martedì 10 settembre 2013

FESTEGGIAMENTI IN ONORE DI SAN NICOLA DA TOLENTINO e SAN ROCCO

Biografia di san NICOLA DA TOLENTINO

Nacque nel 1245 a Sant'Angelo in Pontano (vicino Macerata). Diocesi di Fermo. I suoi genitori, i cui nomi potrebbero essere Compagnone de Guarutti e Amata de Guidiani (ma i cognomi potrebbero semplicemente indicare i loro luoghi di nascita e forse la famiglia era quella dei Compagnoni[1]), erano gente pia. La leggenda della sua vita rappresentata da un ignoto pittore giottesco detto Maestro della Cappella di San Nicola, narra come i suoi genitori, ormai anziani, si fossero recati a Bari su consiglio di un angelo in pellegrinaggio alla tomba di san Nicola di Bari, per avere la grazia di un figlio. Ritornati a Sant'Angelo ebbero il figlio desiderato e, ritenendo di aver ricevuto la grazia richiesta, lo chiamaronoNicola.
Il giovane Nicola entrò nell'Ordine degli Eremitani di Sant'Agostino.
Si distinse a tal punto nei suoi studi che, prima che essi fossero compiuti, venne fatto canonico dellachiesa di San Salvatore. Ascoltando una predica di un eremita agostiniano sulla frase latina Nolite diligere mundum, nec ea quae sunt in mundo, quia mundus transit et concupiscentia ejus ("non amate il mondo, né le cose che sono del mondo, perché il mondo passa e passa la sua concupiscenza"), avvertì la chiamata alla vita religiosa. Implorò allora l'eremita di ammetterlo nel proprio ordine, e i suoi genitori acconsentirono con gioia.
Già prima della sua ordinazione venne mandato in diversi monasteri dell'ordine: FermoSan GinesioRecanatiMacerata e altri, e i biografi mettono in evidenza che fu un modello di generoso impegno verso la perfezione.
Fece i voti solenni a meno di diciannove anni.
Nel 1269 fu ordinato sacerdote da Benvenuto Scotivoli.
Dopo la sua ordinazione, predicò soprattutto a Tolentino, dove fu trasferito intorno al 1275. Nel convento di Sant'Agostino di Tolentino rimase fino alla sua morte nel 1305.
Trascorse gli ultimi 30 anni della sua vita, predicando quasi ogni giorno. Sebbene negli ultimi anni la malattia mise alla prova la sua sopportazione, continuò le sue mortificazioni quasi fino al momento della morte. I devoti ne ricordano la mitezza, l'ingenua semplicità e la dedizione per la verginità, che non tradì mai, custodendola con la preghiera e la mortificazione. GRANDE fu la carità che ebbe per la sante Anime del Purgatorio. 


  Per il patronato della maternità, accanto alla Madre della Madonna, può ben figurare quel benevolo intercessore che è San Nicola da Tolentino.
  È pur vero che il ventaglio di ausilio miracoloso attribuito a San Nicola dalla vastissima ancor oggi devozione popolare è molto ampio: dalle malattie alle ingiustizie, dalla tirannia ai danni patrimoniali, dagli incendi alla liberazione delle anime purganti. Ma l’intercessione nella maternità, specialmente se in età avanzata, ha una propria ragione particolare.

Si era a metà del XIII secolo ed i coniugi Compagnone dei Guarinti e Amata dei Gaidani stavano invecchiando ed erano sull’orlo della disperazione per mancanza di prole. Abitavano a Castel Sant’Angelo, oggi Sant’Angelo in Pontano nella provincia di Macerata; vivevano in buone condizioni economiche, per cui un figlio poteva anche significare il passaggio delle eredità materiali. In quei tempi il mancato arrivo di un bimbo veniva sempre imputato alla donna, cosicché la lacuna stava nella impossibile maternità e non tanto in disfunzioni legate alla paternità. In tale ottica venivano ricercati i rimedi più o meno efficaci e magari anche qualche intervento del sortilegio.

  Da cristiana credente la coppia di Castel Sant’Angelo ricorreva con sempre maggiore frequenza alla preghiera. Ad un certo momento si ricordarono del santo dei doni per eccellenza: con preghiere e lacrime supplicarono in effetti a lungo San Nicola di Bari. E nel 1245 nacque il tanto desiderato figlio che, per gratitudine, venne battezzato con quel nome. L’infanzia e la fanciullezza furono tranquilli, manifestando egli tuttavia una naturale inclinazione alla preghiera ed a una rigorosa osservanza dei propri doveri.

  Così strutturato, Nicola avvicinò perciò gli agostiniani della città natale a dodici anni e fu novizio nel 1260. Compì poi gli studi necessari per il sacerdozio, ottenendo l’ordinazione a Cingoli, sempre non lontano da Macerata, nel 1269. Svolse in varie località l’apostolato affidatogli, finché nel 1275 si ritirò, forse per ragioni di salute, nell’eremo agostiniano di Tolentino. Qui mori trent’anni più tardi il 10 settembre 1305, dopo avere svolto l’apostolato del confessionale e dell’assistenza ai poveri ed avere vissuto in umiltà e penitenza.
  In seguito alla definitiva canonizzazione nel 1446 il suo culto si diffuse in tutta Italia, in molti altri Paesi d’Europa e poi nelle Americhe, in parte anche per il graduale affermarsi dell’Ordine agostiniano. Già però Tolentino gli aveva costruito una basilica, ancora attualmente meta di pellegrinaggi e ricca di opere d’arte. I suoi resti mortali sono in gran parte custoditi nella cripta, tranne le “Sante Braccia” staccatesi e sanguinanti quarant’anni dopo la morte del santo. La Chiesa ricorda liturgicamente San Nicola da Tolentino il 10 settembre, il suo dies natalis.

Autore: Mario Benatti



Parabola sui figli


Le parabole di Gesù
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Parabola sui figli (364.9)

Un tempo vi fu un uomo il quale per alcuni suoi impegni dovette assentarsi per lungo tempo da casa lasciando dei figli ancora poco più che fanciulli. Dal luogo in cui si trovava scriveva lettere ai suoi figli maggiori per tenerli sempre nel rispetto del padre lontano e per ricordare loro i suoi insegnamenti. L'ultimo, nato quando egli era partito, era ancora a balia presso una donna lontana di lì, dei paesi della moglie, che non era della sua razza.

La moglie venne a morire mentre questo figlio era ancora piccolo e lontano da casa. I fratelli dissero:
"Lasciamolo là dove è, presso i parenti di nostra madre. Forse il padre se ne scorderà e noi ne avremo utile, avendo a dividere con uno di meno, quando nostro padre verrà a morte". E così fecero.

In questa maniera il fanciullo lontano visse allevato dai parenti materni, ignorando gli insegnamenti del padre, ignorando di avere un padre e dei fratelli, o peggio conoscendo l'amarezza della riflessione: "Essi tutti mi hanno ripudiato come fossi un bastardo" , e giunse persino a crederlo di esserlo, tanto si sentiva reietto dal padre.

Il caso volle che fatto uomo, e messosi ad un impiego - perchè, inasprito come era dai pensieri sopraddetti, aveva preso in odio anche la famiglia di sua madre che riputava colpevole di adulterio - questo giovane andasse nella città dove era il padre suo. E senza sapere chi fosse lo avvicinò ed ebbe modo di sentirlo parlare. L'uomo era saggio. Non avendo soddisfazioni dai figli lontani - che ormai facevano da sè mantenendo solo rapporti convenzionali con il padre lontano, tanto da ricordargli che essi erano i "suoi" figli, e che perciò se ne ricordasse nel testamento - si occupava molto di dare retti consigli ai giovani che aveva modo di avvicinare nella terra dove era.

Il giovane fu attratto da quella rettezza che era paterna verso tanti giovani, e non solo si accostò a lui ma fece tesoro di ogni suo parola, facendo buono il suo animo inasprito.

L'uomo si ammalò, dovette decidersi a tornare in patria. E il giovane gli disse: "Signore, tu solo mi hai parlato con giustizia, elevando l'animo mio. Lascia che io ti segua come servo. Non voglio ricadere nel male di prima".
"Vieni con me. Starai al posto di un figlio di cui non ho più potuto avere notizia". E tornarono insieme alla casa paterna.

Nè il padre, nè i fratelli, nè lo stesso giovane, intuirono che il Signore aveva riuniti di nuovo quelli di un sangue sotto un unico tetto. Ma il padre ebbe molto a piangere per i figli a lui noti, perchè li trovò dimentichi dei suoi insegnamenti, avidi, duri di cuore, non più con la fede in Dio ma sibbene con molte idolatrie in cuore: superbia, avarizia e lussuria erano i loro dèi, e non volevano sentire di altro che utile umano fosse.

Lo straniero, invece, sempre più si accostava al Signore, si faceva giusto, buono, amoroso, ubbidiente. I fratelli lo odiavano perchè il padre amava quello straniero. Egli perdonava e amava perchè aveva capito che nell'amore è la pace.
Il padre, un giorno, disgustato dalla condotta dei figli disse: "Voi vi siete disinteressati dei parenti di vostra madre, e persino del fratello vostro. Mi ricordate la condotta dei figli di Giacobbe verso il loro fratello Giuseppe. Voglio andare a quelle terre per sapere di lui. Può darsi che lo ritrovi e che ne abbia conforto.

E si accomiatò tanto dai figli noti come dal giovane sconosciuto, dando a questo viatico di denaro perchè potesse tornare al luogo da dove era venuto e mettervi un piccolo commercio.
Giunto alle terre della moglie morta, i parenti di essa gli raccontarono che il figlio abbandonato, dal nome primitivo di Mosè era passato a quello di Manasse, perchè realmente egli col suo nascere aveva fatto dimenticare al padre di essere giusto avendolo abbandonato.

"Non fatemi torto! Mi era stato detto che del fanciullo si erano perdute le tracce, e neppure speravo di trovare più alcun di voi. Ma ditemi di lui. Come è? E' cresciuto forte? Assomiglia alla mia amata sposa che si esaurì nel darmelo? E' buono? Mi ama?"

"Forte, è forte, e bello è come la madre sua, solo che ha gli occhi di un nero schietto. Ma persino della madre ha preso la voglia di carruba sul fianco. Di te invece ha la pronuncia lievemente blesa. Andò da adulto via di qui, inasprito della sua sorte, avendo dubbi sull'onestà della madre, e per te avendo rancore.
Buono sarebbe stato se non avesse avuto questo rancore nell'anima. Andò oltre i monti e fiumi fino a Trapezius per...."

"A Trapezius dite? Nel Sinopio? Oh! dite! Io là ero e vidi un giovane che era lievemente bleso, solo e triste, e buono tanto sotto la sua crosta di durezza. E' lui? Dite?"

"Forse lui sarà. Ricercalo. Sul fianco destro ha la carruba rilevata e scura come l'aveva la moglie tua."

L'uomo partì a precipizio, sperando ritrovare ancora lo straniero alla sua casa. Era partito per tornare verso la colonia di Sinopio. E l'uomo dietro... Lo trovò. Lo fece venire per scoprirgli il fianco. Lo riconobbe. Cadde in ginocchio lodando Iddio per avergli reso il figlio, e buono più degli altri che sempre più imbestiavano mentre questo, nei mesi che erano intercorsi, si era sempre più fatto santo. E al figlio buono disse: "Tu avrai la parte dei fratelli perchè tu, senza amore da parte di alcuno, ti sei fatto giusto più di ogni altro."


PREGHIERA UNIVERSALE DI PAPA CLEMENTE XI


Oratio universalis 
sub nomine Clementis Pp. XI vulgata

Credo Domine, sed credam firmius; spero, sed sperem securius; amo, sed amem ardentius; doleo, sed doleam vehementius.

Credo, o Signore, ma che io creda più fermamente; spero, ma che io speri con più fiducia; amo, ma che io ami più ardentemente; mi pento, ma che io mi penta con maggior dolore.

Adoro te ut primum principium; desidero ut finem ultimum; laudo ut benefactorem perpetuum; invoco ut defensorem propitium.

Ti adoro come primo principio; ti desidero come fine ultimo; ti lodo come eterno benefattore; ti invoco come propizio difensore.

Tua me sapientia dirige, iustitia contine, clementia solare, potentia protege.

Guidami con la tua sapienza, reggimi con la tua giustizia, incoraggiami con la tua bontà, proteggimi con la tua potenza.

Offero tibi, Domine cogitanda, ut sint ad te; dicenda, ut sint de te; facienda, ut sint secundum te; ferenda, ut sint propter te.

Ti offro, o Signore: i pensieri, perché siano diretti a te; le parole, perché siano di te; la azioni, perché siano secondo te; le tribolazioni, perché siano per te.

Volo quidquid vis, volo quia vis, volo quomodo vis, volo quamdiu vis.

Voglio tutto ciò che vuoi tu, perchè lo vuoi tu, nel modo in cui lo vuoi tu, fino a quando lo vuoi tu.

Oro, Domine, intellectum illumines, voluntatem inflammes, cor emundes, animam sanctifices.

Ti prego, o Signore: illumina la mia intelligenza, infiamma la volontà, purifica il cuore, santifica l’anima mia.

Defleam præteritas iniquitates, repellam futuras tentationes, corrigam vitiosas propensiones, excolam idoneas virtutes.

Che pianga i peccati commessi, respinga le tentazioni, corregga le inclinazioni cattive, pratichi le virtù necessarie.

Tribue mihi, bone Deus, amorem tui, odium mei, zelum proximi, contemptum mundi.

Concedimi, o Padre buono:  l’amore di te, l’odio di me, lo zelo per il prossimo, il disprezzo del mondo.

Studeam superioribus oboedire, inferioribus subvenire, amicis consulere, inimicis parcere.

Che mi sforzi: di obbedire ai superiori, di aiutare gli inferiori, aver cura degli amici, perdonare i nemici.

Vincam voluptatem austeritate, avaritiam largitate, iracundiam lenitate, tepiditatem fervore.

Che vinca: le passioni con la mortificazione, l’avarizia con la generosità, l’ira con la mitezza, la tiepidezza con il fervore.

Redde me prudentem in consiliis, constantem in periculis, patientem in adversis, humilem in prosperis.

Che sia: prudente nel consiglio, forte nei pericoli, paziente nelle avversità, umile nella prosperità.

Fac, Domine, ut sim in oratione attentus, in epulis sobrius, in munere sedulus, in proposito firmus.

Fa, o Signore: che sia attento nella preghiera, sobrio nel cibo, diligente nei miei doveri, fermo nei propositi.

Curem habere innocentiam interiorem, modestiam exteriorem, conversationem exemplarem, vitam regularem.

Che io mi sforzi di avere: l’innocenza interna, modestia esterna, una conversazione esemplare, una vita regolare.

Assidue invigilem naturæ domandæ, gratiæ fovendæ, legi servandæ, saluti promerendæ.

Che vigili assiduamente:  nel domare la natura, nel favorire la grazia, nell’osservare la legge e meritare la salvezza.

Discam a te quam tenue quod terrenum, quam grande quod divinum, quam breve quod temporaneum, quam durabile quod æternum.

Che impari da te: quanto è fragile tutto ciò che è terreno, quanto è grande tutto ciò che è divino, quanto è breve tutto ciò che è temporaneo, quanto è durevole tutto ciò che è eterno.

Da mortem præveniam, iudicium pertineam, infernum effugiam, paradisum obtineam. Per Christum Dominum nostrum. Amen.

Concedimi: di essere pronto alla morte, di temere il giudizio, di non cadere nell’Inferno, di ottenere il Paradiso. Per Cristo nostro Signore. Amen.

AVE AVE AVE
GRATIA PLENA


È questa la ragione permanente della gioia cristiana.


...Gesù condusse i suoi vicino a Betània, ci viene detto. «Alzate le mani, li benedisse.

Mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su, in cielo» (Luca 24, 50s). Gesù parte benedicendo.

Benedicendo se ne va e nella benedizione Egli rimane. Le sue mani restano stese su questo mondo. Le mani benedicenti di Cristo sono come un tetto che ci protegge. Ma sono al contempo un gesto di apertura che squarcia il mondo affinché il cielo penetri in esso e possa diventarvi una presenza.

Nel gesto delle mani benedicenti si esprime il rapporto duraturo di Gesù con i suoi discepoli, con il mondo. Nell'andarsene Egli viene per sollevarci al di sopra di noi stessi ed aprire il mondo a Dio. Per questo i discepoli poterono gioire, quando da Betània tornarono a casa. Nella fede sappiamo che Gesù, benedicendo, tiene le sue mani stese su di noi. È questa la ragione permanente della gioia cristiana.

Joseph Ratzinger-Benedetto XVI 


Nos cum prole pia
benedicat Virgo Maria!

L'Anticristo

Regina Mundi, ora pro nobis

 L'Anticristo 


...Siamo così arrivati al centro del nostro argomento.

Solovëv prevede che, dopo le grandi guerre del secolo XX, i popoli, persuasi dei gravi danni derivati dalle loro rivalità, daranno origine agli Stati Uniti d'Europa. «Ma... i problemi della vita e della morte, del destino finale del mondo e dell'uomo, resi più complicati e intricati da una valanga di ricerche e di scoperte nuove nel campo fisiologico e psicologico, rimangono come per l'addietro senza soluzione. Viene in luce soltanto un unico risultato importante, ma di carattere negativo: il completo fallimento del materialismo teoretico» .



Non è a dire però che ciò comporti l'estendersi e l'irrobustirsi della fede. Al contrario, l'incredulità sarà dilagante. Sicché, alla fine si profila per la civiltà europea una situazione che potremmo definire di vuoto. In questo vuoto appunto emerge e si afferma la presenza e l'azione dell'Anticristo.




Più che la vicenda immaginata da Solovëv - nella quale l'Anticristo prima viene eletto Presidente degli Stati Uniti d'Europa, poi è acclamato imperatore romano, si impadronisce del mondo intero, e alla fine si impone anche alla vita e all'organizzazione delle Chiese - mette conto di richiamare le caratteristiche che sono qui attribuite a questo personaggio.




Era - dice Solovëv - «un convinto spiritualista». Credeva nel bene e perfino in Dio, «ma non amava che se stesso». Era un asceta, uno studioso, un filantropo. Dava 



«altissime dimostrazioni di moderazione, di disinteresse e di attiva beneficenza» . 

Nella sua prima giovinezza si era segnalato come dotto e acuto esegeta: una sua voluminosa opera di critica biblica gli aveva propiziato una laurea ad honorem da parte dell'università di Tubinga. 

Ma il libro che gli ha procurato fama e consenso universali porta il titolo: La via aperta verso la pace e la prosperità universale ; dove « si uniscono il nobile rispetto per le tradizioni e i simboli antichi con un vasto e audace radicalismo di esigenze e direttive sociali e politiche, una sconfinata libertà di pensiero con la più profonda comprensione di tutto ciò che è mistico, l'assoluto individualismo con un'ardente dedizione al bene comune, il più elevato idealismo in fatto di princìpi direttivi con la precisione completa e la vitalità delle soluzioni pratiche».




È vero che alcuni uomini di fede si domandavano perché non vi fosse nominato nemmeno una volta il nome di Cristo; ma altri ribattevano: «Dal momento che il contenuto del libro è permeato dal vero spirito cristiano, dall'amore attivo e dalla benevolenza universale, che volete di più?» . 





D'altronde egli «non aveva per Cristo un'ostilità di principio» . Anzi ne apprezzava la retta intenzione e l'altissimo insegnamento.

Tre cose di Gesù, però, gli riuscivano inaccettabili. 




*Prima di tutto le sue preoccupazioni morali. «Il Cristo - affermava - col suo moralismo ha diviso gli uomini secondo il bene e il male, mentre io li unirò coi benefici che sono ugualmente necessari ai buoni e ai cattivi» . 




*Poi non gli andava «la sua assoluta unicità» . 

Egli è uno dei tanti; o meglio - si diceva - è stato il mio precursore, perché il salvatore perfetto e definitivo sono io, che ho purificato il suo messaggio da ciò che è inaccettabile all'uomo di oggi. 


*Soprattutto non poteva sopportare il fatto che Cristo sia vivo, tanto che istericamente si ripeteva: «Lui non è tra i vivi e non lo sarà mai. Non è risorto, non è risorto, non è risorto! È marcito, è marcito nel sepolcro...».(Card. Biffi)

AVE GRATIA PLENA DOMINUS TECUM