venerdì 13 settembre 2013

Per non dimenticare



Dal libro di Papa Benedetto XVI : La mia vita: ricordi, 1927-1977, Ed. San Paolo, 1997,110-113.

Il secondo grande evento all'inizio dei miei anni di Ratisbona fu la pubblicazione del messale di Paolo VI, con il divieto quasi completo del messale precedente, dopo una fase di transizione di circa sei mesi. Il fatto che, dopo un periodo di sperimentazioni che spesso avevano profondamente sfigurato la liturgia, si tornasse ad avere un testo liturgico vincolante, era da salutare come qualcosa di sicuramente positivo. Ma rimasi sbigottito per il divieto del messale antico, dal momento che una cosa simile non si era mai verificata in tutta la storia della liturgia. Si diede l'impressione che questo fosse del tutto normale. Il messale precedente era stato realizzato da Pio V nel 1570, facendo seguito al concilio di Trento; era quindi normale che, dopo quattrocento anni e un nuovo Concilio, un nuovo papa pubblicasse un nuovo messale.

Ma la verità storica è un'altra. Pio V si era limitato a far rielaborare il messale romano allora in uso, come nel corso vivo della storia era sempre avvenuto lungo tutti i secoli. Non diversamente da lui, anche molti dei suoi successori avevano nuovamente rielaborato questo messale, senza mai contrapporre un messale a un altro. Si è sempre trattato di un processo continuativo di crescita e di purificazione, in cui, però, la continuità non veniva mai distrutta. Un messale di Pio V che sia stato creato da lui non esiste. C'è solo la rielaborazione da lui ordinata, come fase di un lungo processo di crescita storica. Il nuovo, dopo il concilio di Trento, fu di altra natura: l'irruzione della riforma protestante aveva avuto luogo soprattutto nella modalità di "riforme" liturgiche.

Non c'erano semplicemente una Chiesa cattolica e una Chiesa protestante poste l'una accanto all'altra; la divisione della Chiesa ebbe luogo quasi impercettibilmente e trovò la sua manifestazione più visibile e storicamente più incisiva nel cambiamento della liturgia, che, a sua volta, risultò parecchio diversificata sul piano locale, tanto che i confini tra cosa era ancora cattolico e cosa non lo era più, spesso erano ben difficili da definire. In questa situazione di confusione, resa possibile dalla mancanza di una normativa liturgica unitaria e dal pluralismo liturgico ereditato dal medioevo, il Papa decise che il Missale Romanum, il testo liturgico della città di Roma, in quanto sicuramente cattolico, doveva essere introdotto dovunque non ci si potesse richiamare a una liturgia che risalisse ad almeno duecento anni prima. Dove questo si verificava, si poteva mantenere la liturgia precedente, dato che il suo carattere cattolico poteva essere considerato sicuro.


Non si può quindi affatto parlare di un divieto riguardante i messali precedenti e fino a quel momento regolarmente approvati. Ora, invece, la promulgazione del divieto del messale che si era sviluppato nel corso dei secoli, fin dal tempo dei sacramentali dell'antica Chiesa, ha comportato una rottura nella storia della liturgia, le cui conseguenze potevano solo essere tragiche. Come era già avvenuto molte volte in precedenza, era del tutto ragionevole e pienamente in linea con le disposizioni del Concilio che si arrivasse a una revisione del messale, soprattutto in considerazione dell'introduzione delle lingue nazionali.


Ma in quel momento accadde qualcosa di più: si fece a pezzi l'edificio antico e se ne costruì un altro, sia pure con il materiale di cui era fatto l'edificio antico e utilizzando anche i progetti precedenti. Non c'è alcun dubbio che questo nuovo messale comportasse in molte sue parti degli autentici miglioramenti e un reale arricchimento, ma il fatto che esso sia stato presentato come un edificio nuovo, contrapposto a quello che si era formato lungo la storia, che si vietasse quest'ultimo e si facesse in qualche modo apparire la liturgia non più come un processo vitale, ma come un prodotto di erudizione specialistica e di competenza giuridica, ha comportato per noi dei danni estremamente gravi. In questo modo, infatti, si è sviluppata l'impressione che la liturgia sia "fatta", che non sia qualcosa che esiste prima di noi, qualcosa di " donato ", ma che dipenda dalle nostre decisioni. Ne segue, di conseguenza, che non si riconosca questa capacità decisionale solo agli specialisti o a un'autorità centrale, ma che, in definitiva, ciascuna "comunità " voglia darsi una propria liturgia.


Ma quando la liturgia è qualcosa che ciascuno si fa da sé, allora non ci dona più quella che è la sua vera qualità: l'incontro con il mistero, che non è un nostro prodotto, ma la nostra origine e la sorgente della nostra vita. Per la vita della Chiesa è drammaticamente urgente un rinnovamento della coscienza liturgica, una riconciliazione liturgica, che torni a riconoscere l'unità della storia della liturgia e comprenda il Vaticano II non come rottura, ma come momento evolutivo.
Sono convinto che la crisi ecclesiale in cui oggi ci troviamo dipende in gran parte dal crollo della liturgia, che talvolta viene addirittura concepita "etsi Deus non daretur": come se in essa non importasse più se Dio c'è e se ci parla e ci ascolta.

Ma se nella liturgia non appare più la comunione della fede, l'unità universale della Chiesa e della sua storia, il mistero del Cristo vivente, dov'è che la Chiesa appare ancora nella sua sostanza spirituale? Allora la comunità celebra solo se stessa, senza che ne valga la pena. E, dato che la comunità in se stessa non ha sussistenza, ma, in quanto unità, ha origine per la fede dal Signore stesso, diventa inevitabile in queste condizioni che si arrivi alla dissoluzione in partiti di ogni genere, alla contrapposizione partitica in una Chiesa che lacera se stessa.

Cor Sanctissimum Mariae,
ora pro nobis

 

giovedì 12 settembre 2013

Ave Maria!


Dai «Discorsi» del beato Aelredo, abate: 
Maria madre nostra.

Accostiamoci alla sua sposa, accostiamoci alla sua madre; accostiamoci all'ottima sua serva. Tutto questo è la beata Maria.

Ma che cosa faremo per lei? Quali doni le offriremo? 
Potessimo almeno darle quello che dobbiamo per debito! Noi le dobbiamo onore, 
noi le dobbiamo servizio, 
noi le dobbiamo amore, 
noi le dobbiamo lode. 

Noi le dobbiamo onore perché è madre di nostro Signore. Infatti colui che non onora la madre, senza dubbio disonora il figlio. La Scrittura dice: « Onora tuo padre e tua madre» (Lv 20, 12, ecc.).

Che cosa diremo dunque, fratelli? Non è forse ella nostra Madre? Certo, fratelli, ella è veramente nostra Madre. Per lei infatti siamo nati non al mondo, ma a Dio. Tutti noi, come ben sapete e credete, siamo stati nella morte, nella decrepitezza, nelle tenebre, nella miseria.

Nella morte, perché avevamo perduto il Signore; 
nella decrepitezza perché eravamo nella corruzione; nelle tenebre perché avevamo perduto la luce della sapienza e così eravamo del tutto perduti.

Ma per mezzo della beata Vergine Maria siamo nati molto meglio che non per mezzo di Eva, per il fatto che Cristo è nato da lei. Invece della decrepitezza abbiamo riacquistato la freschezza; invece della corruzione l’incorruzione; invece delle tenebre la luce.

Ella è nostra Madre, Madre della nostra vita, Madre della nostra incorruzione, Madre della nostra luce. Dice l'Apostolo riguardo a nostro Signore: «Egli è diventato per noi sapienza, giustizia, santificazione e redenzione» (1 Cor 1, 30).

Ella dunque, che è Madre di Cristo, è Madre della nostra sapienza, Madre della nostra giustizia, Madre della nostra santificazione, Madre della nostra redenzione; perciò è per noi più Madre della madre nostra secondo la carne. Dunque da lei abbiamo una natività migliore, perché da lei è la nostra santità, la nostra sapienza, la nostra giustizia, la nostra san­tificazione, la nostra redenzione.

Dice la Scrittura: «Lodate il Signore nei suoi santi» (Sal. 150, 1). Se nostro Signore si deve lodare per quei santi per mezzo dei quali opera miracoli e prodigi, quanto più è da lodare in colei nella quale fece se stesso, che è mirabile su tutte le cose mirabili.

(Disc. 20 «Per la Natività di Maria»; PL 195, 322-324)


Beata sei Tu, Santa Vergine Maria,

degna di ogni lode.

Da Te è nato il sole di giustizia

Cristo Salvatore!

Festa del SS.MO NOME di MARIA

12 SETTEMBRE: ONOMASTICO DELLA MADONNA



PREGHIERA AL NOME SANTO DI MARIA
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1. O adorabile Trinità, per l'amore con cui scegliesti ed eternamente Ti compiacesti del Santissimo Nome di Maria, per il potere che gli desti, per le grazie che riservasti ai Suoi devoti, fa' che esso sia anche per me fonte di grazia e di felicità.
Ave Maria...
.
Benedetto sempre sia il Santo Nome di Maria.
Lodato, onorato e invocato sempre sia, l'amabile e potente Nome di Maria.
O Santo, soave e potente Nome di Maria, possa sempre invocarTi durante la vita e nell'agonia.
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2. O amabile Gesù, per l'amore con cui pronunziasti tante volte il Nome della Tua cara Madre e per la consolazione che a Lei procuravi nel chiamarLa per Nome, raccomanda alle Sue speciali cure questo povero Tuo e Suo servo.
Ave Maria...
.
Benedetto sempre sia...
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3. O Angeli Santi, per la gioia che vi procurò la rivelazione del Nome della vostra Regina, per le lodi con cui Lo celebraste, svelatene anche a me tutta la bellezza, la potenza e la dolcezza e fate che io Lo invochi in ogni mio bisogno e specialmente in punto di morte.
Ave Maria...
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Benedetto sempre sia...
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4. O cara Sant'Anna, buona mamma della Madre mia, per la gioia da te provata nel pronunciare tante volte con devoto rispetto il Nome della tua piccola Maria o nel parlarne con il tuo buon Gioacchino, fa' che il dolce Nome di Maria sia continuamente anche sulle mie labbra.
Ave Maria...
.
Benedetto sempre sia...
.
5. E Tu, o dolcissima Maria, per il favore che Dio Ti fece nel donarTi Egli Stesso il Nome, coma a Sua diletta Figlia; per l'amore che Tu sempre ad Esso mostrasti concedendo grandi grazie ai Suoi devoti, concedi anche a me di rispettare, amare ed invocare questo soavissimo Nome.
Fa' che Esso sia il mio respiro, il mio riposo, il mio cibo, la mia difesa, il mio rifugio, il mio scudo, il mio canto, la mia musica, la mia preghiera, il mio pianto, il mio tutto, con quello di Gesù, affinchè dopo essere stato pace del mio cuore e dolcezza delle mie labbra durante la vita, sia la mia gioia in Cielo. Amen.
Ave Maria...





TRIDUO DI RIPARAZIONE DEGLI OLTRAGGI AL SANTISSIMO NOME DI MARIA
1. O adorabile Trinità, per l'amore con cui scegliesti ed eternamente Ti compiacesti del Santissimo nome di Maria, per il potere che gli desti, per le grazie che ri servasti ai suoi devoti, fa' che esso sia anche per me fonte di grazia e di felicità.
-  Ave Maria...
- Benedetto sempre sia il Santo nome di Maria.
Lodato, onorato e invocato sempre sia,
l’amabile e potente nome di Maria.
O Santo, soave e potente nome di Maria,
possa sempre invocarti durante la vita e nell’agonia.
2. O amabile Gesù, per l'amore con cui pronunziasti tante volte il nome della tua cara Madre e per la consolazione che a Lei procuravi nel chiamarla per nome, raccomanda alle sue speciali cure questo po vero tuo e suo servo.
-  Ave Maria...
- Benedetto sempre sia il Santo nome di Maria.
Lodato, onorato e invocato sempre sia,
l’amabile e potente nome di Maria.
O Santo, soave e potente nome di Maria, 
possa sempre invocarti durante la vita e nell’agonia.
3. O Angeli Santi, per il gaudio che vi procurò la rivela zione del nome della vostra Regina, per le lodi con cui lo celebraste, svelatene anche a me tutta la bellezza, la potenza e la dolcezza e fate che io lo invochi in ogni mio bisogno specialmente in punto di morte.
-  Ave Maria...
- Benedetto sempre sia il Santo nome di Maria.
Lodato, onorato e invocato sempre sia,
l’amabile e potente nome di Maria.
O Santo, soave e potente nome di Maria,
possa sempre invocarti durante la vita e nell’agonia

mercoledì 11 settembre 2013

LE SACRE STIMMATE


LE SACRE STIMMATE

1. Francesco, uomo evangelico, non si disimpegnava mai dal praticare il bene. Anzi, come gli spiriti angelici sulla scala di Giacobbe, o saliva verso Dio o discendeva verso il prossimo. Il tempo a lui concesso per guadagnare meriti, aveva imparato a suddividerlo con grande accortezza: parte ne spendeva nelle fatiche apostoliche per il suo prossimo, parte ne dedicava alla tranquillità e alle estasi della contemplazione.


Perciò, dopo essersi impegnato, secondo l'esigenza dei tempi e dei luoghi, a procacciare la salvezza degli altri, lasciava la folla col suo chiasso e cercava la solitudine, col suo segreto e la sua pace: là, dedicandosi più liberamente a Dio, detergeva dall'anima ogni più piccolo grano di polvere, che il contatto con gli uomini vi avesse lasciato.

Due anni prima che rendesse lo spirito a Dio, dopo molte e varie fatiche, la Provvidenza divina lo trasse in disparte, e lo condusse su un monte eccelso, chiamato monte della Verna.

Qui egli aveva iniziato, secondo il suo solito, a digiunare la quaresima in onore di san Michele arcangelo, quando incominciò a sentirsi inondato da straordinaria dolcezza nella contemplazione, acceso da più viva fiamma di desideri celesti, ricolmo di più ricche elargizioni divine. Si elevava a quelle altezze non come un importuno scrutatore della maestà, che viene oppresso dalla gloria, ma come un servo fedele e prudente, teso alla ricerca del volere di Dio, a cui bramava con sommo ardore di conformarsi in tutto e per tutto.

2. Egli, dunque, seppe da una voce divina che, all'apertura del Vangelo, Cristo gli avrebbe rivelato che cosa Dio maggiormente gradiva in lui e da lui.

Dopo aver pregato molto devotamente, prese dall'altare il sacro libro dei Vangeli e lo fece aprire dal suo devoto e santo compagno, nel nome della santa Trinità.
Aperto il libro per tre volte, sempre si imbatté nella Passione del Signore. Allora l'uomo pieno di Dio comprese che, come aveva imitato Cristo nelle azioni della sua vita, così doveva essere a lui conforme nelle sofferenze e nei dolori della Passione, prima di passare da questo mondo.
E benché ormai quel suo corpo, che aveva nel passato sostenuto tante austerità e portato senza interruzione la croce del Signore, non avesse più forze, egli non provò alcun timore, anzi si sentì più vigorosamente animato ad affrontare il martirio.
L'incendio indomabile dell'amore per il buon Gesù erompeva in lui con vampe e fiamme di carità così forti, che le molte acque non potevano estinguerle.



3. L'ardore serafico del desiderio, dunque, lo rapiva in Dio e un tenero sentimento di compassione lo trasformava in Colui che volle, per eccesso di carità, essere crocifisso.

Un mattino, all'appressarsi della festa dell'Esaltazione della santa Croce, mentre pregava sul fianco del monte, vide la figura come di un serafino [molto probabilmente lo stesso Cristo], con sei ali tanto luminose quanto infocate, discendere dalla sublimità dei cieli: esso, con rapidissimo volo, tenendosi librato nell'aria, giunse vicino all'uomo di Dio, e allora apparve tra le sue ali l'effigie di un uomo crocifisso, che aveva mani e piedi stesi e confitti sulla croce. Due ali si alzavano sopra il suo capo, due si stendevano a volare e due velavano tutto il corpo.
A quella vista si stupì fortemente, mentre gioia e tristezza gli inondavano il cuore.



Provava letizia per l'atteggiamento gentile, con il quale si vedeva guardato da Cristo, sotto la figura del serafino. Ma il vederlo confitto in croce gli trapassava l'anima con la spada dolorosa della compassione.



Fissava, pieno di stupore, quella visione così misteriosa, conscio che l'infermità della passione non poteva assolutamente coesistere con la natura spirituale e immortale del serafino. Ma da qui comprese, finalmente, per divina rivelazione, lo scopo per cui la divina provvidenza aveva mostrato al suo sguardo quella visione, cioè quello di fargli conoscere anticipatamente che lui, l'amico di Cristo, stava per essere trasformato tutto nel ritratto visibile di Cristo Gesù crocifisso, non mediante il martirio della carne, ma mediante l'incendio dello spirito.


Scomparendo, la visione gli lasciò nel cuore un ardore mirabile e segni altrettanto meravigliosi lasciò impressi nella sua carne.

Subito, infatti, nelle sue mani e nei suoi piedi, incominciarono ad apparire segni di chiodi, come quelli che poco prima aveva osservato nell'immagine dell'uomo crocifisso.
Le mani e i piedi, proprio al centro, si vedevano confitte ai chiodi; le capocchie dei chiodi sporgevano nella parte interna delle mani e nella parte superiore dei piedi, mentre le punte sporgevano dalla parte opposta. Le capocchie nelle mani e nei piedi erano rotonde e nere; le punte, invece, erano allungate, piegate all'indietro e come ribattute, ed uscivano dalla carne stessa, sporgendo sul resto della carne.
Il fianco destro era come trapassato da una lancia e coperto da una cicatrice rossa, che spesso emanava sacro sangue, imbevendo la tonaca e le mutande.





4. Vedeva, il servo di Cristo, che le stimmate impresse in forma così palese non potevano restare nascoste ai compagni più intimi; temeva, nondimeno, di mettere in pubblico il segreto del Signore ed era combattuto da un grande dubbio: dire quanto aveva visto o tacere?

Chiamò, pertanto, alcuni dei frati e, parlando in termini generali, espose loro il dubbio e chiese consiglio. Uno dei frati, Illuminato, di nome e di grazia, intuì che il Santo aveva avuto una visione straordinaria, per il fatto che sembrava tanto stupefatto, e gli disse: «Fratello, sappi che qualche volta i segreti divini ti vengono rivelati non solo per te, ma anche per gli altri. Ci sono, dunque, buone ragioni per temere che, se tieni celato quanto hai ricevuto a giovamento di tutti, venga giudicato colpevole di aver nascosto il talento».
Il Santo fu colpito da queste parole e, benché altre volte fosse solito dire: «Il mio segreto è per me», pure in quella circostanza, con molto timore, riferì come era avvenuta la visione e aggiunse che, durante l'apparizione il serafino gli aveva detto alcune cose, che in vita sua non avrebbe mai confidato a nessuno.
Evidentemente i discorsi di quel sacro serafino, mirabilmente apparso in croce, erano stati così sublimi che non era concesso agli uomini di proferirli.



5. Così il verace amore di Cristo aveva trasformato l'amante nella immagine stessa dell'amato.

Si compì, intanto, il numero dei quaranta giorni che egli aveva stabilito di trascorrere nella solitudine e sopravvenne anche la solennità dell'arcangelo Michele. Perciò l'uomo angelico Francesco discese dal monte: e portava in sé l'effigie del Crocifisso, raffigurata non su tavole di pietra o di legno dalla mano di un artefice, ma disegnata nella sua carne dal dito del Dio vivente. E, poiché è cosa buona nascondere il segreto del re, egli, consapevole del regalo segreto, nascondeva il più possibile quei segni sacri.
Ma a Dio appartiene rivelare a propria gloria i prodigi che egli compie e, perciò, Dio stesso, che aveva impresso quei segni nel segreto, li fece conoscere apertamente per mezzo dei miracoli, affinché la forza nascosta e meravigliosa di quelle stimmate si rivelasse con evidenza nella chiarezza dei segni.



6. Nella provincia di Rieti, infieriva un'epidemia gravissima e violentissima, che sterminava buoi e pecore, senza possibilità di rimedio.

Ma un uomo timorato di Dio una notte ebbe una visione, in cui lo si esortava a recarsi in fretta al romitorio dei frati, dove allora dimorava il servo di Dio, a prendere l'acqua con cui Francesco si era lavato, per aspergerne tutti gli animali.
Al mattino, quello andò al luogo e, ottenuta di nascosto quella sciacquatura dai compagni del Santo, andò ad aspergere con essa le pecore e i buoi ammalati.
Meraviglia!: appena toccati da quell'acqua, fosse pure una goccia sola, gli animali colpiti ricuperavano le forze, si alzavano immediatamente e correvano al pascolo, come se non avessero mai avuto malattie.
Così, per l'ammirabile efficacia di quell'acqua, che era stata a contatto con le sacre piaghe, ogni piaga scompariva e la pestilenza fu cacciata dal bestiame.


7. Nel territorio attorno alla Verna, prima che il Santo vi soggiornasse, i raccolti venivano ogni anno distrutti da una violenta grandinata, provocata da una nube che si alzava dalla montagna.

Ma, dopo quella fausta apparizione, con meraviglia degli abitanti, la grandine non venne più: evidentemente l'aspetto stesso del cielo, divenuto sereno in maniera inusitata, dichiarava, così, la grandezza di quella visione e la virtù taumaturgica delle stimmate, che proprio là erano state impresse.

Una volta, d'inverno, il Santo stava compiendo un viaggio, cavalcando, per la debolezza fisica e l'asperità della strada, un asinello, di proprietà d'un poveruomo.

Non poterono giungere all'ospizio prima del calar della notte e dovettero pernottare sotto la sporgenza d'una roccia, per evitare in qualche modo i danni della neve.
Il Santo si accorse che il suo accompagnatore brontolava sottovoce, si lamentava, sospirava, si agitava da una parte e dall'altra, perché aveva un vestito troppo leggero e non riusciva a dormire a causa del freddo intenso. Infiammato dal fuoco dell'amor divino, egli stese allora la mano e lo toccò. Fatto davvero mirabile: al contatto di quella mano sacra, che portava in sé il carbone ardente del serafino, immediatamente quell'uomo si sentì invadere, dentro e fuori, da un fortissimo calore, quasi fosse investito dalla fiamma di una fornace. Confortato nello spirito e nel corpo subito s'addormentò, fra sassi e nevi, e dormì fino al mattino, più saporitamente di quanto avesse mai riposato nel proprio letto, come poi raccontò lui stesso.
Tutti questi sono indizi sicuri, da cui risulta che quei sacri sigilli furono impressi dalla potenza di Colui che, mediante il ministero dei serafini, purifica, illumina ed infiamma.
Difatti essi, all'esterno, purificavano dalla pestilenza ed erano efficacissimi nel donare ai corpi salute, serenità e calore.
Ciò fu dimostrato da miracoli anche più probanti, che avvennero dopo la morte del Santo e che noi riporteremo più tardi, a suo luogo.



8. Grande era la cura che egli metteva nel nascondere il tesoro scoperto nel campo; ma non poté impedire che alcuni vedessero le stimmate delle mani e dei piedi, benché tenesse le mani quasi sempre coperte e, da allora, andasse con i piedi calzati.

Videro, durante la sua vita, molti frati: uomini già per se stessi in tutto e per tutto degni di fede a causa della loro santità eccelsa, essi vollero tuttavia confermare con giuramento, fatto sopra i libri sacri, che così era e che così avevano visto.
Videro anche, stante la loro familiarità con il Santo alcuni cardinali e resero testimonianza alla verità sia con la parola sia con gli scritti, intessendo veridicamente le lodi delle sacre stimmate in prose rimate, inni ed antifone, che pubblicarono in suo onore. Anche il sommo pontefice, papa Alessandro, predicando al popolo, in presenza di molti frati, fra cui c'ero anch'io, affermò di aver potuto osservare quelle stimmate sacre con i propri occhi, mentre il Santo era in vita.
Videro, alla sua morte, più di cinquanta frati, e Chiara la vergine a Dio devotissima, con le altre sue suore, nonché innumerevoli secolari. Molti di essi, come si dirà a suo luogo, mentre le baciavano per devozione, le toccarono anche ripetutamente, per averne una prova sicura.

Ma la ferita del costato la nascondeva con tanta premura, che nessuno la poté osservare, mentre era in vita, se non furtivamente.

Uno dei frati, che era solito servirlo con molto zelo, lo persuase una volta, con pia astuzia, a lasciarsi togliere la tonaca, per ripulirla. Così, guardando con attenzione, poté vedere la piaga: la toccò rapidamente con tre dita e poté misurare, a vista e al tatto, la grandezza della ferita.
Con analoga astuzia riuscì a vederla anche il frate che era allora suo vicario.
Un frate suo compagno, di ammirevole semplicità, mentre una volta gli frizionava le spalle malate, facendo passare la mano attraverso il cappuccio, la lasciò scivolare per caso sulla sacra ferita, procurandogli intenso dolore.
Per questa ragione il Santo portava, da allora, mutande così fatte che arrivavano fino alle ascelle e proteggevano la ferita del costato.
I frati che gli lavavano le mutande e gli ripulivano di quando in quando la tonaca, trovavano quegli indumenti arrossati di sangue e così, attraverso questa prova evidente, poterono conoscere, senza ombra di dubbio, l'esistenza della sacra ferita, che, poi, alla sua morte, insieme con molti altri, poterono venerare e contemplare a faccia svelata.



9. Orsù, dunque, o valorosissimo cavaliere di Cristo brandisci le armi del tuo stesso invittissimo Capitano: così splendidamente armato, sconfiggerai tutti gli avversari.

Brandisci il vessillo del Re altissimo: alla sua vista, tutti i combattenti dell'esercito di Dio ritroveranno coraggio. Ma brandisci anche il sigillo di Cristo, il pontefice sommo: con questa garanzia le tue parole e le tue azioni saranno da tutti e a piena ragione ritenute irreprensibili e autentiche!
Ormai, nessuno ti deve recare molestia per le stimmate del Signore Gesù, che porti nel tuo corpo; anzi ogni servitore di Cristo è tenuto a venerarti con tutto l'affetto.
Ormai, per questi segni certissimi, non solo confermati a sufficienza da due o tre testimoni, ma confermati in sovrabbondanza da prove innumerevoli, gli insegnamenti di Dio in te e per te si sono dimostrati veracissimi e tolgono agli increduli ogni velo di scusa, rinsaldano nella fede i credenti, li elevano con la fiducia della speranza, li infiammano col fuoco della carità.


10. Ora si è compiuta veramente in te la prima visione che tu vedesti, secondo la quale tu, futuro capitano dell'esercito di Cristo, dovevi essere decorato con l'insegna delle armi celesti e con il segno della croce.

Ora il fatto che tu, al principio della tua conversione, abbia avuto quella visione, in cui il tuo spirito fu trafitto dalla spada dolorosa della compassione e quell'altro, in cui hai udito quella voce scendere dalla croce, come trono sublime e segreto propiziatorio di Cristo, come tu stesso hai confermato con la tua sacra parola, risultano indubitabilmente veri.
Ora resta confermato che furono vere rivelazioni celesti, e non frutto di fantasia, quelle che seguirono alla tua conversione: quella della croce, che frate Silvestro vide uscire in maniera mirabile dalla tua bocca; quella delle spade, che il santo frate Pacifico vide trapassare il tuo corpo in forma di croce; quella in cui l'angelico frate Monaldo con chiarezza ti vide librato nell'aria in forma di croce, mentre Antonio, il Santo, predicava sulla scritta posta in cima alla croce.
Ora, finalmente, verso il termine della tua vita, ti viene mostrato il Cristo contemporaneamente sotto la figura eccelsa del Serafino e nell'umile effigie del Crocifisso, che infiamma d'amore il tuo spirito e imprime nel tuo corpo i sigilli, per cui tu vieni trasformato nell'altro Angelo, che sale dall'oriente e porti in te il segno del Dio vivente. Tutto questo da una parte conferisce la garanzia della credibilità alle visioni precedenti, mentre dall'altra riceve da esse la prova della veridicità.


Ecco: attraverso le sei apparizioni della Croce, che in modo mirabile e secondo un ordine progressivo furono mostrate apertamente in te e intorno a te, ora tu sei giunto, come per sei gradi successivi, a questa settima, nella quale poserai definitivamente.

La croce di Cristo, che ti fu proposta e che tu subito hai abbracciato agli inizi della tua conversione e che, da allora, durante la tua vita hai sempre portato in te stesso mediante una condotta degna d'ogni lode e hai sempre mostrato agli altri come esempio, sta a dimostrare con perfetta certezza che tu hai raggiunto definitivamente l'apice della perfezione evangelica.
Perciò nessuno, che sia veramente devoto, può respingere questa dimostrazione della sapienza cristiana, seminata nella terra della tua carne; nessuno, che sia veramente umile, può tenerla in poca considerazione, poiché essa è veramente opera di Dio ed è degna di essere accettata da tutti.

(S. Bonaventura: Vita di san Franc.)

Festa della Madonna Addolorata


Fatima (Portogallo), 15 settembre 1989. 
Festa della Madonna Addolorata.

Grande è il mio dolore.

«Partecipate, figli prediletti, al mio dolore.
Sono la vostra Madre addolorata.
Il mio Cuore Immacolato viene trapassato da spine numerose e dolorose.
Il dominio del mio Avversario si è fatto ogni giorno più grande ed il suo potere si espande nei cuori e nelle anime.
Una densa tenebra è ormai scesa sul mondo.
È la tenebra del rifiuto ostinato di Dio È la tenebra del peccato commesso, giustificato e non più confessato.
È la tenebra della lussuria e della impurità.
È la tenebra dell'egoismo sfrenato e dell'odio, della divisione e della guerra.
È la tenebra della perdita della fede e della apostasia.
Nel Calice del mio Cuore Immacolato Io raccolgo, ancora oggi, tutto il dolore di mio figlio Gesù, che misticamente rivive le ore sanguinose della sua agonia.

Nuovo Getsemani per Gesù è vedere oggi la sua Chiesa così violata e deserta, dove la maggior parte dei Pastori dorme nella indifferenza e nella tiepidezza, mentre altri ripetono il gesto di Giuda e tradiscono per sete di potere e di denaro.
Esulta il Drago di fronte alla vastità della sua conquista, con l'aiuto della bestia nera e della bestia simile a un agnello [massoneria civile ed ecclesiastica], in questi vostri giorni, in cui il diavolo si è scatenato contro di voi, sapendo che gli resta poco tempo.
Per questo sono giunti anche i giorni del mio grande dolore.



- Grande è il mio dolore nel vedere mio figlio Gesù ancora vilipeso e flagellato nella sua Parola, rifiutata per orgoglio e dilaniata da umane e razionalistiche interpretazioni.
- Grande è il mio dolore nel contemplare Gesù, realmente presente nella Eucarestia, sempre più dimenticato, abbandonato, offeso e calpestato.
- Grande è il mio dolore nel vedere la mia Chiesa divisa, tradita, spogliata e crocifissa.
- Grande è il mio dolore nel vedere il mio Papa che soccombe sotto il peso di una pesantissima Croce, mentre viene circondato dalla completa indifferenza da parte di vescovi, sacerdoti e fedeli.
- Grande è il mio dolore per un numero sempre più vasto di miei poveri figli, che percorre la strada del male e del peccato, del vizio e dell'impurità, dell'egoismo e dell'odio, con il grande pericolo di perdersi eternamente nell'inferno.
Allora oggi domando a voi, figli consacrati al mio Cuore Immacolato, quanto, in questo stesso luogo nel maggio 1917, ho chiesto ai miei tre piccoli bambini Lucia, Giacinta e Francesco, a cui sono apparsa.

- Volete anche voi offrirvi vittime al Signore, sull'altare del mio Cuore Immacolato, per la salvezza di tutti i miei poveri figli peccatori?

Se accogliete questa mia richiesta, dovete fare quanto ora vi domando.
*Pregate sempre di più, specialmente con il santo Rosario.
*Fate frequenti ore di adorazione e di riparazione Eucaristica.
*Accogliete con amore tutte le sofferenze che il Signore vi manda.
*Diffondete senza paura i messaggi che Io vi dono, come Celeste Profetessa di questi vostri ultimi tempi.
Se sapeste il castigo che vi attende, se chiudete ancora la porta dei vostri cuori alla voce angosciata della vostra Mamma Celeste!
**Poiché il Cuore divino di mio figlio Gesù ha affidato al mio Cuore Immacolato l'ultimo ed estremo tentativo per condurvi tutti alla salvezza».
MSM