lunedì 29 luglio 2013

I SANTI MARTIRI GRECI

I SANTI MARTIRI GRECI

Nota introduttiva
Nel coemeterium di san Callisto a Roma, sulla via Appia nell’Arenario, presso la cripta dei papi, una grande lapide fatta apporre da san Damaso ricorda ai pellegrini i martiri più insigni che ivi riposavano. Tra di essi menziona “i Santi Confessori inviati dalla Grecia”: Hic confessores sancti quos Graecia misit, ricordati nel Martirologio Romano il 2 dicembre: a Roma i santi Martiri Eusebio prete, Marcello Diacono, Ippolito, Massimo, Adria, Paolina, Neone, Maria, Martana ed Aurelia[1], i quali tutti compirono il martirio nella persecuzione di Valeriano, sotto il giudice Secondiano.
Denominati Martiri Greci, furono in grande venerazione nell’antica Roma cristiana. Sulle loro tombe, erano posti due elogi metrici[2], attribuiti a papa Damaso[3], nel secondo epitaffio è menzionata una passio che i cristiani leggevano nel dies natalis dei santi; di essa purtroppo ci resta solo la parte relativa al processo e al martirio, riportata da Cesare Baronio nei suoi “Annales Ecclesiastici”, tratta, come egli stesso annota, “da un antico manoscritto quasi distrutto per l’antichità, salvato dall’usura del tempo e corretto per quanto possibile da parecchie mende…”.
Nell’ottavo secolo, a causa delle scorrerie dei Barbari, i corpi dei santi Ippolito e della sorella Paolina, del marito di lei Adria e dei loro piccoli figli Maria e Neone, furono traslati nell’Urbe presso la Chiesa di Sant’Agata dei Goti, dove sono ancora oggi molto venerati.
Il padre Luigi Malamocco nel “romanzo storico”[4] Martyrion, partendo dalle poche fonti rimaste, ha tentato di ricostruire quella parte della passio che è andata perduta.

Testo dei due epitaffi attribuiti a papa Damaso:

Il gruppo sacrilego inviato una volta dalla Grecia,
risplende ora con la palma del martirio.
Esso nel mezzo del mare offrì a Giove portatore di morte,
come voto spregevole, doni nefandi.
Ma la fede di Ippolito, per prima, respinse con armi celesti
l’insano e pestifero contagio (del paganesimo):
egli andò a nascondersi, come un monaco, in una spelonca
che divenne dolce ricovero alle folle cristiane.
Dopo di lui Adria, purificato nel sacro fiume,
e Paolina, sua sposa 
XIII kal nov

Svb D V Id nov
con la figlia Maria ed il caro fratello Neone
raggiunsero gioiosi la fede: seguendo i precetti di Cristo,
distribuirono ai poveri generosamente le proprie ricchezze,
facendo avvicinare al sommo Iddio la santa comunità
con le loro energie, esortazioni e le loro instancabili fatiche.
Poi non temettero di morire per guadagnare la vita
donando le loro anime a Cristo
con l’effusione del sangue
Chi dalla lettura di questa passio verrà istruito nelle loro virtù,
imparerà che Dio assiste giustamente i suoi servi.

 
Passione dei Santi Martiri Greci
(dal manoscritto acefalo scoperto dal Baronio)

Anno 256 dopo Cristo, mese di Ottobre



L’altare dove riposano i corpi santi dei martiri Greci,
chiesa di S. Agata dei Goti, Roma


Valeriano mandò settanta soldati per arrestare Eusebio, Adria, Ippolito, Paolina, i loro figli e condurli incatenati al Foro Traiano. Il diacono Marcello accorrendo, rimproverò Valeriano di tener prigionieri gli amici della verità. Allora Secondiano (il giudice) disse: “Anche costui è cristiano come gli altri”. Introdotto per primo il presbitero Eusebio, il giudice lo interrogò: “Sei tu quello che reca disturbo alla città? Di’ intanto il tuo nome”. E quello: “Mi chiamo Eusebio e sono presbitero”.
Allora il giudice lo fece mettere da parte e fece introdurre Adria. Entrato, richiesto del suo nome, disse: “Adria. Quello che cerchi è piuttosto tardi perché lo possa avere!”. Allora il giudice: “Donde ti deriva questa abbondanza di beni e di ricchezze con cui seduci il popolo?”. Adria disse: “Nel nome del Signore mio Gesù Cristo, dal lavoro dei miei genitori”. Il giudice disse: “Dunque se ti è stata lasciata un’eredità dai tuoi genitori, usala per te e non per subornare gli altri!”. Adria disse: “La spendo integralmente ed onestamente per l’utilità mia e dei miei figli”. Il giudice chiese: “Hai moglie e figli?”. Rispose: “Sono con me in catene”. Il giudice disse: “Siano introdotti”. 

Allora fu introdotta Paolina con i figli Neone e Maria. Li seguivano il diacono Marcello ed Ippolito. Disse il giudice: “È questa tua moglie e questi i tuoi figli?”. Disse: “Sì, lo sono”. Aggiunse il giudice: “E questi altri due chi sono?”. “Questo è il beato diacono Marcello e quest’altro mio cognato Ippolito, particolare servo di Cristo”. Allora il giudice rivolto a loro disse: “Dite voi stessi come vi chiamate”. Risponde Marcello: “Mi chiamo Marcello diacono”. Il giudice disse ad Ippolito: “Di’ il tuo nome”. Ippolito disse: “Ippolito, servo dei servi di Cristo”.

Allora il giudice ordinò di segregare Paolina ed i suoi figli e disse ad Adria: “Tira fuori i tesori, e con costoro con i quali sei stato arrestato sacrificate ed avrete salva la vita, altrimenti morirete presto e perderete la vita”. Risponde Ippolito: “Noi abbiamo lasciato i vuoti pensieri ed abbiamo trovato la verità”. Disse il giudice: “Che hai guadagnato nella permuta?”. Risponde Ippolito: “Abbiamo buttato via i vani idoli ed abbiamo trovato il Signore del cielo, della terra e dell’abisso del mare, Cristo Gesù Figlio di Dio in cui noi crediamo”. Allora il giudice ordinò che fossero rinchiusi nella pubblica prigione e non venissero separati e furono condotti al Carcere Mamertino[5].

Tre giorni dopo, chiamati a consiglio, i giudici Secondiano e Probo fecero allestire il tribunale ed apprestare gli strumenti di tortura. Ed introdotto Adria si trattò di nuovo della questione dei beni. Risultato senza esito l’interrogatorio, il giudice ordinò di accendere il fuoco davanti a Pallade ed ordinò loro di offrire l’incenso. Ed essi si rifiutarono e si prendevano gioco del giudice. Allora ordinò che fossero spogliati e, nudi, sottoposti a stiramento e flagellati. La beata Paolina, percossa con più furore rese lo spirito a Dio.

Vedendo ciò, il giudice condannò Eusebio e Marcello alla decapitazione. Furono condotti alla Pietra Scellerata[6], presso l’anfiteatro del Lago del Pastore ed ivi furono decapitati il beato presbitero Eusebio e il diacono Marcello, il 20 ottobre. I loro corpi furono abbandonati ai cani ed il corpo di Paolina buttato fuori in aperta campagna. Ma un altro Ippolito, diacono anche lui, li raccolse e li seppellì sulla via Appia, all’Arenario, al primo miglio dell’Urbe, dove frequentemente si radunavano i cristiani.


Poi Secondiano prese Adria con i figli ed Ippolito in casa sua, volendo indagare sui beni. Risposero: “Ciò che avevamo l’abbiamo dato ai poveri; i nostri unici tesori sono le anime nostre che non vogliamo assolutamente perdere. Fa’ quello che ti è stato comandato”. Allora Secondiano fece torturare i figli. A loro il padre diceva: “Siate forti, figli miei!”. Ed essi, mentre venivano percossi, dicevano soltanto: “Cristo aiutaci!”. Dopo fece sottoporre a tortura Adria ed Ippolito ed ordinò che fossero bruciati ai fianchi con le fiaccole. Ippolito diceva: “Fa’ quello che vuoi”. Secondiano diceva: “Sacrificate, acconsentite, dite: Sacrifichiamo!”. E Ippolito diceva: “Ecco la mensa senza corruzione”. Dopo molti tormenti, disse Secondiano: “Toglieteli da terra e siano condotti alla Pietra Scellerata il figlio Neone e sua sorella Maria e siano uccisi alla presenza del padre”. Condotti là, furono uccisi di spada ed i loro corpi gettati alla campagna, ma furono raccolti dai cristiani e sepolti poi all’Arenario, al primo miglio dell’Urbe, ove i cristiani erano soliti riunirsi, il 27 ottobre.

Avendo Secondiano riferito tutto a Valeriano, otto giorni dopo ordinò che fosse apprestato il tribunale nel circo Flaminio[7] e che vi fossero portati incatenati Ippolito ed Adria, mentre un banditore gridava: “Sono sacrileghi, sono sacrileghi che sconvolgono la città”. Introdotti, il giudice di nuovo affrontò la questione dei beni dicendo: “Date i soldi con i quali inducevate il popolo in errore”. Rispose Adria: “Noi predichiamo Cristo che si è degnato liberarci dall’errore non perché uccidiamo gli uomini, ma perché li facciamo vivere”. Vedendo che non concludeva niente, Secondiano ordinò che fossero colpiti alle mascelle con flagelli piombati, mentre un banditore gridava: “Sacrificate agli déi, bruciate l’incenso!”. Ippolito, sanguinante, gridava: “Continua pure, o miserabile, e non smettere”. Allora Secondiano ordinò ai carnefici di smettere e disse: “Orsù, provvedete a voi stessi; ecco, ho pietà della vostra stoltezza”. Risposero: “Noi siamo pronti a sostenere tutti i tormenti, ma quello che tu o il Principe ci chiedete non lo faremo!”. Riferì Secondiano a Valeriano e questi ordinò che fossero finiti, alla presenza del popolo.

Allora Secondiano ordinò di portarli al ponte di Antonino e di percuoterli con flagelli piombati fino alla morte e, lungamente percossi, finalmente morirono. I loro corpi furono abbandonati in quel luogo presso l’isola Lycaonia[8]. Venne di notte Ippolito, diacono della Chiesa di Roma, e presi i corpi, li seppellì sulla via Appia, al primo miglio dall’Urbe, nell’Arenario, presso i corpi dei santi, il 9 dicembre.


Nove mesi dopo questi fatti, venne a Roma una donna di nome Martana, greca, con la figlia Valeria. Entrambe erano cristiane e parenti di Adria e Paolina. Dopo averli cercati inutilmente, vennero a sapere che erano stati coronati col martirio e si rallegravano assai. Dopo parecchie ricerche, trovarono i corpi e giorno e notte perseverarono nella preghiera in quel luogo per tredici anni, fino a quando resero l’anima a Dio. Ed anch’esse vennero sepolte nello stesso luogo il 2 dicembre.
Fin qui gli Atti di questi martiri dei quali si celebra la memoria nel calendario della Chiesa il 2 dicembre, anche se subirono il martirio in giorni diversi.
Ad onore di Nostro Signore Gesù Cristo che vive e regna nei secoli dei secoli. Amen.



[1] Nella passio il nome è Valeria.
[2] Le due lapidi sono conservate presso i Musei Vaticani.
[3] Oggi le lapidi marmoree vengono datate tra il V e il VI secolo e le iscrizioni sono state da qualcuno attribuite a papa Simmaco.
[4] P. L. Malamocco, MARTYRION. Romanzo storico sulla vita e il martirio dei Santi Greci venerati in S. Agata dei Goti a Roma, Tavagnacco (UD) 2001, ed. Segno.
[5] Nome col quale in età cristiana fu chiamato il Tullianum (oggi conosciuto come chiesa di San Pietro al Mamertino), storica prigione dell’antica Roma, situato sul lato nord del Foro Romano; esso è costituito da due vani sovrapposti, il superiore riservato al corpo di guardia, l’inferiore un sotterraneo quasi circolare, buio e privo d’aria. Vi transitarono, rinchiusi insieme a criminali comuni, molti cristiani in attesa del martirio, i più illustri furono i santi Pietro e Paolo. Il Mamertino rende bene l’idea del carcere “tenebroso e ripugnante”, descrizione ricorrente negli Acta martyrum, dove i prigionieri ammassati e soffocanti, privi di ogni cosa, ricevevano acqua una sola volta al giorno, mentre cibo o vesti potevano essere loro portati solo da parenti o amici. In simili condizioni i detenuti morivano di frequente prima ancora di essere giudicati.
[6] Vicolo dove vennero uccisi molti cristiani (tra i quali i santi Vito, Modesto e Crescenza), il cippo su cui avveniva la decapitazione, chiamato anch’esso “Pietra Scellerata”, è conservato nella chiesa di san Vito all’Esquilino.
[7] Sorgeva nell’area del Ghetto tra piazza Cairoli, il Teatro di Marcello, il Portico di Ottavia e l’Isola Tiberina. Era diffuso nel mondo Romano l’uso di far celebrare i processi presso il circo, rendendoli parte degli spettacoli con le immancabili crudeli torture e culminanti nella pena capitale.
[8] Piccola isoletta sul fiume Tevere, anticamente chiamata dai Romani semplicemente Insula o Insula inter duos pontes, nel medioevo fu detta anche Lycaonia, oggi conosciuta come Isola Tiberina, vi sorgono la chiesa di san Bartolomeo, dove sono custodite le reliquie del santo apostolo, e quella di san Giovanni Calibita.

AVE REGINA MARTYRUM

venerdì 26 luglio 2013

Santa Brigida e la corona di 7 pietre preziose



Sant'Agnese parla a Santa Brigida di una corona di sette pietre preziose



Sant'Agnese parla dicendo: «Vieni, figlia mia, e porrò sul tuo capo una corona con sette pietre preziose. Cos'è questa corona se non la prova di una pazienza insuperabile, fatta di afflizioni, e a sua volta ornata e arricchita da Dio con delle corone? 


Dunque, la prima pietra di questa corona è un diaspro che ti è stato posto sul capo da colui che vomitava su di te parole ingiuriose, dicendo che non sapeva di quale spirito tu parlassi e che era meglio che tu ti dedicassi alla filatura come sanno fare le donne, anziché discutere della sacra Scrittura. Di conseguenza, così come il diaspro rafforza la vista ed accende la gioia dell'anima, allo stesso modo Dio suscita la gioia dell'anima con le tribolazioni e illumina lo spirito per comprendere le cose spirituali. 


La seconda pietra è uno zaffiro che ha posto nella tua corona chi ti lodava alla tua presenza e sparlava di te in tua assenza. Dunque, così come lo zaffiro è del colore del cielo e mantiene sane le membra, allo stesso modo la cattiveria degli uomini mette alla prova il giusto affinché diventi celeste e mantiene forte l'anima affinché non diventi preda della superbia. 

La terza pietra è uno smeraldo che è stato aggiunto alla tua corona da chi sostiene che hai parlato senza pensare e senza sapere quello che dicevi. Infatti, così come lo smeraldo, sebbene fragile per sua natura, è bello e verde, allo stesso modo la menzogna di simili persone verrà messa subito a tacere, ma renderà bella la tua anima grazie al premio e alla ricompensa di una pazienza insuperabile. 


La quarta pietra è la perla che ti ha dato chi in tua presenza ha offeso con ingiurie l'amico di Dio, ingiurie delle quali hai provato più risentimento che se fossero state rivolte direttamente a te. Di conseguenza, così come la perla, che è bella e bianca, allevia le passioni del cuore, allo stesso modo le pene d'amore introducono Dio nell'anima e placano le passioni della collera e dell'impazienza. 



La quinta pietra è un topazio. Chi ti parlava con amarezza ti ha dato questa pietra, che tu invece hai benedetto. Per questo, così come il topazio ha il colore dell'oro e custodisce la castità e la bellezza, similmente non c'è nulla di più bello e gradito a Dio che amare quanti ci hanno danneggiato e offeso e pregare Dio per quelli che ci perseguitano. 


La sesta pietra è un diamante. Questa pietra ti è stata data da chi ha ferito gravemente il tuo corpo, cosa che hai tollerato con grande pazienza, a tal punto che non hai voluto disonorarlo. Perciò, così come il diamante non si rompe con dei colpi ma con il sangue di capro, allo stesso modo Dio gradisce molto che non si cerchi la vendetta e si dimentichi invece ogni danno ricevuto per amore di Dio, pensando senza sosta a ciò che Dio stesso compie per amore dell'uomo. 



La settima pietra è un granato. Questa pietra ti è stata data da colui che ti ha recato notizie false, dicendo che tuo figlio Carlo era morto, annuncio che hai accolto con pazienza e rassegnazione. Di conseguenza, così come il granato risplende in una casa e sta molto bene incastonato in un anello, l'uomo sopporta con pazienza la perdita di qualcosa che gli è molto caro, che spinge Dio ad amarlo, che risplende alla presenza dei santi e che risulta gradevole come una pietra preziosa». Libro IV, 124

AVE MARIA!

Oremus


Il Signore mi chiama a "salire sul monte", a dedicarmi ancora di più alla preghiera... 
(Benedetto XVI, 24 febbraio 2013)


Lectio, Meditatio, Oratio

Prima lettera di san Giovanni - cap. 4

1Carissimi, non prestate fede ad ogni spirito, ma mettete alla prova gli spiriti, per saggiare se provengono veramente da Dio, perché molti falsi profeti sono venuti nel mondo. 2In questo potete riconoscere lo Spirito di Dio: ogni spirito che riconosce in Gesù il Cristo venuto nella carne, è da Dio; 3ogni spirito che non riconosce Gesù, non è da Dio. Questo è lo spirito dell’anticristo che, come avete udito, viene, anzi è già nel mondo. 4Voi siete da Dio, figlioli, e avete vinto costoro, perché colui che è in voi è più grande di colui che è nel mondo. 5Essi sono del mondo, perciò insegnano cose del mondo e il mondo li ascolta. 6Noi siamo da Dio: chi conosce Dio ascolta noi; chi non è da Dio non ci ascolta. Da questo noi distinguiamo lo spirito della verità e lo spirito dell’errore.


7Carissimi, amiamoci gli uni gli altri, perché l’amore è da Dio: chiunque ama è stato generato da Dio e conosce Dio. 8Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore. 9In questo si è manifestato l’amore di Dio in noi: Dio ha mandato nel mondo il suo Figlio unigenito, perché noi avessimo la vita per mezzo di lui. 10In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati.



11Carissimi, se Dio ci ha amati così, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri. 12Nessuno mai ha visto Dio; se ci amiamo gli uni gli altri, Dio rimane in noi e l’amore di lui è perfetto in noi. 13In questo si conosce che noi rimaniamo in lui ed egli in noi: egli ci ha donato il suo Spirito. 14E noi stessi abbiamo veduto e attestiamo che il Padre ha mandato il suo Figlio come salvatore del mondo. 15Chiunque confessa che Gesù è il Figlio di Dio, Dio rimane in lui ed egli in Dio. 16E noi abbiamo conosciuto e creduto l’amore che Dio ha in noi. Dio è amore; chi rimane nell’amore rimane in Dio e Dio rimane in lui.
17In questo l’amore ha raggiunto tra noi la sua perfezione: che abbiamo fiducia nel giorno del giudizio, perché come è lui, così siamo anche noi, in questo mondo.18Nell’amore non c’è timore, al contrario l’amore perfetto scaccia il timore, perché il timore suppone un castigo e chi teme non è perfetto nell’amore.
19Noi amiamo perché egli ci ha amati per primo. 20Se uno dice: «Io amo Dio» e odia suo fratello, è un bugiardo. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede. 21E questo è il comandamento che abbiamo da lui: chi ama Dio, ami anche suo fratello.

Il mio tempo.


26 luglio 1976. San Gioacchino e Sant'Anna.

Il mio tempo.

«Il mio tempo, figli prediletti, non si misura a giorni. Il mio tempo è scandito solo dal battito del mio Cuore di Mamma. Ogni battito di questo Cuore segna un nuovo giorno di salvezza e di misericordia per voi, miei poveri figli.
Per questo vi invito a vivere solo di fiducia.



Il vostro tempo deve essere misurato dalla fiducia nell'amore misericordioso del Padre e nell'azione della vostra Mamma del Cielo.
Di questa fiducia sono vissuti i miei genitori Anna e Gioacchino, che oggi la Chiesa ricorda e che vi propone come esempio.
Di questa fiducia sono vissuti tutti i Santi, tutti gli amici di Dio. Di questa sola fiducia si è servito sempre l'Onnipotente per realizzare in ogni epoca il Suo disegno.

Spesso Io ha realizzato anche contro l'attesa di tutti, nel momento in cui nessuno avrebbe creduto. Così avvenne nel grande disegno che Dio compì attraverso queste sue due umili e povere creature, che Egli chiamò per preparare la nascita della vostra Mamma celeste.
Vostra Mamma fu chiamata a sperare contro la stessa apparenza delle cose, per affidarsi solo alla fiducia completa nella Parola di Dio. Diventò così la Madre del Verbo e vi donò suo Figlio Gesù.
Ora vi ho annunciato il trionfo del mio Cuore Immacolato e la necessaria e dolorosa purificazione che lo deve precedere.
Vi ho anche detto che questo è il tempo della purificazione e che questi sono gli anni del mio trionfo. Ma non cercate il momento scrutando il futuro e contando anni, mesi e giorni. 
Così verreste presi dall'ansia e dal turbamento e sciupereste veramente il vostro tempo, che è tanto prezioso.
Non così, figli miei prediletti, va misurato il mio tempo, ma solo dalla vostra fiducia in Me, che vi preparo ad essere strumenti da Me scelti e formati per realizzare in questo tempo il trionfo del mio Cuore Immacolato».
MIA CARA MAMMA, SALVAMI!