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sabato 17 settembre 2016

SANTA MESSA nella Festa delle Sacre Simmate del Serafico Padre San Francesco d'Assisi

Die 17 Septembris

IN IMPRESSIONE SS. STIGMATUM

S. FRANCISCI

Confessoris
Duplex

Introitus Gal. 6, 14

MIHI autem absit gloriári, nisi in cruce Dómini nostri Jesu Christi, per quem mihi mundus crucifíxus est, et ego mundo. Ps. 141, 2 Voce mea ad Dóminum clamávi: voce mea ad Dóminum deprecátus sum. V/. Glória Patri.



Oratio


DÓMINE Jesu Christe, qui, frigescénte mundo, ad inflammándum corda nostra tui amóris igne, in carne beatíssimi Francísci Passiónis tuae sacra stígmata renovásti: concéde propítius ; ut ejus méritis et précibus crucem júgiter ferámus, et dignos fructus paeniténtiae faciámus: Qui vivis et regnas.


Léctio Epístolae beáti Pauli Apóstoli ad Gálatas.


Gal. 6, 14-18


FRATRES: Mihi autem absit gloriári, nisi in cruce Dómini nostri Jesu Christi: per quem mihi mundus crucifíxus est, et ego mundo. In Christo enim Jesu neque circumcísio áliquid valet, neque praepútium, sed nova creatúra. Et quicúmque hanc régulam secúti fúerint, pax super illos, et misericórdia, et super Israël Dei. De cétero nemo mihi moléstus sit: ego enim stígmata Dómini Jesu in córpore meo porto. Grátia Dómini nostri Jesu Christi cum spíritu vestro, fratres. Amen.


Graduale Ps. 36, 30-31 Os justi meditábitur sapiéntiam, et lingua ejus loquétur judícium. V/. Lex Dei ejus in corde ipsíus: et non supplantabúntur gressus ejus.

Allelúja, allelúja. V/. Francíscus pauper et húmilis, caelum dives ingréditur, hymnis caeléstibus honorátur. Allelúja.


+ Sequéntia sancti Evangélii secúndum Matthaéum.


Matth. 16, 24-27


IN illo témpore: Dixit Jesus discípulis suis: Si quis vult post me veníre, ábneget semetípsum, et tollat crucem suam, et sequátur me. Qui enim volúerit ánimam suam salvam fácere, perdet eam: qui autem perdíderit ánimam suam propter me, invéniet eam. Quid enim prodest hómini, si mundum univérsum lucrétur, ánimae vero suae detriméntum patiátur ? Aut quam dabit homo commutatiónem pro ánima sua ? Fílius enim hóminis ventúrus est in glória Patris sui cum Angelis suis: et tunc reddet unicuíque secúndum ópera ejus.


Offertorium Ps. 88, 25 Véritas mea, et misericórdia mea cum ipso: et in nómine meo exaltábitur cornu ejus.



Secreta


MÚNERA tibi, Dómine, dicáta sanctífica: et, intercedénte beáto Francísco, ab omni nos culpárum labe purífica. Per Dóminum.


Communio Luc. 12, 42 Fidélis servus et prudens, quem constítuit dóminus super famíliam suam: ut det illis in témpore trítici mensúram.



Postcommunio


DEUS, qui mira Crucis mystéria in beáto Francísco Confessóre tuo multifórmiter demonstrásti: da nobis, quaésumus ; devotiónis suae semper exémpla sectári, et assídua ejúsdem Crucis meditatióne muníri. Per Dóminum.

AMDG et BVM

martedì 1 ottobre 2013

“Gesù, mio Re soave! Che m’hai Tu fatto? ... Perché a me, Signore, a me indegno e povero? Le tue piaghe! Oh! Gesù!...”



<<16 settembre.

In alto il più puro cielo di settembre, ridente in un’aurora soavissima. In basso un breve pianoro fra scoscendere di coste montane molto alte, molto
selvose, molto rocciose. Un breve pianoro dall’erbetta corta e smeraldina, ancor tutta lucida per il pianto della rugiada, ma già prossima a scintillare di gemmeo riso per il bacio del sole.

In alto, sul puro cielo così azzurro e soave, fisso un fiammeggiante personaggio che non pare fatto che di incandescente fuoco. Un fuoco il cui folgoreggiare è
più vivo di quello del sole che sbuca da dietro una giogaia selvosa con un fasto di raggi e di splendori per cui tutto si accende di letizia.

Questo essere di fuoco è vestito di penne. Mi spiego. Pare un angelo perché due immense ali lo tengono sospeso a fisso sul cobalto immateriale del cielo
settembrino, due immense ali aperte che stagliano una traversa di croce a cui fa sostegno il corpo splendente. Due immense ali che sono candore di incandescenza aperte sul rutilare dell’incandescenza del corpo vestito di altre ali che tutto lo fasciano, raccolte come sono con le loro soprannaturali penne di perla, diamante e argento puro, intorno alla persona. Pare che anche il capo sia fasciato in questa singolare veste piumosa. Perché io non lo vedo. Vedo solo, là dove dovrebbe essere quel volto serafico, un trapelare di così vivo splendore che ne resto come abbacinata. Devo pensare ai fulgori più vivi che ho visto nelle paradisiache visioni per trovare un qualcosa di simile. Ma questo è ancor più vivo. La croce di piume accese sta fissa sul cielo col suo mistero.

In basso, un macilento fraticello, che riconosco per il Padre mio serafico 1, prega a ginocchi sull’erba, poco lungi da una grotta nuda, scabra, paurosa come
balza d’inferno. 
Il corpo distrutto pare non abiti nella tonaca grave e tanto larga rispetto alle membra. 
Il collo esce, di un pallido bruno, dalla cocolla 2 bigiognola, un colore fra quello della cenere e quello di certe sabbie lievemente giallognole. 
Le mani escono coi loro polsi sottili dalle ampie maniche e si tendono in preghiera, a palme volte all’esterno e alzate come nel “Dominus vobiscum”3. Due mani brunette un tempo, ora giallognole, di persona sofferente, e macilente. 
Il viso è un sottile volto che pare scolpito nell’avorio vecchio, non bello né regolare, ma che ha una sua particolare bellezza fatta di spiritualità.

Gli occhi castani sono bellissimi. Ma non guardano in alto. Guardano, ben aperti e fissi, le cose della terra. Ma non credo che vedano. Stanno aperti, posati
sull’erba rugiadosa; pare studino il ricamo bigiognolo di un cardo selvatico e quello piumoso di un finocchio selvatico, che la rugiada ha tramutato in una verde

1 San Francesco d’Assisi, verso il quale la scrittrice si era sentita
trasportata fin da ragazza, entrando poi nel suo Terz’Ordine.
2 cocolla è nostra correzione da coccola
3 Vedi la nota 2 di pag. 198.

“aigrette” diamantata. Ma sono certa che non vede niente. Neppure il pettirosso che scende con un cinguettio a cercare sull’erba qualche piccolo seme. Prega.
Gli occhi sono aperti. Ma il suo sguardo non va al di fuori, ma al di dentro di sé.
Come e perché e quando si accorga della croce viva che è fissa nel cielo, non so. L’abbia sentita per attrazione o l’abbia vista per chiamata interna, non so.
So che alza il volto e cerca con l’occhio che ora si anima di interesse, cosa che conferma la mia persuasione della sua precedente assenza di vista per
l’esterno.

Lo sguardo del mio Padre serafico incontra la grande, viva, fiammeggiante croce.
Un attimo di stupore. Poi un grido: “Signore mio!”, e Francesco ricade un poco sui calcagni rimanendo estatico, col volto levato, sorridente, piangente le due
prime lacrime della beatitudine, con le braccia più aperte...
Ed ecco che il Serafino muove la sua splendente, misteriosa figura. Scende. Si avvicina. Non viene sulla terra. No. È ancora molto in alto. Ma non più come era
prima. A mezza via fra cielo e terra. E la terra si fa ancor più luminosa per questo vivo sole che in questa beata aurora si unisce e soverchia l’altro d’ogni giorno. Nello scendere, ad ali tese sempre a croce, fendendo l’aria non per moto di penne ma per proprio peso, dà un suono di paradiso. Qualcosa che nessuno
strumento umano può dare. Penso e ricordo il suono del globo di Fuoco della Pentecoste 4...

Ed ora ecco che, mentre Francesco più ride, e piange, e splende, nella gioia estatica, il Serafino apre le due ali - ora capisco bene che sono ali - che stanno verso il mezzo della croce. E appaiono inchiodate sul legno le santissime piante del mio Signore, e le sue lunghe gambe, di uno splendore, in questa visione, così vivo come lo hanno le sue membra glorificate in Paradiso 5. E poi si aprono due altre ali, proprio al sommo della croce. E la vista mia, e credo 6 anche quella di Francesco, per quanto egli sia sovvenuto da grazia divina, ne hanno sofferenza di gioia per il vivo abbaglio.

Ecco il tronco del Salvatore che palpita nel respiro... ed ecco, oh! ecco il Fuoco che solo una grazia permette fissare, ecco il Fuoco del suo viso che
appare quando il sudario delle scintillanti penne è tutto aperto. Fuoco di tutti i vulcani e astri e fiamme, circondato da sei sublimi ali di perle, argento e
diamante, sarebbe ancor poca luce rispetto a questo indescrivibile, inconcepibile splendere dell’Umanità Ss. del Redentore confitto sul suo patibolo.

Il volto, poi, e i cinque fori delle piaghe, non trovano riscontro in nessun paragone per esser descritti. Penso... penso alle cose più splendenti... penso
persino alla luce misteriosa che emana il radio. Ma, se quanto ho letto è vero, questa luce è viva ma di un argento-blu di stella, mentre questa è condensazione
di sole moltiplicata per un numero incalcolabile di volte.


4 Nella visione del 28 maggio, pag. 274.
5 Nella visione del 10 gennaio, pag. 29.
6 credo è nostra correzione da vedo


La vetta della Verna deve apparire come se mille vulcani si fossero aperti intorno ad essa a farle corona. L’aria, per la luce e il calore, che arde e non
brucia, che emana dal mio Signore crocifisso, trema con onde percepibili all’occhio, e steli e fronde sembrano irreali tanto la luce penetra anche l’opacità dei corpi e li fa luce...
Io non mi vedo. Ma penso che al riflesso di quella luce la mia povera persona deve apparire come fosforescente. Francesco, poi, su cui la luce si riversa e lo investe e penetra, non pare più corpo umano. Ma un minore serafino, fratello di quello che ha dato le sue ali a servizio del Redentore.

Ora è quasi riverso, Francesco, tanto è piegato indietro, a braccia completamente aperte, sotto il suo Sole Iddio Crocifisso! È immateriale all’aspetto tanto la luce e la gioia lo penetrano. Non parla, non respira,
materialmente. Parrebbe 7 un morto glorificato se non fosse in quella posa che richiede almeno un minimo di vita per sussistere. Le lacrime che scendono, e
forse servono a temperare l’umana arsura di questa mistica fiamma, splendono come rivi di diamante sulle guance magre.

Io non odo nessuna parola né di Francesco né di Gesù. Un silenzio assoluto, profondo, attonito. Una pausa nel mondo che è intorno al mistero. Per non
turbare. Per non profanare questo sacro silenzio dove un Dio si comunica al suo benedetto. Contrariamente a quanto sarebbe da supporsi, gli uccelli non si
esaltano a più acuti trilli e lieti voli per questa festa di luce, non danzano farfalle o libellule, non guizzano lucertole e ramarri. Tutto è fermo in un’attesa in cui sento l’adorazione degli esseri verso Colui per cui furono fatti. Non c’è più neppure quella brezza lieve che faceva rumor di sospiro fra le fronde. Più neppure quel suono arpeggiato e lento di un’acqua nascosta in
qualche cavo di pietra, e che prima gettava, come perle rare, dentro per dentro 8, le sue note su scala tonata. Niente. Vi è l’Amore. E basta. Gesù guarda e
ride al suo Francesco. Francesco guarda e ride al suo Gesù... Basta.


Ma ora ecco che il Volto glorificato, tanto luminoso da parere quasi a linee di luce come è quello del Padre Eterno, si materializza un poco. Gli occhi prendono
quel fulgore di zaffiro acceso di quando opera miracolo. Le linee divengono severe, imponenti, come sempre in quelle ore, imperiose, direi. Un comando del Verbo deve andare alla sua Carne; e la Carne obbedisce. E dalle cinque piaghe saetta cinque strali, cinque piccoli fulmini, dovrei dire, che scendono senza
zigzagare nell’aria ma a perpendicolo, velocissimi, cinque aghi di luce insostenibile e che trapassano Francesco...

7 Parrebbe è nostra correzione da Parebbe
8 dentro per dentro è espressione ricorrente nella scrittrice e significa ogni tanto, di tanto in tanto


Non vedo, è naturale, le piante, coperte dalla veste e dalle membra, e il costato coperto dalla tonaca. Ma le mani le vedo. E vedo che, dopo che le punte
infuocate sono entrate e trapassate - io sono come dietro Francesco - la luce, che è dall’altra parte, verso il palmo, passa dal foro sul dorso. Paiono due
occhielli aperti nel metacarpo e dai quali scendono due fili di sangue che scorrono lenti giù per i polsi, sugli avambracci, sotto le maniche.

Francesco non ha che un sospiro così profondo che mi ricorda quello estremo dei morenti. Ma non cade. Resta come era ancor per qualche tempo. Sinché il
Serafino, di cui mai ho visto il volto - ho visto di lui solo le sei ali - ridistende queste sublimi ali come velo sul Corpo santissimo e lo nasconde, e con le due ali iniziali risale, sempre più oltre, nel cielo, e la luce
diminuisce, rimanendo infine solo quella di un sereno mattino solare. E il serafino scompare oltre il cobalto del cielo che lo inghiotte e si chiude sul mistero che è sceso a far beato un figlio di Dio e che ora è risalito al suo regno.

Allora Francesco sente il dolore delle ferite e con un gemito, senza alzarsi in piedi, passa dalla posizione di prima a sedersi in terra. E si guarda le mani... e si scopre i piedi. E socchiude la veste sul petto. Cinque rivoli di sangue e cinque tagli sono il ricordo del bacio di Dio. E Francesco si bacia le mani e si carezza costato e piante, piangendo e mormorando: “Oh, mio Gesù! Mio Gesù! Che amore! Che amore, Gesù!... Gesù!... Gesù!...”.
E tenta porsi in piedi, puntando i pugni al suolo, e vi riesce con dolore delle palme e delle piante, e si avvia, un poco barcollante come chi è ferito e non può appoggiarsi al suolo e vacilla per dolore e debolezza di svenamento, verso il suo speco, e cade a ginocchi su un sasso, con la fronte contro una croce di solo legno, due rami legati insieme, e là riguarda le sue mani sulle quali pare formarsi una testa di chiodo che penetra a trapassa, e piange. Piange d’amore, battendosi il petto e dicendo: “Gesù, mio Re soave! Che m’hai Tu fatto? Non per il dolore, ma per l’altrui lode mi è troppo questo tuo dono! Perché a me, Signore, a me indegno e povero? Le tue piaghe! Oh! Gesù!...”.

Non odo altro né vedo altro.
Mi pare di avere, quando ero fra i vivi, udito descrivere in altro modo la visione. Mi pare dicessero che era un Serafino col volto di Cristo. Io non so che farci. Io l’ho vista così e così la descrivo.
Io non sono mai stata alla Verna, né in nessun luogo francescano, per quanto sempre l’abbia desiderato. Ignoro perciò la topografia dei luoghi nella maniera
più assoluta.>>
Salve sancte Pater, Patriae Lux

mercoledì 11 settembre 2013

LE SACRE STIMMATE


LE SACRE STIMMATE

1. Francesco, uomo evangelico, non si disimpegnava mai dal praticare il bene. Anzi, come gli spiriti angelici sulla scala di Giacobbe, o saliva verso Dio o discendeva verso il prossimo. Il tempo a lui concesso per guadagnare meriti, aveva imparato a suddividerlo con grande accortezza: parte ne spendeva nelle fatiche apostoliche per il suo prossimo, parte ne dedicava alla tranquillità e alle estasi della contemplazione.


Perciò, dopo essersi impegnato, secondo l'esigenza dei tempi e dei luoghi, a procacciare la salvezza degli altri, lasciava la folla col suo chiasso e cercava la solitudine, col suo segreto e la sua pace: là, dedicandosi più liberamente a Dio, detergeva dall'anima ogni più piccolo grano di polvere, che il contatto con gli uomini vi avesse lasciato.

Due anni prima che rendesse lo spirito a Dio, dopo molte e varie fatiche, la Provvidenza divina lo trasse in disparte, e lo condusse su un monte eccelso, chiamato monte della Verna.

Qui egli aveva iniziato, secondo il suo solito, a digiunare la quaresima in onore di san Michele arcangelo, quando incominciò a sentirsi inondato da straordinaria dolcezza nella contemplazione, acceso da più viva fiamma di desideri celesti, ricolmo di più ricche elargizioni divine. Si elevava a quelle altezze non come un importuno scrutatore della maestà, che viene oppresso dalla gloria, ma come un servo fedele e prudente, teso alla ricerca del volere di Dio, a cui bramava con sommo ardore di conformarsi in tutto e per tutto.

2. Egli, dunque, seppe da una voce divina che, all'apertura del Vangelo, Cristo gli avrebbe rivelato che cosa Dio maggiormente gradiva in lui e da lui.

Dopo aver pregato molto devotamente, prese dall'altare il sacro libro dei Vangeli e lo fece aprire dal suo devoto e santo compagno, nel nome della santa Trinità.
Aperto il libro per tre volte, sempre si imbatté nella Passione del Signore. Allora l'uomo pieno di Dio comprese che, come aveva imitato Cristo nelle azioni della sua vita, così doveva essere a lui conforme nelle sofferenze e nei dolori della Passione, prima di passare da questo mondo.
E benché ormai quel suo corpo, che aveva nel passato sostenuto tante austerità e portato senza interruzione la croce del Signore, non avesse più forze, egli non provò alcun timore, anzi si sentì più vigorosamente animato ad affrontare il martirio.
L'incendio indomabile dell'amore per il buon Gesù erompeva in lui con vampe e fiamme di carità così forti, che le molte acque non potevano estinguerle.



3. L'ardore serafico del desiderio, dunque, lo rapiva in Dio e un tenero sentimento di compassione lo trasformava in Colui che volle, per eccesso di carità, essere crocifisso.

Un mattino, all'appressarsi della festa dell'Esaltazione della santa Croce, mentre pregava sul fianco del monte, vide la figura come di un serafino [molto probabilmente lo stesso Cristo], con sei ali tanto luminose quanto infocate, discendere dalla sublimità dei cieli: esso, con rapidissimo volo, tenendosi librato nell'aria, giunse vicino all'uomo di Dio, e allora apparve tra le sue ali l'effigie di un uomo crocifisso, che aveva mani e piedi stesi e confitti sulla croce. Due ali si alzavano sopra il suo capo, due si stendevano a volare e due velavano tutto il corpo.
A quella vista si stupì fortemente, mentre gioia e tristezza gli inondavano il cuore.



Provava letizia per l'atteggiamento gentile, con il quale si vedeva guardato da Cristo, sotto la figura del serafino. Ma il vederlo confitto in croce gli trapassava l'anima con la spada dolorosa della compassione.



Fissava, pieno di stupore, quella visione così misteriosa, conscio che l'infermità della passione non poteva assolutamente coesistere con la natura spirituale e immortale del serafino. Ma da qui comprese, finalmente, per divina rivelazione, lo scopo per cui la divina provvidenza aveva mostrato al suo sguardo quella visione, cioè quello di fargli conoscere anticipatamente che lui, l'amico di Cristo, stava per essere trasformato tutto nel ritratto visibile di Cristo Gesù crocifisso, non mediante il martirio della carne, ma mediante l'incendio dello spirito.


Scomparendo, la visione gli lasciò nel cuore un ardore mirabile e segni altrettanto meravigliosi lasciò impressi nella sua carne.

Subito, infatti, nelle sue mani e nei suoi piedi, incominciarono ad apparire segni di chiodi, come quelli che poco prima aveva osservato nell'immagine dell'uomo crocifisso.
Le mani e i piedi, proprio al centro, si vedevano confitte ai chiodi; le capocchie dei chiodi sporgevano nella parte interna delle mani e nella parte superiore dei piedi, mentre le punte sporgevano dalla parte opposta. Le capocchie nelle mani e nei piedi erano rotonde e nere; le punte, invece, erano allungate, piegate all'indietro e come ribattute, ed uscivano dalla carne stessa, sporgendo sul resto della carne.
Il fianco destro era come trapassato da una lancia e coperto da una cicatrice rossa, che spesso emanava sacro sangue, imbevendo la tonaca e le mutande.





4. Vedeva, il servo di Cristo, che le stimmate impresse in forma così palese non potevano restare nascoste ai compagni più intimi; temeva, nondimeno, di mettere in pubblico il segreto del Signore ed era combattuto da un grande dubbio: dire quanto aveva visto o tacere?

Chiamò, pertanto, alcuni dei frati e, parlando in termini generali, espose loro il dubbio e chiese consiglio. Uno dei frati, Illuminato, di nome e di grazia, intuì che il Santo aveva avuto una visione straordinaria, per il fatto che sembrava tanto stupefatto, e gli disse: «Fratello, sappi che qualche volta i segreti divini ti vengono rivelati non solo per te, ma anche per gli altri. Ci sono, dunque, buone ragioni per temere che, se tieni celato quanto hai ricevuto a giovamento di tutti, venga giudicato colpevole di aver nascosto il talento».
Il Santo fu colpito da queste parole e, benché altre volte fosse solito dire: «Il mio segreto è per me», pure in quella circostanza, con molto timore, riferì come era avvenuta la visione e aggiunse che, durante l'apparizione il serafino gli aveva detto alcune cose, che in vita sua non avrebbe mai confidato a nessuno.
Evidentemente i discorsi di quel sacro serafino, mirabilmente apparso in croce, erano stati così sublimi che non era concesso agli uomini di proferirli.



5. Così il verace amore di Cristo aveva trasformato l'amante nella immagine stessa dell'amato.

Si compì, intanto, il numero dei quaranta giorni che egli aveva stabilito di trascorrere nella solitudine e sopravvenne anche la solennità dell'arcangelo Michele. Perciò l'uomo angelico Francesco discese dal monte: e portava in sé l'effigie del Crocifisso, raffigurata non su tavole di pietra o di legno dalla mano di un artefice, ma disegnata nella sua carne dal dito del Dio vivente. E, poiché è cosa buona nascondere il segreto del re, egli, consapevole del regalo segreto, nascondeva il più possibile quei segni sacri.
Ma a Dio appartiene rivelare a propria gloria i prodigi che egli compie e, perciò, Dio stesso, che aveva impresso quei segni nel segreto, li fece conoscere apertamente per mezzo dei miracoli, affinché la forza nascosta e meravigliosa di quelle stimmate si rivelasse con evidenza nella chiarezza dei segni.



6. Nella provincia di Rieti, infieriva un'epidemia gravissima e violentissima, che sterminava buoi e pecore, senza possibilità di rimedio.

Ma un uomo timorato di Dio una notte ebbe una visione, in cui lo si esortava a recarsi in fretta al romitorio dei frati, dove allora dimorava il servo di Dio, a prendere l'acqua con cui Francesco si era lavato, per aspergerne tutti gli animali.
Al mattino, quello andò al luogo e, ottenuta di nascosto quella sciacquatura dai compagni del Santo, andò ad aspergere con essa le pecore e i buoi ammalati.
Meraviglia!: appena toccati da quell'acqua, fosse pure una goccia sola, gli animali colpiti ricuperavano le forze, si alzavano immediatamente e correvano al pascolo, come se non avessero mai avuto malattie.
Così, per l'ammirabile efficacia di quell'acqua, che era stata a contatto con le sacre piaghe, ogni piaga scompariva e la pestilenza fu cacciata dal bestiame.


7. Nel territorio attorno alla Verna, prima che il Santo vi soggiornasse, i raccolti venivano ogni anno distrutti da una violenta grandinata, provocata da una nube che si alzava dalla montagna.

Ma, dopo quella fausta apparizione, con meraviglia degli abitanti, la grandine non venne più: evidentemente l'aspetto stesso del cielo, divenuto sereno in maniera inusitata, dichiarava, così, la grandezza di quella visione e la virtù taumaturgica delle stimmate, che proprio là erano state impresse.

Una volta, d'inverno, il Santo stava compiendo un viaggio, cavalcando, per la debolezza fisica e l'asperità della strada, un asinello, di proprietà d'un poveruomo.

Non poterono giungere all'ospizio prima del calar della notte e dovettero pernottare sotto la sporgenza d'una roccia, per evitare in qualche modo i danni della neve.
Il Santo si accorse che il suo accompagnatore brontolava sottovoce, si lamentava, sospirava, si agitava da una parte e dall'altra, perché aveva un vestito troppo leggero e non riusciva a dormire a causa del freddo intenso. Infiammato dal fuoco dell'amor divino, egli stese allora la mano e lo toccò. Fatto davvero mirabile: al contatto di quella mano sacra, che portava in sé il carbone ardente del serafino, immediatamente quell'uomo si sentì invadere, dentro e fuori, da un fortissimo calore, quasi fosse investito dalla fiamma di una fornace. Confortato nello spirito e nel corpo subito s'addormentò, fra sassi e nevi, e dormì fino al mattino, più saporitamente di quanto avesse mai riposato nel proprio letto, come poi raccontò lui stesso.
Tutti questi sono indizi sicuri, da cui risulta che quei sacri sigilli furono impressi dalla potenza di Colui che, mediante il ministero dei serafini, purifica, illumina ed infiamma.
Difatti essi, all'esterno, purificavano dalla pestilenza ed erano efficacissimi nel donare ai corpi salute, serenità e calore.
Ciò fu dimostrato da miracoli anche più probanti, che avvennero dopo la morte del Santo e che noi riporteremo più tardi, a suo luogo.



8. Grande era la cura che egli metteva nel nascondere il tesoro scoperto nel campo; ma non poté impedire che alcuni vedessero le stimmate delle mani e dei piedi, benché tenesse le mani quasi sempre coperte e, da allora, andasse con i piedi calzati.

Videro, durante la sua vita, molti frati: uomini già per se stessi in tutto e per tutto degni di fede a causa della loro santità eccelsa, essi vollero tuttavia confermare con giuramento, fatto sopra i libri sacri, che così era e che così avevano visto.
Videro anche, stante la loro familiarità con il Santo alcuni cardinali e resero testimonianza alla verità sia con la parola sia con gli scritti, intessendo veridicamente le lodi delle sacre stimmate in prose rimate, inni ed antifone, che pubblicarono in suo onore. Anche il sommo pontefice, papa Alessandro, predicando al popolo, in presenza di molti frati, fra cui c'ero anch'io, affermò di aver potuto osservare quelle stimmate sacre con i propri occhi, mentre il Santo era in vita.
Videro, alla sua morte, più di cinquanta frati, e Chiara la vergine a Dio devotissima, con le altre sue suore, nonché innumerevoli secolari. Molti di essi, come si dirà a suo luogo, mentre le baciavano per devozione, le toccarono anche ripetutamente, per averne una prova sicura.

Ma la ferita del costato la nascondeva con tanta premura, che nessuno la poté osservare, mentre era in vita, se non furtivamente.

Uno dei frati, che era solito servirlo con molto zelo, lo persuase una volta, con pia astuzia, a lasciarsi togliere la tonaca, per ripulirla. Così, guardando con attenzione, poté vedere la piaga: la toccò rapidamente con tre dita e poté misurare, a vista e al tatto, la grandezza della ferita.
Con analoga astuzia riuscì a vederla anche il frate che era allora suo vicario.
Un frate suo compagno, di ammirevole semplicità, mentre una volta gli frizionava le spalle malate, facendo passare la mano attraverso il cappuccio, la lasciò scivolare per caso sulla sacra ferita, procurandogli intenso dolore.
Per questa ragione il Santo portava, da allora, mutande così fatte che arrivavano fino alle ascelle e proteggevano la ferita del costato.
I frati che gli lavavano le mutande e gli ripulivano di quando in quando la tonaca, trovavano quegli indumenti arrossati di sangue e così, attraverso questa prova evidente, poterono conoscere, senza ombra di dubbio, l'esistenza della sacra ferita, che, poi, alla sua morte, insieme con molti altri, poterono venerare e contemplare a faccia svelata.



9. Orsù, dunque, o valorosissimo cavaliere di Cristo brandisci le armi del tuo stesso invittissimo Capitano: così splendidamente armato, sconfiggerai tutti gli avversari.

Brandisci il vessillo del Re altissimo: alla sua vista, tutti i combattenti dell'esercito di Dio ritroveranno coraggio. Ma brandisci anche il sigillo di Cristo, il pontefice sommo: con questa garanzia le tue parole e le tue azioni saranno da tutti e a piena ragione ritenute irreprensibili e autentiche!
Ormai, nessuno ti deve recare molestia per le stimmate del Signore Gesù, che porti nel tuo corpo; anzi ogni servitore di Cristo è tenuto a venerarti con tutto l'affetto.
Ormai, per questi segni certissimi, non solo confermati a sufficienza da due o tre testimoni, ma confermati in sovrabbondanza da prove innumerevoli, gli insegnamenti di Dio in te e per te si sono dimostrati veracissimi e tolgono agli increduli ogni velo di scusa, rinsaldano nella fede i credenti, li elevano con la fiducia della speranza, li infiammano col fuoco della carità.


10. Ora si è compiuta veramente in te la prima visione che tu vedesti, secondo la quale tu, futuro capitano dell'esercito di Cristo, dovevi essere decorato con l'insegna delle armi celesti e con il segno della croce.

Ora il fatto che tu, al principio della tua conversione, abbia avuto quella visione, in cui il tuo spirito fu trafitto dalla spada dolorosa della compassione e quell'altro, in cui hai udito quella voce scendere dalla croce, come trono sublime e segreto propiziatorio di Cristo, come tu stesso hai confermato con la tua sacra parola, risultano indubitabilmente veri.
Ora resta confermato che furono vere rivelazioni celesti, e non frutto di fantasia, quelle che seguirono alla tua conversione: quella della croce, che frate Silvestro vide uscire in maniera mirabile dalla tua bocca; quella delle spade, che il santo frate Pacifico vide trapassare il tuo corpo in forma di croce; quella in cui l'angelico frate Monaldo con chiarezza ti vide librato nell'aria in forma di croce, mentre Antonio, il Santo, predicava sulla scritta posta in cima alla croce.
Ora, finalmente, verso il termine della tua vita, ti viene mostrato il Cristo contemporaneamente sotto la figura eccelsa del Serafino e nell'umile effigie del Crocifisso, che infiamma d'amore il tuo spirito e imprime nel tuo corpo i sigilli, per cui tu vieni trasformato nell'altro Angelo, che sale dall'oriente e porti in te il segno del Dio vivente. Tutto questo da una parte conferisce la garanzia della credibilità alle visioni precedenti, mentre dall'altra riceve da esse la prova della veridicità.


Ecco: attraverso le sei apparizioni della Croce, che in modo mirabile e secondo un ordine progressivo furono mostrate apertamente in te e intorno a te, ora tu sei giunto, come per sei gradi successivi, a questa settima, nella quale poserai definitivamente.

La croce di Cristo, che ti fu proposta e che tu subito hai abbracciato agli inizi della tua conversione e che, da allora, durante la tua vita hai sempre portato in te stesso mediante una condotta degna d'ogni lode e hai sempre mostrato agli altri come esempio, sta a dimostrare con perfetta certezza che tu hai raggiunto definitivamente l'apice della perfezione evangelica.
Perciò nessuno, che sia veramente devoto, può respingere questa dimostrazione della sapienza cristiana, seminata nella terra della tua carne; nessuno, che sia veramente umile, può tenerla in poca considerazione, poiché essa è veramente opera di Dio ed è degna di essere accettata da tutti.

(S. Bonaventura: Vita di san Franc.)