lunedì 18 marzo 2013

‘Negazione’, ‘Male fatto carne’, ‘Orrore’, ‘Sacrilegio’, ‘Figlio di Satana’, ‘Vendetta’, ‘Distruzione’



<<Vi sono i precursori di colui che ho detto potersi chiamare: ‘Negazione’, ‘Male fatto carne’, ‘Orrore’, ‘Sacrilegio’, ‘Figlio di Satana’, ‘Vendetta’, ‘Distruzione’, e potrei continuare a dargli nomi di chiara e paurosa indicazione. Ma egli non vi è ancora.


Sarà persona molto in alto, in alto come un astro umano che brilli in un cielo umano. Ma un astro di sfera soprannaturale, il quale, cedendo alla lusinga del Nemico, conoscerà la superbia dopo l’umiltà, l’ateismo dopo la fede, la lussuria dopo la castità, la fame dell’oro dopo l’evangelica povertà, la sete degli onori dopo il nascondimento. 



Meno pauroso il vedere piombare una stella dal firmamento che non vedere precipitare nelle spire di Satana questa creatura già eletta, la quale del suo padre di elezione copierà il peccato. 

Lucifero, per superbia, divenne il Maledetto e l’Oscuro. 
L’Anticristo, per superbia di un‘ora, diverrà il maledetto e l’oscuro dopo essere stato un astro del mio esercito. 


A premio della sua abiura, che scrollerà i cieli sotto un brivido di orrore e farà tremare le colonne della mia Chiesa nello sgomento che susciterà il suo precipitare, otterrà l’aiuto completo di Satana, il quale darà ad esso le chiavi del pozzo dell’abisso perché lo apra. Ma lo spalanchi del tutto perché ne escano gli strumenti d’orrore che nei millenni Satana ha fabbricato per portare gli uomini alla totale disperazione, di modo che da loro stessi invochino Satana Re, e corrano al seguito dell’Anticristo, l’unico che potrà spalancare le porte d’abisso per farne uscire il Re dell’abisso, così come il Cristo ha aperto le porte dei Cieli per farne uscire la grazia e il perdono, che fanno degli uomini dei simili a Dio e re di un Regno eterno in cui il Re dei re sono Io. 

Come il Padre ha dato a Me ogni potere, così Satana ha dato ad esso ogni potere, e specie ogni potere di seduzione, per trascinare al suo seguito i deboli e i corrosi dalle febbri delle ambizioni come lo è esso, loro capo.


 Ma nella sua sfrenata ambizione troverà ancora troppo scarsi gli aiuti soprannaturali di Satana e cercherà altri aiuti nei nemici del Cristo, i quali, armati di armi sempre più micidiali, quali la loro libidine verso il Male li poteva indurre a creare per seminare disperazione nelle folle, lo aiuteranno sinchè Dio non dirà il suo ‘Basta’ e li incenerirà col fulgore del suo aspetto. 



Molto, troppo – e non per sete buona e per onesto desiderio di porre riparo al male incalzante, ma sibbene soltanto per curiosità inutile – molto, troppo si è arzigogolato, nei secoli, su quanto Giovanni dice nel Cap. 10 dell’Apocalisse. Ma sappi, Maria, che Io permetto si sappia quanto può essere utile sapere e velo quanto trovo utile che voi non sappiate. 



Troppo deboli siete, poveri figli miei, per conoscere il nome d’onore dei ‘sette tuoni’ apocalittici. Il mio Angelo ha detto a Giovanni: “Sigilla quello che han detto i sette tuoni e non lo scrivere”. Io dico che ciò che è sigillato non è ancora ora che sia aperto e se Giovanni non lo ha scritto Io non lo dirò. Del resto non tocca a voi gustare quell’orrore e perciò… Non vi resta che pregare per coloro che lo dovranno subire, perché la forza non naufraghi in essi e non passino a far parte della turba di coloro che sotto la sferza del flagello non conosceranno penitenza e bestemmieranno Iddio in luogo di chiamarlo in loro aiuto. Molti di questi sono già sulla terra e il loro seme sette volte sette più demoniaco di essi. Io, non il mio angelo, Io stesso giuro che quando sarà finito il tuono della settima tromba e compito l’orrore del settimo flagello, senza che la razza di Adamo riconosca il Cristo Re, Signore, Redentore e Dio, e invocata la sua Misericordia, il suo Nome nel quale è la salvezza, Io, per il mio Nome e per la mia Natura, giuro che fermerò l’attimo dell’eternità. Cesserà il tempo e comincerà il Giudizio. Il Giudizio che divide in eterno il Bene dal Male dopo millenni di convivenza sulla terra. Il Bene tornerà alla sorgente da cui è venuto. Il Male precipiterà dove è già stato precipitato dal momento della ribellione di Lucifero e da dove è uscito per turbare la debolezza di Adamo nella seduzione del senso e dell’orgoglio. Allora il Mistero di Dio si compirà. Allora conoscerete Iddio. Tutti, tutti gli uomini della terra, da Adamo all’ultimo nato, radunati come granelli di rena sulla duna del lido eterno, vedranno Iddio Signore, Creatore, Giudice, Re. >>

"I Quaderni del 1943" 20.8.43.

*


"La battaglia fra Me e lui non avrà fine altro che quando l'uomo sarà giudicato in tutti i suoi esemplari. E la vittoria finale sarà mia ed eterna. Ora la Belva infernale, sempre vinta e sempre più feroce per esser vinta, mi odia di odio infinito e sconvolge la Terra per ferire il mio Cuore. Ma Io sono il Vincitore di Satana. Là dove egli insozza, Io passo col fuoco dell’amore a mondare. E se con inesausta pazienza non avessi continuato la mia opera di Maestro e Redentore, ormai sareste tutti dei demoni". 



"I Quaderni del l943", pag. 615

"Attendite, popule Dei, praecepta Dei: 
*et Reginae coeli nolite oblivisci"

domenica 17 marzo 2013

Racconti di fra Daniele



 Racconti di fra Daniele

Racconti di fra Daniele
1.    fra Daniele e il Purgatorio


Sono un semplice fratello laico cappuccino. Ho svolto la mia vita facendo il lavoro che mi competeva: portinaio, sacrista, questuante, cuciniere. Spesso mi recavo, bisaccia in spalla, a chiedere l'elemosina di porta in porta. Ogni mattino facevo la spesa per il convento.

Mi conoscevano tutti e mi volevano bene. Ogni volta che compravo qualcosa mi facevano degli sconti. Quelle poche lire, anziché consegnarle al superiore, le conservavo per la corrispondenza, per le mie piccole necessità ed anche per aiutare dei militari che bussavano alla porta del convento.

Si era nell'immediato dopo guerra. Io ero a San Giovanni Rotondo, mio paese nativo, nel medesimo convento di Padre Pio. Da un po' di tempo avvertivo dei dolori all'apparato digerente. Mi sottoposi a visita medica ed il medico diagnosticò un male incurabile: tumore.


Con la morte nel cuore andai a raccontare tutto a Padre Pio, il quale, dopo avermi ascoltato, bruscamente mi disse: «Operati!». Rimasi confuso e reagii. Dissi: Padre, non ne vale la pena! Il medico non mi ha dato nessuna speranza. Ormai so di dover morire. «Non importa ciò che ti ha detto il medico: operati, ma a Roma nella tale clinica e dal tale professore». Il Padre mi disse queste cose con tale forza e con tanta sicurezza che io risposi: «Si, Padre, lo farò». Allora lui mi guardò con dolcezza e, commosso, aggiunse: «Non temere, io sarò sempre con te». La mattina dopo ero già in viaggio per Roma. Mentre ero seduto sul treno, avvertii a fianco a me una presenza misteriosa: era Padre Pio che manteneva la promessa di starmi vicino. Quando arrivai a Roma, seppi che la clinica era «Regina Elena»; il professore si chiamava Riccardo Moretti. Verso sera feci il mio ingresso in clinica. Sembrava che tutti mi aspettassero, come se qualcuno avesse annunciato il mio arrivo. Mi accolsero immediatamente. Subito dopo il consulto medico, il direttore sanitario venne a chiedermi il consenso per l'intervento previsto per il giorno dopo. Io apposi la firma richiesta. Alle ore 7.00 del mattino ero già in sala operatoria. Mi prepararono per l'intervento. Nonostante l'anestesia, rimasi sveglio e cosciente: mi raccomandai al Signore con le stesse parole che Lui rivolse al Padre prima di morire: «Padre, nelle tue mani raccomando il mio spirito». I medici cominciarono l'intervento ed io sentivo tutto ciò che dicevano; soffrivo dolori atroci, ma non mi lamentai, anzi ero contento di sopportare tanto dolore che offrivo a Gesù e mi accorgevo come tutte quelle sofferenze rendevano la mia anima sempre più pura dai miei peccati. Ad un certo punto mi addor­mentai. 

Quando ripresi coscienza mi dissero che ero stato tre giorni in coma prima di morire. Mi presentai dinanzi al trono di Dio. Vedevo Dio, ma non come giudice severo, bensì come Padre affet­tuoso e pieno di amore. Allora capii che il Signore aveva fatto tutto per amor mio, che si era preso cura di me dal primo all'ultimo istante della mia vita, amandomi come se io fossi l'unica creatura esistente su questa terra. Mi resi anche conto però che, non solo non avevo ricambiato questo immenso amor divino, ma l'avevo del tutto trascurato.

Fui condannato a due/tre ore di purgatorio. «Ma come?, mi chiesi, solo due/tre ore? E poi potrò rima­nere per sempre vicino a Dio eterno Amore?». Feci un salto di gioia e mi sentii come un figlio prediletto. La visione scomparve ed io mi ritrovai in purgatorio. Le due/tre ore di purgatorio mi erano state date so­prattutto per aver mancato al voto di povertà, per aver conservato per me quelle poche lire, come ho detto prima. Erano dolori terribili che non si sapeva da dove venissero, però si provavano intensamente. I sensi che più avevano offeso Dio in questo mondo: gli occhi, la lingua... provavano maggior dolore ed era una cosa da non credere perché laggiù nel purgatorio, uno si sente come se avesse il corpo e conosce/riconosce gli altri come avviene nel mondo.

 Intanto, non erano passati che pochi momenti di quelle pene e già mi sembrava che fosse un'eternità. Quello che più fa soffrire nel purgatorio non è tanto il fuoco, pur tanto intenso, ma quel sentirsi lontani da Dio, e quel che più addolora è di aver avuto tutti i mezzi a disposizione per la salvezza e di non averne saputo approfittare. Pensai allora di andare da un confratello del mio convento per chiedergli di pregare per me che ero nel purgatorio. Quel confratello rimase meravigliato perché sentiva la mia voce, ma non vedeva la mia persona, e chiese: «Dove sei? perché non ti vedo?». Io insistevo e, vedendo che non avevo altro mezzo per raggiungerlo, cercai di toccarlo; ma le mie braccia si incrociavano senza toccarsi. Solo allora mi resi conto di essere senza corpo. Mi accontentai di insistere perché pregasse molto per me e me ne andai. «Ma come? - dicevo a me stesso - non dovevano essere solo due/tre ore di purgatorio?... e sono tra­scorsi già trecento anni?». Almeno così mi sembrava. Ad un tratto mi apparve la Beata Vergine Maria e la scongiurai, la implorai dicendole: «O santissima vergine Maria, madre di Dio, ottienimi dal Signore la grazia di tornare sulla terra per vivere ed agire solo per amore di Dio!». Mi accorsi anche della presenza di Padre Pio e supplicai anche lui: «Per i tuoi atroci dolori, per le tue benedette piaghe, Padre Pio mio, prega tu per me Id­dio che mi liberi da queste fiamme e mi conceda di continuare il purgatorio sulla terra». Poi non vidi più nulla, ma mi resi conto che il Padre parlava alla Ma­donna. Dopo pochi istanti mi apparve di nuovo la Beata Vergine Maria: era la Madonna delle Grazie, ma senza Gesù Bambino. Ella chinò il capo e mi sorrise. In quel preciso momento ripresi possesso del mio cor­po, aprii gli occhi e stesi le braccia. Poi, con un movi­mento brusco, mi liberai del lenzuolo che mi copriva. Ero stato accontentato, avevo ricevuto la grazia! La Madonna mi aveva esaudito. Subito dopo, quelli che mi vegliavano e pregavano, spaventatissimi, si precipitarono fuori dalla sala per andare in cerca di infermieri e di dottori. In pochi minuti la clinica era in subbuglio. Credevano tutti che io fossi un fanta­sma e decisero di chiudere bene la porta e sparire per un certo timore degli spiriti.

Al mattino seguente, mi alzai molto presto e mi sedetti su di una poltrona. Malgrado la porta fosse accuratamente custodita, alcuni riuscirono ad entra­re e mi chiesero spiegazione dell'accaduto. Per tran­quillizzarli, dissi che stava arrivando il medico di guardia, il quale avrebbe raccontato l'accaduto. Di solito i medici non arrivavano prima delle ore dieci. Quella mattina erano ancora le ore sette e io dissi ai presenti: «Guardate: il medico sta arrivando, ora sta parcheggiando la macchina nel tal posto». Ma nessuno volle credermi. Ed io: «Ora sta attraversando la strada, porta la giacca sul braccio e si passa la mano sulla testa come fosse preoccupato, non so cosa avrà!...». Ma nessuno dava credito alle mie parole. Allora dissi: affinchè crediate che io non vi mento, vi confermo che ora il medico sta salendo in ascensore e sta per bussare alla porta. Avevo appena finito di parlare, che la porta si aprì ed il medico entrò con grande meraviglia di tutti i presenti. Con le lacrime agli occhi il dottore disse: «Sì, adesso credo: credo in Dio, credo nella Chiesa, credo in Padre Pio...».
Quel dottore, che prima non credeva o la cui fede era ad acqua di rose, confessò che quella notte non era riuscito a chiudere occhio pensando alla mia morte da lui accertata senza darsi spiegazione. Disse che malgrado il certificato di morte da lui stilato era tornato per rendersi conto di cosa era successo quel­la notte che tanti incubi gli aveva procurato, perché quel morto (che ero io) non era un morto come gli altri. In effetti, non si era sbagliato!

CONCLUSIONE

Dopo questa esperienza, fra Daniele visse vera­mente il purgatorio su questa terra purificandosi
attraverso malattie, sofferenze e dolori, e uniforman­dosi sempre e in tutto alla volontà di Dio. Ricordiamo solo alcuni interventi da lui subiti: prostata, colicisti, aneurisma della vena porta addominale con relativa protesi, tumore alla vescica, intervento dopo un ter­ribile incidente stradale nei pressi di Bologna, trala­sciando altri ricoveri e dolori non solo fisici, ma anche morali.

Alla sorella Felicetta che gli chiedeva come si sentisse in salute fra Daniele confidò: «Sorella mia, sono più di 40 anni che non ricordo cosa significhi star bene!».

Fra Daniele è morto il 6 luglio 1994.
Mentre la sua salma era composta nella cappella dell'Infermeria del convento dei Frati Cappuccini in San Giovanni Rotondo e si recitava il Santo Rosario in suf­fragio della sua anima benedetta, ad alcuni dei pre­senti parve che fra Daniele muovesse le labbra, come per rispondere al Rosario, alle Ave Maria. La voce si sparse in un baleno, tanto che il supe­riore padre Livio Di Matteo, per una certa serenità interiore, volle accertarsi che non si trattasse di morte apparente. Per questo fece venire dalla vicina Casa Sollievo della Sofferenza il dottor Nicola Silvestri Aiuto di Medicina legale ed il dottor Giuseppe Fasanella Assistente di Medicina legale i quali praticaro­no a fra Daniele l'elettrocardiogramma e gli misura­rono anche la temperatura, accertandone così definitivamente il decesso.
Ora fra Daniele gode certamente la visione beatifica di Dio e dal cielo sorride, benedice e protegge.


Nota: Tratto da: "fra Daniele Natale - racconta...le sue esperienze con Padre Pio" di padre Remigio Fiore

AVE MARIA MATER GRATIAE

Cappella Sistina










Pozzo di S. Patrizio



San Patrizio Vescovo
17 marzo - Memoria Facoltativa
Britannia (Inghilterra), 385 ca – Down (Ulster), 461
«Arrivato in Irlanda, ogni giorno portavo al pascolo il bestiame, e pregavo spesso nella giornata; fu allora che l’amore e il timore di Dio invasero sempre più il mio cuore, la mia fede crebbe e il mio spirito era portato a far circa cento preghiere al giorno e quasi altrettanto durante la notte, perché allora il mio spirito era pieno di ardore». Patrizio nasce verso il 385 in Britannia da una famiglia cristiana. Verso i 16 anni viene rapito e condotto schiavo in Irlanda, dove rimane prigioniero per 6 anni durante i quali approfondisce la sua vita di fede secondo il brano della Confessione che abbiamo letto all’inizio. Fuggito dalla schiavitù, ritorna in patria. Trascorre qualche tempo con i genitori, poi si prepara per diventare diacono e prete. In questi anni raggiunge probabilmente il continente e fa delle esperienze monastiche in Francia. Ha ormai 40 anni e sente forse la nostalgia di ritornare nell’isola verde. Qui c’è bisogno di evangelizzatori e qualcuno fa il suo nome come vescovo missionario. Egli si prepara, ma la famiglia è restia a lasciarlo partire, mentre degli oppositori gli rimproverano una scarsa preparazione. Nel 432, tuttavia, egli è di nuovo sull’isola. Accompagnato da una scorta, predica, battezza, conferma, celebra l’Eucarestia, ordina presbiteri, consacra monaci e vergini. Il successo missionario è grande, ma non mancano gli assalti di nemici e predoni, e neppure le malignità dei cristiani. Patrizio scrive allora la Confessione per respingere le accuse e celebrare l’amore di Dio che l’ha protetto e guidato nei suoi viaggi così pericolosi. Muore verso il 461. È il patrono dell’Irlanda e degli irlandesi nel mondo.
Patronato: Irlanda
Etimologia: Patrizio = di nobile discendenza, dal latino
Emblema: Bastone pastorale, Trifoglio
Martirologio Romano: San Patrizio, vescovo: da giovane fu portato prigioniero dalla Britannia in Irlanda; recuperata poi la libertà, volle entrare tra i chierici; fatto ritorno nella stessa isola ed eletto vescovo, annunciò con impegno il Vangelo al popolo e diresse con rigore la sua Chiesa, finché presso la città di Down in Irlanda si addormentò nel Signore.
Ascolta da RadioVaticana:
  
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Un celebre Pozzo di S. Patrizio lo abbiamo proprio in casa nostra, a Orvieto, in provincia di Terni.
In realtà non è direttamente collegato al Santo ma a lui dedicato.
Il nome al pozzo infatti fu dato facendo riferimento alle imprese di San Patrizio in terra d’Irlanda e nella speranza che il santo proteggesse gli orvietani in occasione delle impressionanti discese sul fondo del pozzo.

La storia

A destra della funicolare, in fondo al viale Sangallo, si erge una bassa e poco appariscente costruzione circolare, con due porte diametralmente opposte, che costituisce l’ingresso al pozzo di San Patrizio, così chiamato per il riferimento al famoso e profondissimo pozzo irlandese intitolato al santo.
Dopo la vittoria militare e diplomatica del cardinale Egidio Albornoz, i suoi capitani e i suoi vicari non si sentivano tranquilli senza strutture fortificate e, come in tutte le città sottomesse dello Stato Pontificio, anche a Orvieto fu decisa la costruzione di una rocca addossata alla Porta Postierla o Soliana, detta poi Porta Rocca, sul limite estremo orientale della rupe. La prima fortificazione, iniziata nel 1364, fu quasi sicuramente concepita da Ugolino di Montemarte architetto militare dell’ Albornoz, la cui famiglia contile aveva possedimenti e castelli nel territorio orvietano – coadiuvato da Giordano Orsini: di forma quadrilatera, con un palazzotto contiguo alla porta e altre strutture di servizio lungo le mura, la rocca era protetta da un fossato con due ponti levatoi.
Distrutta pochi anni dopo essere stata edificata (1390), una rocca nova fu ricostruita da Antonio da Carpi sul vecchio perimetro, con l’aggiunta di un rivellino circolare (1450-1452) e completata con la supervisione di Bernardo Rossellino.
Oltre ai periodici riadattamenti di cui la fortezza necessitava a seconda delle circostanze, un evento eccezionale come il sacco di Roma del 1527 e la fuga di Clemente VII a Orvieto determinarono anche un intervento straordinario: la costruzione del pozzo.
Già nella rocca trecentesca non si era sottovalutato il problema vitale dell’approvvigionamento idrico, risolvendolo con una cisterna e un prolungamento dell’ acquedotto pubblico, due sistemi che, deteriorati nel tempo, non davano più garanzie di autonomia.
Perciò Clemente VII, insieme a un pozzo e due cisterne in città, ordinò la costruzione di un altro pozzo ad uso esclusivo della rocca, e della progettazione fu incaricato Antonio da Sangallo il Giovane, l’architetto che si stava occupando delle fortificazioni della rupe e che già aveva fatto indagini metriche e sopralluoghi per localizzare le falde acquifere attraverso le fonti d’acqua sorgiva che sgorgavano ai piedi del masso tufaceo.
Individuato il sito adatto vicino alla rocca, per rispondere alla pratica esigenza di trasportare l’acqua dal fondo del pozzo in superficie, facendo discendere e risalire bestie da soma senza che si incontrassero, il Sangallo – memore della chiocciola del Belvedere in Vaticano – ideò una doppia gradonata elicoidale sviluppata intorno ad un cilindro profondo 53,15 metri; il doppio percorso a spirale, scavato nel tufo fin quasi a metà e poi costruito in mattoni, era aerato e illuminato dall’ alto attraverso settanta finestroni.
Le due scalinate sono composte di 248 gradini ciascuna. È interessante, a distanza di secoli, notare che la doppia rampa disegnata da Sangallo per motivi di carattere pratico (la forma più semplice ed efficace allo scopo) è identica, geometricamente parlando, alla doppia elica del DNA scoperto nel 1951.
Curioso anche il gioco della prospettiva visiva, nel senso che chi scende si trova ad affacciarsi proprio di fronte a chi sale, mentre gli appare distante chi, procedendo nella stessa direzione, si trova appena qualche passo sopra o sotto.
Sul fondo il livello dell’acqua, alimentata da una sorgente naturale, si mantiene costante per via di un emissario che fa defluire la quantità eventualmente in eccesso e il ponte che unisce le due scale è sempre praticabile, consentendo l’uscita attraverso la porta di uguale fattura, ma in direzione opposta a quella d’ingresso.
Il pontefice incaricò Benvenuto Cellini di coniare una medaglia, oggi conservata ai musei vaticani, con la scritta “UT POPULUS BIBAT” (“perché il popolo beva”), dove è rappresentato Mosè che colpisce con la verga una roccia da cui sgorga l’acqua davanti al popolo ebreo in fuga, mentre uno di essi ne attinge con una conchiglia.
Sull’entrata la scritta “QUOD NATURA MUNIMENTO INVIDERAT INDUSTRIA ADIECIT” (“ciò che non aveva dato la natura, procurò l’industria”) celebra la potenza dell’ingegno umano capace di sopperire le carenze della natura.
Clemente VII non vide mai realizzata l’opera, che fu portata a termine da Simone Mosca nel 1543, quando sul soglio pontificio sedeva Paolo III.
I lavori del pozzo assunsero anche il significato di un involontario scavo archeologico, perché “in fundo putei” furono trovati corredi funerari di tombe etrusche e quel precoce ritrovamento non desta oggi alcuna sorpresa essendo ben visibile, a pochi metri dal pozzo, il Tempio del Belvedere, forse dedicato a Tinia e datato alla fine del V secolo a.C. anche in base alle belle terrecotte architettoniche che lo ornavano.
Quasi un prototipo del tempio etrusco-italico descritto da Vitruvio nel De Architectura, il Tempio del Belvedere fu scoperto per caso mentre si apriva la Cassia Nuova nel 1828 e definitivamente portato in luce nel 1923.
Il pozzo della rocca fu riconosciuto subito come una delle ‘tre meraviglie di Orvieto’ e divenne presto un’attrattiva per i viaggiatori, ma soltanto nell’Ottocento assunse la denominazione proverbiale di Pozzo di S. Patrizio, dopo un temporaneo uso come purgatorio di S. Patrizio favorito dai frati del vicino convento dei servi di Maria (che ben conoscevano la leggenda del patrono d’Irlanda già nota a uno dei loro padri fondatori, Filippo Benizi) quando la rocca aveva perduto la sua funzione militare e non vi erano più acquartierate truppe pontificie.
Anche i serviti si trasferirono in un altro convento, ed al pozzo rimase solo l’appellativo di S. Patrizio senza più riferimento al purgatorio.
AMDG et BVM

Una lobby ...



«Una lobby gay condiziona la Chiesa»


di Roberto Marchesini20-12-2012
Piazza San Pietro

La Chiesa è infiltrata pesantemente da una potente lobby gay, che decide nomine e promozioni attraverso un meccanismo di ricatti e omertà. È questa la tesi sostenuta da don Dariusz Oko in un articolo pubblicato originariamente sulla rivista polacca “Fronda” (n. 63, pp. 128-160) e successivamente sulla rivista teologica tedesca “Theologisches”, suscitando molto rumore in tutt'Europa.
Roberto Marchesini ha intervistato don Oko in esclusiva per La Nuova Bussola Quotidiana.

Don Oko, quando e come, storicamente, si è affermata la lobby omosessualista all'interno della Chiesa?


Esistono diversi tipi di lobby, e da secoli esistono in tanti ambienti. Questo non è un aspetto specifico della Cheisa cattolica. Dopo il Concilio vaticano II, ai tempi della rivoluzione sessuale del 1968, la teologia cattolica morale ha cominciato ad accettare le idee che prima erano considerate estranee al Magistero della Chiesa e alla morale tradizionale. Uno degli esempi può essere l'insegnamento del prete cattolico americano Charles Curran, che difende l'uguaglianza degli orientamenti omosessuale ed eterosessuale. In questo modo l'omosessualità smise di essere considerata contro la legge naturale e contro la Rivelazione. Questo modo di considerare la sessualità umana è si è infiltrato in tanti seminari e monasteri nel mondo. In conseguenza, in molti seminari diocesani e abbazie di tutti i continenti hanno cominciato a sostenere l'idea che esistono due orientamenti sessuali equivalenti: eterosessuale ed omosessuale. Così si chiede ai chierici esclusivamente la castità, considerata come l'astinenza da atti impuri, e la capacità di vivere il celibato, senza entrare nel merito del loro orientamento o tendenze sessuali. In questo modo l'omosessualità come tendenza e tipo di personalità ha finito di essere un ostacolo all'ordinazione sacerdotale. Negli anni Settanta e Ottanta del Ventesimo secolo i sacerdoti con tendenze omosessuali hanno cominciato a creare molti problemi in tante diocesi ed abbazie nel mondo. Lo scandalo degli abusi sessuali su minorenni, esploso negli anni '80 negli USA, è in gran parte dovuto a preti gay e nel 2002 questa situazione ha portato a un vero e proprio terremoto. Nel 1989, don Andrew Greeley, scrittore e sociologo cattolico, ha scritto sul settimanale americano National Catholic Reporter di Kansas City a proposito della “mafia lavanda” [locuzione che indica la lobby gay all'interno della Chiesa cattolica] in un articolo che ha indignato alcuni e ha trovato d'accordo altri. Secondo Greeley il sacerdozio stava diventando sempre più gay, e non era più rappresentativo della Chiesa universale.


A questo proposito, lei parla di omoeresia. Quali sono le caratteristiche?

L'omoeresia è un rifiuto del Magistero della Chiesa cattolica sull'omosessualità. I sostenitori dell'omoeresia non accettano che la tendenza omosessuale sia un disturbo della personalità. Mettono in dubbio che gli atti omosessuali siano contro la legge naturale. I difensori dell'omoeresia sono a favore del sacerdozio per i gay. L'omoeresia è una versione ecclesiastica dell'omosessualismo.


Quali reazioni ha suscitato, in ambienti ecclesiastici, il suo articolo? Come è stato accolto?

Le reazioni sono state soprattutto positive e hanno fatto gioire i miei amici che hanno partecipato alla nascita del mio lavoro. Queste voci hanno dato soddisfazione anche a tutti i credenti fedeli alla Santa Sede. Ci sono state così tante citazioni su diversi media che non è possibile ricordarle tutte. È sempre più difficile trovare un sacerdote in Polonia che non conosca il mio articolo. Tanti laici e sacerdoti mi hano ringraziato, mi hanno fatto i complimenti per le mie conoscenze e il mio coraggio, mi hanno dato informazioni nuove e più dettagliate a sostegno delle tesi del mio testo. Tante persone hanno sottolineato quanto sia importante toccare questo tema perché la degenerazione moale dei sacerdoti distrugge qualcosa di particolarmente importante per la Chiesa, la colpisce al cuore. Ho ricevuto queste risposte soprattutto dagli educatori dei seminaristi.
Vescovi, abati e rettori di seminari mi hanno detto che questo articolo è un strumento molto utile per il loro lavoro, perché da una parte ricorda e raccoglie i punti chiave del Magistero sul divieto di ordinazione per le persone di tutte le tendenze omosessuali; dall'altra aiuta la riflessione e a risolvere i dubbi sull'argomento, anche se qualcuno potrebbe averne ancora.
Accolgo con particolare piacere l'opinione molto positiva di questo articolo da parte di un certo numero di suore, insegnanti, amici da una varietà di istituzioni laiche e religiose; in particolare i due sacerdoti che vengono considerati correttamente come quelli con la più alta autorità spirituale e morale della Chiesa polacca: don Edward Staniek e don Mark Dziewieckiego. Entrambi sono persone coscienziose libere dalla dipendenza dal giudizio altrui; persone di grande amore per la Chiesa, con una conoscenza particolarmente vasta ed approfondita su di Essa.

Nel suo articolo lei valorizza i laici nella lotta per la purificazione della Chiesa. Quale può essere il loro ruolo?


Vorrei focalizzare l'attenzione su due cose concrete. La prima riguarda il modo in cui i laici devono reagire nei casi di rapporti sessuali su un minorenne negli ambienti ecclesiastici, da parte di sacerdoti, animatori di gruppi di preghiera, insegnanti, scout, ecc. In questi casi, purtroppo, esiste una vera e propria congiura del silenzio. C'è la necessità di maggior coraggio ed impegno da parte dei laici.
La seconda riguarda i seminari. Purtroppo i laici hanno poca o nessuna conoscenza di come i futuri sacerdoti sono formati. Eppure nei seminari si decide in modo determinante il futuro della Chiesa. C'è bisogno di un maggior coninvolgimento dei laici al fine di non permettere l'ordinazione degli omosessuali. Tutti, clero e laici, dobbiamo sostenere gli sforzi di Papa Benedetto XVI il quale, invece della divisione tra l'omosessualità attiva e quella passiva, nei documenti ufficiali introduce una distinzione tra tendenze omosessuali transitorie, che accadono nel periodo dell'adolescenza, e quelle profondamente radicate. Tutte e due le forme di omosessualità, e non più soltanto l'omosessualità attiva, costituiscono un impedimento all'ordinazione sacerdotale. L'omosessualità non è conciliabile con la vocazione sacerdotale. Di conseguenza, non è solo rigorosamente vietata l'ordinazione di uomini con qualsiasi tipo di tendenza omosessuale (anche se transitoria), ma anche la loro ammissione in seminario.

Lei ipotizza soluzioni per aiutare la Chiesa ad uscire da questa crisi. Ma cosa si può fare per aiutare i sacerdoti con tendenze omosessuali? E per i sacerdoti gay?


Gli uomini con tendenze omosessuali già ordinati diaconi, preti e vescovi conservano la validità delle ordinazioni, ma sono obbligati ad osservare tutti i comandamenti di Dio nonché di tutte le disposizioni della Chiesa. Così come gli altri preti, devono vivere in castità e cessare ogni azione contro il bene della persona umana e della Chiesa, qualsiasi attività di carattere mafioso e soprattutto atteggiamenti di rivolta contro il Santo Padre e la Santa Sede. I sacerdoti afflitti da disturbi del genere sono fortemente indirizzati ad intraprendere al più presto una terapia adeguata.
 

CHI E' DON DARIUSZ OKO
Don Dariusz Oko, nato nel 1960 ad Os wi ecim, è stato ordinato sacerdote nel 1985; è prete dell'arcidiocesi di Cracovia, dottore di ricerca in filosofia ed in teologia, professore al Dipartimento di Filosofia dell'Università Pontificia Giovanni Paolo II di Cracovia. I principali settori delle sue ricerche scientifiche sono: metafisica, filosofia di Dio, teologia contemporanea, zone di confine tra filosofia e teologia, critica dell'ideologia atea. Per sei anni ha studiato in diverse università in Germania, Italia e negli Stati Uniti. Dopo l'ordinazione sacerdotale, insieme al lavoro scientifico, ha sempre svolto quello di ministro cattolico come sacerdote residente in diverse parrocchie europee ed americane.
Per sedici anni è stato direttore spirituale degli studenti e dall'anno 1998 è direttore spirituale dei medici nella sua diocesi. Nel corso di studi, congressi scientifici e pellegrinaggi con i medici ha visitato circa quaranta Paesi di tutti i continenti. In Polonia è conosciuto come editorialista e i suoi articoli sono stati spesso accolti con riconoscimento ed hanno dato origine a discussioni e dibattiti a livello nazionale.


- INTERVENIRE CON DECISIONE, di Riccardo Cascioli