venerdì 12 luglio 2013

Santa Veronica Giuliani

Catechesi del Papa: Santa Veronica Giuliani




L’UDIENZA GENERALE, 15.12.2010 

L’Udienza Generale di questa mattina si è svolta alle ore 10.30 nell’Aula Paolo VI dove il Santo Padre Benedetto XVI ha incontrato gruppi di pellegrini e di fedeli giunti dall’Italia e da ogni parte del mondo.
Nel discorso in lingua italiana, il Papa si è soffermato sulla figura di Santa Veronica Giuliani, monaca clarissa cappuccina (1660-1727), della quale ricorre il 27 dicembre prossimo il 350° anniversario della nascita.
Dopo aver riassunto la Sua catechesi nelle diverse lingue, il Santo Padre Benedetto XVI ha rivolto particolari espressioni di saluto ai gruppi di fedeli presenti.
L’Udienza Generale si è conclusa con il canto del Pater Noster e la Benedizione Apostolica.



Santa Veronica Giuliani

Cari fratelli e sorelle,

Oggi vorrei presentare una mistica che non è dell’epoca medievale; si tratta di santa Veronica Giuliani, monaca clarissa cappuccina. Il motivo è che il 27 dicembre prossimo ricorre il 350° anniversario della Sua nascita. Città di Castello, luogo dove visse più a lungo e morì, come pure Mercatello - suo paese natale - e la diocesi di Urbino, vivono con gioia questo evento.

Veronica nasce appunto il 27 dicembre 1660 a Mercatello, nella valle del Metauro, da Francesco Giuliani e Benedetta Mancini; è l’ultima di sette sorelle, delle quali altre tre abbracceranno la vita monastica; le viene dato il nome di Orsola. All’età di sette anni, perde la madre, e il padre si trasferisce a Piacenza come soprintendente alle dogane del ducato di Parma. In questa città, Orsola sente crescere in sé il desiderio di dedicare la vita a Cristo. Il richiamo si fa sempre più pressante, tanto che, a 17 anni, entra nella stretta clausura del monastero delle Clarisse Cappuccine di Città di Castello, dove rimarrà per tutta la vita. Là riceve il nome di Veronica, che significa "vera immagine", e, in effetti, ella diventerà una vera immagine di Cristo Crocifisso. Un anno dopo emette la solenne professione religiosa: inizia per lei il cammino di configurazione a Cristo attraverso molte penitenze, grandi sofferenze e alcune esperienze mistiche legate alla Passione di Gesù: la coronazione di spine, lo sposalizio mistico, la ferita nel cuore e le stimmate. Nel 1716, a 56 anni, diventa badessa del monastero e verrà riconfermata in tale ruolo fino alla morte, avvenuta nel 1727, dopo una dolorosissima agonia di 33 giorni che culmina in una gioia profonda, tanto che le sue ultime parole furono: "Ho trovato l’Amore, l’Amore si è lasciato vedere! Questa è la causa del mio patire. Ditelo a tutte, ditelo a tutte!" (Summarium Beatificationis, 115-120). Il 9 luglio lascia la dimora terrena per l’incontro con Dio. Ha 67 anni, cinquanta dei quali trascorsi nel monastero di Città di Castello. Viene proclamata Santa il 26 maggio 1839 dal Papa Gregorio XVI.

Veronica Giuliani ha scritto molto: lettere, relazioni autobiografiche, poesie. La fonte principale per ricostruirne il pensiero è, tuttavia, il suo Diario, iniziato nel 1693: ben ventiduemila pagine manoscritte, che coprono un arco di trentaquattro anni di vita claustrale. La scrittura fluisce spontanea e continua, non vi sono cancellature o correzioni, né segni d’interpunzione o distribuzione della materia in capitoli o parti secondo un disegno prestabilito. Veronica non voleva comporre un’opera letteraria; anzi, fu obbligata a mettere per iscritto le sue esperienze dal Padre Girolamo Bastianelli, religioso dei Filippini, in accordo con il Vescovo diocesano Antonio Eustachi.

Santa Veronica ha una spiritualità marcatamente cristologico-sponsale: è l’esperienza di essere amata da Cristo, Sposo fedele e sincero, e di voler corrispondere con un amore sempre più coinvolto e appassionato. In lei tutto è interpretato in chiave d’amore, e questo le infonde una profonda serenità. Ogni cosa è vissuta in unione con Cristo, per amore suo, e con la gioia di poter dimostrare a Lui tutto l’amore di cui è capace una creatura.

Il Cristo a cui Veronica è profondamente unita è quello sofferente della passione, morte e risurrezione; è Gesù nell’atto di offrirsi al Padre per salvarci. Da questa esperienza deriva anche l’amore intenso e sofferente per la Chiesa, nella duplice forma della preghiera e dell’offerta. La Santa vive in quest’ottica: prega, soffre, cerca la "povertà santa", come "esproprio", perdita di sé (cfr ibid., III, 523), proprio per essere come Cristo, che ha donato tutto se stesso.

In ogni pagina dei suoi scritti Veronica raccomanda qualcuno al Signore, avvalorando le sue preghiere d’intercessione con l’offerta di se stessa in ogni sofferenza. Il suo cuore si dilata a tutti "i bisogni di Santa Chiesa", vivendo con ansia il desiderio della salvezza di "tutto l’universo mondo" (ibid., III-IV, passim). Veronica grida: "O peccatori, o peccatrici… tutti e tutte venite al cuore di Gesù; venite alla lavanda del suo preziosissimo sangue… Egli vi aspetta con le braccia aperte per abbracciarvi" (ibid., II, 16-17). Animata da un’ardente carità, dona alle sorelle del monastero attenzione, comprensione, perdono; offre le sue preghiere e i suoi sacrifici per il Papa, il suo vescovo, i sacerdoti e per tutte le persone bisognose, comprese le anime del purgatorio. Riassume la sua missione contemplativa in queste parole: "Noi non possiamo andare predicando per il mondo a convertire anime, ma siamo obbligate a pregare di continuo per tutte quelle anime che stanno in offesa di Dio… particolarmente con le nostre sofferenze, cioè con un principio di vita crocifissa" (ibid., IV, 877). La nostra Santa concepisce questa missione come uno "stare in mezzo" tra gli uomini e Dio, tra i peccatori e Cristo Crocifisso.

Veronica vive in modo profondo la partecipazione all’amore sofferente di Gesù, certa che il "soffrire con gioia" sia la "chiave dell’amore" (cfr ibid., I, 299.417; III, 330.303.871; IV, 192). Ella evidenzia che Gesù patisce per i peccati degli uomini, ma anche per le sofferenze che i suoi servi fedeli avrebbero dovuto sopportare lungo i secoli, nel tempo della Chiesa, proprio per la loro fede solida e coerente. Scrive: "L’eterno Suo Padre Gli fece vedere e sentire in quel punto tutti i patimenti che avevano da patire i suoi eletti, le anime Sue più care, cioè quelle che si sarebbero approfittate del Suo Sangue e di tutti i Suoi patimenti" (ibid., II, 170). Come dice di sé l’apostolo Paolo: "Ora io sono lieto nelle sofferenze che sopporto per voi e do compimento a ciò che, dei patimenti di Cristo, manca nella mia carne, a favore del suo corpo che è la Chiesa" (Col 1,24). Veronica arriva a chiedere a Gesù di essere crocifissa con Lui: "In un istante – scrive -, io vidi uscire dalle Sue santissime piaghe cinque raggi risplendenti; e tutti vennero alla volta mia. Ed io vedevo questi raggi divenire come piccole fiamme. In quattro vi erano i chiodi; ed in una vi era la lancia, come d’oro, tutta infuocata: e mi passò il cuore, da banda a banda… e i chiodi passarono le mani e i piedi. Io sentii gran dolore; ma, nello stesso dolore, mi vedevo, mi sentivo tutta trasformata in Dio" (Diario, I, 897).

La Santa è convinta di partecipare già al Regno di Dio, ma contemporaneamente invoca tutti i Santi della Patria beata perché le vengano in aiuto nel cammino terreno della sua donazione, in attesa della beatitudine eterna; è questa la costante aspirazione della sua vita (cfr ibid., II, 909; V, 246). 

Rispetto alla predicazione dell’epoca, incentrata non raramente sul "salvarsi l’anima" in termini individuali, Veronica mostra un forte senso "solidale", di comunione con tutti i fratelli e le sorelle in cammino verso il Cielo, e vive, prega, soffre per tutti. Le cose penultime, terrene, invece, pur apprezzate in senso francescano come dono del Creatore, risultano sempre relative, del tutto subordinate al "gusto" di Dio e sotto il segno d’una povertà radicale. Nella communio sanctorum, ella chiarisce la sua donazione ecclesiale, nonché il rapporto tra la Chiesa peregrinante e la Chiesa celeste. "I Santi tutti - scrive - sono colassù mediante i meriti e la passione di Gesù; ma a tutto quello che ha fatto Nostro Signore, essi hanno cooperato, in modo che la loro vita è stata tutta ordinata, regolata dalle medesime opere (sue)" (ibid., III, 203).

Negli scritti di Veronica troviamo molte citazioni bibliche, a volte in modo indiretto, ma sempre puntuale: ella rivela familiarità col Testo sacro, del quale si nutre la sua esperienza spirituale. Va rilevato, inoltre, che i momenti forti dell’esperienza mistica di Veronica non sono mai separati dagli eventi salvifici celebrati nella liturgia, dove ha un posto particolare la proclamazione e l’ascolto della Parola di Dio. La Sacra Scrittura, dunque, illumina, purifica, conferma l’esperienza di Veronica, rendendola ecclesiale. D’altra parte, però, proprio la sua esperienza, ancorata alla Sacra Scrittura con una intensità non comune, guida ad una lettura più profonda e "spirituale" dello stesso Testo, entra nella profondità nascosta del testo. Ella non solo si esprime con le parole della Sacra Scrittura, ma realmente anche vive di queste parole, diventano vita in lei.

Ad esempio, la nostra Santa cita spesso l’espressione dell’apostolo Paolo: "Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi?" (Rm 8,31; cfr Diario, I, 714; II, 116.1021; III, 48). In lei, l’assimilazione di questo testo paolino, questa sua fiducia grande e gioia profonda, diventa un fatto compiuto nella sua stessa persona: "L’anima mia – scrive - è stata legata colla divina volontà ed io mi sono stabilita davvero e fermata per sempre nella volontà di Dio. Parevami che mai più avessi da scostarmi da questo volere di Dio e tornai in me con queste precise parole: niente mi potrà separare dalla volontà di Dio, né angustie, né pene, né travagli, né disprezzi, né tentazioni, né creature, né demoni, né oscurità, e nemmeno la medesima morte, perché, in vita e in morte, voglio tutto, e in tutto, il volere di Dio" (Diario, IV, 272). 

Così siamo anche nella certezza che la morte non è l’ultima parola, siamo fissati nella volontà di Dio e così, realmente, nella vita per sempre.

Veronica si rivela, in particolare, una testimone coraggiosa della bellezza e della potenza dell’Amore divino, che la attira, la pervade, la infuoca. È l’Amore crocifisso che si è impresso nella sua carne, come in quella di san Francesco d’Assisi, con le stimmate di Gesù. "Mia sposa - mi sussurra il Cristo crocifisso - mi sono care le penitenze che fai per coloro che sono in mia disgrazia … Poi, staccando un braccio dalla croce, mi fece cenno che mi accostassi al Suo costato ... E mi trovai tra le braccia del Crocifisso. Quello che provai in quel punto non posso raccontarlo: avrei voluto star sempre nel Suo santissimo costato" (ibid., I, 37). E’ anche un’immagine del suo cammino spirituale, della sua vita interiore: stare nell’abbraccio del Crocifisso e così stare nell’amore di Cristo per gli altri. Anche con la Vergine Maria Veronica vive una relazione di profonda intimità, testimoniata dalle parole che si sente dire un giorno dalla Madonna e che riporta nel suo Diario: "Io ti feci riposare nel mio seno, avesti l’unione con l’anima mia, e da essa fosti come in volo portata davanti a Dio" (IV, 901).

Santa Veronica Giuliani ci invita a far crescere, nella nostra vita cristiana, l’unione con il Signore nell’essere per gli altri, abbandonandoci alla sua volontà con fiducia completa e totale, e l’unione con la Chiesa, Sposa di Cristo; ci invita a partecipare all’amore sofferente di Gesù Crocifisso per la salvezza di tutti i peccatori; ci invita a tenere lo sguardo fisso al Paradiso, meta del nostro cammino terreno, dove vivremo assieme a tanti fratelli e sorelle la gioia della comunione piena con Dio; ci invita a nutrirci quotidianamente della Parola di Dio per riscaldare il nostro cuore e orientare la nostra vita. Le ultime parole della Santa possono considerarsi la sintesi della sua appassionata esperienza mistica: "Ho trovato l’Amore, l’Amore si è lasciato vedere!". Grazie.

© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana


La parabola raccontata da Simone Zelote (445.9)


Le parabole di Gesù
(038)
La parabola raccontata da Simone Zelote (445.9)

"Le piante hanno bisogno dell'acqua del cielo, perchè bevono anche con le foglie, eh? Sembra che no, ma è così. Le radici, le radici! Sta bene. Ma anche le fronde ci sono per qualche cosa e hanno i loro diritti..."
"Non ti pare, Maestro, che Bartolomeo proponga il soggetto di una bella parabola?" dice lo Zelote stuzzicando Gesù a parlare.
Ma Gesù, che sta ninnando il fanciullino che ha paura delle saette, non dice la parabola, ma assente dicendo: "E tu come la proporresti?"
"Male certo, Maestro, Io non sono Te..."
"Dilla come la sai. Vi servirà molto il predicare con parabole. Abituatevi. Ti ascolto, Simone...."

"Oh!... Tu Maestro, io.... stolto... Ma ubbidisco. Direi così:
Un uomo aveva una bella pianta di vite. Ma non essendo quell'uomo possessore di una vigna, la sua vite l'aveva messa nel piccolo orto di casa, perchè salisse sul terrazzo a fare ombra e a dare grappoli, e molte cure dava alla sua vite. Ma essa cresceva in mezzo alle case,presso la via, perciò fumo di cucine e forni, e polvere della strada salivano a molestare la vite. E finchè ancora dal cielo scendevano le piogge di Nisam, le foglie della vite si detergevano dalle impurità e godevano del sole e dell'aria senza avere sulla superficie una brutta crosta di sudiciume ad impedirlo. Ma quando venne l'estate e l'acqua non scese più dal cielo, fumo, polvere, escrementi di uccelli si depositarono in spessi strati sulle foglie, mentre il sole troppo rovente le prosciugava. Il padrone della vite dava acqua alle radici sprofondate nel suolo, e perciò la pianta non moriva, ma vegetava stenta, perchè l'acqua dalle radici succhiata non saliva che per l'interno, e le misere fronde non ne godevano. Anzi, dal suolo torrido bagnato con poca acqua, salivano ribollimenti ed esalazioni che sciupavano le foglie macchiandole come per pustole maligne. Ma infine venne una grande pioggia dal cielo e scese sulle fronde, corse lungo i rami, i grappoli, il tronco, spense l'ardore delle muraglie e del suolo, e passata la tempesta il padrone della vite vide la sua pianta pulita, fresca, godere e dare godimento sotto il cielo sereno"

"Va bene. Ma il paragone con l'uomo?..."
"Maestro, questo fallo Tu."
"No. Tu. Siamo tra fratelli, non devi temere di fare brutte figure."
"Se è per le brutte figure non le temo come cose penose. Anzi le amo perchè servono a tenermi umile. E' che non vorrei dire delle cose errate...."
"Io te le correggerò."

" Oh" allora! Ecco. direi: < Così avviene dell'uomo che non vive isolato negli orti di Dio, ma vive in mezzo alla polvere e al fumo delle cose del mondo. Le quali lo ingrommano lentamente, quasi inavvertitamente, ed egli si trova sterilito nello spirito, sotto una crosta di umanità tanto spessa che l'aura di Dio e il sole della Sapienza più non possono giovargli. E inutilmente cerca di sopperire con un poco di acqua, attinta alle pratiche, e data con tanta umanità alla parte inferiore di modo che la parte superiore non ne gode... Guai all'uomo che non si deterge con l'acqua del Cielo che monda dalle impurità, che spegne gli ardori delle passioni, che veramente nutre l'io tutto>. Ho detto."

""Hai detto bene. Io direi anche che, a differenza della pianta, creatura priva di libero arbitrio e confitta nella terra, e perciò non libera di andare in cerca di ciò che le giova e di fuggire ciò che le nuoce, l'uomo può andare a cercare l'acqua del Cielo e sfuggire la polvere, il fumo e l'ardore della carne e del mondo e del demonio. Sarebbe più completo l'insegnamento."


giovedì 11 luglio 2013

Preghiamo affinché il Signore ci conservi il Papa secondo il suo cuore per confermarci tutti nella fede


Paolo VI ha svolto il suo servizio per fede. Da questo derivavano sia la sua fermezza sia la sua disponibilità al compromesso. Per entrambe ha dovuto accettare critiche, e anche in alcuni commenti dopo la sua morte non è mancato il cattivo gusto. 



Ma un Papa che oggi non subisse critiche fallirebbe il suo compito dinanzi a questo tempo. Paolo VI ha resistito alla telecrazia e alla demoscopia, le due potenze dittatoriali del presente. Ha potuto farlo perché non prendeva come parametro il successo e l'approvazione, bensì la coscienza, che si misura sulla verità, sulla fede. 



È per questo che in molte occasioni ha cercato il compromesso: la fede lascia molto di aperto, offre un ampio spettro di decisioni, impone come parametro l'amore, che si sente in obbligo verso il tutto e quindi impone molto rispetto. Per questo ha potuto essere inflessibile e deciso quando la posta in gioco era la tradizione essenziale della Chiesa. In lui questa durezza non derivava dall'insensibilità di colui il cui cammino viene dettato dal piacere del potere e dal disprezzo delle persone, ma dalla profondità della fede, che lo ha reso capace di sopportare le opposizioni.



Paolo VI era, nel profondo, un Papa spirituale, un uomo di fede. Non a torto un giornale lo ha definito il diplomatico che si è lasciato alle spalle la diplomazia. Nel corso della sua carriera curiale aveva imparato a dominare in modo virtuoso gli strumenti della diplomazia. Ma questi sono passati sempre più in secondo piano nella metamorfosi della fede alla quale si è sottoposto. 



Nell'intimo ha trovato sempre più il proprio cammino semplicemente nella chiamata della fede, nella preghiera, nell'incontro con Gesù Cristo. In tal modo è diventato sempre più un uomo di bontà profonda, pura e matura. Chi lo ha incontrato negli ultimi anni ha potuto sperimentare in modo diretto la straordinaria metamorfosi della fede, la sua forza trasfigurante. 



Si poteva vedere quanto l'uomo, che per sua natura era un intellettuale, si consegnava giorno dopo giorno a Cristo, come si lasciava cambiare, trasformare, purificare da lui, e come ciò lo rendeva sempre più libero, sempre più profondo, sempre più buono, perspicace e semplice.



La fede è una morte, ma è anche una metamorfosi per entrare nella vita autentica, verso la trasfigurazione. In Papa Paolo si poteva osservare tutto ciò. La fede gli ha dato coraggio. La fede gli ha dato bontà. E in lui era anche chiaro che la fede convinta non chiude, ma apre. Alla fine, la nostra memoria conserva l'immagine di un uomo che tende le mani. È stato il primo Papa a essersi recato in tutti i continenti, fissando così un itinerario dello Spirito, che ha avuto inizio a Gerusalemme, fulcro dell'incontro e della separazione delle tre grandi religioni monoteistiche; poi il viaggio alle Nazioni Unite, il cammino fino a Ginevra, l'incontro con la più grande cultura religiosa non monoteista dell'umanità, l'India, e il pellegrinaggio presso i popoli che soffrono dell'America Latina, dell'Africa, dell'Asia. La fede tende le mani. Il suo segno non è il pugno, ma la mano aperta.



Nella Lettera ai Romani di sant'Ignazio di Antiochia è scritta la meravigliosa frase: «È bello tramontare al mondo per il Signore e risorgere in lui» (ii, 2). Il vescovo martire la scrisse durante il viaggio da oriente verso la terra in cui tramonta il sole, l'occidente. Lì, nel tramonto del martirio, sperava di ricevere il sorgere dell'eternità. Il cammino di Paolo VI è diventato, anno dopo anno, un viaggio sempre più consapevole di testimonianza sopportata, un viaggio nel tramonto della morte, che lo ha chiamato a sé nel giorno della Trasfigurazione del Signore. Affidiamo la sua anima con fiducia nelle mani dell'eterna misericordia di Dio affinché egli diventi per lui aurora di vita eterna. Lasciamo che il suo esempio sia un appello e porti frutto nella nostra anima. E preghiamo affinché il Signore ci mandi ancora un Papa che adempia di nuovo il mandato originario del Signore a Pietro: «Conferma i tuoi fratelli» (Luca, 22, 32).


13 luglio 2013! Un enigma e son 4 mesi.


13 marzo 2013 – Il suo Trono è stato rubato. Ma non il Suo Potere.

Mia amata figlia prediletta, sono stato condannato a morte per la seconda volta. L’insulto della decisione di Roma, di cui sei stata testimone oggi, Mi ha spezzato in due.
Quando stavo davanti ai Miei carnefici, accusato di eresia e di osar dire la Verità, i Miei apostoli scapparono via ed erano introvabili. Coloro che Mi seguivano ed accettavano i Miei Insegnamenti, Mi tradirono quando la Mia Parola fu contestata da quelli che avevano l’autorità.Cominciarono a perdere fiducia in Me e iniziarono a dubitare di Me.
Alcuni dei Miei seguaci credettero ai reati di eresia di cui fui accusato, e credettero che essi fossero giustificati. I Miei accusatori, persone altolocate, vestiti con abiti esotici e che camminavano e parlavano con un senso di reale autorità, erano così potenti che pochi dubitavano di loro.
Io fui indagato, contestato, schernito, sminuito, ridicolizzato e deriso per aver detto la Verità. Le persone si prosternavano davanti a questi governanti, uomini con una voce potente e la cui autorità non era mai stata messa in discussione. La Mia Voce diventò come un sussurro in mezzo ai ruggiti dei Miei accusatori.
“Eretico”, gridavano. Dicevano che parlavo con una lingua malvagia, che bestemmiavo contro Dio e che volevo distruggere la loro chiesa. E così Mi assassinarono a sangue freddo.
Non succede diversamente adesso, quando cerco di fare conoscere la Mia Voce, quando tento di mettere in guardia tutti i figli di Dio in merito agli eventi di cui ho parlato a te, figlia Mia, in quest’ultimo paio di anni. La Mia Parola sarà trattata con disprezzo. La Mia Parola sarà discussa. I dubbi si insinueranno e, ancora una volta, i Miei apostoli scapperanno e Mi lasceranno ai lupi.
Sia chiaro, la Verità vi è stata rivelata. Vi ho detto, Miei discepoli, come sarete ingannati. Questo sarà molto difficile per voi, poiché metterete in dubbio questo impostore che siede nella casa del Padre Mio.
Il Mio amato Papa Benedetto XVI è stato perseguitato ed è fuggito, come era stato predetto. Io non ho designato questa persona che sostiene di venire nel Mio Nome.
Egli, Papa Benedetto, guiderà i Miei seguaci verso la Verità. Io non l’ho abbandonato e lo tengo vicino al Mio Cuore e gli offro il conforto di cui ha bisogno in questo momento terribile.
Il suo Trono è stato rubato. Ma non il suo potere.
Il vostro Gesù.

Parabola del pescatore...


Le parabole di Gesù
(039)
Parabola del pescatore che giudicava 
duramente il prossimo (448.6)

Un uomo, navigando sul lago in una sera placida come questa e sentendosi sicuro di se stesso, presunse di essere senza difetti. Era un uomo espertissimo delle manovre e perciò si sentiva superiore agli altri che incontrava sull'acque, dei quali molti venivano su esse per diletto e perciò senza quell'esperienza che dà il lavoro usuale e fatto per guadagnarsi la vita. Inoltre era un buon israelita e perciò si credeva possessore di tutte le virtù. Infine era realmente un buon uomo.

Or dunque, una sera che andava navigando sicuro, si permise di esprimere dei giudizi sul prossimo suo. Un prossimo, secondo lui, tanto lontano da non essere considerato prossimo. Nessun legame di nazionalità, nè di mestiere, nè di fede lo univa a quel prossimo e perciò egli, senza nessun freno di solidarietà nazionale, religiosa o professionale, lo derideva tranquillamente, anzi severamente, e si lamentava di non essere padrone del luogo, perchè se lo fosse stato avrebbe cacciato quel prossimo da esso luogo, e, nella sua fede intransigente, quasi rimproverava l'Altissimo di concedere a questi diversi da lui di fare e di vivere quello e dove egli faceva e viveva.
Sulla sua barca era un suo amico, un suo buon amico il quale lo amava con giustizia e perciò lo voleva saggio e, quando occorreva farlo, ne correggeva le idee sbagliate. Quella sera, dunque, questo amico disse all'uomo barcaiuolo: "Perchè questi pensieri? Non è uno il Padre degli uomini? Non è Egli il Signore dell'Universo? Il suo sole non scende forse su tutti gli uomini a scaldarli, e le sue nuvole non bagnano forse i campi dei gentili come quelli degli ebrei? E se questo fa per i bisogni materiali dell'uomo, non avrà le stesse provvidenze per i loro bisogni spirituali? E vorresti tu suggerire a Dio ciò che deve fare? Chi come Dio?"

L'uomo era buono. Nella sua intransigenza era molta ignoranza, molte idee errate, ma non era mala volontà, non era intenzione di offendere Dio, anzi era intenzione di difenderne gli interessi. Sentendo quelle parole si gettò ai piedi del saggio e gli chiese perdono per aver parlato da stolto. Tanto impetuosamente lo chiese che per poco non produsse una catastrofe facendo perire la barca e chi era su essa, perchè nella foga di chiedere perdono non si curò più nè del timone nè della vela, nè delle correnti. Perciò dopo il primo sbaglio di mal giudizio commise un secondo sbaglio di mala manovra, e provò a se stesso che non solo era un debole giudice ma anche un maldestro marinaio.