martedì 18 dicembre 2012

Los tres puntos de la santa Missa


Ven Espíritu Santo, ven por medio de la poderosa intercesión del Corazón Inmaculado de María, tu amadísima Esposa

Ven Espíritu Santo, ven por medio de la poderosa intercesión del Corazón Inmaculado de María, tu amadísima Esposa


  Assisi 31, X, 1965: Festa di Cristo Re: Ordinaz. Diaconale di pMMaria.
Vescovo Ordinante: Servo di Dio Mons. Francesco Mazzieri


Deo gratias et B.V.Mariae
Sperimentando la grazia del 47° dell'<INTROIBO AD ALTARE DEI>


LA SANGRE DESCIENDE Y ASCIENDE A RITMO INCESANTE.
LOS TRES PUNTOS MÁS IMPORTANTES DE MI VIDA DE JESUCRISTO

La Sangre desciende y asciende a ritmo incesante, no habiendo momento alguno del día en que mi Sangre no suba hasta Dios y en que no descienda sobre la tierra desde el trono de Dios.

Nunca, María, has reflexionado sobre esto; 
pero la Misa repite los tres puntos más importantes de mi vida de Jesucristo, Verbo de Dios encarnado. 

Porque cuando en la Consagración las especies se convierten en Carne y Sangre, he aquí que Yo me encarno como en otro tiempo, no en el seno de la Virgen sino en las manos de un virgen. Por esto se requiere en mis sacerdotes virginidad angélica. ¡Ay de los profanadores que, con su cuerpo mancillado por unión carnal, tocan el Cuerpo de Dios! Porque si vuestro cuerpo es templo del Espíritu Santo y por ello debe conservarse santo y casto, el cuerpo del sacerdote, a cuyo imperio Yo bajo de los Cielos para hacerme Carne y Sangre y, como en la cuna, me pongo en sus manos, debe ser más incontaminado que el lirio. Y, lo mismo que el cuerpo, la mente, el corazón y la lengua.

"Ave, verum corpus natum de Maria Virgine!".


En la Elevación se repite la Crucifixión"Cuando sea elevado, todo lo atraeré a Mí" (Jn 12, 32). Y cuando soy elevado desde un altar, he aquí que tomo conmigo todos los latidos de los presentes, todos sus dolores, todas sus plegarias y con ellos me presento al Padre diciéndole: "Heme aquí. El Consumado de amor te pide, Padre, que les des todo a estos míos ya que todo te lo di Yo por ellos".



Y al consumarse el Sacrificio con la consumación de las Especies, he aquí que Yo torno a mi Padre diciéndoos: "Yo os bendigo". Como en la mañana de la Ascensión, "Yo estoy con vosotros hasta el fin del mundo" (Mt 28, 16-20).


Por amor me encarno, 
por amor me consumo 
 y por amor asciendo 

para interceder por vosotros. Es siempre el Amor el que dirige mis obras.
Medita la Misa a través de estas luces que Yo enciendo en ti y piensa que no hay un solo instante del día en el que no sea consumada una Hostia por amor vuestro ni consagrada una Sangre con la que acrecer las piscinas celestes en las que se purifican los espíritus de los hombres, se curan las enfermedades, se riegan las arideces, se fecundan las esterilidades y se convierte a Dios cuanto era pertenencia del error.
Contempla mi Sangre que tras haber sido derramada entre atroces dolores, asciende al Padre gritando por vosotros: "Padre, en tus manos encomiendo estos espíritu míos. Padre, no los abandones, Yo, el Cordero eternamente inmolado, lo quiero por ellos"

Y repítete a ti misma para anular hasta el recuerdo de la duda pasada: "Y por esto se alegra mi corazón, mi lengua se llena de júbilo y hasta mi cuerpo reposa esperanzado porque Tú no has dejado a mi alma sumida en el infierno del dolor sino que, por el amor de tu Sangre, me has hecho conocer una vez más, no ha mucho, los caminos de la vida y me colmarás de gozo con tu presencia".
Son, poco más o menos, las palabras que pronunció Pedro después de Pentecostés (Hech 2, 25-28). Dilas con anticipación de algunos días. ¡Has bebido tanta hiel, pobre María...! consuela tu corazón con la miel de las palabras eternas.
Te bendigo como lo hice a los once antes de ascender".

Y yo también les ben+digo a todos de corazòn.



OSTENDE NOBIS, 
DOMINE, 
MISERICORDIAM TUAM!

**Due immense ali ... e il Padre mio serafico ... con l'indescrivibile, inconcepibile splèndere dell’Umanità Ss. del Redentore . Da "I Vangeli della Fede"



16 settembre.

In alto il più puro cielo di settembre, ridente in un’aurora soavissima. In
basso un breve pianoro fra scoscendere di coste montane molto alte, molto selvose, molto rocciose. Un breve pianoro dall’erbetta corta e smeraldina, ancor tutta lucida per il pianto della rugiada, ma già prossima a scintillare di gemmeo riso per il bacio del sole.

In alto, sul puro cielo così azzurro e soave, fisso un fiammeggiante personaggio che non pare fatto che di incandescente fuoco. Un fuoco il cui folgoreggiare è più vivo di quello del sole che sbuca da dietro una giogaia selvosa con un fasto di raggi e di splendori per cui tutto si accende di letizia. Questo essere di fuoco è vestito di penne. Mi spiego. Pare un angelo perché due immense ali lo tengono sospeso a fisso sul cobalto immateriale del cielo settembrino, due immense ali aperte che stagliano una traversa di croce a cui fa sostegno il corpo splendente. Due immense ali che sono candore di incandescenza aperte sul rutilare dell’incandescenza del corpo vestito di altre ali che tutto lo fasciano, raccolte come sono con le loro soprannaturali penne di perla,
diamante e argento puro, intorno alla persona. Pare che anche il capo sia
fasciato in questa singolare veste piumosa. Perché io non lo vedo. Vedo solo, là dove dovrebbe essere quel volto serafico, un trapelare di così vivo splendore che ne resto come abbacinata. Devo pensare ai fulgori più vivi che ho visto nelle paradisiache visioni per trovare un qualcosa di simile. Ma questo è ancor più vivo. La croce di piume accese sta fissa sul cielo col suo mistero.

In basso, un macilento fraticello, che riconosco per il Padre mio serafico [San Francesco d’Assisi, verso il quale la scrittrice si era sentita
trasportata fin da ragazza, entrando poi nel suo Terz’Ordine]prega a ginocchi sull’erba, poco lungi da una grotta nuda, scabra, paurosa come
balza d’inferno. Il corpo distrutto pare non abiti nella tonaca grave e tanto
larga rispetto alle membra. Il collo esce, di un pallido bruno, dalla cocolla 
bigiognola, un colore fra quello della cenere e quello di certe sabbie
lievemente giallognole. Le mani escono coi loro polsi sottili dalle ampie
maniche e si tendono in preghiera, a palme volte all’esterno e alzate come nel “Dominus vobiscum”. Due mani brunette un tempo, ora giallognole, di persona sofferente, e macilente. Il viso è un sottile volto che pare scolpito
nell’avorio vecchio, non bello né regolare, ma che ha una sua particolare
bellezza fatta di spiritualità.

Gli occhi castani sono bellissimi. Ma non guardano in alto. Guardano, ben aperti e fissi, le cose della terra. Ma non credo che vedano. Stanno aperti, posati sull’erba rugiadosa; pare studino il ricamo bigiognolo di un cardo selvatico e quello piumoso di un finocchio selvatico, che la rugiada ha tramutato in una verde “aigrette” diamantata. Ma sono certa che non vede niente. Neppure il pettirosso che scende con un cinguettio a cercare sull’erba qualche piccolo seme. Prega.

Gli occhi sono aperti. Ma il suo sguardo non va al di fuori, ma al di dentro di sé.
Come e perché e quando si accorga della croce viva che è fissa nel cielo, non so. L’abbia sentita per attrazione o l’abbia vista per chiamata interna, non so. So che alza il volto e cerca con l’occhio che ora si anima di interesse, cosa che conferma la mia persuasione della sua precedente assenza di vista per l’esterno.
Lo sguardo del mio Padre serafico incontra la grande, viva, fiammeggiante croce.
Un attimo di stupore. Poi un grido: “Signore mio!”, e Francesco ricade un poco sui calcagni rimanendo estatico, col volto levato, sorridente, piangente le due prime lacrime della beatitudine, con le braccia più aperte...
Ed ecco che il Serafino muove la sua splendente, misteriosa figura. Scende. Si avvicina. Non viene sulla terra. No. È ancora molto in alto. Ma non più come era prima. A mezza via fra cielo e terra. E la terra si fa ancor più luminosa per questo vivo sole che in questa beata aurora si unisce e soverchia l’altro d’ogni giorno. Nello scendere, ad ali tese sempre a croce, fendendo l’aria non per moto di penne ma per proprio peso, dà un suono di paradiso. Qualcosa che nessuno strumento umano può dare. Penso e ricordo il suono del globo di Fuoco della Pentecoste...

Ed ora ecco che, mentre Francesco più ride, e piange, e splende, nella gioia estatica, il Serafino apre le due ali - ora capisco bene che sono ali - che stanno verso il mezzo della croce. E appaiono inchiodate sul legno le santissime piante del mio Signore, e le sue lunghe gambe, di uno splendore, in questa visione, così vivo come lo hanno le sue membra glorificate in Paradiso (Nella visione del 10 gennaio, pg. 29).  E poi
si aprono due altre ali, proprio al sommo della croce. E la vista mia, e credo  anche quella di Francesco, per quanto egli sia sovvenuto da grazia divina, ne hanno sofferenza di gioia per il vivo abbaglio.

Ecco il tronco del Salvatore che palpita nel respiro... ed ecco, oh! ecco il
Fuoco che solo una grazia permette fissare, ecco il Fuoco del suo viso che appare quando il sudario delle scintillanti penne è tutto aperto. Fuoco di tutti i vulcani e astri e fiamme, circondato da sei sublimi ali di perle, argento e diamante, sarebbe ancor poca luce rispetto a questo indescrivibile, inconcepibile splendere dell’Umanità Ss. del Redentore confitto sul suo patibolo.

Il volto, poi, e i cinque fori delle piaghe, non trovano riscontro in nessun
paragone per esser descritti. Penso... penso alle cose più splendenti... penso persino alla luce misteriosa che emana il radio. Ma, se quanto ho letto è vero, questa luce è viva ma di un argento-blu di stella, mentre questa è condensazione di sole moltiplicata per un numero incalcolabile di volte.


La vetta della Verna deve apparire come se mille vulcani si fossero aperti
intorno ad essa a farle corona. L’aria, per la luce e il calore, che arde e non brucia, che emana dal mio Signore crocifisso, trema con onde percepibili all’occhio, e steli e fronde sembrano irreali tanto la luce penetra anche l’opacità dei corpi e li fa luce...

Io non mi vedo. Ma penso che al riflesso di quella luce la mia povera persona deve apparire come fosforescente. Francesco, poi, su cui la luce si riversa e lo investe e penetra, non pare più corpo umano. Ma un minore serafino, fratello di quello che ha dato le sue ali a servizio del Redentore.
Ora è quasi riverso, Francesco, tanto è piegato indietro, a braccia
completamente aperte, sotto il suo Sole Iddio Crocifisso! È immateriale
all’aspetto tanto la luce e la gioia lo penetrano. Non parla, non respira,
materialmente. Parrebbe 7 un morto glorificato se non fosse in quella posa che richiede almeno un minimo di vita per sussistere. Le lacrime che scendono, e forse servono a temperare l’umana arsura di questa mistica fiamma, splendono come rivi di diamante sulle guance magre.

Io non odo nessuna parola né di Francesco né di Gesù. Un silenzio assoluto, profondo, attonito. Una pausa nel mondo che è intorno al mistero. Per non turbare. Per non profanare questo sacro silenzio dove un Dio si comunica al suo benedetto. Contrariamente a quanto sarebbe da supporsi, gli uccelli non si esaltano a più acuti trilli e lieti voli per questa festa di luce, non danzano farfalle o libellule, non guizzano lucertole e ramarri. Tutto è fermo in un’attesa in cui sento l’adorazione degli esseri verso Colui per cui furono fatti. Non c’è più neppure quella brezza lieve che faceva rumor di sospiro fra le fronde. Più neppure quel suono arpeggiato e lento di un’acqua nascosta in qualche cavo di pietra, e che prima gettava, come perle rare, dentro per dentro [=ogni tanto], le sue note su scala tonata. Niente. Vi è l’Amore. E basta. Gesù guarda e
ride al suo Francesco. Francesco guarda e ride al suo Gesù... Basta.

Ma ora ecco che il Volto glorificato, tanto luminoso da parere quasi a linee di luce come è quello del Padre Eterno, si materializza un poco. Gli occhi prendono quel fulgore di zaffiro acceso di quando opera miracolo. Le linee divengono severe, imponenti, come sempre in quelle ore, imperiose, direi. Un comando del Verbo deve andare alla sua Carne; e la Carne obbedisce. E dalle cinque piaghe saetta cinque strali, cinque piccoli fulmini, dovrei dire, che scendono senza zigzagare nell’aria ma a perpendicolo, velocissimi, cinque aghi di luce insostenibile e che trapassano Francesco...

Non vedo, è naturale, le piante [=i piedi del Santo], coperte dalla veste e dalle membra, e il costato coperto dalla tonaca. Ma le mani le vedo. E vedo che, dopo che le punte infuocate sono entrate e trapassate - io sono come dietro Francesco - la luce, che è dall’altra parte, verso il palmo, passa dal foro sul dorso. Paiono due occhielli aperti nel metacarpo e dai quali scendono due fili di sangue che scorrono lenti giù per i polsi, sugli avambracci, sotto le maniche.

Francesco non ha che un sospiro così profondo che mi ricorda quello estremo dei morenti. Ma non cade. Resta come era ancor per qualche tempo. Sinché il Serafino, di cui mai ho visto il volto - ho visto di lui solo le sei ali - ridistende queste sublimi ali come velo sul Corpo santissimo e lo nasconde, e con le due ali iniziali risale, sempre più oltre, nel cielo, e la luce diminuisce, rimanendo infine solo quella di un sereno mattino solare. E il serafino scompare oltre il cobalto del cielo che lo inghiotte e si chiude sul mistero che è sceso a far beato un figlio di Dio e che ora è risalito al suo regno.

Allora Francesco sente il dolore delle ferite e con un gemito, senza alzarsi in piedi, passa dalla posizione di prima a sedersi in terra. E si guarda le mani... e si scopre i piedi. E socchiude la veste sul petto. Cinque rivoli di sangue e cinque tagli sono il ricordo del bacio di Dio. E Francesco si bacia le mani e si carezza costato e piante, piangendo e mormorando: 

“Oh, mio Gesù! Mio Gesù! 
Che amore! Che amore, Gesù!... Gesù!... Gesù!...”.
E tenta porsi in piedi, puntando i pugni al suolo, e vi riesce con dolore delle palme e delle piante, e si avvia, un poco barcollante come chi è ferito e non può appoggiarsi al suolo e vacilla per dolore e debolezza di svenamento, verso il suo speco, e cade a ginocchi su un sasso, con la fronte contro una croce di solo legno, due rami legati insieme, e là riguarda le sue mani sulle quali pare formarsi una testa di chiodo che penetra a trapassa, e piange. Piange d’amore, battendosi il petto e dicendo: “Gesù, mio Re soave! Che m’hai Tu fatto? Non per
il dolore, ma per l’altrui lode mi è troppo questo tuo dono! Perché a me,
Signore, a me indegno e povero? Le tue piaghe! Oh! Gesù!...”.

Non odo altro né vedo altro.
Mi pare di avere, quando ero fra i vivi, udito descrivere in altro modo la
visione. Mi pare dicessero che era un Serafino col volto di Cristo. Io non so che farci. Io l’ho vista così e così la descrivo.
Io non sono mai stata alla Verna, né in nessun luogo francescano, per quanto sempre l’abbia desiderato. Ignoro perciò la topografia dei luoghi nella maniera più assoluta.

***

1945
10 gennaio.

Una singolare visione mi si presenta appena mi sveglio.

Vedo un lungo, stretto e basso stanzone, scuro. Una sola finestrella in uno dei
lati stretti. In fondo, presso il lato opposto, una porticina a muro che,
semiaperta come è, mostra un poverissimo corridoio appena appena rischiarato da
un poco di luce che entra da qualche finestrino, che io però non vedo. Nello
stanzone, che pare più un corridoio che una stanza, vi è una lunga tavola
rustica: un’asse alta e piallata, senza altra tinta che quella naturale del
legno divenuto scuro per lungo uso, sostenuta da quattro paia di gambe, pioli
tondi messi così / \ ai due estremi e ad un quarto della tavola. Un grande
Crocifisso alla parete.

Seduti alla tavola sono sette francescani: S. Francesco, sempre macilento e
pallido; frate Elia, bello, giovane, dagli occhi imperiosi e neri, capelli neri,
ricci... ahi! una somiglianza molto brutta, nei tratti e nei modi soprattutto,
con Giuda. È anche alto. Poi frate Leone: giovane, non molto alto, dal viso
buono e giocondo. Sono ai lati di Francesco. Dopo Leone, frate Masseo, un poco
corpulento, anzianotto, pacato. Poi tre fraticelli che credo novizi o conversi:
tacciono sempre, umili e impacciati, vestiti anche più poveramente dei quattro
frati perché non hanno mantello. Mangiano, in piatti di stagno, verdure lessate
e pane bigio. Mi paiono broccoli o cavoli neri.
Frate Elia dice: “Buono questo pane! Ha un sapore speciale. Sembra un dolce. Non so...”.
Frate Masseo: “Un dolce, e anche è succoso come carne. Nutre. Ristora. È
completo come un pasto intero”.
Frate Leone: “E la santa Ostia?! Mai ho sentito quel sapore in essa. Una levità
incorporea che si è sciolta in dolcezza... Oh! una dolcezza di Paradiso!”.
“Vi farò conoscere colei che fa questo pane e queste ostie. Non la guardate
all’aspetto: florida e allegra, cela sotto il sorriso semplice la sua austerità.
Lei, conversa, fa il pane e cura la mensa delle suore. Ma io so, per sicura
conoscenza, che in lei non scende che ben poco cibo, il più ripugnante e
spregiato dalle altre. E se è scarso il cibo, ella lo lascia per le più deboli
di corpo e di spirito, e alla sua fame e alla sua fatica non concede che ciò che
è schifo per l’uomo... Giovanna Battista la dovremmo chiamare! In questo suo
deserto di vera claustrata - deserto in sé, perché clausura è deserto sol se si
vuole, ossia se in essa si sa viver col Solo - ella si ciba di cavallette e
chiocciole strappate alle verdure dell’orto e arrostite alla fiamma del fuoco. E
ride e canta, allegra come allodola libera. Eccola”.

I frati si volgono, tutti curiosi, verso la porticina socchiusa. Entra una
bella, giovane (30 anni circa), robusta suora. Sorridente, posa sul tavolo una
brocca d’acqua e una ciotola di legno. È vestita di un marrone ruggine, maniche
ampie, veste dritta, sul davanti e sul dietro la pazienza scende sino a terra.
Non vedo cordone che scenda. E non cintura, perché ha un mantelletto corto sino
ai fianchi, tondo, serrato alla gola da un cavicchio di legno. In testa, le
bende che le serrano la fronte coprendola sino alle ciglia e le fasciano le gote
scendendo sotto alla pazienza. Sopra, il velo messo a cappa, così [grafico]
nero. Bel viso roseo, rotondo, occhi neri, ridenti e vivaci, bei denti sani e
robusti. Statura media, complessione robusta.
“Ecco Suor Amata Diletta di Gesù” dice Francesco. E poi: “I miei compagni
vorrebbero sapere che usi mettere nel tuo pane che è tanto buono e come fai le
ostie per la santa Mensa. Diverse son da tutte”.
La suora ride e risponde pronta: “Me ne dà l’aroma il mio speziere”.
“Che aroma è?”
“La Carità di Lui: Gesù, Signore, lo Sposo mio”.

Non vedo altro. Tutto cessa sul viso di Suor Amata Diletta di Gesù, che splende
nel dir queste parole.

Mentre ancora parla P. Migliorini, avanti la Comunione, ecco il Maestro che
parla anche Lui. È così imperioso che lascio in asso il Padre e mi occupo di
Gesù. Detta:
Il tuo Superiore sono Io. Ti senti la mia Grazia in te? Ti senti Me nel tuo
cuore, e che ti approvo? E allora? Non sono Io il Superiore dei superiori? La
tua Clausura non sono Io? Sbarre e cancelli l’amore tuo per Me e il mio per te?
Vi è chi si impunta sulla durezza delle necessità? Perché questo? Per superbia
ed egoismo. Oh! santa Umiltà che fu mia! Oh! santa Povertà che fu mia! Oh! santa
Carità che sono Io!
Per te che soffri ho dato una luce. Suor Amata Diletta di Gesù, che è tua più
che dei francescani.»
Da "Vangeli della Fede"


<<AMORE AMORIS TUI MORIAR
QUI AMORE AMORIS MEI
DIGNATUS ES MORI>>


lunedì 17 dicembre 2012

Antifone Maggiori: 17-23/XII


Antifone Maggiori:






O Sapientia

O Adonai

O Radix Jesse

O Oriens

O Rex gentium

O Emmanuel

IGNEM SUI AMORIS
ACCENDAT DEUS
PER MARIAM
IN CORDIBUS NOSTRIS









Poco fedeli e tiepidi molto...

LE CHIESE 
COME ROSE PROFUMATE



27 ‑ 1 ‑ 1944. Dice Gesù:
«È una pagina dolorosa a dettarla, a scriverla, a leggerla. Ma è verità e va detta. Scrivi. È per i sacerdoti.
Molto si accusano i fedeli d’esser poco fedeli e tiepidi molto. Molto si accusano gli uomini d’esser senza carità, senza purezza, senza distacco dalle ricchezze, senza spirito di fede. Ma come i figli, salvo rare eccezioni, sono come li formano i genitori, non tanto con le repressioni, quanto con l’esempio, altrettanto i fedeli sono, salvo le sempre esistenti eccezioni, quali li formano i sacerdoti, non tanto con le parole quanto con l’esempio.
Le chiese sparse fra mezzo alle case dell’uomo dovrebbero essere come un faro ed un purificatoio. Da esse dovrebbe sprigionarsi una luce dolce e potente, penetrante e attirante, che, come è della luce del giorno, penetrasse, nonostante tutti i serrami, nel fondo dei cuori.
Guardate una bella giornata d’estate. Una gloria di luce s’effonde dal sole e abbraccia la terra. Così vittoriosa e potente che anche nella stanza più chiusa l’oscurità non è mai completa. Sarà un raggio sottile come capello di bambino, sarà un punto tremolante su una parete, sarà un pulviscolo d’oro danzante nell’atmosfera, ma un piccolo segno di luce sta in quella stanza a testimoniare che fuori vi è lo sfolgorante sole di Dio.
Ugualmente nei cuori più chiusi, se dalle chiese sparse fra le case si effondesse una “luce” quale Io ve l’ho indicata come vostro segno, o sacerdoti che Io chiamo “luce del mondo” - ho chiamato così quando vi ho creati ‑ un filo, un punto, un pulviscolo di luce penetrerebbe, quel tanto da ricordare che vi è sul mondo “una Luce”, quel tanto da metter fame di luce, di “quella Luce”, nei cuori.
Ma quante sono le chiese dalle quali emana una così viva luce da forzare le chiuse porte dei cuori e penetrarvi e portarvi Dio, Dio che è Luce? Ma quante sono le anime delle chiese, voi parroci e curati, voi sacerdoti e monaci, voi tutti che Io ho vocati ad esser portatori di Me ai cuori, che siano talmente accesi dalla Carità da riuscire a vincere il gelo delle anime ed a portare nei cuori degli uomini l’amore di Dio e l’amore a Dio, a Dio che è Carità?
Gli uomini nei loro dolori, ed Io solo so se sono tanti, nei loro dolori, diversi dai vostri ‑ o almeno i vostri dovrebbero esser diversi dai loro, perché i vostri dovrebbero essere solo pene che vengono dallo zelo per il vostro Signore Iddio non sufficientemente amato, per i fedeli che si perdono, per i peccatori che non si convertono, questi e non altri dovrebbero essere i vostri dolori perché Io, chiamandovi, non vi ho additato una reggia, una tavola, una borsa, una famiglia, ma una croce, la mia Croce, sulla quale morii nudo, sulla quale spirai solo, sulla quale salii dopo essermi staccato, spogliato di tutto, anche della mia povertà che era ricchezza rispetto alla mia miseria di giustiziato al quale non resta che il patibolo fatto di poco legno e di tre chiodi e un pugno di spine tessute a corona, e questo per dire a tutti, a voi in specie, che le anime si salvano con il sacrificio, con la generosità nel sacrificio che va sino allo spogliamento totale, assoluto, degli affetti, dei comodi, del necessario, della vita ‑ gli uomini, nei loro dolori, dovrebbero poter guardare alla loro chiesa come ad una mamma sul cui grembo si va a piangere e ad ascoltare parole di conforto, dopo aver narrato i propri affanni, con la certezza d’esser ascoltati e compresi. Gli uomini, nei loro oscuramenti dati da tante cause, non sempre originate dalla loro volontà, ma imposte da altrui volontà, da un complesso di circostanze che li inducono a credere all’errore o a dubitare di Dio, dovrebbero trovare voi, portatori di luce, della mia luce, voi pietosi come il samaritano, voi maestri come il vostro Maestro, voi padri come il Padre vostro.
La terra, corrotta da tante cose, fermenta come corpo che imputridisce e contamina col suo lezzo di peccato le anime. Ma se le chiese sparse fra le case fossero incensieri dove un sacerdote vive ardendo e si arde amando, il lezzo del mondo sarebbe bilanciato dal profumo di Dio traspirante dai cuori dei sacerdoti viventi in totale “fusione” con Dio, annullati in Dio sino a non essere più che simili a Me che sono nel Sacramento a disposizione dell’uomo ad ogni ora ‑ Io, Dio, ci sono senza stanchezze, senza superbie, senza resistenze ‑ ed i cuori verrebbero purificati.
I sacerdoti così, perfetti, sono come il sole. Aspirano le anime al Cielo come fossero gocce di acqua, le purificano nell’atmosfera del Cielo e poscia sono come nubi che si sciolgono leggere in benefica rugiada, durante la notte, nel nascondimento, per portare refrigerio alle ferite ed alle arsioni dei cuori, poveri fiori feriti da tante cose.
Aspirano: per aspirare a sé occorre avere una grande forza. Solo l’amore vivissimo per il Signore e per i fratelli ve la possono dare. Fissi in Dio, in alto, molto in alto sulla terra, voi potete, se volete, attirare a voi, ossia a Dio in cui vivete, le anime. È un’operazione che richiede generosità e costanza. Anche il battere del ciglio deve servire a questo scopo. Tutte le vostre azioni devono aver questo per mèta. Vi sono sguardi che possono convertire un cuore quando da quegli sguardi traluce Dio.
Sciogliersi: sacrificarsi, con tutti i modi, nel nascondimento, portando alle anime arse il refrigerio celeste che si effonde così dolcemente che esse non sanno quando si è effuso ma se ne trovano roride. Proprio come fa la rugiada che, silenziosa e pudica, scende mentre tutto riposa: gli uomini, gli animali ed i fiori, e deterge l’aria dalle impurità diurne, e disseta e imperla gli steli e le fronde.
Sacrificio, sacrificio, sacrificio, o sacerdoti. Preghiera, preghiera, preghiera, o pastori.
Vi ho chiamato “pastori. Non vi ho chiamato “solitari” e non “capitani”. Il solitario vive a sé. Il capitano marcia alla testa dei suoi. Ma il pastore sta in mezzo al suo gregge e lo sorveglia. Non si isola perché il gregge si disperderebbe. Non cammina alla testa perché gli svagati del gregge rimarrebbero seminati per via, preda ai lupi ed ai ladroni.
Il pastore, se non è un pazzo, vive in mezzo al suo gregge, lo chiama, lo raduna, instancabile va su e giù lungo di esso, lo pre­cede nelle cose difficili, saggia lui per il primo le difficoltà, le appiana più che può, rende sicuri i passi maleagevoli con la sua fatica, poi resta nel punto difficile per sorvegliare il passaggio delle sue pecorelle e, se ne vede qualcuna paurosa o debo­le, se la prende sulle spalle e la porta oltre il punto pericoloso, e se viene il lupo non fugge ma si butta contro esso, avanti alle sue pecore, e le difende, anche a costo di morirne pur di salvarle. Si immola per esse, per saziare la fame della belva, di modo che questa non senta più bisogno di sbranare. Quante belve ci sono contro le anime! Il pastore non si perde in inutili discorsi coi passanti, non si divaga dietro a cose che non sono di sua competenza. Si occupa del suo gregge e basta.
Ora guardate. Non sembra di leggere il capo 8° di Ezechiele?
Primo idolo: la Gelosia.
Dovreste essere carità, non è vero? Carità per indurre altri alla carità. Che siete? Gelosi l’uno dell’altro. Vi offendete se un laico vi critica. Ma non vi criticate, e spesso ingiustamente, l’un l’altro? Il superiore critica gli inferiori. L’inferiore critica i superiori. Siete gelosi se uno di voi è notato, se uno di voi riesce meglio, se uno di voi diviene più ricco. Questo poi, che dovrebbe farvi orrore, è invece quello che più vi fa gola. Ma ero ricco Io, Sacerdote eterno? Siate perfetti e sarete notati e lodati, per quanto dovrebbe solo premervi la lode del vostro Dio. Siate perfetti e riuscirete nell’unico scopo degno della vostra veste: quello di portare anime a Dio.
Secondo idolo, anzi molti idoli: le diverse eresie che sostituiscono in voi il culto che dovreste avere.
Anche voi, come i settanta anziani nominati da Ezechiele, state incensando ognuno l’idolo che preferite. E lo fate nelle tenebre sperando che l’occhio dell’uomo non vi veda. Ma vi vede. E lo scandalizzate. Perché i fedeli, e gli uomini in genere, sono come i bambini che sembra non osservino, ma non lasciano mai di tenere d’occhio e d’orecchio i più grandi di loro.
Ma non sapete che, se anche l’uomo non vedesse, Dio vi vede? E perché dunque spargete i vostri incensi davanti alla potenza dell’oro o a quella dell’uomo? Non osservo Io dall’alto del mio trono troppi miei sacerdoti occupati a dedicare il loro tempo - quel tempo che do loro perché lo spendano nella loro missione sacerdotale ‑ in commerci umani, atti ad aumentare il loro benessere? Sì, lo vedo. Non osservo Io ‑ ed il cuore mi si rivolta ‑ troppi miei sacerdoti abiuranti la mia Legge per ubbidire alla legge di uomini disgraziati, sperandone onore e lucro? Sì, lo vedo.
Oh! i sacerdoti politicanti! I sinedristi di ora! Ricordino però questi quale fu la fine del Sinedrio proprio per mano di coloro ai piedi dei quali avevano prosternata la loro coscienza e infranta la mia Legge. E non dico di più. Questo per parte degli uomini. Il resto poi verrà dal Giudice eterno e giusto.
Terzo idolo: il senso.
Sì, vi è anche questo. E non dico di più per rispetto del mio “portavoce”. Ma ognuno esamini se stesso per vedere se, al posto dove uniche creature femminee lecite da ricordare con amore da un sacerdote ‑ mia Madre e la loro madre ‑ non sia una dea pagana. Pensate che toccate Me, che ricevete Me. E basta. Non mettete il Purissimo a contatto con una carne maculata di lussuria.
Quarto idolo: l’adorazione dell’oriente.
Le sètte. Sì, anche questo. E non dovrei guardare molti di voi con sdegno ed avere per molti le apostrofi che ho avuto per i farisei ed i dottori del mio tempo? E non dovrei suscitare delle “luci” fra i laici che mi amano come molti di voi non m’amano, per pietà delle anime che voi lasciate nel gelo, nel buio, nell’impurità, per le anime alle quali non siete via a Dio ma sentiero che porta al basso? E come osate ripetere la mia Parola e predicare la mia Legge quando Parola e Legge sono a voi condanna? Chi è mondo divenga ancor più mondo, chi non è mondo si mondi.
L’umanità si trova ad un grande bivio. Da esso si dipartono due strade: l’una porta salendo a Dio, l’altra conduce scendendo a Satana. Al bivio è un masso. Siete voi. Se farete di voi baluardo e spinta verso la prima, Satana non irromperà e le anime saranno spinte a Dio. Ma se voi per i primi rotolate verso la china di Satana, trascinerete l’umanità, con anticipata ora, verso gli orrori dell’Anticristo.
E se costui deve venire, guai a quelli che ne anticipano la venuta e la prolungano, perché esso cesserà d’essere all’ora in eterno fissata, e più lungo sarà il tempo della sua dimora e più numeroso il numero delle anime che si perdono. Non una di esse passerà invendicata, ricordatevelo. Ché, se il vostro Dio vede il passero che muore, come non può vedere un’anima che muore? Agli uccisori della stessa, quali che siano, chiederò ragione e darò condanna

COR IESU,
FONS VITAE ET SANCTITATIS, 
MISERERE NOBIS!

Arditi nella testimonianza ed ardenti nella preghiera per la salvezza delle anime.



Opera scritta dalla Divina Sapienza 
per gli eletti degli ultimi tempi

07.12.12


Eletti, amici cari, chiedo ancora di essere 

arditi nella testimonianza 

ed ardenti nella preghiera 

per la salvezza delle anime.



Sposa cara, molte anime chiamo a Me ogni giorno dal mondo. 

Sono migliaia e migliaia e di queste ben poche salgono, subito, alla gloria del Paradiso, molto poche: sposa cara, in gran numero hanno bisogno di lunga purificazione nel Purgatorio. 

Anche molte, sposa cara, precipitano nell’abisso di fuoco e disperazione, perché non si sono preparate durante il percorso terreno. Sposa cara, grande è il Mio Dolore, per ogni anima che si perde! Chiedo ai Miei fedeli amici d’impegnarsi a fondo per la salvezza delle anime. Questo, grande, compito vi affido.

Mi dici: “Adorato Gesù, il nostro cuore vuole ciò che Tu vuoi. La Tua Volontà è la nostra, Dolce Amore, ma le anime lontane da Te non si fanno facilmente avvicinare, non ascoltano le nostre parole e non vogliono seguire l’esempio. Capisco che c’è una forza misteriosa che le allontana da Te sempre più, come un vento trascinante che le rende sorde e cieche: sorde alle parole e cieche davanti ai segni. Dolce Amore, rendi meno forte questo vento che trascina via le anime. Tu, Gesù, puoi ciò che vuoi: opera con la Tua Potenza sulle anime in grande pericolo perché si salvino.

 Vedo il terribile nemico che fa il segno della vittoria e provo orrore, perché capisco che ha adescato molte anime e vuole incatenarle. Il mio sguardo si volge supplicante a Te: non permettere che tante vengano imprigionate; concedi un vigore speciale per sottrarsi agli artigli del maligno. In visione ne vedo tante e provo grande amarezza: salvale, Dolce Amore! Salvale con un’adeguata purificazione! Noi, i piccoli più piccoli, siamo al Tuo servizio e tutto facciamo di ciò che desideri da noi; ma Tu aumenta il vigore e togli potere al nemico che è sempre più feroce, sapendo che il tempo è vicino ed egli, per Tua Volontà, sarà svigorito. Questo mi hai rivelato negli intimi colloqui.!

Sposa cara, ho concesso e concedo vigore speciale alle anime in pericolo perché riescano a svincolarsi dal nemico. Molte non utilizzano per questo le Mie nuove energie, ma per aumentare il carico di colpe: esse usano la libertà non per volgersi a Me, Gesù, ed obbedire alle Mie Leggi, ma per rendersi sempre più schiave del Mio nemico. Le lascio usare la libertà come desiderano ed esse stanno facendo la loro libera scelta. Piccola sposa, guai a colui che non coglie in tempo le Grazie di salvezza ed utilizza le sue energie per il male; guai a chi opera con tanta stoltezza, accumulando errore su errore, peccato su peccato: squallida sarà la sua fine! Piccola sposa, non viene meno il vigore per ribellarsi al maligno, lo concedo ad ogni anima; ma gli stolti della terra continuano a fare pessime scelte ed attirano altre nel loro baratro e grande è il Dolore del Mio Cuore! 
Le anime si perdono, per il cattivo uso della libertà, piccola sposa. Pochi sono coloro che si convertono, mentre il tempo di Grazia scorre via, rapido, e le anime si perdono, miseramente! 
Verrà un tempo diverso; ma guai a chi non si prepara! Colui che sa di un uragano in arrivo non dorme nel suo letto, spensierato, ma raccoglie presto le sue cose e si mette al sicuro. 
Sposa cara, sposa fedele, avverti il mondo di ciò che sta per arrivare: il nemico, col Mio Permesso, gioca la sua carta. Ognuno viva ogni giorno come se fosse l’ultimo della sua vita: ardente nella fede, nella speranza, nella carità. Piccola Mia, resta, felice, nel Mio Cuore e godine le Delizie d’Amore di questo nuovo giorno. Ti amo.
                                                                                  Vi amo.

                                                                                              Gesù


Opera scritta dalla Divina Sapienza per gli eletti degli ultimi tempi


07.12.12


La Mamma parla agli eletti



Figli amati, vivete i Miei Messaggi. Viveteli giorno dopo giorno con gioia e non lasciatevi trascinare via dal vento, gelido, del mondo. Gesù vi vuole per Sé, vi vuole tutti; ma attende il vostro sì, convinto. Fate la scelta di essere Suoi nel cuore, nella mente, nelle vibrazioni dell’anima!
Insieme, adoriamoLo con fervore. Vi amo tutti.
Ti amo, angelo Mio.

                                                                                              Maria Santissima

AVE AVE AVE MARIA!