giacomo, è un uomo perfetto e può governare col freno tutto il suo corpo» (IACOB. III, 2). Come l'uomo, quando ha messo il freno alla bocca del cavallo, lo domina e lo guida a suo talento, così chi sa frenare la lingua, sa ancora signoreggiare le concupiscenze, le passioni sue...Egli è dolce, buono, modesto, ecc...


«Chi governa la sua bocca, preserva l'anima sua», leggiamo néi Proverbi (Prov. XIII, 3). Preserva l'anima sua: 1° dalla tepidezza...; 2° da una folla di colpe che si commettono con la lingua...; 3° da molti dispiaceri e dai pericoli, frutti dell'inimicizia e dell'odio...; 4° dai rimorsi...
Il Savio paragona la lingua prudente e dolce all'albero della vita (PROV. XV, 4); perché i beni che reca una tale lingua somigliano un po' ai frutti che produceva l'albero della vita: 1° Essa conserva e prolunga la sanità tanto dell’anima quanto del corpo, poiché preserva dai turbamenti, dalle collere, dai litigi, dalle risse. 2° conserva l'uomo in una pace, in una serenità, in una gioia continua. 3° Tempera e regola tutte le facoltà, i sensi, le affezioni dell'uomo. 4° Lenisce e cura i dolori e le ambasce del prossimo. L'albero della vita guariva tutte le alterazioni del corpo; la lingua saggia e dolce calma i collerici, riconcilia i nemici e i gelosi, incoraggia i timidi, rende umili i superbi, ecc... .


Quanto è piena di verità la sentenza dello Spirito Santo: «Chi guarda la sua bocca e la sua lingua, preserva l'anima sua dalle angosce» (PROV. XXI, 2-5). Guarda l’anima sua da mille nemici: dall'ingiustizia di nuocere, dalla collera di Dio, dall'Inferno. E in grazia al cielo e alla terra, vive contento, muore della morte dei giusti, assicura la sua salvezza, orna la sua corona per l’eternità...
Facciamo ancora tesoro di questi due avvertimenti dell'Ecclesiastco: «Chi è nemico del ciarlare soffoca il male; e chi saggiamente adopera la sua lingua si rende amabile e caro» (XIX, 5); (XX, 13).

14. BISOGNA FARE BUON USO DELLA LINGUA. - «Schiva le ciance sciocche e da vecchierelle» - scriveva S. Paolo a Timoteo (I, IV, 7); e ai Filippesi raccomandava, che nelle loro conversazioni tenessero un linguaggio degno del Vangelo (Philipp. I, 27). S. Pietro tra i suoi ammonimenti inculcava anche questo, che i cristiani santamente si diportassero in ogni loro trattenimento e tenessero tra di loro discorsi edificanti (I PETR. I, 15), (Id. II, 12).
Le parole pronunziate a tempo e luogo sono frutti d'oro in vaso d'argento, dicono i Proverbi (XV, 11). Volesse Dio, che tutti i cristiani potessero ripetere quel che in punto di morte diceva l'abate Pambo: «Fino a questo punto non ricordo di avere proferito parola di cui abbia da pentirmi» (Pallad. in Hist. Laus., c. X).


« Siano le vostre parole condite sempre col sale della grazia, dice S. Paolo, affinché sappiate come rispondere a ciascuno» (Coloss. IV, 6). «Il sale rende gli alimenti saporiti, scrive S. Anselmo, e la carne ben salata non imputridisce; e cosi sia del vostro linguaggio, dimodochè quelli che l'odono lo gustino come saporita vivanda. Non lo renda scipito la mancanza di saggezza, non nauseante la libidine, non corruttore la menzogna; ma io condisca sempre il sale della spirituale sapienza, l'integrità della verità lo renda incorruttibile, esali l'odore di celeste profumo (In Monolog)».


«Sei tu stato vilipeso, oltraggiato? non aprire bocca, consiglia S. Giovanni Crisostomo, se no, tu soffi nella tempesta. Prendi esempio da quello che avviene in una camera dove siano di l'incontro due porte aperte: se vedi che si levi il vento, ti affretti a chiuderne una e così riduci all’impotenza il vento; lo stesso si deve dire quando ti trovi in faccia ad un uomo agitato dalle furie; anche qui si trovano dirimpetto due porte, la bocca tua e la bocca sua (Homil. II in 1.a ad Thess.)». In altro luogo il medesimo dottore, così parla: «Se voi difettate dell'olio della saggezza, o se non chiudete le porte o le finestre del vostro cuore, la vita dell'anima vostra si spegnerà, come si smorza una lampada o per mancanza d'olio, o per una folata di vento (Homil. XI in 1.a ad Thess.) ». Le finestre del cuore sono gli occhi e gli orecchi; la bocca è la porta.


Solo, tra gli animali, l'uomo ha la parola, perché egli solo è dotato di ragione; quando parla, deve adunque servirsi della ragione... Perché abbiamo noi una sola lingua chiusa e difesa da due barriere, i denti e le labbra? Certamente, per insegnarci a parlare poco e con prudenza... La lingua è un cavallo indomito che bisogna governare col freno della ragione e della prudenza... Si obbligano le navi a sottostare alla quarantena, obblighiamovi anche la nostra lingua... «Voi scegliete quello che volete mangiare, dice S. Agostino, scegliete anche quello che avete da dire; parlate piuttosto colle opere che colle parole (In Psalm. LI)». S. Bernardo ci suggerisce di ritoccare col pensiero due volte le nostre frasi, prima di avventurarle una volta alla lingua. La riflessione cura il pensiero, governa l'affetto, dirige le azioni, corregge gli eccessi, forma i costumi, ordina la vita e la rende onesta (De Perfect.).


Ciascuno deve studiare ad adattare le sue parole al luogo, al tempo, all'età, alle persone, per timore che il suo linguaggio non riesca pungente... Siamo tutti naturalmente inclinati a lodare gli uni, a biasimare gli altri, ad adulare, a dissimulare, a ingannare a mentire, a favoleggiare: ora la prudenza ci salva da tutti questi difetti. E questa prudenza di parole appunto domandava il profeta a Dio: «Poni, o Signore, una guardia alla mia bocca, ed una porta di circospezione alle mie labbra» (Psalm. CXL, 3). A ragione S. Ambrogio ci assegna per regola di misurare e pesare nelle bilance della giustizia i nostri discorsi, affinché ne sia serio l'argomento, temperata l'espressione, conveniente la forma (Offic. 1. I, c. 3). Questa cosa è certamente difficilissima né si può ottenere senza il soccorso della grazia. Interrogato Aristotile qual fosse la cosa più difficile all'uomo, rispose: «Tacere quello che non si deve dire (Apud Stobaeum)».



«Una porta, scrive S. Bernardo, non si tiene sempre chiusa, né sempre aperta; così la nostra bocca, porta del nostro cuore, dev'essere aperta quando la prudenza e l'utilità lo esigono; ma deve stare accuratamente chiusa alle parole malvagie che provengono da un cuore corrotto (De pass. Dom. c. XCVI)». Lo Spirito Santo batte spesso su la necessità di guardare la propria lingua. Bisogna vigilarla con quella cura con cui si vigila una città assediata; come una fortezza è difesa da soldati, da munizioni, da bastioni, da torri, così la lingua ha ricevuto da Dio per sua difesa il palato, i denti, le labbra. Come su le vedette di un castello stanno appostate sentinelle e attorno le mura di una piazza da guerra si fa la ronda giorno e notte per tenere d'occhio. il nemico e guardare la fortezza, così bisogna che l'intelligenza e la ragione siano sentinelle vigilanti alla porta della bocca, affinché - né vi entri né vi esca cosa nocevole all'uomo. E come il palato gusta e i denti masticano gli alimenti prima che passino allo stomaco, così tutte le parole devono essere saggiate, triturate, ruminate prima che sia permesso alla lingua di darle fuori... 

«L'uomo prudente, dice S. Ambrogio, prima di aprir bocca, bada a molte cose: cioè, a quello che debba dire, a chi, in qual luogo, in qual tempo debba parlare (Offic. 1. I, c. X)» . Egli avrà sempre dinanzi agli occhi l'avviso del Crisostomo, che per regola generale tutti i nostri discorsi debbono volgere a un fine onesto, utile, ragionevole (In Psalm. XXXVIII). E infatti, essendo l'uomo fornito di ragione e avendo il dono della fede, non è naturale, non è giusto che parli con senno, che diriga ogni parola a Dio? La lingua ci è stata data perché preghiamo e lodiamo Dio, serviamo il prossimo e santifichiamo noi medesimi.. .

Ascoltate ciò che dice il Savio: «Le labbra degli imprudenti pronunzieranno discorsi insipidi ma le parole dell'uomo sensato usciranno dalla sua bocca in peso e misura» (Eccli. XXI, 28). «Chi ciarla molto difficilmente è senza colpa; ma chi tempera le sue labbra avrà lode di prudentissimo» (Prov. X, 19): «Perciò, non parlare a casaccio e con precipitazione ma sii anzi ritenuto prodigo nelle parole» (Eccli. V, 1).


Ecco perché Davide diceva: «Veglierò su la mia condotta per non mancare nelle mie parole; e quando l'empio mi malmenava affrontandomi, ho posto una guardia alla mia bocca» (Psalm. XXXVIII, 1). E l'Ecclesiastico dice: «Chi porrà una guardia alla mia bocca ed un suggello inviolabile su le mie labbra, affinché non mi si facciano cagione d'inciampo e di ruina?» (Eccli. XXII, 33).

15. MEZZI PER BEN SERVIRSI DELLA LINGUA. - Per questo bisogna: 1° pesare le proprie parole...; 2° parlare poco e dire sempre cose utili...; 3° esaminare sovente la propria coscienza...; 4° offrire a Dio il mattino le parole della giornata...; 5° si purifica e santifica la lingua col fuoco della preghiera... Questo fuoco è l'amore di Gesù Cristo e la sua grazia; esso viene dallo Spirito Santo che purifica il cuore e la lingua dei giusti, che li governa, li inspira affinché non dicano altro che cose vere, utili, edificanti, sante...


Qual è la serratura della bocca? è la ragione, la legge, il timor di Dio... Vi sono molti cibi, dice il Venerabile Beda, che non si possono mangiare se non conditi con sale; così le virtù valgono poco, se non sono accompagnate dalla carità (Prov.). Ora dove trovare la carità, senza la saviezza e la prudenza della lingua?

16. BISOGNA OSSERVARE IL SILENZIO. - Qualcuno disse che la parola lingua deriva da ligare: Lingua a ligando; perciò il profeta Michea ci avverte di custodire il chiostro della nostra bocca (VII, 5); il Savio ci raccomanda di aprire raramente la bocca (Eccli. V, 1); S. Giacomo inculca a tutti di avere sempre l'orecchio teso per udire, ma tarda la lingua al parlare (IACOB. I, 19). Davide dice di sé che ha osservato il silenzio (Psalm. XXXVIII, 2). Raramente ha parlato Iddio...; poco parlava Gesù Cristo; quasi nulla la B. V. Maria... I cieli annunziano la gloria di Dio, ma con la calma del silenzio... L'universo canta le lodi del suo Fattore, ma col sublime concento del silenzio... Soltanto il tuono e la tempesta parlano e fortemente, ma che cosa produce il loro strepito?



«Parlino le vostre opere, dice S. Agostino, ma taccia la vostra lingua (Serm. XXX in Evang. S. Lucae)». Non si dà migliore custodia della lingua fuori del silenzio. Se volete imparare a parlare, tacete e nel vostro silenzio pensate a quello che bisogna dire e come dirlo. Ascoltate, esaminate, tacete, se vi sta a cuore di vivere in pace... Arsenio ricevette dalla bocca medesima di un angelo questo ammaestramento: «Fuggi, taci, quieta: questo è il fondamento e il cammino della salute (In vit. Patr.)».


L'abate Agatone tenne per tre anni un sassolino in bocca per avvezzarsi ad osservare il silenzio (Vit. Patr.), Guardate il silenzio, diceva l’abate Doroteo; perché il troppo parlare soffoca nel cuore i buoni e celesti sentimenti (Doctr. XXVI de Compunct.). Una fornace mantiene il suo calore finché se ne tiene turata la bocca; così il cuore conserva l'amor di Dio quando l’uomo non apre troppo spesso le labbra al parlare. «Bisogna custodire la lingua, dice il Crisostomo, se vogliamo ricuperare per quanto si può, la felicità celeste che Adamo perdette parlando (Homil. ad Baptiz.)».


L'eccellenza e l'utilità del silenzio non sfuggì all'occhio sagace dei più assennati pagani. Interrogato Demostene, perché mai l'uomo avesse due orecchie ed una sola lingua, rispose: «Perché deve ascoltare due volte prima di parlare una sola (Ita Stobaeus)». Seneca dice che non sa parlare chi non sa tacere (In Prov.); Catone avverte che l'avere taciuto non nocque mai a nessuno, ma che a molti poté nuocere l'aver parlato (Ita Laert. 1. VII, v. I)
È massima di Epaminonda, che l'uomo dev'essere più sollecito di udire che di parlare; perché dall'udire si raccoglie scienza; dal parlare pentimento (Ita Maximus). Così diceva anche Apollonio: «La loquacità ci espone a molti errori, il silenzio ce ne tiene preservati (Ita Laert.)»; quindi Simonide confessava che si era molte volte pentito di aver parlato, non mai di aver taciuto (Ita Maximus).