MIHI autem absit gloriári, nisi in cruce Dómini nostri Jesu Christi, per quem mihi mundus crucifíxus est, et ego mundo. Ps. 141, 2 Voce mea ad Dóminum clamávi: voce mea ad Dóminum deprecátus sum. V/. Glória Patri.
Oratio
DÓMINE Jesu Christe, qui, frigescénte mundo, ad inflammándum corda nostra tui amóris igne, in carne beatíssimi Francísci Passiónis tuae sacra stígmata renovásti: concéde propítius ; ut ejus méritis et précibus crucem júgiter ferámus, et dignos fructus paeniténtiae faciámus: Qui vivis et regnas.
Léctio Epístolae beáti Pauli Apóstoli ad Gálatas.
Gal. 6, 14-18
FRATRES: Mihi autem absit gloriári, nisi in cruce Dómini nostri Jesu Christi: per quem mihi mundus crucifíxus est, et ego mundo. In Christo enim Jesu neque circumcísio áliquid valet, neque praepútium, sed nova creatúra. Et quicúmque hanc régulam secúti fúerint, pax super illos, et misericórdia, et super Israël Dei. De cétero nemo mihi moléstus sit: ego enim stígmata Dómini Jesu in córpore meo porto. Grátia Dómini nostri Jesu Christi cum spíritu vestro, fratres. Amen.
Graduale Ps. 36, 30-31 Os justi meditábitur sapiéntiam, et lingua ejus loquétur judícium. V/. Lex Dei ejus in corde ipsíus: et non supplantabúntur gressus ejus.
IN illo témpore: Dixit Jesus discípulis suis: Si quis vult post me veníre, ábneget semetípsum, et tollat crucem suam, et sequátur me. Qui enim volúerit ánimam suam salvam fácere, perdet eam: qui autem perdíderit ánimam suam propter me, invéniet eam. Quid enim prodest hómini, si mundum univérsum lucrétur, ánimae vero suae detriméntum patiátur ? Aut quam dabit homo commutatiónem pro ánima sua ? Fílius enim hóminis ventúrus est in glória Patris sui cum Angelis suis: et tunc reddet unicuíque secúndum ópera ejus.
Offertorium Ps. 88, 25 Véritas mea, et misericórdia mea cum ipso: et in nómine meo exaltábitur cornu ejus.
Secreta
MÚNERA tibi, Dómine, dicáta sanctífica: et, intercedénte beáto Francísco, ab omni nos culpárum labe purífica. Per Dóminum.
Communio Luc. 12, 42 Fidélis servus et prudens, quem constítuit dóminus super famíliam suam: ut det illis in témpore trítici mensúram.
Postcommunio
DEUS, qui mira Crucis mystéria in beáto Francísco Confessóre tuo multifórmiter demonstrásti: da nobis, quaésumus ; devotiónis suae semper exémpla sectári, et assídua ejúsdem Crucis meditatióne muníri. Per Dóminum.
In alto
il più puro cielo di settembre, ridente in un’aurora soavissima. In basso un
breve pianoro fra scoscendere di coste montane molto alte, molto
selvose,
molto rocciose. Un breve pianoro dall’erbetta corta e smeraldina, ancor tutta
lucida per il pianto della rugiada, ma già prossima a scintillare di gemmeo
riso per il bacio del sole.
In alto,
sul puro cielo così azzurro e soave, fisso un fiammeggiante personaggio che non
pare fatto che di incandescente fuoco. Un fuoco il cui folgoreggiare è
più vivo
di quello del sole che sbuca da dietro una giogaia selvosa con un fasto di raggi
e di splendori per cui tutto si accende di letizia.
Questo
essere di fuoco è vestito di penne. Mi spiego. Pare un angelo perché due immense
ali lo tengono sospeso a fisso sul cobalto immateriale del cielo
settembrino,
due immense ali aperte che stagliano una traversa di croce a cui fa sostegno
il corpo splendente. Due immense ali che sono candore di incandescenza aperte
sul rutilare dell’incandescenza del corpo vestito di altre ali che tutto lo
fasciano, raccolte come sono con le loro soprannaturali penne di perla, diamante
e argento puro, intorno alla persona. Pare che anche il capo sia fasciato
in questa singolare veste piumosa. Perché io non lo vedo. Vedo solo, là dove
dovrebbe essere quel volto serafico, un trapelare di così vivo splendore che ne
resto come abbacinata. Devo pensare ai fulgori più vivi che ho visto nelle
paradisiache visioni per trovare un qualcosa di simile. Ma questo è ancor più
vivo. La croce di piume accese sta fissa sul cielo col suo mistero.
In
basso, un macilento fraticello, che riconosco per il Padre mio serafico 1, prega a
ginocchi sull’erba, poco lungi da una grotta nuda, scabra, paurosa come
balza
d’inferno.
Il corpo distrutto pare non abiti nella tonaca grave e tanto larga
rispetto alle membra.
Il collo esce, di un pallido bruno, dalla cocolla 2 bigiognola,
un colore fra quello della cenere e quello di certe sabbie lievemente
giallognole.
Le mani escono coi loro polsi sottili dalle ampie maniche
e si tendono in preghiera, a palme volte all’esterno e alzate come nel “Dominus
vobiscum”3. Due mani brunette un tempo, ora giallognole, di persona sofferente,
e macilente.
Il viso è un sottile volto che pare scolpito nell’avorio
vecchio, non bello né regolare, ma che ha una sua particolare bellezza
fatta di spiritualità.
Gli
occhi castani sono bellissimi. Ma non guardano in alto. Guardano, ben aperti e fissi,
le cose della terra. Ma non credo che vedano. Stanno aperti, posati
sull’erba
rugiadosa; pare studino il ricamo bigiognolo di un cardo selvatico e quello
piumoso di un finocchio selvatico, che la rugiada ha tramutato in una verde
1 San
Francesco d’Assisi, verso il quale la scrittrice si era sentita
trasportata
fin da ragazza, entrando poi nel suo Terz’Ordine.
2
cocolla è nostra correzione da coccola
3 Vedi
la nota 2 di pag. 198.
“aigrette”
diamantata. Ma sono certa che non vede niente. Neppure il pettirosso che
scende con un cinguettio a cercare sull’erba qualche piccolo seme. Prega.
Gli
occhi sono aperti. Ma il suo sguardo non va al di fuori, ma al di dentro di sé.
Come e
perché e quando si accorga della croce viva che è fissa nel cielo, non so.
L’abbia sentita per attrazione o l’abbia vista per chiamata interna, non so.
So che
alza il volto e cerca con l’occhio che ora si anima di interesse, cosa che
conferma la mia persuasione della sua precedente assenza di vista per
l’esterno.
Lo
sguardo del mio Padre serafico incontra la grande, viva, fiammeggiante croce.
Un
attimo di stupore. Poi un grido: “Signore mio!”, e Francesco ricade un poco sui
calcagni rimanendo estatico, col volto levato, sorridente, piangente le due
prime
lacrime della beatitudine, con le braccia più aperte...
Ed ecco
che il Serafino muove la sua splendente, misteriosa figura. Scende. Si avvicina.
Non viene sulla terra. No. È ancora molto in alto. Ma non più come era
prima. A
mezza via fra cielo e terra. E la terra si fa ancor più luminosa per questo
vivo sole che in questa beata aurora si unisce e soverchia l’altro d’ogni giorno.
Nello scendere, ad ali tese sempre a croce, fendendo l’aria non per moto di penne
ma per proprio peso, dà un suono di paradiso. Qualcosa che nessuno
strumento
umano può dare. Penso e ricordo il suono del globo di Fuoco della Pentecoste
4...
Ed ora
ecco che, mentre Francesco più ride, e piange, e splende, nella gioia estatica,
il Serafino apre le due ali - ora capisco bene che sono ali - che stanno
verso il mezzo della croce. E appaiono inchiodate sul legno le santissime piante
del mio Signore, e le sue lunghe gambe, di uno splendore, in questa visione,
così vivo come lo hanno le sue membra glorificate in Paradiso 5. E poi si
aprono due altre ali, proprio al sommo della croce. E la vista mia, e credo 6 anche
quella di Francesco, per quanto egli sia sovvenuto da grazia divina, ne hanno
sofferenza di gioia per il vivo abbaglio.
Ecco il
tronco del Salvatore che palpita nel respiro... ed ecco, oh! ecco il Fuoco
che solo una grazia permette fissare, ecco il Fuoco del suo viso che
appare
quando il sudario delle scintillanti penne è tutto aperto. Fuoco di tutti i
vulcani e astri e fiamme, circondato da sei sublimi ali di perle, argento e
diamante,
sarebbe ancor poca luce rispetto a questo indescrivibile, inconcepibile
splendere dell’Umanità Ss. del Redentore confitto sul suo patibolo.
Il
volto, poi, e i cinque fori delle piaghe, non trovano riscontro in nessun paragone
per esser descritti. Penso... penso alle cose più splendenti... penso
persino
alla luce misteriosa che emana il radio. Ma, se quanto ho letto è vero, questa
luce è viva ma di un argento-blu di stella, mentre questa è condensazione
di sole
moltiplicata per un numero incalcolabile di volte.
4 Nella
visione del 28 maggio, pag. 274.
5 Nella
visione del 10 gennaio, pag. 29.
6 credo
è nostra correzione da vedo
La vetta
della Verna deve apparire come se mille vulcani si fossero aperti intorno
ad essa a farle corona. L’aria, per la luce e il calore, che arde e non
brucia,
che emana dal mio Signore crocifisso, trema con onde percepibili all’occhio,
e steli e fronde sembrano irreali tanto la luce penetra anche l’opacità
dei corpi e li fa luce...
Io non
mi vedo. Ma penso che al riflesso di quella luce la mia povera persona deve
apparire come fosforescente. Francesco, poi, su cui la luce si riversa e lo investe
e penetra, non pare più corpo umano. Ma un minore serafino, fratello di quello
che ha dato le sue ali a servizio del Redentore.
Ora è
quasi riverso, Francesco, tanto è piegato indietro, a braccia completamente
aperte, sotto il suo Sole Iddio Crocifisso! È immateriale all’aspetto
tanto la luce e la gioia lo penetrano. Non parla, non respira,
materialmente.
Parrebbe 7 un morto glorificato se non fosse in quella posa che richiede
almeno un minimo di vita per sussistere. Le lacrime che scendono, e
forse
servono a temperare l’umana arsura di questa mistica fiamma, splendono come
rivi di diamante sulle guance magre.
Io non
odo nessuna parola né di Francesco né di Gesù. Un silenzio assoluto, profondo,
attonito. Una pausa nel mondo che è intorno al mistero. Per non
turbare.
Per non profanare questo sacro silenzio dove un Dio si comunica al suo benedetto.
Contrariamente a quanto sarebbe da supporsi, gli uccelli non si
esaltano
a più acuti trilli e lieti voli per questa festa di luce, non danzano farfalle
o libellule, non guizzano lucertole e ramarri. Tutto è fermo in un’attesa
in cui sento l’adorazione degli esseri verso Colui per cui furono fatti.
Non c’è più neppure quella brezza lieve che faceva rumor di sospiro fra le
fronde. Più neppure quel suono arpeggiato e lento di un’acqua nascosta in
qualche
cavo di pietra, e che prima gettava, come perle rare, dentro per dentro 8, le
sue note su scala tonata. Niente. Vi è l’Amore. E basta. Gesù guarda e
ride al
suo Francesco. Francesco guarda e ride al suo Gesù... Basta.
Ma ora
ecco che il Volto glorificato, tanto luminoso da parere quasi a linee di luce
come è quello del Padre Eterno, si materializza un poco. Gli occhi prendono
quel
fulgore di zaffiro acceso di quando opera miracolo. Le linee divengono severe,
imponenti, come sempre in quelle ore, imperiose, direi. Un comando del Verbo
deve andare alla sua Carne; e la Carne obbedisce. E dalle cinque piaghe saetta
cinque strali, cinque piccoli fulmini, dovrei dire, che scendono senza
zigzagare
nell’aria ma a perpendicolo, velocissimi, cinque aghi di luce insostenibile
e che trapassano Francesco...
7
Parrebbe è nostra correzione da Parebbe
8 dentro
per dentro è espressione ricorrente nella scrittrice e significa ogni tanto,
di tanto in tanto
Non
vedo, è naturale, le piante, coperte dalla veste e dalle membra, e il costato
coperto dalla tonaca. Ma le mani le vedo. E vedo che, dopo che le punte
infuocate
sono entrate e trapassate - io sono come dietro Francesco - la luce, che è
dall’altra parte, verso il palmo, passa dal foro sul dorso. Paiono due
occhielli
aperti nel metacarpo e dai quali scendono due fili di sangue che scorrono
lenti giù per i polsi, sugli avambracci, sotto le maniche.
Francesco
non ha che un sospiro così profondo che mi ricorda quello estremo dei morenti.
Ma non cade. Resta come era ancor per qualche tempo. Sinché il
Serafino,
di cui mai ho visto il volto - ho visto di lui solo le sei ali - ridistende
queste sublimi ali come velo sul Corpo santissimo e lo nasconde, e con le
due ali iniziali risale, sempre più oltre, nel cielo, e la luce
diminuisce,
rimanendo infine solo quella di un sereno mattino solare. E il serafino
scompare oltre il cobalto del cielo che lo inghiotte e si chiude sul mistero
che è sceso a far beato un figlio di Dio e che ora è risalito al suo regno.
Allora
Francesco sente il dolore delle ferite e con un gemito, senza alzarsi in piedi,
passa dalla posizione di prima a sedersi in terra. E si guarda le mani... e si
scopre i piedi. E socchiude la veste sul petto. Cinque rivoli di sangue e cinque
tagli sono il ricordo del bacio di Dio. E Francesco si bacia le mani e si carezza
costato e piante, piangendo e mormorando: “Oh, mio Gesù! Mio Gesù! Che amore!
Che amore, Gesù!... Gesù!... Gesù!...”.
E tenta
porsi in piedi, puntando i pugni al suolo, e vi riesce con dolore delle palme e
delle piante, e si avvia, un poco barcollante come chi è ferito e non può
appoggiarsi al suolo e vacilla per dolore e debolezza di svenamento, verso il suo
speco, e cade a ginocchi su un sasso, con la fronte contro una croce di solo
legno, due rami legati insieme, e là riguarda le sue mani sulle quali pare formarsi
una testa di chiodo che penetra a trapassa, e piange. Piange d’amore, battendosi
il petto e dicendo: “Gesù, mio Re soave! Che m’hai Tu fatto? Non per il dolore,
ma per l’altrui lode mi è troppo questo tuo dono! Perché a me, Signore,
a me indegno e povero? Le tue piaghe! Oh! Gesù!...”.
Non odo
altro né vedo altro.
Mi pare
di avere, quando ero fra i vivi, udito descrivere in altro modo la visione.
Mi pare dicessero che era un Serafino col volto di Cristo. Io non so che
farci. Io l’ho vista così e così la descrivo.
Io non
sono mai stata alla Verna, né in nessun luogo francescano, per quanto sempre
l’abbia desiderato. Ignoro perciò la topografia dei luoghi nella maniera
1. Francesco, uomo evangelico, non si
disimpegnava mai dal praticare il bene. Anzi, come gli spiriti angelici sulla
scala di Giacobbe, o saliva verso Dio o discendeva verso il prossimo. Il tempo
a lui concesso per guadagnare meriti, aveva imparato a suddividerlo con grande
accortezza: parte ne spendeva nelle fatiche apostoliche per il suo prossimo,
parte ne dedicava alla tranquillità e alle estasi della contemplazione.
Perciò, dopo essersi impegnato, secondo l'esigenza dei tempi e dei luoghi, a
procacciare la salvezza degli altri, lasciava la folla col suo chiasso e
cercava la solitudine, col suo segreto e la sua pace: là, dedicandosi più
liberamente a Dio, detergeva dall'anima ogni più piccolo grano di polvere, che
il contatto con gli uomini vi avesse lasciato.
Due anni prima che rendesse lo spirito a Dio, dopo
molte e varie fatiche, la Provvidenza divina lo trasse in disparte, e lo
condusse su un monte eccelso, chiamato monte della Verna.
Qui egli aveva iniziato, secondo il suo solito, a digiunare la quaresima in
onore di san Michele arcangelo, quando incominciò a sentirsi inondato da
straordinaria dolcezza nella contemplazione, acceso da più viva fiamma di
desideri celesti, ricolmo di più ricche elargizioni divine. Si elevava a quelle
altezze non come un importuno scrutatore della maestà, che viene oppresso dalla
gloria, ma come un servo fedele e prudente, teso alla ricerca del volere di
Dio, a cui bramava con sommo ardore di conformarsi in tutto e per tutto.
2. Egli, dunque, seppe da una voce
divina che, all'apertura del Vangelo, Cristo gli avrebbe rivelato che cosa Dio
maggiormente gradiva in lui e da lui.
Dopo aver pregato molto devotamente, prese dall'altare il sacro libro dei
Vangeli e lo fece aprire dal suo devoto e santo compagno, nel nome della santa
Trinità.
Aperto il libro per tre volte, sempre si imbatté nella Passione del Signore.
Allora l'uomo pieno di Dio comprese che, come aveva imitato Cristo nelle azioni
della sua vita, così doveva essere a lui conforme nelle sofferenze e nei dolori
della Passione, prima di passare da questo mondo.
E benché ormai quel suo corpo, che aveva nel passato sostenuto tante austerità
e portato senza interruzione la croce del Signore, non avesse più forze, egli
non provò alcun timore, anzi si sentì più vigorosamente animato ad affrontare
il martirio.
L'incendio indomabile dell'amore per il buon Gesù erompeva in lui con vampe e
fiamme di carità così forti, che le molte acque non potevano estinguerle.
3. L'ardore serafico del desiderio,
dunque, lo rapiva in Dio e un tenero sentimento di compassione lo trasformava
in Colui che volle, per eccesso di carità, essere crocifisso.
Un mattino, all'appressarsi della festa dell'Esaltazione della santa Croce,
mentre pregava sul fianco del monte, vide la figura come di un serafino [molto probabilmente lo stesso Cristo], con
sei ali tanto luminose quanto infocate, discendere dalla sublimità dei cieli:
esso, con rapidissimo volo, tenendosi librato nell'aria, giunse vicino all'uomo
di Dio, e allora apparve tra le sue ali l'effigie di un uomo crocifisso, che
aveva mani e piedi stesi e confitti sulla croce. Due ali si alzavano sopra il
suo capo, due si stendevano a volare e due velavano tutto il corpo.
A quella vista si stupì fortemente, mentre gioia e tristezza gli inondavano il
cuore.
Provava letizia per l'atteggiamento gentile, con il quale si vedeva guardato da
Cristo, sotto la figura del serafino. Ma il vederlo confitto in croce gli
trapassava l'anima con la spada dolorosa della compassione.
Fissava, pieno di stupore, quella visione così misteriosa, conscio che
l'infermità della passione non poteva assolutamente coesistere con la natura
spirituale e immortale del serafino. Ma da qui comprese, finalmente, per divina
rivelazione, lo scopo per cui la divina provvidenza aveva mostrato al suo
sguardo quella visione, cioè quello di fargli conoscere anticipatamente che
lui, l'amico di Cristo, stava per essere trasformato tutto nel ritratto
visibile di Cristo Gesù crocifisso, non mediante il martirio della carne, ma
mediante l'incendio dello spirito.
Scomparendo, la visione gli lasciò nel cuore un ardore
mirabile e segni altrettanto meravigliosi lasciò impressi nella sua carne.
Subito, infatti, nelle sue mani e nei suoi piedi, incominciarono ad apparire
segni di chiodi, come quelli che poco prima aveva osservato nell'immagine
dell'uomo crocifisso.
Le mani e i piedi, proprio al centro, si vedevano confitte ai chiodi; le
capocchie dei chiodi sporgevano nella parte interna delle mani e nella parte
superiore dei piedi, mentre le punte sporgevano dalla parte opposta. Le
capocchie nelle mani e nei piedi erano rotonde e nere; le punte, invece, erano
allungate, piegate all'indietro e come ribattute, ed uscivano dalla carne
stessa, sporgendo sul resto della carne.
Il fianco destro era come trapassato da una lancia e coperto da una cicatrice
rossa, che spesso emanava sacro sangue, imbevendo la tonaca e le mutande.
4. Vedeva, il servo di Cristo, che le
stimmate impresse in forma così palese non potevano restare nascoste ai
compagni più intimi; temeva, nondimeno, di mettere in pubblico il segreto del
Signore ed era combattuto da un grande dubbio: dire quanto aveva visto o
tacere?
Chiamò, pertanto, alcuni dei frati e, parlando in termini generali, espose loro
il dubbio e chiese consiglio. Uno dei frati, Illuminato, di nome e di grazia,
intuì che il Santo aveva avuto una visione straordinaria, per il fatto che
sembrava tanto stupefatto, e gli disse: «Fratello, sappi che qualche volta i
segreti divini ti vengono rivelati non solo per te, ma anche per gli altri. Ci
sono, dunque, buone ragioni per temere che, se tieni celato quanto hai ricevuto
a giovamento di tutti, venga giudicato colpevole di aver nascosto il talento».
Il Santo fu colpito da queste parole e, benché altre volte fosse solito dire:
«Il mio segreto è per me», pure in quella circostanza, con molto timore, riferì
come era avvenuta la visione e aggiunse che, durante l'apparizione il serafino
gli aveva detto alcune cose, che in vita sua non avrebbe mai confidato a
nessuno.
Evidentemente i discorsi di quel sacro serafino, mirabilmente apparso in croce,
erano stati così sublimi che non era concesso agli uomini di proferirli.
5. Così il verace amore di Cristo
aveva trasformato l'amante nella immagine stessa dell'amato.
Si compì, intanto, il numero dei quaranta giorni che egli aveva stabilito di
trascorrere nella solitudine e sopravvenne anche la solennità dell'arcangelo
Michele. Perciò l'uomo angelico Francesco discese dal monte: e portava in sé
l'effigie del Crocifisso, raffigurata non su tavole di pietra o di legno dalla
mano di un artefice, ma disegnata nella sua carne dal dito del Dio vivente. E,
poiché è cosa buona nascondere il segreto del re, egli, consapevole del regalo
segreto, nascondeva il più possibile quei segni sacri.
Ma a Dio appartiene rivelare a propria gloria i prodigi che egli compie e, perciò,
Dio stesso, che aveva impresso quei segni nel segreto, li fece conoscere
apertamente per mezzo dei miracoli, affinché la forza nascosta e meravigliosa
di quelle stimmate si rivelasse con evidenza nella chiarezza dei segni.
6. Nella provincia di Rieti, infieriva
un'epidemia gravissima e violentissima, che sterminava buoi e pecore, senza
possibilità di rimedio.
Ma un uomo timorato di Dio una notte ebbe una visione, in cui lo si esortava a
recarsi in fretta al romitorio dei frati, dove allora dimorava il servo di Dio,
a prendere l'acqua con cui Francesco si era lavato, per aspergerne tutti gli
animali.
Al mattino, quello andò al luogo e, ottenuta di nascosto quella sciacquatura
dai compagni del Santo, andò ad aspergere con essa le pecore e i buoi ammalati.
Meraviglia!: appena toccati da quell'acqua, fosse pure una goccia sola, gli
animali colpiti ricuperavano le forze, si alzavano immediatamente e correvano
al pascolo, come se non avessero mai avuto malattie.
Così, per l'ammirabile efficacia di quell'acqua, che era stata a contatto con
le sacre piaghe, ogni piaga scompariva e la pestilenza fu cacciata dal
bestiame.
7. Nel territorio attorno alla Verna,
prima che il Santo vi soggiornasse, i raccolti venivano ogni anno distrutti da
una violenta grandinata, provocata da una nube che si alzava dalla montagna.
Ma, dopo quella fausta apparizione, con meraviglia degli abitanti, la grandine
non venne più: evidentemente l'aspetto stesso del cielo, divenuto sereno in
maniera inusitata, dichiarava, così, la grandezza di quella visione e la virtù
taumaturgica delle stimmate, che proprio là erano state impresse.
Una volta, d'inverno, il Santo stava compiendo un
viaggio, cavalcando, per la debolezza fisica e l'asperità della strada, un
asinello, di proprietà d'un poveruomo.
Non poterono giungere all'ospizio prima del calar della notte e dovettero
pernottare sotto la sporgenza d'una roccia, per evitare in qualche modo i danni
della neve.
Il Santo si accorse che il suo accompagnatore brontolava sottovoce, si
lamentava, sospirava, si agitava da una parte e dall'altra, perché aveva un
vestito troppo leggero e non riusciva a dormire a causa del freddo intenso.
Infiammato dal fuoco dell'amor divino, egli stese allora la mano e lo toccò.
Fatto davvero mirabile: al contatto di quella mano sacra, che portava in sé il
carbone ardente del serafino, immediatamente quell'uomo si sentì invadere,
dentro e fuori, da un fortissimo calore, quasi fosse investito dalla fiamma di
una fornace. Confortato nello spirito e nel corpo subito s'addormentò, fra
sassi e nevi, e dormì fino al mattino, più saporitamente di quanto avesse mai
riposato nel proprio letto, come poi raccontò lui stesso.
Tutti questi sono indizi sicuri, da cui risulta che quei sacri sigilli furono
impressi dalla potenza di Colui che, mediante il ministero dei serafini,
purifica, illumina ed infiamma.
Difatti essi, all'esterno, purificavano dalla pestilenza ed erano efficacissimi
nel donare ai corpi salute, serenità e calore.
Ciò fu dimostrato da miracoli anche più probanti, che avvennero dopo la morte
del Santo e che noi riporteremo più tardi, a suo luogo.
8. Grande era la cura che egli metteva
nel nascondere il tesoro scoperto nel campo; ma non poté impedire che alcuni
vedessero le stimmate delle mani e dei piedi, benché tenesse le mani quasi
sempre coperte e, da allora, andasse con i piedi calzati.
Videro, durante la sua vita, molti frati: uomini già per se stessi in tutto e
per tutto degni di fede a causa della loro santità eccelsa, essi vollero
tuttavia confermare con giuramento, fatto sopra i libri sacri, che così era e
che così avevano visto.
Videro anche, stante la loro familiarità con il Santo alcuni cardinali e resero
testimonianza alla verità sia con la parola sia con gli scritti, intessendo
veridicamente le lodi delle sacre stimmate in prose rimate, inni ed antifone,
che pubblicarono in suo onore. Anche il sommo pontefice, papa Alessandro,
predicando al popolo, in presenza di molti frati, fra cui c'ero anch'io,
affermò di aver potuto osservare quelle stimmate sacre con i propri occhi,
mentre il Santo era in vita.
Videro, alla sua morte, più di cinquanta frati, e Chiara la vergine a Dio
devotissima, con le altre sue suore, nonché innumerevoli secolari. Molti di
essi, come si dirà a suo luogo, mentre le baciavano per devozione, le toccarono
anche ripetutamente, per averne una prova sicura.
Ma la ferita del costato la nascondeva con tanta
premura, che nessuno la poté osservare, mentre era in vita, se non
furtivamente.
Uno dei frati, che era solito servirlo con molto zelo, lo persuase una volta,
con pia astuzia, a lasciarsi togliere la tonaca, per ripulirla. Così, guardando
con attenzione, poté vedere la piaga: la toccò rapidamente con tre dita e poté
misurare, a vista e al tatto, la grandezza della ferita.
Con analoga astuzia riuscì a vederla anche il frate che era allora suo vicario.
Un frate suo compagno, di ammirevole semplicità, mentre una volta gli
frizionava le spalle malate, facendo passare la mano attraverso il cappuccio,
la lasciò scivolare per caso sulla sacra ferita, procurandogli intenso dolore.
Per questa ragione il Santo portava, da allora, mutande così fatte che
arrivavano fino alle ascelle e proteggevano la ferita del costato.
I frati che gli lavavano le mutande e gli ripulivano di quando in quando la
tonaca, trovavano quegli indumenti arrossati di sangue e così, attraverso
questa prova evidente, poterono conoscere, senza ombra di dubbio, l'esistenza
della sacra ferita, che, poi, alla sua morte, insieme con molti altri, poterono
venerare e contemplare a faccia svelata.
9. Orsù, dunque, o valorosissimo
cavaliere di Cristo brandisci le armi del tuo stesso invittissimo Capitano:
così splendidamente armato, sconfiggerai tutti gli avversari.
Brandisci il vessillo del Re altissimo: alla sua vista, tutti i combattenti
dell'esercito di Dio ritroveranno coraggio. Ma brandisci anche il sigillo di
Cristo, il pontefice sommo: con questa garanzia le tue parole e le tue azioni
saranno da tutti e a piena ragione ritenute irreprensibili e autentiche!
Ormai, nessuno ti deve recare molestia per le stimmate del Signore Gesù, che
porti nel tuo corpo; anzi ogni servitore di Cristo è tenuto a venerarti con
tutto l'affetto.
Ormai, per questi segni certissimi, non solo confermati a sufficienza da due o
tre testimoni, ma confermati in sovrabbondanza da prove innumerevoli, gli
insegnamenti di Dio in te e per te si sono dimostrati veracissimi e tolgono
agli increduli ogni velo di scusa, rinsaldano nella fede i credenti, li elevano
con la fiducia della speranza, li infiammano col fuoco della carità.
10. Ora si è
compiuta veramente in te la prima visione che tu vedesti, secondo la quale tu,
futuro capitano dell'esercito di Cristo, dovevi essere decorato con l'insegna
delle armi celesti e con il segno della croce.
Ora il fatto che tu, al principio della tua conversione, abbia avuto quella
visione, in cui il tuo spirito fu trafitto dalla spada dolorosa della
compassione e quell'altro, in cui hai udito quella voce scendere dalla croce,
come trono sublime e segreto propiziatorio di Cristo, come tu stesso hai
confermato con la tua sacra parola, risultano indubitabilmente veri.
Ora resta confermato che furono vere rivelazioni celesti, e non frutto di
fantasia, quelle che seguirono alla tua conversione: quella della croce, che
frate Silvestro vide uscire in maniera mirabile dalla tua bocca; quella delle
spade, che il santo frate Pacifico vide trapassare il tuo corpo in forma di
croce; quella in cui l'angelico frate Monaldo con chiarezza ti vide librato
nell'aria in forma di croce, mentre Antonio, il Santo, predicava sulla scritta
posta in cima alla croce.
Ora, finalmente, verso il termine della tua vita, ti viene mostrato il Cristo
contemporaneamente sotto la figura eccelsa del Serafino e nell'umile effigie
del Crocifisso, che infiamma d'amore il tuo spirito e imprime nel tuo corpo i
sigilli, per cui tu vieni trasformato nell'altro Angelo, che sale dall'oriente
e porti in te il segno del Dio vivente. Tutto questo da una parte conferisce la
garanzia della credibilità alle visioni precedenti, mentre dall'altra riceve da
esse la prova della veridicità.
Ecco: attraverso le sei apparizioni della Croce, che
in modo mirabile e secondo un ordine progressivo furono mostrate apertamente in
te e intorno a te, ora tu sei giunto, come per sei gradi successivi, a questa
settima, nella quale poserai definitivamente.
La croce di Cristo, che ti fu proposta e che tu subito hai abbracciato agli
inizi della tua conversione e che, da allora, durante la tua vita hai sempre
portato in te stesso mediante una condotta degna d'ogni lode e hai sempre
mostrato agli altri come esempio, sta a dimostrare con perfetta certezza che tu
hai raggiunto definitivamente l'apice della perfezione evangelica.
Perciò nessuno, che sia veramente devoto, può respingere questa dimostrazione
della sapienza cristiana, seminata nella terra della tua carne; nessuno, che
sia veramente umile, può tenerla in poca considerazione, poiché essa è
veramente opera di Dio ed è degna di essere accettata da tutti.