AVE MARIA!
"Dignare me laudare Te Virgo sacrata. Da mihi virtutem contra hostes tuos". "Corda Iésu et Marìae Sacratìssima: Nos benedìcant et custòdiant".
mercoledì 28 novembre 2012
quattordici generazioni
Il
tempo che è trascorso,
quello
delle quattordici generazioni,
vi
faccia capire che è giunto per voi
la
pienezza dei tempi…
Gesù 04 / 07
- 01 - 04 Maria Santissima
23 - 01 - 04
Amati, Dio Sapientissimo, Che vede i
cuori e scruta le menti, ha stabilito
dei tempi per ogni cosa, anche per le grandi rivelazioni.
Questi, come spesso ho ripetuto,
non sono tempi ordinari, ma straordinari, tempi nella loro pienezza come non
erano nel passato.
Con grande Gioia vi dico che Gesù,
Mio Figlio, ha preparato per questo momento storico sorprese belle e sublimi,
sta quindi, preparando l’intera Umanità a godere le Sue Meraviglie, a gustare le
Sue Delizie.
Come voi andate constatando, la Sua Preparazione è quotidiana, il
Messaggio d’Amore è di ogni giorno proprio perché occorre un impegno continuo
per prepararsi ai grandi eventi che saranno collettivi, ma anche
individuali.
Preparatevi alle sorprese ed
accogliete con gioia ed amore sempre la Volontà Divina, sempre dettata
dall’Immenso Amore di Dio per le Sue creature…
Molti che sono anche vicini al Mio
Cuore pensano: “Accadrà come nel passato, ciò che è accaduto, accadrà ancora.”
Amati, vi ho già detto che questi
sono i tempi speciali nei quali tutto deve accadere quello che è stato
preannunciato.
Paolo parlò delle Mie grandi
Meraviglie, lo Spirito glielo rivelò, ma non capì il tempo nel quale dovevano
accadere, pensò che il suo fosse già nella pienezza, ma così non era.
Amata sposa, il tempo nel quale vivi e palpiti è
il tempo della pienezza, tutto deve avvenire proprio secondo le
profezie…
Pensa,
sposa amata, al tempo che è trascorso, quello delle quattordici generazioni, non
ti è difficile capire che è giunto per voi la pienezza dei tempi e che siete
alla grande svolta, come nel passato avvenne.
(
vedi Matteo 1,17 )
Quando
tutte le porte saranno chiuse,
nessuno
più avrà accesso e grande
sarà
la disperazione…
Opera scritta dalla Divina Sapienza per gli eletti degli ultimi tempi
23.11.12
Eletti, amici cari, confidate in Me ed attendete nella pace del cuore la Mia Venuta.
Sposa cara, chi confida in Me è felice nel profondo, non ha da temere, non perde la speranza, ama il Dono della vita e cerca il Bene. Piccola Mia, voglio che ogni anima trovi rifugio in Me per essere felice; ma nel presente vedo che molte anime hanno preso una via che porta da Me lontano, sempre più lontano. Chiamo a Me le anime: se esse di Me si dimenticano, Io, Io, Gesù, di loro non Mi scordo, perché sono Dio e le ho create per la Felicità, non per il dolore. Piccola sposa, anche gli uomini di questo tempo non hanno compreso che la rovina di tutto è il peccato: nel mondo esso scorre, come un fiume, melmoso, che distrugge dove passa. Il Mio Progetto è di fare nuove tutte le cose. Pensa a ciò che accade dopo una grande inondazione: tutto è stato coperto di fango e non è più utilizzabile. Guardati intorno e vedi ciò che accade: il fango del peccato è dovunque! Io, Io, Gesù, voglio rinnovare la faccia della terra; ma quanto va gettato! Ciò che è buono lo tengo, dopo averlo purificato a fondo, ma il resto va: non si può mettere una toppa nuova su di un vestito vecchio. Ti dico, sposa cara, che molto andrà e poco resterà! Se la purificazione del presente già fa tremare le vene ed i polsi, più amara sarà quella del futuro, non confrontabile.
Mi dici “Dolce Amore, ciò che Tu fai, ciò che Tu progetti, ciò che Tu pensi è tutto perfetto; ma trema il cuore al pensiero dell’amara purificazione, perché l’uomo non sa sopportare neppure quella presente e sulla terra c’è un grande gemito generale, per le cose che continuano a peggiorare. Dolce Amore, Santissimo Gesù, chi riesce a sopportare una purificazione molto amara? Dolce Gesù, attenua e abbrevia! Servano le suppliche dei Tuoi piccoli ad attenuare ad abbreviare. Già il mondo è molto provato e la purificazione è solo all’inizio! Chi resterà, Dolce Amore? La terra, il bel pianeta, da Te tanto amato, diverrà una landa arida e deserta; non si sentirà neppure più il canto del gufo e della civetta. Dolce Amore, prendi i Tuoi Meriti, che sono infiniti, per concedere ancora.”
Sposa amata, come già ti ho detto, quando si fa una nuova costruzione, serve togliere, completamente, ciò che è vecchio e cadente. Puoi costruire un muro nuovo sopra uno vecchio? No, di certo. Questo non si può, certo, fare! Piccola cara, occorre abbattere, fino in fondo, il muro vecchio e, poi, costruire quello nuovo. Piccola sposa, tutto ciò che è vecchio e logoro andrà. Il vecchio non si ricorderà più, tanto sarà bello il nuovo. Piccola Mia, ogni uomo affronti con coraggio il tempo della sua purificazione e pieghi il capo davanti alla Mia Volontà. Non temere: le prove non saranno superiori alle forze; esse saranno adeguate, sempre. Chi supplica con umiltà il Mio Aiuto, certo, lo avrà; ma chi nella prova si rivolgerà a Me con ira perirà nel suo male.
Mi dici: “Adorato Gesù, Re dell’Universo, ogni ginocchio si pieghi davanti a Te per benedirTi, lodarTi, adorarTi e la terra fiorisca, come un roseto a maggio.”
Sposa cara, voglio la salvezza delle anime e non la loro rovina. Ecco: avvolgo la terra con la Mia Misericordia. Ognuno l’accolga! Resta, felice, nel Mio Cuore e godine le Delizie d’Amore. Ti amo.
Vi amo.
Gesù
Opera scritta dalla Divina Sapienza per gli eletti degli ultimi tempi
23.11.12
La Mamma parla agli eletti
Figli cari e tanto amati, lasciatevi abbracciare e permeare dalla Misericordia di Dio: chi accoglie la Sua Misericordia si salva ed è felice; ma chi non l’accoglie non ha salvezza né Pace né futuro. Figli amati, il Padre caro ha meravigliosi Progetti per questo tempo. Il Suo Cuore è solo Amore: per Amore, ha donato il Figlio, Gesù; per Amore, dona Me a voi perché abbiate Pace e salvezza e, per Amore, farà nuove tutte le cose. Insieme, adoriamoLo. Vi amo.
Ti amo, angelo Mio.
Maria Santissima
AVE MARIA!
S. Perpetua e S. Felìcita / Vangeli della Fede /
Perpetua e Felìcita
1° marzo 1944.
Mi dice Gesù, verso le 17:
«Non era mia intenzione darti questa
visione questa sera. Avevo intenzione di
farti vivere un altro episodio dei “vangeli
della fede”. Ma è stato espresso un
desiderio da chi merita d’esser
accontentato. E Io accontento. Nonostante i tuoi
dolori, vedi, osserva e descrivi. I tuoi
dolori li dài a Me e la descrizione ai
fratelli.»
E nonostante i miei dolori, tanto forti -
per cui mi pare di avere il capo
stretto in una morsa che parte dalla nuca e
si congiunge sulla fronte e scende
verso la spina dorsale, un male terribile
per cui ho pensato mi stesse per
scoppiare una meningite e poi mi sono
svenuta - scrivo. È tanto forte anche ora.
Ma Gesù permette che riesca a scrivere per
ubbidire. Dopo... dopo sarà quel che
sarà.
Le assicuro, intanto, che passo di sorpresa
in sorpresa; perché per prima cosa
mi trovo di fronte a degli africani, arabi
per lo meno, mentre ho sempre creduto
che questi santi fossero europei. Ché non
avevo la minima nozione della loro
condizione sociale e fisica e del loro
martirio. Di Agnese sapevo vita e
morte. Ma di questi! È come se leggessi un
racconto sconosciuto.
Per prima illustrazione, avanti di
svenirmi, ho visto un anfiteatro su per giù
come il Colosseo (ma non rovinato), vuoto
per allora di popolo. Solo una
bellissima e giovane mora è ritta là in
mezzo e sollevata dal suolo, raggiante
per una luce beatifica che si sprigiona dal
suo corpo bruno e dalla scura veste
che lo copre. Sembra l’angelo del luogo. Mi
guarda e sorride. Poi mi svengo e
non vedo più nulla.
Ora la visione si completa. Sono in un fabbricato che, per la
mancanza di ogni e
qualsiasi comodità e per la sua arcigna
apparenza, mi si rivela come una
fortezza adibita a carcere. Non è il sotterraneo
del Tullianum visto ieri . Qui
sono stanzette e corridoi sopraelevati. Ma
così scarsi di spazio e di luce e
così muniti di sbarre e di porte ferrate e
piene di chiavistelli, che quel “che”
di migliore che hanno in posizione viene
annullato dal loro rigore che annulla
la benché più piccola idea di libertà.
In una di queste tane è seduta su un
tavolaccio, che fa da letto, sedile e
tavola, la giovane mora che ho visto nell’anfiteatro.
Ora non emana luce. Ma
unicamente tanta pace. Ha in grembo un
piccino di pochi mesi al quale dà il
latte. Lo ninna, lo vezzeggia con atto di
amore. Il bambino scherza con la
giovane madre e strofina la sua faccetta
molto olivastra contro la bruna
mammella materna, e vi si attacca e stacca
con avidità e con subite risatine
piene di latte.
La giovane è molto bella. Un viso regolare
piuttosto tondo, con bellissimi occhi
grandi e di un nero vellutato, bocca tumida
e piccina piena di denti
candidissimi e regolari, capelli neri e
piuttosto crespi ma tenuti a posto da
strette trecce che le si avvolgono intorno
al capo. Ha il colorito di un bruno
olivastro non eccessivo.
Anche fra noi italiani, e specie del
meridione d’Italia, si vede quel
colore, appena un poco più chiaro di
questo. Quando si alza per addormentare il
piccino andando su e giù per la cella, vedo
che è alta e formosa con grazia. Non
eccessivamente formosa, ma già ben
modellata nelle sue forme. Sembra una regina
per il portamento dignitoso. È vestita di
una veste semplice e scura, quasi
quanto la sua pelle, che le ricade in
pieghe morbide lungo il bel corpo.
Entra un vecchio, moro lui pure. Il
carceriere lo fa entrare aprendo la pesante
porta. E poi si ritira. La giovane si volge
e sorride. Il vecchio la guarda e
piange. Per qualche minuto restano così.
Poi la pena del vecchio prorompe. Con
affanno supplica la figlia di aver pietà
del suo soffrire: “Non è per questo” le dice “che ti ho generato. Fra tutti
i
figli ti ho amata, gioia e luce della mia casa. Ed ora tu ti vuoi perdere e
perdere il povero padre tuo che sente morirsi il cuore per il dolore che
gli
dài. Figlia, sono mesi che ti prego. Hai voluto resistere ed hai conosciuto
il
carcere, tu nata fra gli agi. Curvando la mia schiena davanti ai potenti t’avevo
ottenuto di esser ancora nella tua casa per quanto come prigioniera. Avevo
promesso al giudice che ti avrei piegata con la mia autorità paterna. Ora
egli
mi schernisce perché vede che di essa tu non ti sei curata. Non è questo
quel
che dovrebbe insegnarti la dottrina che dici perfetta. Quale Dio è dunque
quello
che segui, che ti inculca di non rispettare chi ti ha generato, di non
amarlo,
perché se mi amassi non mi daresti tanto dolore? La tua ostinazione, che
neppure
la pietà per quell’innocente ha vinto, ti ha valso di esser strappata alla
casa
e chiusa in questa prigione. Ma ora non più di prigione si parla, ma di
morte. E
atroce. Perché? Per chi? Per chi vuoi morire? Ha bisogno del tuo, del
nostro
sacrificio - il mio e quello della tua creatura che non avrà più madre - il
tuo
Dio? Il suo trionfo ha bisogno del tuo sangue e del mio pianto per
compiersi? Ma
come? La belva ama i suoi nati e tanto più li ama quanto più li ha tenuti
al
seno. Anche in questo speravo e per questo ti avevo ottenuto di poter
nutrire il
tuo bambino. Ma tu non muti. E dopo averlo nutrito, scaldato, fatto di te
guanciale al suo sonno, ora lo respingi, lo abbandoni senza rimpianto. Non
ti
prego per me. Ma in nome di lui. Non hai il diritto di farne un orfano. Non
ha
diritto il tuo Dio di fare questo. Come posso crederlo buono più dei nostri
se
vuole questi sacrifici crudeli? Tu me lo fai disamare, maledire sempre più.
Ma
no, ma no! Che dico? Oh! Perpetua, perdona! Perdona al tuo vecchio padre
che il
dolore dissenna. Vuoi che lo ami il tuo Dio? Lo amerò più di me stesso, ma
resta
fra noi. Di’ al giudice che ti pieghi. Poi amerai chi vuoi degli dèi della
terra. Poi farai del padre tuo ciò che vuoi. Non ti chiamo più figlia, non
son
più tuo padre. Ma il tuo servo, il tuo schiavo, e tu la mia signora.
Domina,
ordina ed io ti ubbidirò. Ma pietà, pietà. Salvati mentre ancora lo puoi.
Non è
più tempo di attendere. La tua compagna ha dato alla luce la sua creatura,
lo
sai, e nulla più arresta la sentenza. Ti verrà strappato il figlio; non lo
vedrai più. Forse domani, forse oggi stesso. Pietà, figlia! Pietà di me e
di lui
che non sa parlare ancora, ma lo vedi come ti guarda e sorride! Come invoca
il
tuo amore! Oh! Signora, mia signora, luce e regina del cuor mio, luce e
gioia
del tuo nato, pietà, pietà!”
Il vecchio è ginocchioni e bacia l’orlo
della veste della figlia e le abbraccia
i ginocchi e cerca prenderle la mano che
ella si posa sul cuore per reprimerne
lo strazio umano. Ma nulla la piega.
“È per l’amore che ho per te
e per lui che rimango fedele al mio Signore” ella
risponde. “Nessuna gloria della terra darà al tuo capo bianco e a questo
innocente tanto decoro
quanto ve ne darà il mio morire. Voi giungerete alla
Fede. E che direste allora
di me se avessi per viltà di un momento rinunciato
alla Fede? Il mio Dio non ha
bisogno del mio sangue e del tuo pianto per
trionfare. Ma tu ne hai
bisogno per giungere alla Vita. E questo innocente per
rimanervi. Per la vita che
mi desti e per la gioia che egli mi ha dato, io vi
ottengo la Vita che è vera,
eterna, beata. No, il mio Dio non insegna il
disamore per i padri e per i
figli. Ma il vero amore. Ora il dolore ti fa
delirare, padre. Ma poi la
luce si farà in te e mi benedirai. Io te la porterò
dal cielo. E questo
innocente non è che io l’ami meno, ora che mi sono fatta
svuotare dal sangue per nutrirlo.
Se la ferocia pagana non fosse contro noi
cristiani, gli sarei stata
madre amantissima ed egli sarebbe stato lo scopo
della mia vita. Ma più della
carne nata da me è grande Iddio, e l’amore che gli
va dato infinitamente più
grande. Non posso neppure in nome della maternità
posporre il suo amore a
quello di una creatura. No. Non sei lo schiavo della
figlia tua. Io ti son sempre
figlia e in tutto ubbidiente fuorché in questo: di
rinunciare al vero Dio per
te. Lascia che il volere degli uomini si compia. E se
mi ami, seguimi nella Fede.
Là troverai la figlia tua, e per sempre, perché la
vera Fede dà il Paradiso, ed
a me il mio Pastore santo ha già dato il benvenuto
nel suo Regno”.
E qui la visione ha un mutamento, perché
vedo entrare nella cella altri
personaggi: tre uomini ed una giovanissima
donna. Si baciano e si abbracciano a
vicenda. Entrano anche i carcerieri per
levare il figlio a Perpetua. Ella
vacilla come colpita da un colpo. Ma si
riprende.
La compagna la conforta: “Io pure, ho già
perduto la mia creatura. Ma essa non è
perduta. Dio fu meco buono. Mi ha concesso
di generarla per Lui e il suo
battesimo si ingemma del mio sangue. Era
una bambina... e bella come un fiore.
Anche il tuo è bello, Perpetua. Ma per
farli vivere in Cristo questi fiori hanno
bisogno del nostro sangue. Duplice vita
daremo loro così”.
Perpetua prende il piccino, che aveva
posato sul giaciglio e che dorme sazio e
contento, e lo dà al padre dopo averlo
baciato lievemente per non destarlo. Lo
benedice anche e gli traccia una croce
sulla fronte ed una sulle manine, sui
piedini, sul petto, intridendo le dita nel
pianto che le cola dagli occhi. Fa
tutto così dolcemente che il bambino
sorride nel sonno come sotto una carezza.
Poi i condannati escono e vengono, in mezzo
a soldati, portati in una oscura
cavea dell’anfiteatro in attesa del
martirio. Passano le ore pregando e cantando
inni sacri, esortandosi a vicenda all’eroismo.
Ora mi pare di essere io pure nell’anfiteatro
che ho già visto. È pieno di folla
per la maggior parte di pelle abbronzata.
Però vi sono anche molti romani. La
folla rumoreggia sulle gradinate e si
agita. La luce è intensa nonostante il
velario steso dalla parte del sole.
Vengono fatti entrare nell’arena, dove mi
pare siano stati già eseguiti dei
giuochi crudeli perché è macchiata di
sangue, i sei martiri in fila. La folla
fischia e impreca. Essi, Perpetua in testa,
entrano cantando.
Si fermano in mezzo all’arena e uno dei sei
si volge alla folla.
“Fareste meglio a mostrare il vostro
coraggio seguendoci nella Fede e non
insultando degli inermi che vi ripagano del
vostro odio pregando per voi e
amandovi. Le verghe con cui ci avete
fustigato, il carcere, le torture, l’aver
strappato a due madri i figli - voi
bugiardi che dite d’esser civili e attendete
che una donna partorisca per poi ucciderla
e nel corpo e nel cuore separandola
dalla sua creatura, voi crudeli che mentite
per uccidere perché sapete che
nessuno di noi vi nuoce, e men che mai
delle madri che altro pensiero non hanno
che la loro creatura - non ci mutano il
cuore. Né per quanto è amore di Dio né
per quanto è amore di prossimo. E tre, e
sette, e cento volte daremmo la vita
per il nostro Dio e per voi. Perché voi
giungiate ad amarlo, e per voi preghiamo
mentre già il Cielo su noi si apre: Padre
nostro che sei nei cieli...”. In
ginocchio i sei santi martiri pregano.
Si apre un basso portone e irrompono le
fiere che, per quanto sembrano bolidi
tanto sono veloci nella corsa, mi paiono
tori o bufali selvaggi. Come una
catapulta ornata di corna puntute,
investono il gruppo inerme. Lo alzano sulle
corna, lo sbattono per aria come fossero
tanti cenci, lo riabbattono al suolo,
lo calpestano. Tornano a fuggire come pazzi
di luce e di rumore e tornano a
investire.
Perpetua, presa come un fuscello dalle
corna di un toro, viene scaraventata
molti metri più là. Ma per quanto ferita,
si rialza e sua prima cura è di
ricomporsi le vesti strappate sul seno.
Tenendosele con la destra, si trascina
verso Felicita caduta supina e mezza
sventrata, e la copre e sorregge facendo di
sé appoggio alla ferita. Le bestie tornano
a ferire finché i sei malvivi
sono stesi al suolo. Allora i bestiari le
fanno rientrare e i gladiatori
compiono l’opera.
Ma, fosse pietà o inesperienza, quello di
Perpetua non sa uccidere. La ferisce,
ma non prende il punto giusto. “Fratello,
qua, che io ti aiuti” dice ella con un
filo di voce e un dolcissimo sorriso. E,
appoggiata la punta della spada contro
la carotide destra, dice: “Gesù, a Te mi
raccomando! Spingi, fratello. Io ti
benedico” e sposta il capo verso la spada
per aiutare l’inesperto e turbato
gladiatore.
Dice Gesù:
«Questo è il martirio della mia martire Perpetua, della sua compagna Felicita e
dei suoi compagni. Rea di esser cristiana.
Catecumena ancora. Ma come intrepida
nel suo amore per Me! Al martirio della
carne ella ha unito quello del cuore, e
con lei Felicita. Se sapevano amare i loro
carnefici, come avranno saputo amare
i figli loro?
Erano giovani e felici nell’amore dello
sposo e dei genitori. Nell’amore della
loro creatura. Ma Dio va amato sopra ogni
cosa. Ed esse lo amano così. Si
strappano le loro viscere separandosi dal
loro piccino, ma la Fede non muore.
Esse credono nell’altra vita. Fermamente.
Sanno che essa è di chi fu fedele e
visse secondo la Legge di Dio.
Legge nella legge è l’amore. Per il Signore
Iddio, per il prossimo loro. Quale
amore più grande di dare la vita per coloro
che si ama, così come l’ha data il
Salvatore per l’umanità che Egli amava?
Esse dànno la vita per amarmi e per
portare altri ad amarmi e possedere perciò
l’eterna Vita.
Esse vogliono che i
figli e i genitori, gli sposi, i fratelli e
tutti coloro che esse amano di amore
di sangue o di amore di spirito - i
carnefici fra questi poiché Io ho detto:
“Amate coloro che vi perseguitano” : Matteo 5, 43-44; Luca 6, 27. - abbiano
la Vita del mio Regno. E, per guidarli a
questo mio Regno, tracciano
col loro sangue un segno che va dalla Terra
al Cielo, che splende, che chiama.
Soffrire? Morire? Cosa è? È l’attimo che
fugge. Mentre la vita eterna resta.
Nulla è quell’attimo di dolore rispetto al
futuro di gioia che le attende. Le
fiere? Le spade? Che sono? Benedette siano
esse che dànno la Vita.
Unica preoccupazione - poiché chi è santo lo è in tutto - di
conservare la
pudicizia. In quel momento, non della
ferita ma delle vesti scomposte hanno
cura. Poiché, se vergini non sono, sono
sempre delle pudiche. Il vero
cristianesimo dà sempre verginità di
spirito. La mantiene, questa bella purezza,
anche là dove il matrimonio e la prole han
levato quel sigillo che fa dei
vergini degli angeli.
Il corpo umano lavato dal Battesimo è
tempio dello Spirito di Dio. Non va dunque
violato con invereconde mode e inverecondi
costumi. Dalla donna, specie dalla
donna che non rispetta se stessa, non può
che venire una prole viziosa e una
società corrotta, dalla quale Dio si ritira
e nella quale Satana ara e semina i
suoi triboli che vi fanno disperare.»
Da “Vangeli della Fede”
AMDG et
BVM
È già un gran miracolo che i ciechi vedano...
MARTEDÌ 27 NOVEMBRE 2012. Da MiL
Roma. Chiesa di Gesù e Maria : la Santa Messa nel Rito Romano antico continuerà regolarmente ! L'attesa notizia nel giorno della festa della Medaglia Miracolosa !
" La Messa in rito tradizionale antico celebrata da circa trent’anni nella chiesa di Gesù e Maria in via del Corso a Roma, non sarà sospesa come si era temuto nelle scorse settimane.
Il cardinale vicario Agostino Vallini e il vescovo ausiliare mons. Zuppi, dopo aver incontrato i padri agostiniani ( scalzi ) a cui è affidata la chiesa, i sacerdoti dell’istituto di Cristo Re Sommo Sacerdote che vi celebrano la Messa e una rappresentanza dei fedeli che vi assistono regolarmente, hanno confermato che il rito tradizionale continuerà ad essere officiato.
A partire dall’ 8 dicembre la Santa Messa sarà celebrata a Gesù e Maria ogni domenica alle 9.30".
Da : Corrispondenza Romana
Nel giorno della festa della Medaglia Miracolosa ringraziamo la Santissima Vergine Maria , Salus Populi Romani, per questa attesa notizia !
" In questi giorni risplende la Medaglia Miracolosa,
come per richiamarci in modo visibile e tangibile che alla preghiera tutto è permesso, anche i miracoli, e soprattutto i miracoli.
In ciò sta la specialità magnifica della Medaglia Miracolosa, e noi abbiamo bisogno di miracoli.
È già un gran miracolo che i ciechi vedano...
Ma vi è un altro miracolo che dobbiamo domandare a Maria Regina della Medaglia, ed è che vedano quelli che non vogliono vedere"
(Pio XI, il 19 luglio 1931, in occasione del processo di beatificazione di Caterina Labouré)
Il cardinale vicario Agostino Vallini e il vescovo ausiliare mons. Zuppi, dopo aver incontrato i padri agostiniani ( scalzi ) a cui è affidata la chiesa, i sacerdoti dell’istituto di Cristo Re Sommo Sacerdote che vi celebrano la Messa e una rappresentanza dei fedeli che vi assistono regolarmente, hanno confermato che il rito tradizionale continuerà ad essere officiato.
A partire dall’ 8 dicembre la Santa Messa sarà celebrata a Gesù e Maria ogni domenica alle 9.30".
Da : Corrispondenza Romana
Nel giorno della festa della Medaglia Miracolosa ringraziamo la Santissima Vergine Maria , Salus Populi Romani, per questa attesa notizia !
" In questi giorni risplende la Medaglia Miracolosa,
come per richiamarci in modo visibile e tangibile che alla preghiera tutto è permesso, anche i miracoli, e soprattutto i miracoli.
In ciò sta la specialità magnifica della Medaglia Miracolosa, e noi abbiamo bisogno di miracoli.
È già un gran miracolo che i ciechi vedano...
Ma vi è un altro miracolo che dobbiamo domandare a Maria Regina della Medaglia, ed è che vedano quelli che non vogliono vedere"
(Pio XI, il 19 luglio 1931, in occasione del processo di beatificazione di Caterina Labouré)
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Santa Caterina
Labourè
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Santa Caterina e la Medaglia
Miracolosa
Ma dove e come ha avuto origine la
Medaglia miracolosa? Essa risale al 1830. La sua origine è veramente
meravigliosa. Si può dire che questa medaglietta è "miracolosa " già nel suo
nascere.
Siamo a Parigi. Ci troviamo nella Casa
Madre delle Suore di San Vincenzo de' Paoli e Santa Luisa de Marillac, le Figlie
della Carità. Nella Casa Madre c'è il Noviziato. Tra le novizie c'è un'umile
suora che si chiama Suor Caterina Labouré, oggi Santa. A quest'umile novizia, nascosta e sconosciuta, avverranno alcuni
dei fatti più straordinari che possono capitare a una creatura sulla terra: le
apparizioni della Vergine Immacolata. Perché a Suor Caterina? ... Perché proprio
a lei? ...
Perché era una Suora tanto umile, tanto
semplice, tanto angelica...
Questa risposta corrisponde alle divine
parole di Gesù: "Ti ringrazio, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché
hai tenuto nascoste queste cose agli intelligenti e ai sapienti e le hai
rivelate ai piccoli" (Lc 10,21).
La conferma più splendida della lode di
Gesù agli umili la troviamo nel comportamento di S. Caterina dopo i fatti
straordinari: ella seppe tenere nascosto il segreto delle apparizioni della
Madonna per ben 46 anni, ossia fino alla morte, rivelandolo soltanto al suo
confessore. A questi "piccoli" Dio dona le cose più grandi.
"Ecco un'altra Mamma!"
Fin da piccina, S. Caterina Labouré ebbe
nel Cuore una devozione così tenera e filiale verso la Madonna che quando le
morì la mamma, ella riunì i fratellini ai piedi di una statuina di Maria e disse
loro "Non abbiamo più la mamma: ecco un'altra Mamma!"
Era così che un tempo i genitori
cristiani educavano i figli e dalle famiglie cristiane fiorivano i
Santi.
La pia fanciulla era nata a
Fain-les-Moutiers, villaggio della Borgogna, il 2 maggio 1806. La famiglia era
molto buona: c'erano dieci figli; si viveva tutti in una grande fattoria.
Quando
Caterina aveva ancora dodici anni, e la mamma era già morta, dovette assumere la
direzione della casa perché la sorella maggiore entrava in convento a Parigi tra
le Figlie della Carità. Giudiziosa e sollecita,
la brava fanciulla non fece rimpiangere la sorella più grande. Attenta e
generosa, Caterina arrivava a tutto: sbrigava i lavori di casa, serviva il papà
e i fratelli, coltivava con fervore la sua pietà eucaristica e la sua devozione
alla Madonna.
Visse così, laboriosa e pura, fino alla
sua giovinezza. E si capiva che qualcosa di speciale maturava in lei, per il
fascino che esercitava con il suo candore e la sua umiltà. Ciò apparve evidente
quando le furono fatte diverse proposte di matrimonio, e la sua risposta fu
sempre una sola:
"Ho già trovato il mio sposo fin dal
giorno della prima Comunione, a Lui ho dato tutta me stessa". Anch'ella voleva
diventare la Sposa di Gesù tra le Figlie della Carità al servizio dei poveri e
dei sofferenti.
Finalmente, superati ostacoli
amarissimi, la pia giovane poté entrare nel noviziato delle Figlie della Carità,
a Parigi, in Rue du Bac. Era il 21 aprile 1830.
Non trovò nessuna difficoltà a vivere
una vita di sacrificio nella preghiera e nella mortificazione. Era così bene
allenata! E tutto ella era pronta a soffrire pur di diventare la Sposa sempre
vergine di Gesù: era il suo ideale di amore sublime e infinito. L'intuizione luminosa che ebbe -e che hanno solo i semplici
e i puri di cuore- fu quella di diventare degna Sposa di Gesù affidandosi alla
Madonna e ricopiando fedelmente le virtù della Celeste Vergine.
Ecco il proposito fondamentale scritto
da lei stessa con semplicità "Prenderò Maria per modello al principio delle mie
azioni, e penserò come Ella avrebbe fatto il dovere che sto per compiere".
Via via, intensificherà talmente la sua filiale
devozione alla Madonna, e ne scoprirà così in profondità il valore, soprattutto
per la gioventù, che la Madonna stessa, in una delle apparizioni, la incaricò di
organizzare un'associazione mariana per aiutare tutti a possedere la "perla
preziosa" (Mt 13,46) della devozione mariana.
Per questo, senza risparmio di prove e
di sofferenze, ella si impegnò e arrivò a fondare le "Figlie di Maria'
esclamando felice, con lo sguardo profetico rivolto al futuro "Come sarà bello
vedere Maria onorata da tutta la gioventù!"
Il fatto centrale di tutta la vita di S.
Caterina, però, fu e rimane sempre quello delle cinque apparizioni della Madonna
che le affidò la "Medaglia miracolosa" da diffondere nel mondo
intero.
Nel luglio e nel novembre del 1830
avvennero le due principali apparizioni della Vergine Santissima nella Cappella
del Noviziato. La prima delle due avvenne di notte. Avvertita dall'Angelo
Custode, S. Caterina si recò trepidante nella Cappella e andò a inginocchiarsi
ai piedi della Madonna che stava seduta al lato destro dell'altare. La Santa
poté poggiare le sue mani sulle ginocchia della Madonna e contemplare il Suo
celestiale volto. "In quel momento -scriverà poi- provai la gioia più dolce
della mia vita ".
Il colloquio durò più di due ore!
La seconda volta, S. Caterina ricevette dalla
Vergine la missione di far coniare la celebre "medaglia" che sarà giustamente
definita "miracolosa". La Madonna stessa le fece vedere il modello completo,
così come lo vediamo riprodotto sulle medagline. Le difficoltà e i travagli furono grandi prima di ottenere che
venisse coniata questa medaglina. Un'umile suora, ignorata da tutti, ricca
soltanto della povertà evangelica, come avrebbe mai potuto far coniare una
medaglia da produrre poi in quantità sempre maggiori, e da diffonderla nel mondo
intero?
La potenza di Dio risplende tanto più
gloriosa, quanto più impotenti sono le creature. E due anni dopo, il 30 giugno
1832, venivano coniati i primi 1500 esemplari della medaglina.
S. Caterina, così umile, così povera,
potette avere fra le mani la bella medaglina. Quanti baci e lacrime d'amore! E
con quale entusiasmo si applicò a diffonderla ovunque e a chiunque, certissima
delle parole della Madonna "Tutte le persone che porteranno la medaglia
riceveranno grandi grazie ". Tra gli operai e
gli ammalati, fra i soldati e i poveri, per oltre 40 anni, S. Caterina, la dolce
Figlia della Carità, fu apostola della Medaglia miracolosa fino alla sua beata
morte, che avvenne il 31 dicembre 1876.
Il suo corpo verginale riposa sotto
l'altare, nella cappella delle apparizioni, ai piedi della sua Regina
Immacolata. Nella ricognizione del corpo, le mani di S. Caterina che avevano
toccato la Madonna e i suoi occhi che l'avevano contemplata apparvero conservati
straordinariamente bene.
Notizie tratte dal sito
www.totustuus.org
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