sabato 5 ottobre 2013

6 - Il Cuore di Maria è un Cielo (Eudes)


6 - Il Cuore di Maria è un Cielo

Il Cuore di Maria è veramente un cielo, di cui quello che sorride azzurro sul nostro capo non è se non l'ombra e la figura. - 

È un cielo che s'eleva sopra tutti i cieli. È Quello del quale lo Spirito Santo parla quando dice che il Salvatore del mondo è uscito da un cielo che supera tutti i cieli per la sua eccellenza: «A summo coelo egressus ejus», per venire ad operare in terra la salute dell'universo. Difatti questa Madre ammirabile ebbe il Salvatore in cuore prima di concepirlo nel suo seno.

Dopo essere stato nascosto qualche tempo in questo stesso cuore, come lo è stato da tutta l'eternità in quello del Padre, Gesù ne è uscito per manifestarsi agli uomini. Ma com'è uscito dal cielo e dal seno del padre, pur senza uscirne: Excessit non recessit (Tertulliano), - così il Cuore di sua Madre è un cielo dal quale Egli uscì in modo però da dimorarvi sempre ed eternamente. «In aeternum, Domine, Verbum tuum permanet in coelo» (Sal 118, 89).

Il Cielo è per eccellenza l'opera delle mani di Dio: «Opera manuum tuarum sunt caeli; (Sal 101, 26), ma il Cuore della Divina Maria è il capolavoro unico dell'onnipotenza, della saggezza e della bontà infinita di Dio.

Dio ha fatto il Cielo specialmente per stabilirvi la sua dimora (Sal 102, 19).
È vero ch'Egli ha riempito cielo e terra della sua divinità: «Caelum et terram impleo» (Ger 33, 24), ma più in cielo che sulla terra, Egli ha stabilito la pienezza della sua grandezza, potenza, e magnificenza divina: «Elevata est magnificentia tua super coelos» (Sal 8, 2).

Così si può dire in verità che il cuore di Maria è il vero cielo della SS. Trinità, un cielo tutto fuoco e fiamma, perché è sempre acceso d'un amore tutto celeste, più ardente e più santo che non tutto l'amore insieme dei Serafini e dei più grandi Santi.

Il Cuore di Maria è il cielo del cielo, il quale non è fatto Che per Dio solo perché è la preziosa eredità e la doviziosa parte del Signore che l'ha sempre posseduto
perfettamente «Caelum caeli Domino» (Sal 113, 16).


È il cielo del cielo per tre ragioni:

1) Prima di tutto, perché suo Figlio Gesù è il vero cielo della SS. Trinità. La Scrittura afferma che tutta la pienezza della Divinità fece dimora in Lui: «In ipso inhabitat omnis plenitudo Divinitatis» (Col 2, 9).

Ora questo stesso Gesù ha sempre fatto ed eternamente farà soggiorno nel cuore fortunato della sua degna madre. Infatti Egli dimora in questa vita nel cuore di tutti quelli che credono in Lui con fede viva e perfetta (Ef 3, 17).
L'amabilissimo Salvatore, non ha dunque soggiorno più glorioso, più delizioso, -dopo il seno del Padre, - del Cuore della Madre.

2) Inoltre è il cielo del cielo, perché la SS. Vergine, considerata nella sua persona, è un vero cielo. È la qualifica che lo Spirito Santo le dona - secondo il concetto d'un dotto e piissimo autore: «Dominus de caelo in terram aspecit»: Ossia, come spiega lo stesso Autore, (Ignotus in Sal CI) il Signore che fa sua dimora nella fortunata Vergine, come in un cielo, ha posato lo sguardo della sua misericordia sulla terra, cioè sui peccatori.

Questa Vergine meravigliosa è un cielo, - ripete lo stesso autore, - perché, come tutto ciò che vive sotto il cielo, nell'ordine della natura, riceve vita dall'influenza del cielo, così la vita della grazia ci è donata dalla SS. Vergine: «Vitam datam per Virginem».

Il suo Cuore dunque è il cielo del cielo, dacché è il principio della vita corporale e spirituale ch'Essa ha avuto in terra e della vita eterna ch'Ella possiede in Paradiso.

3) Infine è il cielo del cielo, perché, secondo S. Bernardo esso contiene in sé tutta la Chiesa, che la Scrittura definisce «Regno dei cieli», e perché tutti i figli della Chiesa ricevono per mezzo suo la vita della grazia.

S. Paolo assicurava i suoi cristiani ch'essi erano contenuti nel suo seno, (2 Cor 7, 3). Chi oserà smentire S. Bernardino da Siena quando assicura che la Vergine porta tutti i suoi figli nel suo cuore, come ottima madre? 

E chi mi vorrà contraddire se affermo, in conseguenza, ch'Ella porterà in eterno tutti gli abitanti del cielo, nel suo stesso cuore, vero paradiso per tutti gli eletti, tutto ripieno di gioie e di delizie per essi, a causa dell'amore 
inconcepibile di cui questo cuore è acceso riguardo a ciascuno di loro? Per questo, ben a ragione, in eterno essi canteranno: «Sicut laetantium omnium nostrum habitatio est in Corde tuo, Sancta Dei Genitrix»

PREGHIERA. - «O santa Madre di Dio, la vostra carità senza limiti ha talmente
dilatato il vostro Cuore materno, ch'esso risulta quasi una vasta città, meglio, un cielo immenso, tutto consolazione ineffabile, gioia inenarrabile pei vostri amati figli, dei quali sarà dimora per tutta l'eternità!».

O cielo più elevato, più grande, più vasto di tutti i cieli, che porta in sé colui che i cieli non bastano a contenere! 
O cielo più ripieno di lodi, di gloria, d'amore per Dio, che non il cielo mirabile che forma il soggiorno degli eletti!
O cielo, in cui il Re dei cieli regna più perfettamente che non in tutti gli altri cieli! 
O cielo, nel quale la SS. Trinità fa la sua dimora più degnamente e vi opera cose più grandi che non nel cielo empireo! 
O cielo, in cui la divina misericordia ha stabilito il suo trono, e deposto tutti i suoi tesori, per dare udienza a tutti i miserabili in tutte le loro necessità! «Domine, in coelo misericordia tua! (Sal, 21, 6).

Andiamo con confidenza a presentarci dinanzi a questo trono di grazia e di
misericordia, per ottenere dal benignissimo fra tutti i cuori le grazie che ci occorrono per riuscire graditi a sua divina maestà!

Risolvi di sforzarti di penetrare anche tu spiritualmente in questo cielo fortunato per farvi la tua sicura dimora. Leggi e pratica quanto il Montfort insegna sul «vivere e operare in Maria» (Vedi Segreto di Felicità - o Trattato della Vera Devozione a Maria).

Ave GRATIA PLENA!

venerdì 4 ottobre 2013

< E SIATE CATTOLICI! >







<E SIATE CATTOLICI !


 (Così diceva e dice il Serafico Padre San Francesco)  

Domingo XXVII, Tiempo Ordinario, 6 /X/2013 : "DEBÉIS DECIR: "SOMOS SIERVOS INÚTILES". EN VERDAD OS DIGO QUE NADIE DEBE GLORIARSE DE CUMPLIR CON SU PROPIO DEBER Y EXIGIR POR LO QUE ES UNA OBLIGACIÓN, FAVORES ESPECIALES."


"DEBÉIS DECIR: 
"SOMOS SIERVOS INÚTILES"






La orilla del río brilla en medio de esta noche en que todavía no sale la luna, a la luz de los millares de estrellas, que inverosímilmente se ven grandes en el cielo de Oriente. No es la claridad intensa como la de la luna,  pero es algo que permite, a quien está acostumbrado a la oscuridad, ver dónde camina y lo que le rodea.
A la derecha de los viajeros, que suben hacia el norte costeando el río, la suave claridad de las estrellas muerta el límite que forman cañaverales, sauces y altos árboles, y que parecen hacer una muralla compacta, continua, seguid, sin posibilidad de penetrar, pero que se ve como interrumpida allí donde hay un lecho de algún riachuelo seco que enseña una línea blanca que se introduce por el oriente y desaparece en la primera curva. A la izquierda, los viajeros ven cómo parecen brillar las aguas que bajan al Mar Muerto en medio de un silencio que muy pocas veces se interrumpe. Y entre la línea de agua de color añil que se distingue en la noche, y la masa negro-opaca de la hierba, de los arbustos, de los árboles, se ve la faja clara de la arena; unas veces muy ancha, otras angosta, a veces se distingue en ella un charco, residuo de la pasada avenida, y en que todavía hay algunas que otras hierbas verdes, que en otras partes se secaron ya bajo los rayos del sol ardiente.
Los apóstoles se ven obligados algunas veces a separarse, al hallar estos charcos o bien montones de espadañas secas, tan peligrosas al pie semidesnudo; y luego se juntan en grupo tras de su Maestro que camina con su paso largo, majestuoso, sin hablar apenas, con el rostro más bien hacia las estrellas que al suelo.
Los apóstoles no pueden seguir callados. Hablan, vuelven a comentar los sucesos del día, sacan conclusiones de ellos o prevén lo que pueda sobrevenir en lo futuro. Jesús se limita tan sólo a responder cuando alguien le pregunta o cuando corrige algo que no esta bien o una alusión no caritativa.
Continúa la caminata, que mete su ritmo en el silencio de la noche, un ritmo nuevo en las orillas desiertas. Ritmo de voces, ritmo de pisadas. Callan los ruiseñores entre los árboles, sorprendidos de que sonidos desafinados y duros se mezclen, turben, el acostumbrado parloteo de las aguas y la calma de la brisa, que son los acompañantes mejores en medio de sus trinos.

FELIPE PREGUNTA SI IRÁN A SUS CASAS Y DENTRO DE CUÁNTO.

Una pregunta que no tiene nada que ver con lo que haya pasado, sino con lo que será después, rompe cual si algo estallase, además del tono de las palabras envueltas en aversión e ira, no sólo la tranquilidad de la noche, sino la que está en los corazones. Felipe pregunta si irán a sus casas y dentro de cuánto. Una necesidad oculta de descanso, un deseo celado, pero comprensible de afectos familiares, hay en la pregunta sencilla del apóstol que ya es de edad, que es marido y padre que tiene intereses que debe cuidar...
Jesús lo oye y se vuelve a mirarlo. Se detiene. Lo espera, porque viene detrás con Mateo y Natanael. Cuando lo tiene cerca, le pone un brazo sobre la espalda y le dice: "Muy pronto, amigo mío. Pero pido a tu buen corazón otro pequeño sacrificio, a no ser que antes te quieras separar de mi..."
"¿Yo? ¿Separarme? ¡Jamás!"
"Entonces... te alejaré un poco de Betsaida. Quiero ir a Cesarea Marítima pasando por Samaria. Al regreso iremos a Nazaret y se quedarán conmigo los que no tienen familia en Galilea. Luego, pasados algunos días, os alcanzaré en Cafarnaum... Allí os instruiré más para que seáis más perfectos. Pero si crees que tu presencia es necesaria en Betsaida... vete, Felipe. Nos veremos allá..."
"No, Maestro, es más necesario estar contigo. Pero comprendes... Es dulce el hogar... las hijas... Pienso que no las tendré conmigo mucho tiempo... y quisiera gozar un poco de sus castas caricias. Mas si debo escoger entre ellas y Ti, te escojo a Ti... Y con mayor razón..." dice Felipe.

"HACES BIEN, AMIGO, PORQUE ANTES QUE TUS HIJAS SE TE QUITEN, 
NO ESTARÉ YA."

"Haces bien, amigo, porque antes que tus hijas se te quiten, no estaré ya."
"¡Oh, Maestro!..." dice con aflicción el apóstol.
"Así es, Felipe" termina Jesús y le da un beso en su ancha frente. 
Judas Iscariote, que ha estado murmurando entre dientes, apenas Jesús mencionó a Cesarea, levanta la voz como si el beso que Jesús dio le hubiese hecho perder el control. Dice: "¡Cuántas cosas inútiles! No comprendo que necesidad haya de ir a Cesarea." Y lo dice con un ímpetu lleno de bilis; parece como si quisiese dar a entender: "Y Tú que vas allá, eres un tonto."

EMPIEZA UNA DISPUTA ENTRE JUDAS Y LOS DEMÁS APÓSTOLES

"No eres tú el que debes de juzgar si lo que hacemos es necesario o no, sino el Maestro" le responde Bartolomé.
"¿Ah, sí? Como si El viese claro las necesidades naturales."
"Oye tú. ¿Estás loco? ¿O estás en tus cinco? ¿Sabes lo que dice?" le interpela Pedro cogiéndolo de un brazo.
"No estoy loco. Soy el único que tengo el cerebro sano. Y sé lo que digo."
"¡Hermosas cosas dices!" "Ruega a Dios que no te las tenga en cuenta!" "¡La modestia está muy lejos de ti!" "Se diría que tienes miedo de que se sepa lo que eres si se va a Cesarea" dicen juntos y respectivamente Santiago de Zebedeo, Simón Zelote, Tomás y Judas de Alfeo.
Iscariote se vuelve contra este último: "No tengo nada que temer, y vosotros nada que os interese. Sino que estoy cansado de ver que se cae de error en error y que vamos a la ruina. Pleito con los sinedristas, disputas con los fariseos. Ahora nos faltaban los romanos..."
"¿Cómo? Todavía no han pasado dos lunas desde que te morías de gozo, de que estabas seguro, de que estabas... ¡Y era porque Claudia era tu amiga!" irónicamente advierte Bartolomé que siendo el más... intransigente, es el que sólo por obedecer al Maestro no se rebela de entrar en contacto con los romanos.
Judas por un momento se queda mudo. La lógica de la respuesta es clara, y no se le puede responder. Pero luego cobra ánimos: "No lo digo por los romanos. Quiero decir por los romanos como enemigos. Esas, porque en realidad no son más que cuatro mujeres romanas, cinco, seis a lo más, nos prometieron ayuda y lo cumplirán. Pero con esto aumentará el odio de sus enemigos, y El no lo quiere comprender y..."

"EL ODIO DE ELLOS HA LLEGADO A SU MÁXIMO, JUDAS.
 LO SABES COMO YO Y AUN MEJOR QUE YO" 
DICE CALMADAMENTE JESÚS

"El odio de ellos ha llegado a su máximo, Judas. Lo sabes como Yo y aun mejor que Yo" dice calmadamente Jesús, pero recalcando la palabra "mejor".
"¿Yo? ¿Yo? ¿Qué quieres decir? ¿Quién sabe mejor que Tú las cosas?"
"Si acabas de decir que eres el único que conoces las necesidades y cómo deben tomarse en cuenta..." le replica Jesús.
"Tratándose de las cosas naturales, claro que sí. Yo afirmo que Tú conoces las cosas espirituales mejor que todos."
"Lo que es verdad. Por esto te decía que conoces mejor que Yo las cosas, malas si quieres, humillantes si te parece, como el odio de mis enemigos, sus intenciones..."
"¡Yo no sé nada! ¡Nada! Lo juro por mi alma, por mi madre, por Yeové..."
"¡Basta! Está dicho que no se debe jurar" le reprende Jesús con severidad, que parece que las facciones de su rostro se endurecen cual las de una estatua.
"Bueno. No juraré. Pero me será permitido, puesto que no soy un esclavo, decir que no es necesario, que no es útil, antes bien que es peligroso ir a Cesarea, hablar con las romanas..."
"¿Y quién te dice que pasará eso?" pregunta Jesús.
"¿Quién?  Pues ¡todo! Tú tienes necesidad de convencerte de una cosa. Estás en la pista de una..." se detiene. Comprende que la ira lo hace hablar demasiado. Luego continúa: "Yo te digo que también deberías pensar en nuestros intereses. Todo nos has arrebatado. Casa, ganancias, afectos, la paz. Por tu causa se nos persigue y se nos perseguirá, porque dices que de un momento a otro te irás. Pero nosotros nos quedamos. Y nos quedaremos arruinados, y nosotros..."

A TI NO SE TE PERSEGUIRÁ 
DESPUÉS QUE YA NO ESTÉ MÁS ENTRE VOSOTROS. 

TE LO ASEGURO YO, QUE SOY LA VERDAD. 
TE AFIRMO QUE TOMÉ LO QUE ESPONTÁNEA E INSISTENTEMENTE 
ME DISTEIS.

"A ti no se te perseguirá después que ya no esté más entre vosotros. Te lo aseguro Yo, que soy la Verdad. Te afirmo que tomé lo que espontánea e insistentemente me disteis. Así, pues, no puedes acusarme de que os haya quitado a la fuerza uno solo de los cabellos que os caen cuando os arregláis la cabeza.  ¿Por qué me echas en cara?" Jesús no lo dice con severidad, sino con una cierta tristeza como si quisiera con su dulzura volver a llevar a la razón, y me imagino que esta compasión suya, tan grande, tan divina, sirva de freno para contener a los otros que no la tendrían por el culpable.
También Judas lo siente, y con uno de esos bruscos ímpetus de su alma, que está en medio de dos fuerzas contrarias, se arroja a tierra, golpeándose la cabeza, el pecho y gritando: Porque soy un demonio. Un demonio soy yo. Sálvame, Maestro, como salvas a tantos endemoniados. ¡Sálvame, sálvame!"
"Qué tu voluntad quiera salvarse."
"Lo quiero. Lo ves. Quiero salvarme."

"TÚ PRETENDES QUE YO SEA EL QUE TE SALVE, 
QUE YO HAGA TODO. 
YO SOY DIOS Y RESPETO TU LIBRE ALBEDRÍO. 

TE DARÉ LAS FUERZAS PARA QUE LLEGUES A "QUERER". 
PERO NO QUERER SER ESCLAVO DEBE SALIR DE TI."

"Tú pretendes que Yo sea el que te salve, que Yo haga todo. Yo soy Dios y respeto tu libre albedrío. Te daré las fuerzas para que llegues a "querer". Pero no querer ser esclavo debe salir de ti."
"¡No quiero serlo! ¡No quiero serlo! Pero no vayas a Cesarea. ¡No vayas! Escúchame como escuchaste a Juan cuando querías ir a Acor. Todos tenemos los mismo derecho. Todos te servimos de igual modo. Tienes la obligación de darnos contento por lo que hacemos... ¡Trátame como a Juan! ¡Lo quiero! ¿Qué hay de distinto entre mí y él?"
"¡El corazón! Mi hermano nunca hubiera hablado como tú lo has hecho. Mi hermano no..."
"Cállate, Santiago. Soy Yo el que debo hablar y a todos. Tú levántate y pórtate como un hombre libre a quien trato, y no como un esclavo que llora a los pies de su dueño. Sé hombre, ya que tanto quieres que se te trate como a Juan, el cual en verdad, es más que un hombre porque es casto y está lleno de caridad.
Vámonos. No hay tiempo. Quiero pasar el río al alba. A esa hora regresan los pescadores que quitaron las nasas y es fácil encontrar una barca. En estos últimos días sale la luna aunque no completa. Podemos con la ayuda de su luz caminar más aprisa.

ESCUCHAD. 
EN VERDAD OS DIGO QUE NADIE DEBE GLORIARSE 
DE CUMPLIR CON SU PROPIO DEBER Y 
EXIGIR POR LO QUE ES UNA OBLIGACIÓN, 
FAVORES ESPECIALES.

Escuchad. En verdad os digo que nadie debe gloriarse de cumplir con su propio deber y exigir por lo que es una obligación, favores especiales.
Judas me ha recordado todo lo que me habéis dado, y dijo que estoy obligado a daros contento por lo que hacéis.
Pero escuchad. Entre vosotros hay quienes fueron pescadores, dueños de tierras, uno tenía su oficina, Zelote tenía un siervo. Pues bien. Cuando los trabajadores de las barcas, o quienes os ayudaban como mozos entre los olivares, los viñedos, los campos, o como aprendices en la oficina o simplemente como siervo fiel que cuidaba la casa y la mesa, cuando terminaban -digo- sus trabajos, ¿os poníais acaso a servirles?

¿QUIÉN HAY QUE SI TIENE UN SIERVO PARA QUE ARE 
O APACIENTE EL GANADO, 
O UN TRABAJADOR EN SU OFICINA, 
LE DIGA CUANDO TERMINA SU TAREA: "VETE PRONTO A COMER?"
 NADIE.

¿Y no sucede así en todos los hogares y en todos los oficios? ¿Quién hay que si tiene un siervo para que are o apaciente el ganado, o un trabajador en su oficina, le diga cuando termina su tarea: "¿Vete pronto a comer?" Nadie. Bien regrese del campo, bien que haya acabado de quitar los arneses, el dueño le dice: "Hazme de comer. Límpiate bien. Sírveme con vestidos limpios mientras como y bebo. Después comerás y beberás". No se puede llamar a esto dureza de corazón, porque el siervo debe servir a su patrón, y éste no tiene ninguna obligación para con él, aun cuando el siervo haya cumplido lo que el patrón le ordenó a la mañana. Porque, si es verdad que el patrón está obligado a ser humano con su propio siervo, lo es también que el siervo tiene la obligación de no ser holgazán, ni desperdiciador, sino cooperar para el bienestar del patrón que lo viste y le da de comer. ¿Soportaríais que vuestros trabajadores de la barcas, que los campesinos, el siervo, os dijesen: "Sírveme porque trabajé"? No lo creo.

TAMBIÉN VOSOTROS, 
AL VER LO QUE HABÉIS HECHO Y HACÉIS POR MÍ, 
Y MÁS TARDE AL VER LO QUE HARÉIS PARA CONTINUAR MI OBRA 
Y SEGUIR SIRVIENDO A VUESTRO MAESTRO, 
DEBÉIS SIEMPRE DECIR:

 "SOMOS SIERVOS INÚTILES 
PORQUE NO HEMOS HECHO MÁS QUE LO QUE DEBÍAMOS"

También vosotros, al ver lo que habéis hecho y hacéis por Mí, y más tarde al ver lo que haréis para continuar mi obra y seguir sirviendo a vuestro Maestro, debéis siempre decir, pues veréis que habéis hecho menos de lo que era justo hacer para igualar lo que obtuvisteis de Dios: "Somos siervos inútiles porque no hemos hecho más que lo que debíamos". Si así razonaréis, no tendríais más pretensiones ni dentro de vosotros habría malhumor, y obraríais con justicia."
Jesús calla. Todos reflexionan. Pedro da un codazo a Juan que reflexiona con los ojos fijos en el agua, que de color añil pasa a un azul plateado por la luna que la besa, y le dice: "Pregúntale que cuándo es cuando uno cumple con su deber. Quisiera hacer más de lo que me toca..."

"MAESTRO, DIME, EL HOMBRE QUE SEA TU SIERVO 
¿NUNCA PODRÁ HACER MÁS DE SU DEBER 
PARA PODER DECIRTE QUE CON ELLO TE AMA MUCHO MÁS?"

"En esto exactamente estaba pensando, Simón" le responde Juan con una sonrisa en los labios y en voz alta: "Maestro, dime, el hombre que sea tu siervo ¿nunca podrá hacer más de su deber para poder decirte que con ello te ama mucho más?"
"Muchacho, Dios te ha dado tanto que por justicia, cualquier heroísmo tuyo sería siempre poco. Pero el Señor es tan bueno que mide lo que le dais no con su medida infinita. Lo mide con la medida limitada de la capacidad humana. Y cuando ve que habéis dado sin tacañería, sino abundante, generosamente, dice entonces: "Este siervo mío me ha dado más de que debía, por esto le daré sobreabundancia de mis premios". "
"¡Qué contento estoy! Te daré todo lo que pueda para alcanzar esta sobreabundancia" exclama Pedro.
"Me lo darás. Me la daréis. Todos los que aman la Verdad, la Luz, me lo darán y conmigo sobrenaturalmente seréis felices, vosotros y ellos."
VII. 700-705

A. M. D. G. et B.V.M.

Domenica 6 ottobre 2013, XXVII Domenica del Tempo Ordinario - Anno C (da Maria Valtorta : Volume 6 Capitolo 422 pagina 425.)


"Prendete, prendete quest’opera e ‘non sigillatela’, ma leggetela e fatela leggere"
Gesù (cap 652, volume 10), a proposito del
"Evangelo come mi è stato rivelato"
di Maria Valtorta

Domenica 6 ottobre 2013, XXVII Domenica del Tempo Ordinario - Anno C

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Luca 17, 5-10.

Gli apostoli dissero al Signore:
«Aumenta la nostra fede!». Il Signore rispose: «Se aveste fede quanto un granellino di senapa, potreste dire a questo gelso: Sii sradicato e trapiantato nel mare, ed esso vi ascolterebbe. 

Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà quando rientra dal campo: Vieni subito e mettiti a tavola?
Non gli dirà piuttosto: Preparami da mangiare, rimboccati la veste e servimi, finché io abbia mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai anche tu?
Si riterrà obbligato verso il suo servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti? 

Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare».
Traduzione liturgica della Bibbia


Corrispondenza nel "Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta : Volume 6 Capitolo 422 pagina 425.

1Il greto biancheggia infatti nella notte illune ma chiarissima di migliaia di stelle, di larghe, inverosimilmente larghe stelle di cielo d’Oriente. Non è il lume intenso come quello della luna, ma è già una fosforescenza dolce che permette, a chi ha l’occhio assuefatto al buio, di vedere dove cammina e ciò che lo circonda. Qui, alla destra dei viandanti che risalgono verso nord costeggiando il fiume, la mite luminosità stellare mostra il limite vegetale fatto di canneti, salici e poi alberi alti e, poiché è lume molto lieve, essi sembrano fare una muraglia compatta, continua, senza interruzione, senza possibilità di penetrazione, appena rotta là dove il letto di un ruscello o di un torrente, completamente disseccati, mette una riga bianca che si addentra verso oriente e scompare alla prima curva del minuscolo affluente ora asciutto. Alla sinistra, invece, i camminatori discernono il luccichio delle acque che scendono verso il mar Morto borbottando, sospirando, frusciando, quiete e serene. E fra la linea lucente delle acque d’indaco, nella notte, e la massa nero-opaca delle erbe, arbusti e alberi, la striscia chiara del greto, dove più larga, dove più stretta, talora interrotta da un minuscolo stagno, residuo della passata piena, ancora dotato di un poco d’acqua in via di riassorbimento e nel quale fanno ciuffo ancor verde le erbe che altrove sono disseccate nell’asciuttore del greto, certo ardente nelle ore di sole.

Gli apostoli sono costretti da questi piccoli stagni, oppure da grovigli di falaschi secchi ma pericolosi come lame al piede seminudo nei sandali, a separarsi ogni tanto per poi riunirsi in gruppo intorno al Maestro loro, che va col suo passo lungo, sempre maestoso, tacendo per lo più, con lo sguardo levato alle stelle più che curvato al suolo. Gli apostoli no, non tacciono. Parlano fra di loro, riepilogando gli avvenimenti della giornata, traendone conclusioni oppure prevedendone gli svolgimenti futuri. Qualche rara parola di Gesù, sovente detta per rispondere a una diretta domanda oppure per correggere qualche ragione storta o non caritativa, punteggia il chiacchiericcio dei dodici. E il cammino procede nella notte, ritmando il silenzio notturno di un elemento nuovo su quelle rive deserte: le voci umane e lo scalpiccio dei passi. E tacciono gli usignoli fra le fronde, stupiti che suoni discordi e aspri si mescolino, turbando, all’abituale rumore delle acque e delle brezze, soliti accompagnamenti ai loro a-soli virtuosi. 


2Ma una domanda diretta, non concernente ciò che è stato ma ciò che deve avvenire, rompe con la violenza di una ribellione, oltre che col tono più acuto delle voci agitate da sdegno o da ira, la pace non solo della notte ma quella più intima dei cuori. Filippo domanda se e fra quanti giorni saranno alle loro case. Un latente bisogno di riposo, un non detto ma sottinteso desiderio di affetti famigliari è nella semplice domanda dell’apostolo già anzianotto, che è marito e padre oltre che apostolo, che ha degli interessi da curare… 
Gesù sente tutto questo e si volge a guardare Filippo, si ferma per attenderlo, essendo Filippo un poco indietro con Matteo e Natanaele, e avutolo vicino lo cinge con un braccio dicendogli: «Presto, amico mio. Però chiedo alla tua bontà un altro piccolo sacrificio, sempre che* tu non ti voglia separare prima da Me…».

 
«Io? Separarmi? Mai!». 
«E allora… ti allontano di ancor qualche tempo da Betsaida. Io voglio andare a Cesarea Marittima passando per la Samaria. Al ritorno andremo a Nazaret e resteranno con Me quelli che sono senza famiglia in Galilea. Poi, dopo qualche tempo, vi raggiungerò a Cafarnao… E là vi evangelizzerò per farvi più ancora capaci. Ma se tu credi che la tua presenza a Betsaida sia necessaria… va’ pure, Filippo. Ci ritroveremo là…». 
«No, Maestro. È più necessario stare con Te! Ma sai… È dolce la casa… e le figlie… Penso che non le avrò molto con me in futuro… e vorrei godere un poco della loro casta dolcezza. Ma se devo scegliere fra loro e Te, scelgo Te… e per più motivi…» termina sospirando Filippo. 
«E bene fai, amico. Perché Io ti sarò tolto prima delle figlie tue…». 
«Oh! Maestro!…» dice con pena l’apostolo. 
«Così è, Filippo» termina Gesù baciando sulla tempia l’apostolo. 



3Giuda Iscariota, che ha borbottato fra i denti da quando Gesù ha nominato Cesarea, alza la voce come se vedere il bacio dato a Filippo gli facesse perdere il controllo delle sue azioni. E dice: «Quante cose inutili! Io non so proprio che necessità ci sia di andare a Cesarea!», e lo dice con un’irruenza piena di bile; pare voglia sottintendere: «e Tu che ci vai sei uno stolto». 
«Non sei tu che devi giudicare delle necessità delle cose che facciamo, ma il Maestro» gli risponde Bartolomeo. 
«Sì, eh? Quasi che Lui vedesse chiare le necessità naturali!». 
«Ohè! Sei folle o sei sano? Sai di chi parli?» gli chiede Pietro scuotendolo per un braccio. 
«Non sono folle. Sono l’unico che ho il cervello sano. E so ciò che mi dico». 
«Belle cose che dici!», «Prega Dio che non te le calcoli!», «La modestia non ti è amica!», «Si direbbe che hai paura che ti si possa conoscere per quel che sei, andando a Cesarea» dicono insieme e rispettivamente Giacomo di Zebedeo, Simone Zelote, Tommaso e Giuda d’Alfeo. 
L’Iscariota si rivolta verso quest’ultimo: «Non ho nulla da temere e voi non avete nulla da conoscere. Ma io sono stanco di vedere che si passa di errore in errore e ci si rovina. Urti coi sinedristi, dispute coi farisei. Ora ci mancano i romani…». 

«Come? Ma se non sono due lune che tu eri esaltato di gioia, eri sicuro, eri, eri, eri… tutto eri perché avevi amica Claudia!» osserva ironico Bartolomeo che, essendo il più… intransigente, è quello che solo per ubbidienza al Maestro non si ribella a contatti con i romani. 
Giuda resta per un momento ammutolito perché la logica della ironica domanda è evidente e, a meno di non apparire illogici, non si può smentire ciò che si era detto prima. Ma poi si riprende: «Non è per i romani che dico questo. Voglio dire per i romani come nemici. Esse, perché in fondo non sono che quattro donne romane, quattro, cinque, sei al massimo, esse ci hanno promesso aiuto e lo daranno. 4Ma è perché ciò aumenterà l’astio dei nemici suoi, e Lui non lo capisce e…». 

«Il loro astio è completo, Giuda. E tu lo sai come Me e anche meglio di Me» dice calmo Gesù, calcando sul «meglio». 
«Io? Io? Che vuoi dire? Chi sa le cose meglio di Te?». 
«Or ora hai detto che tu solo conosci le necessità e il come usare in esse…» gli ribatte Gesù. 
«Ma per le cose naturali, sì. Io dico che Tu conosci le cose spirituali meglio di tutti». 
«Ciò è vero. Ma appunto ti dicevo che tu conosci meglio di Me le cose, brutte se vuoi, avvilenti se vuoi, naturali, quali l’astio dei miei nemici, quali i loro propositi…». 
«Io non so nulla! Nulla so io. Lo giuro sulla mia anima, su mia madre, su Jeové…». 


«Basta! È detto di non giurare» intima Gesù con una severità che pare indurirgli persino i tratti del volto in una perfezione di statua. 
«Ebbene non giurerò. Ma mi sarà lecito dire, perché non sono uno schiavo, che non è necessario, che non è utile, che è anzi pericoloso andare a Cesarea, parlare con le romane…». 
«E chi ti dice che ciò avverrà?» chiede Gesù. 
«Chi? Ma tutto! Tu hai bisogno di sincerarti di una cosa. Tu sei sulle peste di una…», si ferma comprendendo che l’ira lo fa troppo parlare. 

5Poi riprende: «Ed io ti dico che Tu dovresti pensare anche ai nostri interessi. Tu ci hai levato tutto. Casa, guadagni, affetti, tranquillità. Siamo dei perseguitati in causa tua e lo saremo anche dopo. Perché Tu, lo dici in tutti i modi, un bel momento te ne andrai. Ma noi restiamo. Ma noi resteremo rovinati, ma noi…».
 
«Tu non sarai perseguitato dopo che Io non sarò fra voi. Te lo dico Io, che sono la Verità. E ti dico che Io ho preso ciò che spontaneamente, insistentemente mi avete dato. Dunque non mi puoi accusare di avervi levato con prepotenza uno solo dei capelli che vi cadono quando li ravviate. Perché mi accusi?». Gesù è già meno severo, è adesso di una mestizia che vuoI ricondurre con dolcezza alla ragione, e credo che questa sua misericordia, così piena, così divina, sia freno agli altri che non l’avrebbero, no, per il colpevole. 
Anche Giuda sente questo e, con uno di quei bruschi trapassi della sua anima presa da due forze contrarie, si getta a terra colpendosi al capo, al petto e urlando: «Perché sono un demonio. Un demonio io sono. Salvami, Maestro, come salvi tanti indemoniati, Salvami! Salvami!». 
«Non sia inerte la tua volontà di esser salvato». 
«C’è. Lo vedi. Io voglio essere salvato». 
«Da Me. Pretendi che Io faccia tutto. Ma Io sono Dio e rispetto il tuo libero arbitrio. Ti darò le forze per giungere a “volere”. Ma volere non essere schiavo deve venire da te». 
«Lo voglio! Lo voglio! Ma non andare a Cesarea! Non andare! 

6Ascolta me come* hai ascoltato Giovanni quando volevi andare ad Acor. Abbiamo tutti gli stessi diritti. Ti serviamo tutti ugualmente. Tu hai l’obbligo di accontentarci per quello che facciamo… Trattami come Giovanni! Lo voglio! Che c’è di diverso fra me e lui?». 
«L’animo c’è! Mio fratello non avrebbe mai parlato come tu parli. Mio fratello non…». 
«Silenzio, Giacomo. Parlo Io. E a tutti. E tu alzati e procedi da uomo, quale Io ti tratto, non da schiavo gemente ai piedi del padrone. Sii uomo, posto che tanto ci tieni ad essere trattato come Giovanni, il quale, in verità, è da più di un uomo, perché è casto ed è saturo di Carità. Andiamo. È tardi. E all’alba voglio passare il fiume. A quell’ora rientrano i pescatori che hanno ritirato le nasse ed è facile trovare un traghetto. La luna nei suoi ultimi giorni alza sempre più il suo arco sottile. Possiamo, alla sua aumentata luce, andare più spediti. 

7Udite. In verità vi dico che nessuno deve vantarsi di fare il proprio dovere ed esigere per questo, che è un obbligo, speciali favori. 
Giuda ha ricordato che tutto mi avete dato. E mi ha detto che per questo Io ho il dovere di accontentarvi per quello che fate. Ma sentite un po’. Fra voi sono dei pescatori, dei possidenti di terra, più d’uno che ha un’officina, e lo Zelote che aveva un servo. Orbene. Quando i garzoni della barca, o gli uomini che come servi vi aiutavano nell’uliveto, vigneto, o fra i campi, o gli apprendisti dell’officina, o semplicemente il servo fedele che curava la casa e la mensa, finivano i loro lavori, voi vi mettevate forse a servirli? E così non è in tutte le case e le incombenze? Chi degli uomini, avendo un servo ad arare o a pascere, o un operaio nell’officina, gli dice quando finisce il lavoro: “Va’ subito a tavola”? Nessuno. Ma, sia che torni dai campi, come che abbia deposto gli arnesi del lavoro, ogni padrone dice: “Fammi da mangiare, ripulisciti, e con veste pulita e cinta servimi mentre io mangio e bevo. Dopo mangerai e berrai tu”. Né si può dire che ciò sia durezza di cuore. Perché il servo deve servire il padrone, né il padrone gli resta obbligato perché il servo ha fatto ciò che al mattino il padrone aveva ordinato. Perché, se è vero che il padrone ha il dovere di essere umano col proprio servo, così il servo ha il dovere di non essere infingardo e dilapidatore, ma di cooperare al benessere del padrone che lo veste e lo sfama. Sopportereste voi che i vostri garzoni di barca, i contadini, gli operai, il servo di casa, vi dicessero: “Servimi perché io ho lavorato”? Non credo. 
Così anche voi, guardando ciò che avete fatto e che fate per Me - e, in futuro, guardando ciò che farete per continuare la mia opera e continuare a servire il Maestro vostro - dovete sempre dire, perché vedrete anche che avete sempre fatto 
molto meno di quanto era giusto fare per essere a pari col molto avuto da Dio: “Siamo servi inutili, perché non abbiamo fatto che il nostro dovere”. Se così ragionerete, vedrete che non sentirete più pretese e malumori sorgere in voi, e agirete con giustizia». 
Gesù tace. Tutti riflettono.

 
8Pietro urta col gomito Giovanni, che riflette tenendo gli occhi celesti fissi sulle acque che dal color indaco passano ad un argento azzurro per la luna che le tocca, e gli dice: «Chiedigli quando è che uno fa più che il suo dovere. Vorrei giungere a fare di più del mio dovere, io…». 
«Io pure, Simone. Pensavo proprio a questo» gli risponde Giovanni col suo bel sorriso sulle labbra, e chiede forte: «Maestro, dimmi: l’uomo tuo servo non potrà mai fare più del suo dovere, per dirti con questo “più” che ti ama completamente?». 
«Fanciullo, Dio ti ha dato tanto che, per giustizia, ogni tuo eroismo sarebbe sempre poco. Ma il Signore è così buono che misura ciò che gli date non con la sua misura infinita. Lo misura con la misura limitata della capacità umana. E quando vede che avete dato senza parsimonia, con una misura colma, traboccante, generosa, allora dice: “Questo mio servo mi ha dato più di quanto era suo dovere. Perciò Io gli darò la superabbondanza dei miei premi”». 
«Oh! come sono contento! Io allora ti darò misura straripante per avere questa sovrabbondanza!» esclama Pietro. 
«Sì. Tu me la darai. Voi me la darete. Tutti quelli che sono amanti della Verità, della Luce, me la daranno. E con Me saranno soprannaturalmente felici».

Estratto di "l'Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta ©Centro Editoriale Valtortiano http://www.mariavaltorta.com/

Recordare nostri, Domina. Succurre nobis in fine

Il tesoro nascosto


Le parabole di Gesù
(012)
Il tesoro nascosto (237.4)

Un uomo, andato per caso a prendere terriccio per portarlo al suo orticello, nello scavare faticosamente la terra dura trova, sotto qualche strato di terra, un filone di metallo prezioso. 

Che fa allora quell'uomo? Ricopre con la terra la scoperta fatta. Non gli importa di lavorare più ancora perchè la scoperta merita la fatica. E poi va a casa sua, ragranella tutte le sue ricchezze in denaro o in oggetti, e queste ultime le vende per avere molto denaro. Poi va dal padrone del campo e gli dice: "Mi piace il tuo campo. Quanto vuoi per vendermelo?"

"Ma io non lo vendo" dice l'altro. Ma l'uomo offre somme sempre più forti, sproporzionate al valore del campo, e finisce a sedurre il padrone di esso, il quale pensa: "Quest'uomo è un pazzo! Ma posto che lo è io me ne avvantaggio. Prendo la somma che mi offre. Non è uno strozzinaggio perchè è lui che me la vuole dare. Con essa mi comprerò almeno altri tre campi, e più belli" e fa la vendita convinto di avere fatto un splendido affare. 


Ma invece è l'altro che fa l'affare splendido perchè si priva di oggetti che possono essere asportati dal ladro o perduti o consumati, e si procura un tesoro che per essere vero, naturale, è inesauribile. Merita dunque di sacrificare quanto ha per questo acquisto, ma in realtà possedendo per sempre il tesoro celato in esso.