domenica 14 aprile 2013

L’Eucarestia e il velo della Veronica.



<<Che cosa è l’Eucarestia? È il mio Corpo e il mio Sangue uniti alla mia Anima e alla mia Divinità. Ebbene, quando Ella si incinse di Me, che aveva nel seno di diverso? Non aveva il Figlio di Dio, il Verbo del Padre col suo Corpo, Sangue, Anima e Divinità? Voi non mi avete forse perché Maria mi ha avuto e mi ha dato a voi dopo avermi portato per nove mesi? Ebbene, come Io ho lasciato il Cielo per dimorare nel seno di Maria, così, ora che lasciavo la Terra, eleggevo il seno di Maria per mio Ciborio. E quale ciborio, in quale cattedrale, più bello e santo di questo?

La Comunione è un miracolo di amore che Io ho fatto per voi, uomini. Ma, in cima al mio pensiero d’amore, raggiava il pensiero di infinito amore di poter vivere con mia Madre e di farla vivere con Me sinché non fossimo riuniti in Cielo.

Il primo miracolo lo feci per la gioia di Maria, a Cana di Galilea. 
L’ultimo miracolo, anzi gli ultimi miracoli, per il conforto di Maria, a Gerusalemme. 

L’Eucarestia e il velo della Veronica. Questo, per dare una stilla di miele all’amaritudine della Desolata. Quello, per non farle sentire che non c’era più Gesù sulla Terra.


Tutto, tutto, tutto, ma capitelo una volta, voi avete per Maria! Dovreste amarla e benedirla ad ogni vostro respiro.


Il velo della Veronica è anche un pungolo alla vostra anima scettica. Confrontate, voi che procedete per aridi esami, o razionalisti, o tiepidi, o vacillanti nella fede, il Volto del Sudario e quello della Sindone. L’uno è il Volto d’un vivo, l’altro quello d’un morto. Ma lunghezza, larghezza, caratteri somatici, forma, caratteristiche, sono uguali. Sovrapponete le immagini. Vedrete che corrispondono. Sono Io. Io che ho voluto ricordarvi come ero e come ero divenuto per amore di voi. Se non foste dei perduti, dei ciechi, dovrebbero bastare quei due Volti a portarvi all’amore, al pentimento, a Dio.

Il Figlio di Dio vi lascia benedicendovi col Padre e collo Spirito Santo».

Dobbiamo amarla e benedirla
ad ogni nostro respiro.



PARLARE COL CUORE * CURA DELLE ANIME * RICOMINCIARE SEMPRE



1CURA DELLE ANIME

«In un cenobio, un fratello fu falsamente accusato di impurità: e si recò dal padre Antonio. Vennero allora i fratelli dal cenobio, per curarlo e portarlo via. Si misero ad accusarlo: «Tu hai fatto questo». Ed egli a difendersi: «Non ho fatto nulla del genere». Accadde per fortuna che si trovasse colà il padre Pafnuzio Kefala; egli disse questa parabola: «Sulla riva del fiume vidi un uomo immerso nella melma fino al ginocchio; e vennero alcuni per dargli una mano, ma lo fecero affondare fino al collo». E il padre Antonio, riferendosi al padre Pafnuzio, dice loro: «Ecco un vero uomo, capace di curare e di salvare le anime». Presi da compunzione per la parola degli anziani, essi si inchinarono davanti al fratello; poi, esortati i padri, lo riportarono al cenobio.» [Antonio il grande, n. 29].

Nella cura delle anime occorre molto tatto e cautela, attenzione e tenerezza. Spesso il tentativo di redimere una persona ha l’esito di affossarla sempre di più, a volte anche senza che sia presente il motivo scatenante (ossia senza il peccato, ma soltanto l’accusa, che si tende a reiterare). Questo atteggiamento di cura e attenzione verso i peccatori o i più deboli appare del tutto smarrito ai tempi moderni e nella direzione spirituale di molti, che prediligono circondarsi più di "giusti"  (o presunti tali) che non di "peccatori", più bisognosi, stravolgendo in tal modo il messaggio di salvezza portato da Cristo. 


2RICOMINCIARE SEMPRE

«Un giorno i demoni assalirono Arsenio nella sua cella per tormentarlo; giunsero frattanto coloro che lo servivano e, stando fuori dalla cella, lo udirono gridare a Dio: "O Dio, non mi abbandonare; non ho fatto niente di buono ai tuoi occhi, ma nella tua bontà concedimi di cominciare".» [Arsenio, n. 3].

Ogni momento è buono per dire la prima volta (o ridire, se fosse necessario) il nostro “sì”, riaffermare il nostro impegno a cominciare l’opera di Dio o ricominciare nuovamente, secondo l’aiuto della sua misericordia. Sempre ricominciare, sempre cominciare di nuovo a fare qualcosa di buono nella nostra vita. Mai arrendersi alle forze del male, ai tormenti dell’anima, alle difficoltà e alle inquietudini, ma sempre affidarsi a Dio, implorandolo, nella sua misericordia, di poter cominciare di nuovo una storia con Lui. E Lui non ci abbandonerà certamente.

3PARLARE COL CUORE


«Il Padre Poemen disse: "Insegna alla tua bocca a dire ciò che il tuo cuore racchiude".» [Poemen, n. 63].

La ricerca spirituale deve stabilire delle tappe certe. Fra queste c'è la meravigliosa sintonia fra le profondità del cuore e quanto affermiamo con la bocca. La parola non è mai vuota, questo ci insegnano i Padri del deserto, e dunque lasciamo che sia il cuore a parlare sempre attraverso parole adeguate, che vengano dalle sue profondità. Dare così un senso di verità alle parole che altrimenti risuonerebbero vuote.

Ave Maria Purissima!


sabato 13 aprile 2013

"AMANTISSIMI REDEMPTORIS", LETTERA ENCICLICA DI SUA SANTITÀ Beato Pio PP. IX

B. PIO IX , prega per noi




AMANTISSIMI  REDEMPTORIS
LETTERA ENCICLICA DI SUA SANTITÀ
Pio PP. IX

Ai Venerabili Fratelli Patriarchi, Primati, Arcivescovi, Vescovi e agli altri Ordinari locali che hanno amicizia e comunione con la Sede Apostolica.
 
Il Papa Pio IX. 

Venerabili Fratelli, salute e Apostolica Benedizione.
 
Sono state tanto grandi la bontà e la benevolenza dell’amantissimo Redentore Nostro Gesù Cristo, Unigenito Figlio di Dio, verso gli uomini che, come ben sapete, Venerabili Fratelli, assunta la natura umana, non solo accettò di subire i più aspri tormenti e di soffrire la più crudele delle morti sulla croce per la nostra salvezza, ma volle mantenere eterna la sua presenza fra noi nel santissimo sacramento del suo corpo e del suo sangue per esserci, con infinito amore, guida e nutrimento e per garantirci, al suo ritorno in cielo alla destra di Dio Padre, la sua divina presenza e un sicuro sostegno della vita spirituale.


Non contento di averci amato con una tale sublime carità, propria di Dio, profondendo doni su doni, volle spargere ulteriormente le ricchezze del suo amore verso di noi perché comprendessimo appieno che, avendo amato i suoi, li amò sino alla fine. Proclamando infatti se stesso eterno Sacerdote secondo l’ordine di Melchisedek, istituì nella Chiesa Cattolica un Sacerdozio perpetuo, e quello stesso Sacrificio che egli stesso offrì una volta per sempre, spargendo sull’altare della croce il suo preziosissimo Sangue per riscattare e redimere l’intero genere umano dal giogo del peccato e dalla schiavitù del demonio, pacificando le cose del cielo e quelle della terra, ordinò si mantenesse operante fino alla fine dei secoli, e ingiunse che ciò avvenisse ogni giorno, diverso solo per il modo dell’offerta, per mezzo del ministero dei Sacerdoti, perché i salutari e sovrabbondanti frutti della sua passione continuassero a riversarsi sugli uomini.


In questo incruento sacrificio della Messa, che si compie per mezzo del mirabile ministero dei Sacerdoti, viene dunque offerta quella stessa vittima che ci ha riconciliati con Dio Padre e che, racchiudendo in sé il potere legittimo di placare, di impetrare e di soddisfare, "ripropone misteriosamente la morte dell’Unigenito che una volta risorto dai morti non muore più, e la morte non avrà più potere su di Lui; Egli vive dunque in se stesso immortale e incorruttibile, ma viene nuovamente immolato per noi in questa misteriosa sacra offerta" . È un sacrificio così puro che nessuna indegnità e malvagità degli offerenti può in alcun modo sminuire.


Il Signore stesso, per mezzo di Malachia, divinamente ispirato, predisse che questo sacrificio sarebbe stato grande fra le genti e avrebbe dovuto essere offerto puro in ogni parte del mondo, dal sorgere al tramontare del sole (Ml 1,11). È un sacrificio talmente ricolmo di frutti da abbracciare la vita presente e quella futura.

Dio, riconciliato da questo sacrificio, elargendo la sua grazia e il dono del perdono, cancella anche le colpe più gravi e, pur gravemente offeso dai nostri peccati, trascorre dall’ira alla misericordia e dalla severità della giusta punizione alla clemenza. Tramite questo dono vengono annullati il reato e la soddisfazione delle pene temporali; per mezzo suo può essere portato sollievo alle anime dei morti in Cristo non pienamente purificate, e possono essere conseguiti anche beni temporali purché non in contrasto con quelli spirituali. Sempre per suo tramite vengono debitamente esaltati l’onore e il culto resi ai Santi e, in primo luogo, alla santissima Madre di Dio, la Vergine Maria.

Secondo la tradizione ricevuta dagli Apostoli, offriamo il divino sacrificio della Messa "per la pace di tutte le Chiese, per la doverosa armonia del mondo; per i regnanti, per i soldati, per gli alleati, per gli ammalati, per gli afflitti, per tutti coloro che versano nell’indigenza, per i defunti ancora trattenuti in purgatorio, sorretti dalla ferma speranza che potrà tornare di grande giovamento la preghiera elevata in loro favore mentre è presente la Vittima santa e tremenda" .

Non esistendo dunque niente di più grande, di più salutare, di più santo, di più divino dell’incruento sacrificio della Messa, per mezzo del quale, attraverso le mani dei Sacerdoti, viene offerto e immolato a Dio, per la salvezza di tutti, lo stesso corpo, lo stesso sangue, lo stesso Dio e Signore Nostro Gesù Cristo, la Santa Madre Chiesa, dotata dell’inesauribile tesoro del suo divino Sposo, mai tralasciò di circondarlo di cura e di attenzioni, perché un così grande Mistero fosse compiuto da Sacerdoti con cuore grandemente puro e mondo, e venisse celebrato con un apparato esteriore di cerimonie e di riti tale da rendere il culto espressione della grandezza e della magnificenza del Mistero, in modo che i fedeli potessero essere stimolati alla contemplazione delle realtà divine racchiuse in un così ammirevole e venerando Sacrificio.

Con pari cura e sollecitudine la stessa pietosissima Madre mai cessò di ammonire, di esortare e di convincere i suoi fedeli figli perché intervenissero il più frequentemente possibile a questo divino Sacrificio, con le dovute predisposizioni di pietà, di amore e di devozione, ricordando loro il preciso dovere di presenziarvi tutte le feste di precetto, con l’animo e lo sguardo devotamente intenti a quel mistero da cui potevano attingere con facilità la divina misericordia e l’abbondanza di tutti i beni.

E poiché ogni Sacerdote, scelto tra gli uomini, è deputato per gli uomini a tutto ciò che riguarda Dio, per offrire doni e sacrifici per i peccati, in forza delle vostre approfondite conoscenze, Venerabili Fratelli, Voi sapete bene che i pastori di anime sono tenuti ad offrire il sacrosanto Sacrificio della Messa per le anime loro affidate. Si tratta di un obbligo che, secondo gli insegnamenti del Concilio Tridentino, nasce dalla stessa legge Divina. Il Concilio fa ricorso a parole assai autorevoli ed eloquenti per affermare "che a tutti coloro a cui è stata affidata cura di anime è fatto obbligo, per divina disposizione, di riconoscere le proprie pecore e di offrire per esse il Sacrificio" .

È pure nota a tutti Voi l’Enciclica di Benedetto XIV, Nostro Predecessore di felice memoria, del 19 agosto 1744 . Parlando diffusamente e in modo approfondito di questo obbligo e procedendo ulteriormente nel precisare e confermare il pensiero dei Padri Tridentini, al fine di eliminare controversie, dubbi e disquisizioni, stabilì in modo chiaro ed inequivocabile che i parroci e tutti coloro che si trovano in cura d’anime debbono offrire il Sacrificio della Messa per il popolo loro affidato, tutte le domeniche e le feste di precetto, anche in quelle che per sua disposizione, in molte Diocesi, erano state tolte dal novero delle feste di precetto per permettere a quelle popolazioni di dedicarsi alle opere servili, fermo restando l’obbligo di ascoltare la Messa.

Il Nostro cuore non è certo pervaso da mediocre soddisfazione, Venerabili Fratelli, mentre leggiamo le relazioni inviate a Noi e a questa Sede Apostolica in adempimento ad un preciso compito del vostro ufficio pastorale, sulla situazione delle vostre Diocesi. Sono notizie che tornano a vostro onore e Ci riempiono di gioia. Veniamo infatti a sapere che tutti coloro che hanno cura d’anime adempiono al loro dovere nei giorni di domenica e negli altri tuttora di precetto, e non tralasciano di celebrare la Messa per il popolo loro affidato. Ma siamo anche a conoscenza che in molti luoghi è invalsa tra i parroci la consuetudine di non assolvere questo impegno in quei giorni di festa che un tempo, sulla scorta della Costituzione di Urbano VIII, Nostro Predecessore di felice memoria , dovevano essere ritenuti di precetto. È accertato che questa Sede Apostolica, accogliendo le motivate richieste di molti sacri Pastori e valutando le motivazioni presentate, non solo diminuì per quei luoghi il numero dei giorni festivi di precetto per permettere a quelle popolazioni di dedicarsi alle opere servili, ma le esentò anche dall’obbligo di ascoltare la Messa. Ma non appena queste benevole concessioni della Santa Sede diventarono di pubblico dominio, subito i parroci di molte località, ritenendo di essere stati sollevati dall’obbligo di applicare la Messa per il popolo, lo lasciarono cadere del tutto. Ne derivò dunque, per i parroci di quelle regioni, la consuetudine di tralasciare in quei giorni l’applicazione del santissimo Sacrificio della Messa per il popolo, e non mancarono coloro che si ersero a difensori di una simile consuetudine.
Noi pertanto, mossi da profonda sollecitudine per il bene spirituale dell’intero gregge del Signore a Noi affidato per volere divino, profondamente addolorati perché per tale omissione i fedeli di quelle regioni vengono defraudati dei maggiori frutti spirituali, abbiamo deciso di intervenire in una questione di sì rilevante importanza, ben sapendo che questa Sede Apostolica ha sempre insegnato che i parroci hanno l’obbligo di celebrare la Messa per il popolo anche nei giorni festivi non più di precetto.

Sebbene dunque i Romani Pontefici Nostri Predecessori, indotti dalle insistenti petizioni dei Sacri Pastori, dalle molteplici e difformi necessità delle comunità dei fedeli e dalle gravi difficoltà legate ai tempi e alle situazioni locali abbiano deciso di ridimensionare il numero dei giorni di festa e, nello stesso tempo, abbiano benignamente concesso ai fedeli di dedicarsi liberamente alle opere servili, senza l’obbligo di ascoltare la Messa, tuttavia gli stessi Nostri Predecessori, nel concedere simili indulti, intendevano mantenere integre le disposizioni che vietavano, nei summenzionati giorni, qualsiasi innovazione nel consueto svolgimento dei divini uffici e dei riti liturgici: tutto doveva essere compiuto nello stesso modo in cui si era soliti operare quando era ancora in vigore la menzionata Costituzione di Urbano VIII con cui si decidevano i giorni festivi di precetto.
Da tutto questo i parroci potevano facilmente dedurre che in quei giorni non potevano in alcun modo essere sollevati dall’obbligo di applicare la Messa per il popolo, perché è questa la componente essenziale dei riti, soprattutto prestando mente al fatto che i Rescritti Pontifici devono essere accolti e interpretati con assoluta fedeltà al loro significato.

A ciò si aggiunga che questa Santa Sede più volte interpellata per casi specifici inerenti questo dovere dei parroci, mai tralasciò di rispondere per il tramite delle sue Congregazioni, sia del Concilio, sia di Propaganda Fide, sia dei Sacri Riti, sia anche della Sacra Penitenzieria, e di precisare che i parroci erano soggetti all’obbligo di applicare la Messa per i fedeli anche in quei giorni che erano stati depennati da quelli festivi di precetto.

Avendo dunque soppesato con somma attenzione tutte le circostanze, e sentito il parere di molti Nostri Venerabili Fratelli Cardinali di Santa Romana Chiesa della Nostra Congregazione incaricata di difendere e di interpretare i Decreti Tridentini, abbiamo deciso, Venerabili Fratelli, di scrivervi questa Lettera Enciclica per stabilire una sicura e definitiva normativa da osservare con scrupolosa diligenza da tutti i parroci. A questo fine, con la presente Lettera dichiariamo, stabiliamo e decretiamo che i parroci e i sacerdoti in cura d’anime debbono celebrare e applicare il sacrosanto sacrificio della Messa per il popolo loro affidato, non solo in tutte le domeniche e negli altri giorni tuttora annoverati come feste di precetto, ma anche in quelli che per indulto di questa Sede Apostolica sono stati eliminati dal novero delle feste di precetto o trasferiti, allo stesso modo al quale tutti i curatori d’anime erano obbligati quando la menzionata Costituzione di Urbano VIII manteneva piena la sua validità, e le feste di precetto non erano ancora state ridotte e trasferite.
Per quanto concerne le feste trasferite, è ammessa una sola eccezione, quando cioè la solennità e il rispettivo ufficio vengono traslati in giorno di domenica. In questo caso deve essere applicata dai parroci una sola Messa per il popolo, dal momento che si può ritenere che la Messa, parte essenziale dell’ufficio divino, sia stata trasferita unitamente allo stesso ufficio.

Ora, spinti dal sentimento di paterno amore del Nostro animo, volendo restituire la tranquillità a quei parroci che per l’invalsa consuetudine tralasciarono, nei giorni menzionati, di applicare la Messa per il popolo, concediamo ampia assoluzione, in forza del Nostro Apostolico Potere, per tutte le trascorse omissioni. Non mancando inoltre sacerdoti in cura d’anime che hanno ottenuto da questa Sede Apostolica uno specifico indulto di riduzione, così viene chiamato, concediamo loro di poterne fruire nei limiti definiti dall’indulto stesso e finché eserciteranno l’ufficio di parroco nelle parrocchie rette e amministrate al presente.

Mentre dunque decretiamo e concediamo, siamo sorretti dalla ferma speranza, Venerabili Fratelli, che i parroci, accesi da ancor maggiori impegno e amore per le anime, sentano l’orgoglio di soddisfare, con somma diligenza e piena devozione, quest’obbligo di applicare la Messa per il popolo, prendendo in seria considerazione la sovrabbondante messe di favori e di doni celesti che, dall’applicazione di questo incruento e divino Sacrificio, si riversa sul popolo cristiano affidato alla loro cura.

Essendo peraltro pienamente consapevoli che potranno presentarsi dei casi specifici in cui, per particolari difficoltà del momento, dovrà essere concesso ai parroci un alleggerimento di quest’obbligo, intendiamo informarvi che per ottenere i relativi indulti occorre rivolgersi esclusivamente alla Nostra Congregazione del Concilio, eccetto i casi riservati alla Nostra Congregazione di Propaganda Fide, avendo delegato ad ambedue le Congregazioni le opportune facoltà.

Non nutriamo alcun dubbio, Venerabili Fratelli, che in forza della vostra ammirevole sollecitudine episcopale e senza interporre alcun indugio, vorrete scrupolosamente rendere noto a tutti e singoli i parroci delle vostre Diocesi quanto in questa Nostra Lettera, con il Nostro supremo potere, confermiamo, nuovamente decretiamo, vogliamo, comandiamo e disponiamo sull’obbligo di applicare il sacrosanto Sacrificio della Messa per il popolo loro affidato. Siamo anche del tutto certi che attiverete in pieno la vostra vigilanza, perché anche chi si trova in cura d’anime adempia diligentemente a questa parte del proprio dovere e si attenga scrupolosamente a quanto abbiamo decretato in questa Nostra Lettera.

È Nostro desiderio che copia di questa Lettera sia conservata in perpetuo nell’Archivio episcopale di tutte le vostre Curie.

Poiché ben sapete, Venerabili Fratelli, che nel sacrosanto Sacrificio della Messa è racchiusa una grande possibilità di insegnamento per il popolo cristiano, non tralasciate mai di rivolgere pressanti esortazioni, in primo luogo ai parroci, a chi si dedica alla predicazione della parola divina e a coloro ai quali è affidato il compito di istruire il popolo cristiano perché, in modo attento e accurato, espongano e illustrino ai fedeli l’importanza, la maestà, la grandezza, il fine e il frutto di un così grande e mirabile Sacrificio, e nello stesso tempo sollecitino e infiammino i fedeli ad assistere ad esso il più frequentemente possibile con la fede, con la devozione è con la pietà degne di questo Sacrificio, al fine di procurarsi la divina misericordia e ogni grazia di cui hanno bisogno.

Non tralasciate di operare con viva sollecitudine perché i Sacerdoti delle vostre Diocesi eccellano per l’integrità dei costumi, per la serietà, per la rettitudine e per la santità, come si addice a chi ha ricevuto il potere di consacrare l’Ostia divina e di compiere un così santo e tremendo Sacrificio. Rivolgetevi inoltre, con pressanti ammonizioni e sollecitazioni, a tutti coloro che muovono i primi passi nel divino Sacerdozio affinché, meditando seriamente sul ministero che hanno ricevuto nel Signore, possano adempierlo e, sempre memori della dignità e del celeste potere di cui sono investiti, si ammantino dello splendore di tutte le virtù e del pregio della sacra dottrina; rivolgano con convinzione la mente al culto, alle cose divine e alla salvezza delle anime; mostrando se stessi come ostia viva e santa donata al Signore, e testimoni viventi della Passione di Gesù, offrano a Dio, come si conviene, con mani pure e cuore mondo, la Vittima di espiazione per la propria salvezza e per quella di tutto il mondo.

Niente, infine, Ci torna più gradito, Venerabili Fratelli, dell’approfittare di questa occasione per assicurarVi nuovamente e confermarVi tutto l’affetto con cui abbracciamo Voi tutti nel Signore e, nel contempo, Vi incoraggiamo perché possiate tutti affrontate con ancor maggiore ardore il vostro gravissimo compito pastorale senza tentennamenti e cadute di zelo, e provvedere con la più viva passione alla salvezza e alla sicurezza delle amatissime pecore.
Siate certi che Noi siamo pienamente disposti a compiere, con viva gioia, tutto ciò che si rivelerà utile a procurare il maggior bene a Voi e alle vostre Diocesi. Intanto ricevete, auspice di tutti i favori celesti e testimone della Nostra più viva benevolenza, l’Apostolica Benedizione che con il più profondo affetto impartiamo a Voi, Venerabili Fratelli, a tutti i Chierici e ai Fedeli affidati alla cura di ciascuno di Voi.
Dato a Roma, presso San Pietro, il 3 maggio 1858, anno dodicesimo del Nostro Pontificato.
PIO PP. IX

REGINA COELI LAETARE ALLELUIA!


Maria «Tabernacolo della SS. Trinità»



Maria «Tabernacolo della SS. Trinità» fin dall'eternità Maria ab aeterno si trova non solo nella Mente Suprema ma anche nel cuore della SS. Trinità e ne partecipa la potenza, la sapienza e l'amore.

Il 24 ottobre 1947 la Veggente vede il simbolo di ciò che è Maria in Dio: l'incandescente triangolo della SS. Trinità, nel quale è Maria.

La voce dell'Eterno Padre dice: "Cosi  è Maria in Noi. Comprendano i sapienti in teologia ciò che questa visione vuoi dire, quanto è rinchiuso in essa sul potere c sapere di Maria alla quale tutto l'Amore si dona e tutta la Sapienza si rivela e tutto il Potere si piega a concedere"» (Quaderni 45-50, p. 486).

Pochi giorni dopo che ebbe scritto queste parole, il 9 novembre 1947, alle ore 10, l'Angelo Custode apparve alla Valtorta e le disse:

“L'Altissimo Signore ha voluto farti capire il senso delle parole di Maria SS. alle Tre Fontane ["Io sono Colei che sono nella SS. Trinità la Regina della Rivelazione"]. Essendo Maria SS. così abbracciata (potrei dire: contenuta) nella SS. Trinità, nella quale Ella fu da prima che il tempo fosse, e della quale fu Tabernacolo contenendo nel suo seno il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo col contenere il Frutto benedetto del suo seno
verginale, Gesù, nel quale era unità del Verbo al Padre e lo Spirito Santo, essendo Ella, così, l'amore dell'Uno e Trino Iddio, la Rivelazione è suo Tesoro e Lei ne è Regina amata e soave, dispensiera della Sapienza, datrice della Parola. 

La Sposa e la Madre della Sapienza e della Parola, la verginale Sorgente che un Dio feconda e che dà i fiumi dell'Acqua viva che è Vita eterna a chi di essa beve» (Quaderni 45-SO, p. 494-495).

Abbiamo qui un vero «Preludio» divino alla storia del più grande Capo-lavoro umano.

Gesù, Maria, Amore
venite insieme nel mio cuore

La virtud del silencio



Decía  Padre M. Nadal, padre muy espiritual y  muy docto, que “para reformar una casa y toda una Religiòn [Congragaciòn] no es menester màs  de reformarla en el silencio. Haya silencio en casa, y yo os la doy por reformada”.
La razón de esto es porque cuando hay silencio en casa, cada uno atiende a su negocio a que vino a la Religiòn, que es a tratar de su aprovechamiento espiritual.


Pero cuando no hay silencio, entonces son las quejas, los corrillos, las murmuraciones, las amistades particulares que se fomentan con esas conversaciones y familiaridades; entonces es el perder tiempo y hacerlo perder a los otros; y otros muchos inconvenientes que de esto se siguen.
Y asì vemos,  que cuando no hay  silencio en casa, no parece casa de Religiòn, si no de seglares.
Y al contrario, cuando hay silencio, luego parece casa de Religiòn y un paraiso, luego en entrando por la puerta, huele todo a santidad; aquella soledad y silencio levanta el espiritu y mueve a devociòn a los que entran: (Gen. 28, 16-17): Verdaderamente el Señor mora aquì: esta es casa de Dios.
*
De la misma manera digo de cualquier particular; refòrmese uno en el silencio, y yo le doy por reformado. Por experiencia vemos que cuando hablamos mucho, entonces hallamos en el examen haber caìdo en muchas culpas (Prov. 14, 23) [Donde hay mucho hablar, entonces hay pobreza y miseria y qué llorar]. Y cuando habemos guardado bien el silencio, apenas hallamos de que hacer examen. Dice el Sabio (Prov. 13, 3): El que guarda su boca, guarda su ànima.
Este es la causa porqué todas las Religiones  pusieron entre sus observancias, por una de las principales, esta del silencio. Y por eso dice Dionisio Cartusiano que dijo el Apostol Santiago (Jac. 3, 2): El que no peca con la lengua, ése es varòn perfecto. Si alguno piensa que es religioso y no refrena su lengua, engase, que es vana su religiòn.

Pues considere aquì cada uno atentamente cuàn poco le pedimos para ser perfecto, y cuan facil medio le damos papa ello. Si quereis aprovechar mucho en virtud y alcanzar la perfecciòn, guardad silencio, que con eso dice el Apostol Santiago que la alcanzareis.
Si quereis ser espiritual y hombre de oraciòn, guardad silencio, que de esa manera dicen los Santos que la alcanzareis.


Pero, tengan cuidado: la virtud del silencio no està en no hablar. Asì como la virtud de la templanza no està en no comer, sino en comer cuando es menester y lo que es menester, y en lo demàs abstenerse; asì la virtud del silencio no està en no hablar, sino en saber callar a su tiempo y en saber hablar a su tiempo. Y traen para esto aquello del Eclesiastés (3, 7): Hay tiempo de callar y tiempo de hablar. Y asì es menester mucha discreciòn para acertar a hacer cada cosa de éstas a su tiempo. Poned, Senor, guarda en mi boca. Una puerta con que se cierren mis labios  (cfr. Sir. 22, 23)

IL SILENZIO E' D'ORO
LA PAROLA D'ARGENTO