martedì 25 settembre 2012

I roditori.



Sant'Agostino, per ovviare e distogliere dalla pestilenza della mormorazione, nel luogo dove prendeva i pasti teneva scritti questi versi:


"Quisquis amat dictis absentum rodere vitam.

Hanc mensam indignam noverit esse sibi";


che tradotto liberamente suona così:


"Nessuno qui osi mormorare di chi è assente; 
anzi, chi in questo pensasse di lasciarsi andare, 
procuri alzarsi dalla  mensa!";

oppure così: 

"C'è chi ama rodere con parole la vita degli assenti.
 Sappia costui di essere indegno di questa mensa!" 


E si racconta come trovandosi a tavola Agostino con alcuni suoi amici vescovi, e cominciando questi a parlare liberamente e dir male della vita altrui, subito li riprese, dicendo che se non smettessero di parlar male, lui avrebbe dovuto o cancellare quei versi o alzarsi da tavola. 


Questo significa avere coraggio! - "Signore, me ne andrò se non finite di parlar male".


Così dobbiamo fare, dice san Girolamo: "Se sentite qualcuno mormorare, fuggite da lui come da serpente e lasciatelo!"


Oh! ma si offenderà! - Non importa. E' per questo che dovete lasciarlo con la parola in bocca, e che rimanga con vergogna e così imparerà a parlare  un'altra volta.


Se poi tal modo sembrasse un po' duretto, o le persone fossero di molto rispetto, potrebbe bastare non far buon viso a quanto viene detto perché si capisca che non ci piace affatto ascoltare quel tipo di musica. 
Ed è questo un mezzo che ci suggerisce lo Spirito Santo nel libro dei Proverbi, cap. 25, vers. 23,  e nel Siracide cap. 28, vers. 28. 


AVE MARIA, VIRGO POTENS! 









                

lunedì 24 settembre 2012

“Maria Giglio della Trinità” : Domini Sacrarium, Templum et Complementum Totius Trinitatis!: IL CANTO DELLA TRINITÀ: Tacere… Pregare… Amare!

“Maria Giglio della Trinità” : Domini Sacrarium, Templum et Complementum Totius Trinitatis!: IL CANTO DELLA TRINITÀ: Tacere… Pregare… Amare!: A. Scarlatti   La Santissima Trinita' (1/6)

  Non c'è cosa più bella che vivere nella luce nello splendore e n...

Signora e Madre mia Maria della Mercede




<<O mia Signora e Madre mia
Maria della Mercede,
nel tuo cuore il Signore ha deposto
l’abbondanza della sua misericordia;
rivolgi su tutti noi il tuo sguardo materno.
Intercedi specialmente per quelli che soffrono,
sono angosciati o avvinti
da qualunque catena del corpo e dello spirito
perché siano forti e fedeli nella prova.

Io mi offro tutto a Te:
ti offro la mia mente, il mio cuore, i miei sensi
perché tu li custodisca e mi aiuti ad essere,
in ogni momento della vita,
strumento del divino amore in mezzo ai fratelli.
Ottienimi di diventare un figlio a Te devoto
e un fedele imitatore della generosità
con cui sapesti corrispondere alle grazie
del Redentore nostro, Gesù. 
Amen.>>








“A
TE
Clemente Pia
Dolce
VERGINE
DIVINA
CONSACRO
TUTTA
LA
VITA
CHE 
MI RESTA”



*
AVE MARIA!


Padre Pio - Sulla soglia del Paradiso - Personalità del santo di Pietrelcina, attraverso l'analisi dei suoi scritti...


Due esami grafologici

sui suoi scritti


Padre Pio - Sulla soglia del Paradiso - Trentacinquesimo appuntamento con la biografia che tratteggia un'inedita "storia di Padre Pio raccontata dai suoi amici: "Sulla Soglia del Paradiso" di Gaeta Saverio. Oggi scopriamo di più sulla personalità del santo di Pietrelcina, attraverso l'analisi dei suoi scritti...:



XIV

Personalità umana

Una scrittura che esprime bontà

Nella copiosa documentazione per il processo di canonizzazione fu presentato anche un esame grafologico realizzato nel 1984 dal professor Giuseppe Ziveri su alcuni scritti di Padre Pio redatti in un arco di tempo dal 1905 al 1950.

L'analisi ha evidenziato innanzitutto nel Padre «il segno sostanziale dell'altruismo in un effondersi continuo a bene degli altri» e lo ha descritto «ricco di immaginazione, delicato nel comportamento, amabile, fortemente intuitivo, di intelligenza qualitativamente superiore e acuta». Fra le doti attribuite al Padre, le principali erano «il senso di osservazione, di concentrazione e di intuito psicologico così intensi da riuscire a "penetrare" nella verità, scrutando in profondità nell'animo delle persone». Proseguiva la relazione del professor Ziveri: «Le lettere armoniche, gli spazi uguali, l'ordine e la regolarità presenti negli scritti giovanili stanno ad indicare una ricca vita interiore, equilibrio e delicatezza dei sentimenti, ottima apertura mentale e generosità. La continuità grafica rivela grande senso del dovere verso il prossimo e forte equilibrio interiore: una persona di parola con coscienza retta».

Le pulsioni grafomotorie lo fanno risultare «fortemente emotivo» e «paziente, mite e silenzioso, con notevole spirito di adattamento». Anche la gradazione dell'inclinazione destrorsa «convalida Padre Pio come un generoso che si lascia guidare spesso dal cuore, bisognoso di tanta tenerezza e amore; un amore che lui stesso profonde in maniera forte per tutto e per tutti».

Con l'avanzare dell'età, la grafia «rivela un graduale indebolimento fisico e un calo dell'energia psichica, che lo portano a visioni talvolta pessimistiche unite a senso di colpa. Questo, in antitesi con la velocità di scrittura che, aumentando con il passare degli anni, sta ad indicare vitalità, spontaneità, prontezza di riflessi e decisione». Sempre nella maturità, la grafia acquista tratti più marcati e impazienti, «rivelando un velo di diffidenza. Portato alla meditazione e alla commozione per amore, appaiono ora frequenti sbalzi di umore nel continuo dibattersi tra una forza ottimistica e momenti di tristezza profonda».

Alcuni anni più tardi un'altra analisi grafologica è stata preparata dalla dottoressa Daniela Torbidoni De Rosa, su incarico del professor Francesco Di Raimondo, il quale, nel volume L'esperienza di tin collaboratore medico, ne ha sintetizzato i risultati:

«L'analisi evidenzia, sin dall'età evolutiva, una personalità a due componenti. L'una è rivolta all'utilizzo delle proprie energie vitali per affrontare, anche in modo forte, i problemi esistenziali; l'altra è caratterizzata dall'oblatività come fattore primario di socializzazione, un'attenzione particolarmente sensibile all'animo umano che si manifesta con atti di conciliazione, di consiglio e di conforto».


Andando avanti nella vita di consacrato, «la sua grafia rivela un ridimensionamento delle pretese dell'Io, con prevalenza crescente dell'istanza a una vita spirituale elaborata e sostenuta con forza ed energia dal suo carattere. In particolare emerge la volitività con cui Padre Pio, con grande sofferenza, riesce a dominare la sua naturale impulsività, garantendo a se stesso la linearità di un comportamento di fedeltà e obbedienza ai principi etici e religiosi abbracciati».


***



Ecco un altro referto che ci pare più profondo, e che deriva dalla scuola grafologica 'morettiana'.

<<Totalmente diversa è la struttura di personalità che ha accompagnato un altro grande mistico, Padre Pio da Pietralcina, che ha dovuto arrendersi a qualcosa di meno gratificante per un uomo: la perdita del controllo mentale su di sé.

Scrittura: Padre Pio

Questo grafologicamente è facilmente intuibile dal fatto che nella sua scrittura esistono molti segni di espressione diretta di tendenze della personalità su cui non è possibile compiere alcun lavoro mentale di smistamento o separazione di parti a favore di altre. Qui tutta la personalità è qualcosa che non accetta nessuna mediazione, né aggiustamenti mentali o volitivi, per i segni: Slanciata in forte grado che pretende l’espressione immediata di ciò che sente a livello di sentimento; assenza completa di larghezza tra parole, quindi nessuna mediazione del pensiero critico; Aste con il concavo a destra in modo spiccatissimo, quindi nessuna possibilità di giocare all’imposizione su di sé tramite la forza di carattere; Filiforme in alto grado, che segnala la presenza di una sensibilità talmente sottile nel percepire correnti impalpabili, per cui sente tutto su di sé e risponde a tutto senza mediazioni.


L’unico arresto visibile nella scrittura di Padre Pio è quello dato dagli stacchi frequenti, dal tentativo di analisi su se stesso e su ciò che ha vissuto con quell’intensità. Ma lo stacco è solo una pausa, un tentativo di rendere meno irruente il suo percorso; non è una facoltà intellettiva come il Largo tra parole, che sostiene la mente tramite la ponderazione.



Quindi Padre Pio non ha potuto che esprimere se stesso con questa assolutezza e questa assenza totale di mediazioni mentali, vale a dire di manipolazione da parte della personalità in modo da poter presentare se stesso – tramite la selezione di parti all’interno di sé – in modo più corretto, più logico, più rifinito sotto tutti i punti di vista.

Al di fuori infuriava la polemica: era un santo o un isterico, se non addirittura un volgare approfittatore della credulità altrui? E dentro di lui c’era lo stesso, inquietante interrogativo: cosa ha a che fare con Dio, che è anche Mente logica, Mente razionale, il mio percorso?


Per Padre Pio nessuna mediazione o manipolazione mentale era possibile su di sé: questo sono io nella mia totalità, non riesco a discriminare parti di me a favore di altre parti di me, perché nella mia struttura di personalità ho troppi segni di apertura e di cessione per fare questo. La mia esperienza mistica non può che essere l’accettazione totale; altrimenti io non ho gli strumenti né mentali né di forza di carattere per percorrere questa strada.



Ma si può comprendere anche quale angoscia possa generare nella personalità un percorso così al buio (della luce della mente), per cui non si sa nemmeno esattamente se si sta andando nella direzione del Cielo o dell’inferno.

Riguardo a questo scriveva: “Preferirei mille croci, anzi ogni croce mi sarebbe dolce e leggera se non avessi questa prova, di sentirmi cioè sempre nell’incertezza di piacere al Signore nelle mie operazioni.”
La riabilitazione della Chiesa lo sollevò appena da questo stato di angoscia.>>

“Tu es, Deus, fortitudo mea”






S. Nicola di Flue,venerato in Svizzera come «padre della patria» : «Custodite nel vostro cuore il ricordo della passione del Signore»


La storia del santo: S. Nicola di Flue

1417-1487, canonizzato il 15 maggio 1947
festa 25 settembre

Già mentre era ancora in vita Nicola fu considerato, dentro e fuori i confini della piccola nascente Svizzera, il santo della sua terra, un «profeta in patria». Per i suoi compatrioti, che non ebbero difficoltà a riconoscere in lui un saggio, un artefice di pace e un inviato di Dio, egli fu soprattutto uno di loro, un loro fratello: Bruder Klaus.

Nicola fu un montanaro dell’Unterwald e un attivo cittadino della giovane Confederazione degli otto Cantoni della Svizzera centrale, ma per la sua esperienza spirituale appartiene alla famiglia dei grandi mistici della Chiesa universale. I suoi contemporanei non si sbagliarono in questo e furono assai più colpiti da quanto emanava dalla sua persona che dal digiuno assoluto che egli osservò negli ultimi 20 anni della sua vita. Pur avendo conosciuto alcune delle opposizioni che inevitabilmente incontrano tutti coloro che prendono sul serio le parole del vangelo, la sua lotta fu sostanzialmente quella che tutti gli uomini alla ricerca di Dio conducono contro le oscurità, i dubbi e le contraddizioni che si manifestano dentro di loro. Così, rifiutandosi di circoscrivere la sua avventura umana nei limiti propri dell’uomo, Nicola si lasciò trascinare da Dio fino alla totale rinuncia di se stesso, con una progressione la cui originalità e austerità rimangono ancora oggi incomprensibili a molti. 


Un uomo che non sapeva né leggere né scrivere divenne così la più alta coscienza morale e spirituale del suo paese. Il suo radicale impegno in una vita di solitudine e di preghiera mise in evidenza come ogni alleanza umana, per essere solida, debba radicarsi nella pace che viene soltanto da Dio, poiché, come il santo amava ricordare, «Dio è la pace, e questa pace non potrà mai essere distrutta».


Nicola nacque nel marzo del 1417 nel piccolo abitato di Flùeli, sopra Sachseln, nella regione dell’Obwald. Nello stesso anno, l’11 novembre, il concilio che si svolgeva a Costanza, capoluogo della diocesi, poneva fine al grande scisma d’Occidente, suscitando speranze di riforma che sarebbero state però di breve durata.

Nella nuova costruzione europea che lentamente andava sostituendosi alla feudalità, la piccola Confederazione elvetica era alla ricerca di una propria identità e di un proprio ruolo all’incrocio delle grandi vie commerciali d’ Europa. Le comunità montane e le borghesie cittadine erano interessate alla prosperità derivante dallo sviluppo dei traffici commerciali, ma le loro divergenti ambizioni politiche creavano antagonismi che giungevano spesso al limite della rottura. La vocazione di Nicola e il suo cammino alla ricerca di Dio si collocano dunque in un’epoca e in una terra attraversate da gravi crisi. Con la sua preghiera, l’influenza della sua presenza, la pace interiore che irradiava come risultato del suo abbandono a Dio, Nicola ottenne che comunità rivali e divise da interessi economici e politici giungessero ad accettarsi e a convivere su un piano di solidarietà.

Il cammino di Nicola presenta qualcosa di sconcertante.
Cinquantenne, laico, sposato da venti anni e padre di dieci figli, ex soldato, contadino rispettato che poteva ritenersi pago del suo stato, magistrato e giudice impegnato negli affari del suo Cantone (ma che aveva abbandonato la carica per non essere riuscito a ottenere l’abolizione di una sentenza da lui ritenuta ingiusta), Nicola si lasciò condurre dalla chiamata di Dio là dove non avrebbe mai pensato di arrivare. La decisione presa fu il risultato di una lotta interiore, circa la quale egli fu sempre molto discreto: essa dovette pero essere dura, poiché Nicola la paragonò alla «lima che purifica e al pungolo che stimola».
Un giorno, mentre pregava per chiedere a Dio la grazia di una fervida adorazione, vide una nuvola dalla quale uscì una voce che gli ordinò di abbandonarsi interamente alla volontà divina. Comprese allora che Dio, desiderando portare a termine in lui l’opera che aveva iniziato, lo invitava ad abbandonare la sua terra, i beni e la famiglia, per poter giungere fino a Lui. Egli chiese allora tre grazie: ottenere il consenso della moglie Dorotea e dei figli più grandi (il maggiore aveva allora 20 anni e poteva diventare capofamiglia, ma l’ultimo nato era di appena 13 settimane), non provare in seguito la tentazione di tornare indietro e infine, se Dio lo avesse voluto, poter vivere senza bere e mangiare. Tutte le sue richieste furono esaudite. 
Il 16 ottobre 1467, nella festa di S.Gallo, dopo aver salutato definitivamente Dorotea che egli avrebbe chiamato sempre «sua carissima sposa» e i figli, si pose in cammino, pellegrino dell’assoluto, «quasi volesse andare da solo nella miseria», come osservò Heini am Grund, un parroco delle vicinanze che sarebbe diventato suo confidente e amico. Voleva forse raggiungere una delle comunità degli «Amici di Dio» (Gottesfreunde) che fiorivano allora in Alsazia? È possibile, ma di fatto non arrivò oltre la piccola città di Liestal, nel cantone di Basilea: un contadino, al quale aveva parlato dei suoi progetti, lo persuase che in nessun luogo Dio lo voleva al suo servizio che non fosse in mezzo ai suoi. Umilmente Nicola accolse quel discorso come un segno. 

La notte successiva, mentre stava per addormentarsi, «vennero dal cielo una luce e un raggio che gli trafissero le viscere, come se un coltello lo avesse colpito». Sconvolto, ritornò con discrezione nei luoghi da cui era venuto, e decise di vivere in solitudine sullo scosceso prato del Ranft, all’estremità della foresta, in una valletta non lontana da casa sua. Dimorò in quel luogo per venti anni, abitando in una piccola cella fatta di assi, alla quale gli abitanti del villaggio aggiunsero ben presto una cappella.

Cosi, sorvegliato e protetto, Nicola si trovò a vivere nel deserto pur in mezzo ai suoi. 

Nulla lasciava allora immaginare il ruolo che avrebbe ben presto svolto a vantaggio del suo paese. Colpiti dalla fama della sua santità e anche dal suo digiuno assoluto (si nutriva solo dell’eucarestia, come fu verificato) ben presto molti ricorsero a lui per averlo come consigliere o arbitro. Fu grazie a questi incontri e a qualche breve lettera dettata alle autorità che lo avevano consultato, che Nicola trasmise il suo messaggio politico, che era quello di un operatore di pace secondo il vangelo. 

Per lui «in tutte le cose la misericordia vale più della giustizia», ed essa costituisce il miglior cemento per unire città e stati fra di loro. Nicola pone in guardia contro lo spirito di conquista, di guadagno e di possesso che genera solo risentimenti e conflitti. A lui, come ad estrema speranza, ricorse in tutta fretta Heini am Grund la notte fra il 21 e il 22 dicembre 1481 per cercare una parola di riconciliazione che potesse sia pure all’ultimo momento evitare una guerra fratricida fra i confederati. Senza l’intervento di Bruder Klaus la Confederazione elvetica non sarebbe sopravvissuta ai contrasti che allora la laceravano, e per questo Nicola è unanimemente venerato in Svizzera come «padre della patria», l’uomo che ne ha salvato le fondamenta nel momento più critico. «Sforzatevi di essere ubbidienti gli uni verso gli altri», scrisse alle autorità di Berna il 4 dicembre 1482, e aggiunse: «Custodite nel vostro cuore il ricordo della passione del Signore», rivelando così l’intima fonte della sua unione a Dio.
A un visitatore che gli chiedeva: «Come si deve meditare sulla passione del Signore?» Nicola rispose: «È buona qualunque via tu voglia scegliere», ma subito precisò: «Dio sa rendere la preghiera così dolce per l’uomo che questi vi si immerge come se andasse a ballare. Ma Dio sa anche far si che essa sia per lui come una lotta». E ripeté davanti al suo ascoltatore allibito: «Sì! Come se andasse a ballare!» 

Un altro eremita, venutosi a stabilire nelle vicinanze, avrebbe detto ammirato di Nicola: «Il mio compagno ha ormai varcato il Giordano. Io, miserabile peccatore, ne sono ancora al di qua».


Nicola è «passato in Dio». Autentico mistico, nella sua solitudine si ritrova nel cuore del mondo, testimone di quella presenza divina da cui è irradiato. Non stupisce allora che non abbia più avuto bisogno di nutrimento, che la sua mirabile sposa abbia, condividendone la fede, accettato la sua assenza come compimento di una vocazione; che i suoi compatrioti l’abbiano chiamato «fratello» e che forze politiche pronte ad affrontarsi abbiano trovato alla sua scuola un modo di vivere in comunione di intenti nel rispetto delle reciproche libertà. 

Quello di Nicola fu il cammino di un’avventura interiore senza ritorno. Egli non conosce spiegazioni o distinzioni erudite: la sua conoscenza di Dio è quella del cuore, intima, non trasmissibile. Egli sa tradurre la sua esperienza spirituale solo nel linguaggio dei «sogni» simbolici, i cui elementi sono tratti dalle fonti bibliche e dagli archetipi e dalle tradizioni delle sue montagne. Nicola li confida solo ad alcuni amici particolarmente discreti, che li riferiranno dopo la sua morte.


Nel suo ritiro del Ranft, in una data che si può collocare fra il 1474 e il 1478, l’eremita ricevette da Dio una visione così intensa da restarne come annientato. Da allora, come confermano alcune testimonianze, «tutti coloro che lo avvicinavano erano presi da timore. Egli affermava di aver visto una volta una luce che lo aveva trafitto e nella quale si mostrava un volto d’uomo. Di fronte a questa visione aveva pensato che il suo cuore sarebbe scoppiato. Preso da spavento, aveva distolto lo sguardo e si era gettato a terra».

Quando Nicola, che non sapeva leggere, voleva mostrare il suo libro di meditazione, presentava una figura disegnata al centro di una grande ruota, dalla quale partivano dei raggi che rappresentavano le vie di abbassamento e di misericordia scelte da Dio per venire fino a noi, i diversi cammini di umiltà - l’incarnazione, la passione, i sacramenti - che ci rivelano la grandezza e la tenerezza divina. «Nicola - annoterà un visitatore - deve aver appreso alla scuola dello Spirito Santo questa figura della ruota che egli fece dipingere nella sua cappella e nella quale brilla lo specchio risplendente di tutta la divinità».
Nicola di Flùe morì nel suo eremo il 21 marzo 1487, all’età di 70 anni. Il suo culto fu approvato da Clemente IX nel 1669. Venne canonizzato nel 1947 da Pio XII, che lo proclamò patrono della Svizzera. La più antica raffigurazione di Nicola è del 1492, cinque anni solamente dopo la sua morte. Il quadro fu commissionato per l’altare della chiesa di Sachseln, dove è sepolto. Nicola è raffigurato in piedi, scalzo, vestito del panno grezzo dei pellegrini e con il rosario in mano. La statua più antica, del 1504, oggi al municipio di Stans, conferma questa immagine del santo, ormai entrata nell’iconografia tradizionale.


Per ulteriori informazioni e meditazioni sulla vita del santo consigliamo di visitare il sito di "Saint Nicolas de Flüe" (solo in lingua francese).




Teologia 

San Nicolao contemplava il simbolo della ruota a sei raggi, che raffigurava l'attività interna (ad intra) della Trinità e l'attività esterna (ad extra). Un pellegrino che fece visita al santo così ne descrive la spiegazione che l'eremita gli diede.
« Se non ti dispiace, disse Nicola al pellegrino, ti farò anche vedere il mio libro; lì sopra studiò, e cercò l'arte di questa dottrina. Egli mi portò una figura disegnata come una ruota a sei raggi. (qui il pellegrino disegna due ruote concentriche, l'una circa tre volte più grande dell'altra, unite tra loro da sei angoli, tre diretti verso la ruota interna, e gli altri tre, che si alternano con i precedenti, diretti verso la ruota esterna). La sollevò e mi disse: Vedi questa figura? Così è l'Essenza divina. Allora cominciò a spiegarla con una sicurezza ed una dolcezza incomparabili. Vedi questa figura? Al centro è l'essenza divina, la Divinità indivisa, in cui si rallegrano tutti i santi. Le tre punte che vanno verso il cerchio interno, sono le tre Persone: esse escono dall'unica divinità, abbracciano il cielo ed anche il mondo intero, che dipendono dalla loro potenza. E come escono con una forza divina, così rientrano; ed esse sono unite, e inseparabili in eterna potenza. Ecco il significato di questo disegno. Ora, ti parlerò anche della pura ancella Maria, che è una regina del cielo e della terra. Ella è stata prevista dalla divina Sapienza. Fu investita da questa divina Sapienza dal momento in cui Dio decise di crearla. È stata dapprima concepita nel pensiero del Dio altissimo, prima di esserlo nel seno della sua propria madre. E tutta la grazia che le era destinata in anticipo è entrata in lei come un potente aiuto nel momento in cui fu concepita. Per questo è pura, delicata e immacolata. Quindi la virtù dell'Altissimo è uscita, l'ha avvolta, l'ha colmata con forza dello Spirito Santo. Vedi, nella ruota, il raggio che parte dal cerchio interno: è largo all'interno, e termina con una punta; ora, secondo il significato e secondo la forma dei raggi, immaginati il Dio onnipotente: egli copre e abbraccia tutti i cieli; tuttavia, come un fanciullino, ecco che egli entra nella Vergine altissima e nasce da lei senza rompere la sua verginità. Ed ecco che il suo corpo delicato, ce lo ha dato come nutrimento, unito alla divinità che ne è inseparabile. Guarda questo altro raggio che è anche lui largo vicino al cerchio interno e piccolo contro il cerchio esterno, all'infuori: così la grande potenza del Dio onnipotente è contenuta sotto le apparenze della piccola ostia. Ed ora osserva l'ultimo raggio della ruota, che è anche esso largo vicino al cerchio interno e piccolo verso l'esterno: è il simbolo della nostra vita, breve e passeggera. In questo breve tempo, potessimo noi con l'amore divino meritare una gioia indicibile che mai avrà fine. Ecco il significato della mia ruota. »


*

AVE MARIA!

REGINA SANCTORUM OMNIUM, o.p.n.