Cristina fa parte di quel gruppo di sante martiri, la cui morte o i supplizi
subiti si imputano ai padri, talmente snaturati e privi di amore, da infliggere
a queste loro figlie i più crudeli tormenti e dando loro la morte, essi che
l’avevano generate alla vita.
Sono un po’ interdetto davanti a questi casi,
come ad esempio per s. Barbara, perché credo che sia frutto di tradizioni
agiografiche di un tempo lontano, in cui si intendeva impressionare il devoto
con racconti forti.
Da scavi archeologici eseguiti fra il 1880 e il 1881
nella grotta situata sotto la Basilica di Santa Cristina a Bolsena, si è
accertato che il culto per la martire era già esistente nel IV secolo; dal fondo
della grotta-oratorio si apre l’ingresso alle catacombe, che contengono una sua
statua giacente in terracotta dipinta e il sarcofago dove furono ritrovate le
reliquie del corpo della santa.
Al tempo dell’imperatore Diocleziano
(243-312) la fanciulla di nome Cristina, figlia del ‘magister militum’ di
Bolsena, Urbano, era stata rinchiusa dal padre insieme con altre dodici
fanciulle, in una torre affinché venerasse i simulacri degli dei come se fosse
una vestale.
Ma l’undicenne Cristina in cuor suo aveva già conosciuto ed
aderito alla fede cristiana, si rifiutò di venerare le statue e dopo una visione
di angeli le spezzò.
Invano supplicata di tornare alla fede tradizionale, fu
arrestata e flagellata dal padre magistrato, che poi la deferì al suo tribunale
che la condannò ad una serie di supplizi, tra cui quello della ruota sotto la
quale ardevano le fiamme.
Dopo di ciò fu ricondotta in carcere piena di
lividi e piaghe; qui la giovane Cristina venne consolata e guarita
miracolosamente da tre angeli scesi dal cielo.
Risultato vano anche questo
tentativo, lo snaturato ed ostinato padre la condannò all’annegamento, facendola
gettare nel lago di Bolsena con una mola legata al collo.
Prodigiosamente la
grossa pietra si mise a galleggiare invece di andare a fondo e riportò alla riva
la fanciulla, la quale calpestando la pietra una volta giunta, lasciò (altro
prodigio) impresse le impronte dei suoi piedi; questa pietra fu poi trasformata
in mensa d’altare.
Di fronte a questo miracolo, il padre scosso e affranto
morì, ma le pene di Cristina non finirono, perché il successore di Urbano, il
magistrato Dione, infierì ancora di più.
La fece flagellare ma inutilmente,
poi gettare in una caldaia bollente piena di pece, resina e olio, da cui
Cristina uscì incolume, la fece tagliare i capelli e trascinare nuda per le
strade della cittadina lagunare, infine trascinatala nel tempio di Apollo, gli
intimò di adorare il dio, ma la fanciulla con uno sguardo fulminante fece cadere
l’idolo riducendolo in polvere.
Anche Dione morì e fu sostituito dal
magistrato Giuliano, che seguendo i suoi predecessori continuò l’ostinata opera
d’intimidazione di Cristina, gettandola in una fornace da cui uscì ancora una
volta illesa; questa fornace chiamata dal bolsenesi ‘Fornacella’, si trova a
circa due km a sud della città; in un appezzamento di terreno situato fra la
Cassia e il lago, nel Medioevo fu inglobata in un oratorio
campestre.
Cristina fu indomabile nella sua fede, allora Giuliano la espose
ai morsi dei serpenti, portati da un serparo marsicano, i quali invece di
morderla, presero a leccarle il sudore, la tradizione meno realistica della
leggenda, vuole che i serpenti si rivoltarono contro il serparo mordendolo, ma
Cristina mossa a pietà, lo guarì.
Seguendo le ‘passio’ di martiri celebri
come s. Agata, la leggendaria ‘Passio’ dice che Giuliano le fece tagliare le
mammelle e mozzare la lingua, che la fanciulla scagliò contro il suo persecutore
accecandolo. Infine gli arcieri, come a s. Sebastiano, la trafissero mortalmente
con due frecce.
Questo il racconto leggendario della ‘Passio’ redatta non
anteriore al IX secolo, il cui valore storico è quasi nullo, precedenti ‘passio’
greche sostenevano che Cristina, il cui nome latino significa “consacrata a
Cristo”, fosse nata a Tiro in Fenicia, ma si tratta di un errore dovuto al fatto
che la prima ‘passio’ fu redatta in Egitto e che per indicare la terra degli
Etruschi chiamati Tirreni dai Greci, si usava l’abbreviazione ‘Tyr’ interpretata
erroneamente come Tiro.
Le reliquie ebbero anche loro un destino avventuroso,
furono ritrovate nel 1880 nel sarcofago dentro le catacombe poste sotto la
basilica dei Santi Giorgio e Cristina, chiesa risalente all’XI secolo e
consacrata da papa Gregorio VII nel 1077.
Le reliquie del corpo, anzi di
parte di esso sono conservate in una teca, parte furono trafugate nel 1098 da
due pellegrini diretti in Terrasanta, ma essi giunti a Sepino, cittadina
molisana in provincia di Campobasso, non riuscirono più a lasciare la città con
il loro prezioso carico, per cui le donarono agli abitanti.
Questo l’inizio
del culto della santa molto vivo a Sepino, le reliquie costituite oggi solo da
un braccio, sono conservate nella chiesa a lei dedicata; le altre reliquie
furono traslate tra il 1154 e 1166 a Palermo, che proclamò la martire sua
patrona celeste, festeggiandola il 24 luglio e il 7 maggio; la devozione durò
almeno fino a quando non furono “scoperte” nel secolo XVII le reliquie di santa
Rosalia, diventata poi patrona principale. A Sepino, s. Cristina viene ricordata
dai fedeli ben quattro giorni durante l’anno
A Bolsena, s. Cristina viene
festeggiata con una grande manifestazione religiosa, la vigilia della festa il
23 luglio sera, nella oscurata piazza antistante la basilica, viene portato in
processione il simulacro della santa posto su una ‘macchina’ a forma di
tempietto, contemporaneamente sulla destra del sagrato si apre il sipario di un
palchetto illuminato, dove un quadro vivente rappresenta in silenzio una scena
del martirio e ciò si ripete in ogni piazza e su altrettanti piccoli palchi dove
giunge la processione; la manifestazione è chiamata “I Misteri di s.
Cristina”.
La processione cui partecipa una folla di fedeli, si svolge per
strade e piazze di Bolsena, finché arriva in cima al paese nella Chiesa del
Santissimo Salvatore, lì la statua si ferma tutta la notte e la mattina del 24,
giorno della festa liturgica di s. Cristina, si riprende la processione di
ritorno con le stesse modalità e giungendo infine di nuovo nella Basilica a lei
dedicata.
I “Misteri” sono una manifestazione religiosa che sin dal Medioevo,
onora alcuni santi patroni in varie città d’Italia specie del Centro.
Bisogna infine qui ricordare che la Basilica di S. Cristina possiede l’altare che come già detto è formato dalla pietra del supplizio della martire e che proprio su quest’altare nel 1263 un sacerdote boemo, che nutriva dubbi sulla verità della presenza reale del Corpo e Sangue di Gesù nell’Eucaristia, mentre celebrava la Messa, vide delle gocce di sangue sgorgare dall’ostia consacrata, che si posarono sul corporale e sul pavimento, l’evento fu riferito al papa Urbano IV, che si trovava ad Orvieto, il quale istituì l’anno dopo la festa del Corpus Domini.
La ‘passione’ di santa Cristina ha costituito un soggetto privilegiato da parte degli artisti di ogni tempo, come Signorelli, Cranach, Veronese, Dalla Robbia, i quali non solo la rappresentarono in scene del suo martirio con i suoi simboli, la mola, i serpenti, le frecce, ma arricchirono con le loro opere di pittura, scultura e architettura, la basilica a lei dedicata, maggiormente dopo avvenuto il miracolo eucaristico.
Autore: Antonio Borrelli
"AVE MARIA!"