mercoledì 5 dicembre 2012

** CONVERTITI, fratello! Non ti bastano i 4 Vangeli, più Tacito e G.Flavio, e ...precise scoperte archeologiche, per non parlare degli Atti dei Martiri?


Gesù e Roma, affare di Stato


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Ci sono ancora degli increduli i che sostengono che Gesù non sia mai esistito, perchè i Vangeli sono la sola testimonianza della sua esistenza, testimonianza interessata e dunque non credibili. E che le fonti pagane che ne parlano, indipendenti dai Vangeli, sono interpolazioni e falsificazioni inserite nei testi dai primi cristiani.

Questi increduli sono gli eredi attardati della iper-critica anticristiana ottocentesca, che per esempio bollò come interpolazioni, ossia falsi inseriti da cristiani, il passo negli Annali di Tacito (XV 44,5), dove si dice che un tal Cresto fu messo a morte dal procuratore Pilato; e ancor più la frase di Giuseppe Flavio nelle Antichità Giudaiche (XVIII, 64) dove si parla di Gesù e di come, «su denuncia dei nostri notabili (Giuseppe era ebreo) Pilato lo condannò a morte»: il celebre testimonium flavianum, rigettato come falso.

Ma pochi sanno che la ricerca storica ha fatto nel frattempo grandi passi avanti, debellando gli ipercritici.
Pilato
   L'iscrizione recante il nome di Ponzio Pilato, Prefetto della Giudea negli anni 26-36 dopo Cristo
A cominciare da precise scoperte archeologiche – la lapide scoperta nel 1961 a Cesarea, dove si legge di un edificio dedicato a Tiberio da (PO) NTIUS PILATUS (PRAEF)ECTUS IUDA(EE) – gli storici della romanità hanno ricostruito passo passo, con una investigazione degna della Polizia scientifica, non solo la storia di Gesù, ma l’interesse immediato che la sua predicazione suscitò negli ambienti del potere imperiale di Roma.

Specie gli studi della storica Marta Sordi e dei suoi ricercatori (per lo più ricercatrici) hanno rivoluzionato le conoscenze dei primi anni del cristianesimo. Al punto da consentire di stabilire una precisa e minuziosa cronologia degli eventi.

Proviamo qui a delinearla.

Anno 31 della nostra era: a Roma, cade in disgrazia Seiano, il troppo potente prefetto dei pretoriani (le guardie del corpo imperiali) a cui il caratteriale Tiberio, ritiratosi a Capri, aveva affidato gli affari. Avvertito da delatori che Seiano stava tramando per scalzarlo nell’impero, Tiberio passò dalla fiducia eccessiva alla totale sfiducia e fece uccidere il suo braccio destro.

Perché la caduta di Seiano è cruciale nel destino mortale di Gesù? Perché Pilato, prefetto di Giudea, era un raccomandato di Seiano, un suo cliente. Gli doveva la carriera. Pilato dunque, privato di colpo del suo protettore a Roma, si sente debole e insicuro nel 31, che è l’anno probabile del processo (alcuni storici ne fissano la data: 27 aprile), e non in grado di resistere alle pressioni dei sacerdoti che sobillano la folla contro il Nazareno. Quando questi gli gridano: se salvi Gesù, «non sei amico di Cesare», Pilato deve pensare: accidenti, questi mi rovinano.

Non era la prima volta che i capi ebraici avevano fatto arrivare all’imperatore dei rapporti contro di lui. Per esempio Tiberio, informato dai notabili giudaici, gli aveva ordinato di togliere certi scudi dorati, da lui dedicati per adulazione all’imperatore ed esposti nel palazzo di Erode. Un segno di più che l’imperatore non lo aveva in simpatia; a quel punto, Tiberio il sospettoso poteva persino sospettare Pilato di complicità nella trama di Seiano. Il che significava la morte.

Per contro i capi ebrei si sentivano forti: con Seiano era caduto un loro nemico, un antisemita (diremmo oggi) che aveva osteggiato duramente il proselitismo ebraico nella capitale. Gesù dunque fu mandato sulla croce nel quadro di questo contesto di potere repentinamente mutato, e di rapporti di forza improvvisamente rovesciati.

Anno 34: esecuzione di Stefano, il primo martire.

La sua lapidazione, raccontata negli Atti degli Apostoli (ci dicono anche che Saulo di Tarso, allora allievo zelante e feroce del sapiente rabbino Gamaliele, partecipò all’esecuzione), era una violazione delle norme romane: nelle province, la prerogativa di infliggere la pena capitale spettava al governatore romano, non alle autorità etniche locali.

Ciò dà a Tiberio l’occasione, probabilmente da lungo tempo attesa, di mettere ordine nella sediziosa provincia giudaica. Infatti, come attesta Tacito, (Annali VI, 38,5) l’imperatore manda un suo delegato, L. Vitellio, per provvedere «alla sistemazione generale dei problemi dellOriente».

Anno 36 o 37: Vitellio piomba a Gerusalemme e, come primo provvedimento, depone il gran sacerdote ebraico Caifa, quello stesso che aveva fatto condannare Gesù: evidentemente, come responsabile dell’esecuzione sommaria di Stefano, illegale per Roma.

Secondo provvedimento: Vitellio depone Pilato, che non viene più riabilitato, e lo sostituisce con un suo uomo di fiducia, di nome – ricordatelo – Marcello.

Il fatto è che nel frattempo la corte imperiale aveva ricevuto un altro rapporto contro Pilato, stavolta inviato dai samaritani; ma certo anche la debolezza mostrata dal governatore non nel processo a Gesù (formalmente legale) ma per non aver impedito la lapidazione abusiva di Stefano, devono aver avuto una parte nella deposizione.

Come lo sappiamo?

Uno storico armeno del V secolo riporta una lettera di Tiberio ad Agbar, toparca di Edessa tra il 13 e il 50 dopo Cristo, in cui l’imperatore comunica che «punirà i giudei» non appena avrà sedato la rivolta degli iberi, e intanto ha già mandato via Pilato.

Un falso, dicono gli ipercritici: invece no. La lettera descrive con precisione la missione affidata da Tiberio a Vitellio e riportata da Tacito, «sistemazione generale dellOriente».

Gli Iberi di cui si parla infatti non sono gli spagnoli, ma gli Iberi del Caucaso, con cui Vitellio ebbe a che fare effettivamente (Vitellio si occupò anche dei Parti e poi di Areta, etnarca di Damasco che si era sottratto al dominio di Roma, nel quadro della sistemazione generale).

Gli Atti degli apostoli attestano a modo loro la stessa cosa: attestano che nel 36 (Pietro e Paolo sono a Gerusalemme in quella data) c’è «la pace per la Chiesa in GiudeaGalilea e Samaria».

Dunque Vitellio aveva fatto cessare la persecuzione degli ebrei contro i primi cristiani.

Ma ora, un piccolo passo indietro: cruciale, importantissimo.

Anno 35: Tiberio propone al Senato di riconoscere il cristianesimo comereligio licita (religione riconosciuta); il Senato, per ripicca perché l’ammissione di nuovi culti era sua prerogativa, respinge la mozione dell’imperatore. E lo fa con un senatoconsulto fatale, perché diverrà il fondamento legale di tutte le future persecuzioni: Non licet esse christianos.

Un senatoconsulto infatti ha forza di legge. Tiberio non può far altro – come un presidente americano d’oggi – che porre il veto: finchè lui è vivo, questa legge anti-cristiana viene sospesa.

Questo, in breve, è ciò che racconta Tertulliano nella sua Apologia (V, 2).

Ribattono gli ipercritici: Tertulliano scrive nel secondo secolo, questa proposta di Tiberio, avvenuta cento anni prima, non poteva conoscerla, s’è inventato tutto di sana pianta.

Ma l’obiezione non regge: Tertulliano scrive ai «responsabili dellimpero» (imperii antistites) per convincerli ad abrogare quel senatoconsulto: come poteva inventarselo? I maggiorenti, che avevano a disposizione gli archivi di Stato, l’avrebbero subito sbugiardato. Anzi, Tertulliano aveva tutto l’interesse a negare l’esistenza di una simile legge, per affermare che le persecuzioni non avevano fondamento giuridico.

Di più. Tertulliano spiega che il Senato non conosceva la situazione in Palestina, mentre Tiberio ne era bene informato perché aveva «un rapporto di Pilato» sulla rapida diffusione della fede.

Insomma l’imperatore, contrariamente ai senatori, aveva studiato la pratica: e aveva capito quanto meno che i seguaci di Cristo toglievano al messianismo ebraico ogni spinta violenta e politica antiromana («Il mio regno non è di questo mondo») e dunque, che era politicamente opportuno riconoscere questa nuova fede, che prometteva di placare l’eterno ribellismo ebraico.

Falso, falso, ribattono gli ipercritici: non c’è alcuna prova di questo rapporto di Pilato.

In realtà, ne parlano anche Giustino ed Eusebio di Cesarea. Questo autore è tardo, è vero: ma racconta il processo e l’esecuzione di un senatore accusato di cristianesimo, Apollonio, avvenuta fra il 183-185, e dice che Apollonio fu condannato in base «al senatoconsulto che dice non essere lecito essere cristiani».

Non può esserselo inventato. E in verità, sarebbe strano il contrario, che Pilato non avesse riferito a Roma la situazione. Il governo romano era una cosa seria, la sua burocrazia era continuamente informata, le relazioni dei governatori delle province erano regolari e normali. Pilato potrà (forse) aver evitato di informare Tiberio del processo a Gesù, conclusosi dopotutto con un’esecuzionelegale, romana; ma non può aver taciuto dei processi ed esecuzioni illegali che il sinedrio aveva scatenato contro i seguaci di Cristo: era un problema urgente d’ordine pubblico.

Di più. Tutto ciò che abbiamo raccontato spiega e illumina il passo più sibillino delle lettere di San Paolo: nella Seconda Lettera ai Tessalonicesi, dove l’apostolo allude al katechon.

Ossia a qualcosa o qualcuno che «trattiene lAnticristo» (2,1-7).

Scrive Paolo: vi ho raccontato a voce che qualcosa trattiene «luomo diniquità», c’è solo da aspettare che «chi lo trattiene sia tolto di mezzo».

Secondo Marta Sordi e le sue ricercatrici-detectives, Paolo accenna qui al veto opposto da Tiberio alla legge senatoriale che rendeva illecita la fede cristiana. Il veto è «ciò che trattiene» (katechon, neutro). Tiberio, «finchè non è tolto di mezzo», è colui che trattiene la persecuzione (qui Paolo usa non più il neutro, ma il maschile). La persecuzione avverrà alla morte dell’imperatore, quando salirà al trono Nerone.

Nei secoli, i cristiani non hanno più capito l’allusione. Ma hanno mantenuto l’idea che il katechon è il romanum imperium, come dice Tommaso d’Aquino: un potere politico amico dell’uomo, e della verità . Non andavano lontani dal vero.

Ma di quest’amicizia – amicizia dei livelli più alti del potere imperiale con i primi cristiani – ci sono altre prove.

(continua)

Maurizio Blondet



LAUDETUR  JESUS  CHRISTUS!
LAUDETUR  CUM  MARIA!
SEMPER  LAUDENTUR!

martedì 4 dicembre 2012

Santa Veronica Giuliani parla ai Sacerdoti



Santa Veronica Giuliani 
parla ai Sacerdoti
ai religiosi
a tutti i cristiani

Questa notte, dopo lungo travaglio, ho avuto il raccoglimento nel quale il Signore mi ha fatto vedere una moltitudine di sacerdoti, tutti con abito sacerdotale; ma anche, nel medesimo punto, mi ha fatto comprendere che, fra essi, vi sono molti Giuda e suoi nemici; [...]. In un subito, una
parte di essi sono divenuti come mostri infernali e peggio che gli stessi demoni. 
A questa vista così spaventevole il Signore, da capo a piedi tutto grondava sangue; ed, in questo punto, mi ha comunicato che quel sangue che Lui versava, glielo facevano versare i peccati e sacrilegi che
commettevano detti sacerdoti, ed erano come tante spade e pugnali, come tante ferite e colpi verso Sua Divina Maestà. E mi fece vedere quel suo preziosissimo sangue scorrere come un fiume per terra, acciò io vedessi la poca stima e poco conto che ne faceva chi aveva potestà di
tenerlo nelle medesime mani ed anche riceverlo indegnamente, come facevano tutti quei tali che Egli mi faceva vedere. Io gli domandai se mi volesse fare intendere chi erano, ma Egli mi disse: 

«No, questi non si sapranno sino al dì del Giudizio. Già sono tutti condannati al fuoco eterno». 
Io risposi: «Sia fatta la vostra santa volontà! Ma ditemi, Signore, Voi non mi avete eletta per mezzana fra Voi e i peccatori? Ora io eccomi pronta anche a dare la vita e il sangue, per la gloria vostra e per salute di queste anime». 
II Signore mi disse: «Sì, tutto è vero; ma ora, per questi tali, non vi è nessun rimedio, perché di continuo, mi calpestano e mi flagellano». Così dicendo, con volto tutto severo, ha detto: «Ite, maledicti!».

Oh, Dio! In un subito, li ho veduti sparire come densissimo fumo. Quelli, invece, che erano restati con la veste sacerdotale, il Signori li ha benedetti, e li ha confermati padroni del suo Corpo e del suo Sangue (D 1,926).

Una volta il Signore mi fece comprendere quanto gli dispiacciono le offese che gli recano i religiosi ed, in particolare, quelli che si fanno padroni del suo Santissimo Corpo e Sangue, cioè i sacerdoti.

«Questi tali - così mi disse il Signore - sono cagione di tirare al precipizio tutto il mondo, perché si servono di me, mi prendono, mi tengono nelle loro inani, non per magnificarrni, ma per farmi ogni ignominia ed oltraggio».
Poi mi disse: «Mira».
In un subito mi fece vedere, tutti quei tali divenuti più spaventevoli degli stessi demoni: «Non posso fare grazie a questi; no, no, no!».
E, di nuovo, li scacciò da Sé, con la maledizione (D II, 9).

Dopo la santa Comunione, subito fui rapita in estasi e vidi Nostro Signore Glorioso, il quale così mi disse: «Io sono il tuo Sposo; [...]. Fermati in me; confermati nel mio volere e non dubitare. Sono io per te. Dimmi: Che brami?».
In quel momento gli raccomandai una persona e, nello stesso istante, me la fece vedere: sembrava un demonio dell'inferno, tant'è che il Signore si copriva il volto per non guardarla.
Domandai al Signore chi fosse quel mostro d'inferno ed Egli mi disse che era quel tale che io gli raccomandai. Oh, Dio! Che spavento mi diede! Non sto a dire chi esso sia; bensì che non è di questa città, ma che sta qui ed è anche un sacerdote. Iddio mi fece capire che costui aveva
tutto il suo pensiero nelle cose della terra e che ambiva molto alle dignità umane, la qual cosa reca a Iddio molto dispiacere, poiché questi sono cuori attaccati alle ricchezze, in cui regna una
superbia occulta che il Signore non può tollerare, specie nei sacerdoti.

Capii così che Iddio sta tra le mani di questi tali come stava tra le mani di Giuda, il traditore.
Subito dopo disparve tutto come denso fumo (D II, 58).

Mentre raccomandavo a Dio i bisogni presenti, mi parve d'intendere che Egli era molto offeso, a causa dei Giuda che lo tradiscono, ogni mattina, sul santo Altare. Iniziai, allora, ad offrirgli preghiere, a domandargli perdono delle mie colpe e delle mie ingratitudini, supplicandolo, per amor mio, di non castigarli; mi esibii a patire tormenti e pene, in penitenza
dei miei peccati e di quelli altrui; gli chiesi anime, tutte le anime e dicevo: 

«Dio mio, Voi che siete tutto amore e carità; fatemi questa grazia, deponete il castigo e perdonateci! Io mi esibisco a patire pene e tormenti per vostro amore». Detto ciò, capii che mi avrebbe fatto la grazia, ma
solo per quella volta. Allora, subito replicai: «Dio mio, questa grazia la vorrei per sempre!», ma Egli così rispose:
«Per adesso te la concedo; ma per sempre, no!».
Il Signore era davvero offeso (cf. D III, 74).


Una mattina, facendo la Comunione spirituale provai lo stesso effetto della Comunione sacramentale e fui rapita in estasi. Ricordo che Iddio mi raccomandò, in modo speciale, tutti i sacerdoti, ma sopratutto quelli che stanno in disgrazia di Dio, poiché quanti, oh, quanti ve ne sono! (D III, 420).

In un'estasi, Maria SS.ma mi disse:
«Figlia, [...]; vi sono cristiani che vivono come le bestie; non vi è più fede nei fedeli, vivono come se Iddio non esistesse; e mio Figlio sta col flagello in mano per punirli... Oh, quanti sacerdoti, poi, e quanti religiosi e religiose offendono Dio! Tutti costoro calpestano i Sacramenti,
disprezzano il Preziosissimo Sangue di Gesù e lo tengono sotto i loro piedi. Questi infettano le Comunità, le città intere; sono come appestati, hanno il nome di cristiani, ma sono peggio degli infedeli. Figlia, prega, patisci pene e fa' che tutti facciano lo stesso, acciò Iddio deponga il
flagello»
(cf. D 111, 999).

Al termine di una Messa, chiesi a Maria SS.ma di benedire, assieme al Padre celebrante, i miei superiori, le mie consorelle, tutti coloro che aiutano l'anima mia, il Pontefice e tutti i poveri cristiani, ed Ella così mi rispose:
«Il Pontefice ne ha pochi di veri cristiani. Figlia, prega e fa' pregare, soprattutto per i sacerdoti che trattano sì malamente mio Figlio»
(cf. D III, 1196).


Maria SS.ma a S. Veronica:
«Figlia, sappi che ora nel mondo è venuto un vivere tale che pochi si salveranno. Tutti offendono Dio, tutti sono contrari alla legge di Dio, ma quello che più dispiace a Dio è il peccato, specie quello commesso nelle Religioni e dai sacerdoti che, ogni mattina, consacrano
indegnissimamente. Oh! Quanti, oh, quanti vanno giù nell'inferno. Figlia, Iddio vuole che tu patisca e preghi per tutti costoro»
(D IV, 358).


Maria SS.ma a S. Veronica: 

«Figlia, voglio che tu descriva i sette luoghi, più penosi, che stanno nell'inferno, e per chi sono.

Il primo è il luogo ove sta incatenato Lucifero, e con esso vi è Giuda che gli fa da sedia, e vi sono tutti quelli che sono stati seguaci di Giuda.

Il secondo è il luogo ove stanno tutti gli ecclesiastici e i prelati di santa Chiesa, poiché essendo stati elevati in dignità ed onori hanno pervertito maggiormente la fede, calpestando il sangue di Gesù Cristo, mio Figlio, con tanti enormi peccati [...].

Nel terzo luogo che tu vedesti, vi stanno tutte le anime dei religiosi e delle religiose.
Nel quarto vi vanno tutti i confessori, per aver ingannato le anime, loro penitenti.
Nel quinto, vi stanno tutte le anime dei giudici e dei governatori della giustizia.
Il sesto luogo, invece, è quello destinato a tutti i superiori e alle superiore della religione.

Nel settimo, infine, vi stanno tutti quelli che hanno voluto vivere di propria volontà e che hanno commesso ogni sorta di peccati, specie i peccati carnali»
(D IV 744).


Maria SS.ma a S. Veronica:
«In un rapimento, fosti portata nell'inferno per subire nuove pene e, nel tuo arrivo, vedesti che precipitavano in esso tante e tante anime, ed ognuna aveva il suo luogo di tormento. Ti fu fatto conoscere che queste anime erano di varie nazioni, di tutte le sorte di stati, cioè di cristiani e
d'infedeli, di religiose e di sacerdoti. Quest'ultimi stanno più vicini a Lucifero, e patiscono così tanto che mente umana non può comprenderlo.

All'arrivo di queste anime, tutto l'inferno si mette in festa e, in un istante, partecipano di tutte le pene dei dannati, offendendo Dio»
(D IV, 353).


LAUDETUR  JESUS  CHRISTUS!
LAUDETUR  CUM  MARIA!
SEMPER  LAUDENTur


«Tutto deve ricominciare da Cristo»





Il Papa ha ragione

«Tutto deve ricominciare da Cristo»

Per una coincidenza che ritengo straordinaria, un mio amico sacerdote mi invia ieri sera l'estratto di un libro e mi parla della figura di Michel-Marie Zanotti-Sorkine, un Parroco marsigliese che, ora, ritrovo in un articolo di Marina Corradi su Avvenire del 29 novembre scorso, che pubblico di seguito, segnalato e commentato oggi da Magister: è da lì che ho ripreso anche l'immagine del suo volto, che non conoscevo. Ringraziamo il Signore e verifichiamo come ancora una volta il Sacerdote non deve far altro che il sacerdote (docente-guida-santificatore: il «triplice munus») per conquistare anime al Signore e al Suo Regno.
Domani pubblicherò l'estratto in italiano del suo libro Au diable la tiédeur (Al diavolo la tiepidezza), che si divide in due parti. La prima è rivolta ai sacerdoti: 50 pagine di pensieri, consigli, sentenze semplici e forti per ridefinire il loro sacerdozio. La seconda è destinata ai fedeli per ricordare le basi della religione cattolica e far luce sui comportamenti e virtù che aiutano a vivere. Sta avendo grande successo. Uscito nell'ottobre scorso, ha già venduto più di 15.000 copie.

Quella tonaca nera svolazzante sulla rue Canabière, tra una folla più maghrebina che francese, ti fa voltare. Toh, un prete, e vestito come una volta, per le strade di Marsiglia. Un uomo bruno, sorridente, eppure con un che di riservato, di monacale. E che storia, alle spalle: cantava nei locali notturni di Parigi, solo otto anni fa è stato ordinato e da allora è parroco qui, a Saint-Vincent-de-Paul.

Ma la storia in realtà è anche più complicata: Michel-Marie Zanotti-Sorkine, 53 anni, discende da un nonno ebreo russo, immigrato in Francia, che prima della guerra fece battezzare le figlie. Una di queste figlie, scampate all’Olocausto, ha messo al mondo padre Michel-Marie, che per parte paterna è invece mezzo corso e mezzo italiano. (Che bizzarro incrocio, pensi: e guardi con stupore la sua faccia, cercando di capire com’è un uomo, con dietro un tale nodo di radici). Ma se una domenica entri nella sua chiesa gremita, e ascolti come parla di Cristo con semplici quotidiane parole; e se osservi la religiosa lentezza dell’elevazione dell'ostia, in un silenzio assoluto, ti domandi chi sia questo prete, e cosa in lui affascini, e faccia ritornare chi è lontano.

Infine ce l’hai davanti, nella sua canonica bianca, claustrale. Sembra più giovane dei suoi anni; non ha quelle rughe di amarezza che marchiano col tempo la faccia di un uomo. Una pace addosso, una letizia che stupisce. Ma lei chi è?, vorresti chiedergli immediatamente.

Davanti a un pasto frugale, cenni di una vita intera. Due splendidi genitori. La madre, battezzata ma solo formalmente cattolica, lascia che il figlio frequenti la Chiesa. La fede gli è contagiata «da un vecchio prete, un salesiano in talare nera, uomo di fede generosa e smisurata». Il desiderio, a otto anni, di essere sacerdote. A tredici perde la madre: «Il dolore mi ha devastato. E però non ho mai dubitato di Dio". L’adolescenza, la musica, e quella bella voce. I piano bar di Parigi potranno sembrare poco adatti a discernere una vocazione religiosa. Eppure, intanto che la scelta lentamente matura, i padri spirituali di Michel-Marie gli dicono di restare nelle notti parigine: perché anche lì c’è bisogno di un segno. La vocazione infine preme. Nel 1999, a 40 anni, si avvera il desiderio infantile: sacerdote, e in talare, come quel vecchio salesiano.

Perché la talare? «Per me – sorride – è una divisa da lavoro. Vuole essere un segno per chi mi incontra, e soprattutto per chi non crede. Così sono riconoscibile come sacerdote, sempre. Così per strada sfrutto ogni occasione per fare amicizia. Padre, mi chiede uno, dov’è la posta? Venga, l’accompagno, rispondo io, e intanto si parla, e scopro che i figli di quell’uomo non sono battezzati. Me li porti, dico alla fine; e spesso quei bambini, poi, li battezzo. Cerco in ogni modo di mostrare con la mia faccia un’umanità buona. L’altro giorno addirittura – ride – in un bar un vecchio mi ha chiesto su quali cavalli puntare. Io gli ho dato i cavalli. Ho chiesto scusa alla Madonna, fra me: ma sai, le ho detto, è per fare amicizia con quest’uomo. Come diceva un prete, che è stato mio maestro, a chi gli chiedeva come convertire i marxisti: 'Occorre diventare loro amici', rispondeva».

Poi, in chiesa, la messa è severa e bella. Il prete affabile della Canabière è un prete rigoroso. Perché cura tanto la liturgia? «Voglio che tutto sia splendente attorno all’eucarestia. Voglio che all’elevazione la gente capisca che Lui è qui, davvero. Non è teatro, non è pompa superflua: è abitare il Mistero. Anche il cuore ha bisogno di sentire».

Lui insiste molto sulla responsabilità del sacerdote, anzi in un suo libro – ha scritto numerosi libri, e scrive ancora, a volte, canzoni – afferma che un sacerdote che abbia la chiesa vuota si deve interrogare e dire: «È a noi che manca il fuoco». Spiega: «Il sacerdote è 'alter Christus', è chiamato a riflettere in sé Cristo. Questo non significa chiedere a noi stessi la perfezione; ma essere consci dei nostri peccati, della nostra miseria, per poter comprendere e perdonare chiunque si presenti in confessionale».

In confessionale, padre Michel-Marie va tutte le sere, con assoluta puntualità, alle cinque, sempre. (La gente, dice, deve sapere che il prete c’è, comunque). Poi resta in sacristia fino alle undici, per chiunque desideri andarci: «Voglio dare il segno di una disponibilità illimitata». A giudicare dal continuo pellegrinaggio di fedeli, a sera, si direbbe che funzioni. Come una domanda profonda che emerga da questa città, apparentemente lontana. Cosa vogliono? «La prima cosa è sentirsi dire: tu sei amato. La seconda: Dio ha un progetto su di te. Non bisogna farli sentire giudicati, ma accolti. Occorre far capire che l’unico che può cambiare la loro vita è Cristo. E Maria. Due sono le cose che secondo me permettono un ritorno alla fede: l’abbraccio mariano, e l’apologetica appassionata, che tocca il cuore».

«Chi mi cerca – continua – prima di tutto domanda un aiuto umano, e io cerco di dare tutto l’aiuto possibile. Non dimenticando che il mendicante ha bisogno di mangiare, ma ha anche un’anima. Alla donna offesa dico: mandami tuo marito, gli parlo io. Ma poi, quanti vengono a dire che sono tristi, che vivono male... Allora chiedo: da quanto lei non si confessa? Perché so che il peccato pesa, e la tristezza del peccato tormenta. Mi sono convinto che ciò che fa soffrire tanta gente è la mancanza dei sacramenti. Il sacramento è il divino alla portata dell’uomo: e senza questo nutrimento non possiamo vivere. Io vedo la grazia operare, e che le persone cambiano».

Giornate totalmente donate, per strada, o in confessionale, fino a notte. Dove prende le forze? Lui – quasi pudicamente, come si parla di un amore – dice di un profondo rapporto con Maria, di una confidenza assoluta con lei: «Maria è l’atto di fede totale, nell’abbandono sotto alla Croce. Maria è assoluta compassione. È pura bellezza offerta all’uomo». E ama il rosario, l’umiltà del rosario, il prete della Canabière: «Quando confesso, spesso dico il rosario, il che non mi impedisce di ascoltare; quando do la comunione, prego». Lo ascolti intimidita. Ma allora, tutti i preti dovrebbero avere una dedizione assoluta, quasi da santi? "Io non sono un santo, e non credo che tutti i preti debbano essere santi. Però possono essere uomini buoni. La gente sarà attratta dal loro volto buono».

Problemi, in strade a così forte presenza di musulmani immigrati? No, dice semplicemente: «Rispettano me e questa veste». In chiesa accoglie chiunque con gioia: «Anche le prostitute. Do loro la comunione. Che dovrei dire? Diventate oneste, prima di entrare qui? Cristo è venuto per i peccatori e io ho l’ansia, nel negare un sacramento, che lui un giorno me ne possa rendere conto. Ma noi sappiamo ancora la forza dei sacramenti? Ho il dubbio che abbiamo troppo burocratizzato l’ammissione al battesimo. Penso al battesimo di mia madre ebrea, che, quanto alla richiesta di mio nonno, fu un atto solo formale: eppure, anche da quel battesimo è venuto un sacerdote».

E la nuova evangelizzazione? «Vede – dice al congedo, nella sua canonica – più invecchio e più capisco ciò che ci dice Benedetto XVI: tutto davvero ricomincia da Cristo. Possiamo solo tornare alla sorgente».

Più tardi poi lo intravedi da lontano, per strada, con quella veste nera mossa dal passo veloce. «La porto – ti ha detto – perché mi riconosca uno che magari altrimenti non incontrerei mai. Quello sconosciuto, che mi è estremamente caro».
Marina Corradi

Cor Mariæ Immaculatum, intercede pro nobis

Riflettere sulla sconfinata stupidità di noi occidentali del XXI secolo

Noi occidentali del XXI secolo

 



novembre 25, 2011 //
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Come ogni anno in questo periodo, già da alcune settimane, possiamo vedere in televisione durante la pubblicità degli allegri spot che hanno come protagonisti Babbo Natale, i suoi folletti e le sue renne che pubblicizzano i più svariati prodotti, dalla cocacola ai massaggiatori, il tutto condito dalle solite e scontate musichette commercial – natalizie. Ogni hanno ci si chiede del perchè già a fine ottobre i centri commerciali sono addobbati con ghirlande e vischio, e del perchè dobbiamo subire per almeno due mesi il bombardamento pubblicitario che veicoli in qualche modo messaggi riguardanti la grande solennità cristiana. La conclusione più diffusa e scontata afferma che il messaggio del Natale è universale, e dovrebbe valere per tutti gli uomini, qualunque sia la loro cultura/lingua/religione/nazione di appartenenza, e per questo resiste ancora oggi, a dispetto di molti altri elementi religiosi. Io invece ho sempre pensato che la ragione del successo del Natale sia un’altra (e forse non sono il solo a pensarla così): il Natale si adatta perfettamente alla società basata sul consumo qual’è la nostra, ed è facilissimo utilizzarlo senza scrupoli per riuscire a vendere valanghe di prodotti, anche ripetitivi e di bassa qualità, alla massa ormai schiava del consumismo e dimentica dei valori religiosi (e per religiosi intendo solo e soltanto crisitani) che hanno permesso all’occidente nel corso della storia di diventare così com’è adesso.

Ma evidentemente questo patrimonio è superato, fa parte di un passato retrogrado che non ci porterà da nessuna parte, se venisse conservato impedirebbe il cosiddetto “progresso” tanto voluto dal potere economico mondiale, che ha compiuto grandi passi nel distruggere l’economia di base e la piccola proprietà. Solo il Natale, tra le festività cristiane, favorisce il consumismo; altrimenti, perchè non veniamo tartassati dalla pubblicità mediatica due mesi prima della Pentecoste, che quanto a importanza si trova sullo stesso piano del Natale? Perchè con la Pentecoste le multinazionali non vendono niente, è ovvio. Sicuramente si verificherebbe un sollevamento popolare se si cercasse di abolire legalmente l’aspetto esteriore del Natale, mentre quando si tratta di togliere i crocifissi dalle pareti delle aule scolastiche va benissimo, dato che offende la civiltà multireligiosa.


Un aspetto ancora più assurdo della questione è il tentativo, da parte di molti, di incentivare i festeggiamenti di un Natale che non è quello vero. Conservo ancora la rabbia per quando, tre anni fa, lessi un articolo pubblicato da Repubblica, in cui si parlava di una mamma canadese, residente a Milano, che aveva ricevuto dalle maestre d’asilo di suo figlio la proposta di insegnare ai bambini alcune carole natalizie tipiche del suo paese, in occasione della recita di Natale, ma ad una condizione: tali carole non avrebbero dovuto contenere alcun riferimento al “Natale di Gesù”. La mamma canadese era rimasta sconcertata, e alla sua richiesta di spiegazioni per una condizione così assurda si era sentita rispondere che il riferimento al bambino Gesù avrebbe offeso gli alunni di religione islamica. Al di là dell’articolo e del suo autore, che tra parentesi in un secondo passo si lasciava andare ad offensive critiche nei confronti di Benedetto XVI, tutto ciò fa riflettere sulla sconfinata stupidità di noi occidentali del XXI secolo, dettata da chissà quale esigenza di rispetto nei confronti dei non cristiani. Vorrei tanto far notare agli autori di questi “accorgimenti pro – rispetto della multireligiosità” che l’assicurazione dei diritti di tutti che tanto ricercano, finisce quasi sempre per nuocere a noi cristiani. 
Perciò oggi più che in passato siamo fieri di gridare sì al Presepio, sì ai pastori di Betlemme, sì a Adeste fideles, sì a Gesù bambino, e se proprio vogliono il natale (con la “n” minuscola) pagano, lo vadano a festeggiare da un’altra parte, non nell’Italia di san Francesco, che in quella notte di Natale del 1223 rappresentò, per la prima volta, a Greccio ciò che più ci permette di ricordare il vero significato del Natale: il Presepio.

Alessandro

LAUDETUR  JESUS  CHRISTUS!
LAUDETUR  CUM  MARIA!
SEMPER  LAUDENTUR!

* Novena dell'Immacolata - 6 - : Là c'è un Fiore!



<<.......E poi, giù, a meridione, il tappeto fertile e fiorito della piana di Esdrelon. E poi... e poi, oh! Simone! Là c'è un Fiore! Un Fiore c'è che vive solitario, olezzando purezza e amore per il suo Dio e per il suo Figlio! C'è mia Madre. Tu la conoscerai, Simone, e mi dirai se c'è creatura simile a Lei, anche in umana grazia, sulla Terra. Bella è, ma tutto è superato da ciò che dal suo interno emana. 


Se un brutale la dispogliasse d'ogni sua veste, la sfregiasse e la mandasse raminga, Ella ancor apparirebbe Regina e in veste regale, perché la sua santità le farebbe manto e splendore. 

Tutto può darmi il mondo di male, ma tutto al mondo perdonerò perché per venire al mondo e redimerlo ho avuto Lei, l'umile e grande Regina del mondo, che il mondo ignora, ma per la quale ha avuto il Bene ed ancor più avrà nei secoli. 

Eccoci al Tempio. Osserviamo la forma giudaica del culto. -  Ma in verità ti dico che la vera Casa di Dio, l'Arca Santa è il suo Cuore, a cui è velo la carne purissima, e su cui sono le virtù a far ricamo».

(L'Evangelo, 85.2). 


Cor Mariæ Immaculatum, intercede pro nobis