giovedì 8 marzo 2012

SINTESI DELLA VITA DEL SANTO PATRIARCA SAN GIUSEPPE


ANIME BELLE 

ECCO UNA BREVE VITA DI 

SAN GIUSEPPE 

CONOSCENDOLO L'AMEREMO DI PIU'...



SINTESI DELLA VITA
DEL SANTO PATRIARCA
S A N   G I U S E P P E

     San Giuseppe, sposo della Santissima Vergine, e in certo senso padre del Salvatore del mondo, nacque in Giudea verso gli anni quaranta prima della nascita di Cristo.

Non si sa con certezza il luogo della sua nascita;  però è probabile che fosse Nazareth, piccolo centro della Galilea inferiore, dove il Santo domiciliava. Era della tribù di Giuda, e della famiglia reale che aveva regnato da Davide fino alla cattività di Babilonia. Suo padre naturale fu Giacobbe, coma scrive san Matteo cap. 1; e il padre legale fu Heli, come sembra dire san Luca cap. 3. Sua madre fu la nobilissima e illustre matrona Abigail; e così essendo Giacobbe ed Heli fratelli, e morendo Heli senza figli, Giacobbe prese per sposa ad Abigail, e da lei ebbe San Giuseppe che, per disposizione della legge, era considerato come figlio di Heli. 
Così ritengono Sant’Agostino e l’angelico Dottore San Tommaso.

     Alcuni autori credono che San Giuseppe nacque lo stesso anno della intronizzazione di Cesare Augusto, anno che, come riferiscono Plinio e Seneca, fu memorabile per un meraviglioso fenomeno. Un mattino il sole sorse coronato da stelle disposte in forma di spighe di grano, cinte da un arcobaleno. Un tale prodigio non era puramente naturale;  e permettendolo così la divina Provvidenza, sembra che volesse manifestare i disegni del suo amore e misericordia con gli uomini. I romani auspicarono da quel segno la grandezza del regno di Augusto; però noi, se è vera tale storia, possiamo credere che presagiva la nascita del nostro Santo Patriarca, arcobaleno che annunciava al mondo morale la riconciliazione del cielo con la terra, e di Dio con gli uomini.

     Suo nonno fu Matan, fratello di Bar-panter, che fu nonno della Santissima Vergine Maria. Da qui si deduce che San Giuseppe e la Vergine nostra Signora furono cugini di secondo grado ed entrambi discendenti per linea diretta della casa reale di Davide.

     I sacri interpreti delle parole di San Matteo, Jacob generò Giuseppe sposo di Maria, si chiedono perché mai si riporta la genealogia di Cristo nostro Signore citando quella di San Giuseppe, quando nostro Signore è figlio di Maria Santissima e non del santo Patriarca. La motivazione che danno è che le donne ebree, rimanendo orfane ed ereditando i beni dei genitori – perché questi beni rimanessero nella tribù- dovevano, secondo la legge dei Numeri, eleggere lo sposo nella loro stessa tribù e stirpe; ora San Gioacchino, padre di Maria Santissima, non avendo avuto figli maschi, dovette sposarla con un uomo della sua propria famiglia, e questi fu San Giuseppe: perciò la genealogia del santo Patriarca è quella della Vergine e conseguentemente  quella di Cristo nostro Signore.  
Inoltre, secondo alcuni, San Giuseppe era erede dello scettro di Giuda,  il quale, non solo per promessa e donazione di Dio, bensì per diritto ereditario di successione passò a Cristo tramite  Giuseppe: perché così come il santo Patriarca aveva su Cristo, secondo la legge, e finanche praticamente esercitava tutti i diritti che hanno i genitori sui figli, allo stesso modo Cristo nostro Signore aveva su San Giuseppe tutti i diritti legali che spettano ai figli in ragione del titolo dei loro padri, e così aveva diritto al regno giudaico dopo la sua morte. Quanti sostengono per San Giuseppe e per Cristo questo diritto al regno temporale, vedono una prova di ciò nelle parole dei santi Magi, che chiedendo di adorare e fare gli onori al neonato Re dei giudei, dicevano: Dov’è Colui che è nato Re dei giudei?  Ed anche pare che volle il Signore, a più grande onore del padre putativo San Giuseppe, gloriarsi del titolo di Re dei giudei, facendolo porre in alto sulla croce sul suo capo: Jesus Nazarenus Rex Judeorum.   

 Teologi di autorità, tra cui Gersone e san Pietro Canisio, affermano che si può piamente credere che San Giuseppe sia stato santificato nel seno materno. Il grande Gersone espose quest’incomparabile privilegio del nostro santo protettore in un sermone che tenne a Costanza in occasione  del concilio, e non risulta che i Padri reclamassero contro questa sentenza. 

–“E allora: forse che non sembra conforme alla grandezza del mistero dell’ Incarnazione l’affermare che San Giuseppe abbia avuto il privilegio che ebbe il Battista, e che Dio abbia voluto glorificare in questi due uomini scelti la sublime missione che segnalava a uno come precursore e all’altro, come padre putativo del suo santissimo Figlio?”

     Secondo la legge fu circonciso all’ottavo giorno dalla nascita, e i suoi genitori, c’è da credere che fu per ispirazione del cielo, gli dettero l’ammirabile e alto nome di Giuseppe, che significa aumento.

     Alcuni ritengono, con più o meno fondamento, che a tre anni d’età fu dotato di scienza infusa; altri più arditamente dicono che sui sette anni fu adornato e arricchito con tutte le scienze divine e umane; secondo Sant’Agostino, fu eminente teologo; San Crisostomo dice che penetrò i misteri della Bibbia; San Tommaso pensa che possedette perfettamente le scienze; San Dionisio,  che scrutò tutte le facoltà che abbracciano le scuole; e Sant’Ambrogio dice che raggiunse tutte le arti liberali e la storia orientale e intraprese ogni meccanica, anche se  quella che più esercitò – per il sostentamento del suo divin Figlio e della castissima Sposa, - fu la carpinteria, per alta disposizione dell’Altissimo.

     che diremo delle virtù di colui che avendo meritato essere chiamato nel Vangelo uomo giusto, fu destinato quale sposo della più santa tra le pure creature, e quale padre putativo, guida e guardiano del Redentore del mondo?  Fin dai più teneri anni risplendettero in lui tutte le virtù, come conveniva a chi era stato scelto da Dio stesso tra tutti gli uomini, perché disimpegnasse gli incarichi più sublimi e grandiosi che il cielo possa affidare a un mortale.  Viveva elevato in altissime contemplazioni, mostrando in tutto uno spirito angelico e una santità singolare, dal momento che la sua esteriore modestia e compostezza indicavano il colmo della grazie che arricchivano la sua anima;  era d’un carattere molto tranquillo, di volto sereno e modesto senza affettazione; d’animo umile; di poche e gradevoli parole; la sua conversazione modesta, senza risate, senza perturbazione e senza ira; era cortese, affabile e affettuoso, e in tutto e per tutto un modello delle maggiori perfezioni: grande fede, grande speranza e grandissima carità, verginale e celestiale purezza, perfettissima obbedienza, straordinaria semplicità, singolare prudenza, meravigliosa fortezza e costanza, incredibile pazienza e mitezza, attenta vigilanza e provvidenza sollecita.

     Oltre alla bellezza dell’anima, il Signore volle arricchirlo altresì con le maggiori perfezioni e bellezza esteriore, perché la sua immagine e le sue perfezioni dovevano essere come un abbozzo o modello, secondo il quale lo Spirito Santo nel seno della Santissima Vergine,  come dice l’Isolano, avrebbe formato la bellissima umanità di Cristo.

     Quali prove avevano, si chiede il dottissimo Salmeròn, quanti arrivavano a conoscere e trattare Cristo, per conoscerlo e trattarlo, senza alcun dubbio, come il figlio di Giuseppe?  E risponde,  che non era piccola prova una somiglianza tanto grande in fattezze , genio e costumi, che Gesù, come se San Giuseppe l’avesse realmente generato,  era nel volto, nel genio e nei costumi un ritratto perfezionato del santo Patriarca.  Quindi se Cristo Signore nostro fu il più bello dei figli degli uomini, e tutte le sue perfezioni erano le stesse di San Giuseppe, perché in tutto fu somigliante a suo padre putativo, si deve dedurre che questi (San Giuseppe) era nel suo corpo bello e perfetto come nessun altro tra i figli degli uomini.

     Né il Vangelo né altra scrittura autentica rivelano quanti anni  visse San Giuseppe, né quando egli morì; ciò che si ritiene per certo è che era già morto al tempo della passione del Signore; perché se ancora vivesse, a nessun’altra persona  Cristo avrebbe affidato dalla croce la sua Santissima Madre.

     Il corpo di San Giuseppe fu sepolto, come dice Beda, nella valle di Giosafat.(…).








***I tre colori dello scapolare di San Giuseppe simboleggiano le principali virtù del Santo; il giallo la sua giustizia e santità, àurea justitia, il viola la sua umiltà, e il bianco la sua purezza. Vi è l’immagine del Santo col Divino Bambino in braccio e il giglio. Ai piedi dell’immagine  c’è l’iscrizione: “San Giuseppe, Protettore della Chiesa, prega per noi”.  All’altra estremità c’è lo stemma pontificio con le parole: “Lo Spirito del Signore è la sua guida.”
     Non soltanto nella sua festa ma sempre guardiamo al castissimo Sposo Giuseppe che a tutti  ci è di esempio nell’assecondare con amore, con purezza, con fede e perseveranza il disegno di Dio. Voglia il cielo che anche in noi fioriscano quelle virtù che tanto lo hanno reso perfetto nell’adempimento del suo provvidenziale disegno.
Affidiamoci alla sua potente protezione, e imitiamolo nella sua preghiera umile e fiduciosa, nel faticoso lavoro, nella pazienza e nella grande bontà.




Nel corso degli anni molti hanno visitato la Cappella di Loretto per vedere la Scala miracolosa. "L'Accademia di Loretto" è stata chiusa nel 1968 e la proprietà è stata messa in vendita. La cappella di Loretto ora è un museo privato che autofinanzia, in parte, la conservazione della scala miracolosa e della cappella in sè.






LAUDETUR JESUS CHRISTUS!
LAUDETUR CUM MARIA et IOSEPH!

SEMPER LAUDENTUR!

"Il mondo deve capire l’importanza della conversione, deve capire che nella società Gesù deve occupare il primo posto; deve affrettarsi a comprendere, finché il tempo è favorevole!"




Opera scritta dalla Divina Sapienza per gli eletti degli ultimi tempi

22.02.12


La Mamma parla agli eletti



Figli cari e tanto amati, questo presente è tempo di ardente preghiera, di supplica a Dio perché continui ad elargire le Grazie di salvezza. Capite, figli cari, l’importanza di questo tempo?

Mi dice la Mia piccola: “Cara Madre, Dolce Tesoro, i segni non annunciano, certo, cose buone, ma fanno capire con chiarezza che è tempo di intensa preghiera, di penitenza, di sacrificio! La purificazione è generale e i cuori sono mesti, come in attesa di cose gravi.

Figli amati, come già vi ho detto, il mondo deve capire l’importanza della conversione, deve capire che nella società Gesù deve occupare il primo posto; deve affrettarsi a comprendere, finché il tempo è favorevole! Il mondo dei ribelli prepara un tempo duro per sé: il Padre caro finirà col punire severamente i superbi, gli indocili della terra. Figli amati del mondo, cambiate, cambiate, subito! Cambiate tutti! 
Questo è il tempo di penitenza, questo di preghiera profonda; chi prega con cuore sincero e chiede perdono dei suoi peccativiene assolto! Figli cari, pentitevi dei vostri errori, non dite: “Non ho fatto nulla di male”, quando avete il coraggio di vivere come se Dio non esistesse! Il più grande peccato è proprio questo, figli amati: vivere come se Dio non esistesse, come se non fosse il Creatore, il Salvatore, lo Spirito d’Amore!

Mi dice la piccola figlia: “Madre cara, aiuta il mondo a capire che Dio, l’Altissimo, Che è adorato in ogni istante dalle schiere angeliche, deve essere adorato da ogni uomo nel suo cuore, nella sua mente, nelle vibrazioni dell’anima.”

Figli cari, sono tra voi ogni giorno per condurvi a Lui col cuore, con la mente, con ogni vibrazione del vostro essere. Siate docili ed umili, piccoli Miei: voglio salvarvi tutti. Insieme, uniamo i cuori per l’adorazione a Gesù, il Salvatore del mondo! Vi amo tutti.
Ti amo, angelo Mio.

                                        Maria Santissima


LAUDETUR JESUS CHRISTUS!
LAUDETUR CUM MARIA!
SEMPER LAUDENTUR!

mercoledì 7 marzo 2012

Il Santo Padre in persona ha concesso a ciascun fedele la facoltà di valutare quale Messa gli sia più affine e lo aiuti di più a cogliere il Mistero e il Sacrificio celebrati nella Liturgia.Il fatto che alcune persone, e tra queste moltissimi giovani, trovino il rito tradizionale utile per la propria vita cristiana e intendano coltivare tale passione (a fianco, ovviamente, delle Messe e della vita comunitaria presso le parrocchie) non dovrebbe inacidire o preoccupare nessuno; al contrario ci si dovrebbe rallegrare, come per la riscoperta di un tesoro lasciato sepolto troppo a lungo.


Certe vicende del Nord possono aiutare altri cattolici a capire il momento che si vive anche al Sud,  -o a Est o a Owest -, e incoraggiarli nel cammino intrapreso. Mi pare sia giunto il momento opportuno di pubblicare queste vicende anche per i lettori di "Maria Giglio della Trinità". Buona lettura ... e preghiera! Ave Maria!

 *

martedì 24 gennaio 2012


A Mons. Rogger la Messa in Latino a Trento non piace "Un orrore! Un hobby per pochi settari"





"La messa in latino? Un orrore! Un hobby di don Bombarelli", parroco "non parroco". "I fedeli? Quindici settari".
Queste solo alcune delle perle di Mons. I. Rogger (nella foto in abito corale: giacca e cravatta) che non risparmia parole taglienti (frutto di tanti pregiudizi e inspiegabile rancore) contro il rito antico e la Messa che si celebra a Trento nella chiesa di Santa Maria del Suffragio, ogni domenica ore 18.30.L'intervista è stata tratta dal quotidiano "IlTrentino" del 18 gennaio 2012 a cura di Luca Marognoli.

Di seguito il testo, tratto dal
sito del quotidiano "IlTrentino". Sottolineato nostro:TRENTO. Ha studiato alla Pontificia Università Gregoriana, dirige il Museo diocesano ed è tra i fondatori dell'Istituto di scienze religiose. A sentir parlare della messa in latino inorridisce, lui che fu tra i fautori del passaggio al messale in italiano. Monsignor Iginio Rogger ha parole taglienti nei confronti del rito - a quanto pare di gran "moda" - celebrato da don Rinaldo Bombardelli in via del Suffragio. «Intanto non chiamatela messa tridentina: è un termine tecnico abusivo. Il Concilio non aveva l'attrezzatura e la cognizione scientifica per poter metter mano alla cosa. Trasferì alla Santa Sede il compito della riforma liturgica, che infatti fece Pio V in termini molto più sfumati rispetto a quanto questi settari tendono ad asserire. Per dire, nel 1563 ogni diocesi che avesse voluto non assumere il messale di Pio V, altamente ufficiale, ma avesse voluto conservare i suoi vecchi libri liturgici lo avrebbe potuto fare. Bastava poter dimostrare che i testi liturgici fossero in uso da almeno 200 anni. Ma un po' per comodità, un po' per carenza di studiosi la gran parte delle Diocesi, compresa Trento, non adottò quella facoltà di pluralismo. In realtà la conoscenza della storia del rito liturgico nel 500 era molto magra e anche Lutero non trovò che ritornare alle scritture.
Perché "settari"...
Se quel parroco non parroco che ha già tentato di bonificare a modo suo la celebrazione liturgica della Val dei Mocheni - che gli era stata assegnata - ha i suoi hobby, lasciamoglieli. Ricordo che inorridii quando fece una messa con il messale di Pio V. Proprio in quella valle, dove nel 1965 reintroducemmo l'italiano, sostituendolo al latino. All'epoca andai tra la popolazione a sondare. Il parroco di allora, santa persona, mi disse: qui sono tutti contenti. E sentenziò: al manco se capis qualcos. Ne capivano più i mocheni di Fierozzo a quei tempi...
Come spiega questo interesse oggi?
A quanto pare quelli il latino lo capiscono tutti: beati loro. Non vado certo a fargli l'esame. Io mi leggo il mio breviario in latino perché so cosa vuol dire. Ma con la gente la grande novità, che poi non è novità per niente, è che la celebrazione si faccia nella lingua che tutti capiscono. Per esprimere la propria fede. Non credo che questo messale latino avrà grande successo. Quelle 15 persone che si fanno una santa causa anche di bazzecole secondarie lei le trova sempre.
Un passo indietro...
Se uno vuole proprio farsi notare celebri in latino. Invece la grande fatica di tutti noi, pur tradotta in un linguaggio curato, è di appropriare alla gente la liturgia in italiano. Vestirla in modo che la gente la senta propria. E' qui che siamo tutti in arretrato. Se vogliamo ci sono anche le disquisizioni di papa Ratzinger con i lefebvriani: siamo capaci di litigare invece che di andare d'accordo... La settimana dell'unità comincia domani: ci confrontiamo con le altre Chiese cristiane che hanno altra lingua, altra forma e altro calendario. Che qualcuno oggi non riconosca quello che si è fatto...
Ci spieghi lei cosa è stato fatto negli ultimi 50 anni?
Fu impresa non da poco dal'65 in poi l'introduzione della liturgia riformata: non è stata fatta per capriccio o dilettantismo dei singoli. Io ero vicario episcopale per la liturgia con monsignor Gottardi. Ci furono difficoltà allora, risolte con il dialogo. Ma la cultura sta evolvendosi. Se vogliono, prendano il messale di Paolo VI, che è in latino, e aiuta a capire perché si canta "Santo, Santo, Santo" e chi deve cantare. Perché si tratta di un'acclamazione, non di una giaculatoria. Di Luca Marognoli © RIPRODUZIONE RISERVATA


Sullo stesso quotidiano, il giorno prima era stato pubblicato un altro articolo dedicato alla celebrazione in rito tridentino (e usiamo questo termine per fare un dispetto a Mons. Rogger, a cui non piace affatto, perchè tecnico-abusivo), si veda qui.
A questa articolo a tratti quasi incredibile, ha fatto seguito una serie di lettere di fedeli -alcuni di "quei quindici settari"!- che hanno scritto al Direttore del quotidiano, ma che purtroppo non è stata pubblicata.
Su segnalazione del nostro solerte lettore, abbiamo tratto il testo della lettera (pubblicata su "
Libertà e persona" e la pubblichiamo:


Egregio Direttore,

siamo un gruppo di ragazzi (tra i 18 e i 26 anni) di formazione ed estrazione diversa. Le scriviamo in merito all’articolo “Un orrore quella messa in latino”, uscito mercoledì 18 gennaio sul Suo giornale.In tale intervista, Monsignor Rogger definisce i partecipanti alla Messa del Suffragio – celebrata ogni domenica alle 18.00 secondo il messale del ’62 – come “quindici” “settari”, e appella il celebrante come un “parroco non parroco”.

Siamo rimasti sinceramente intristiti di fronte al livore mostrato da Mons. Rogger verso un confratello nel sacerdozio e verso fedeli che altro non fanno che partecipare ad una Messa nei termini stabiliti dalla lettera apostolica del Sommo Pontefice Summorum Pontificum (2007). Fatta salda, ovviamente, la facoltà di ciascuno di esprimere perplessità o riserve, questi fedeli meritano se non altro più rispetto. 

Il Santo Padre in persona ha infatti concesso a ciascun fedele la facoltà di valutare quale Messa gli sia più affine e lo aiuti di più a cogliere il Mistero e il Sacrificio celebrati nella Liturgia. 

Il fatto che alcune persone, e tra queste moltissimi giovani, trovino il rito tradizionale utile per la propria vita cristiana e intendano coltivare tale passione (a fianco, ovviamente, delle Messe e della vita comunitaria presso le parrocchie) non dovrebbe inacidire o preoccupare nessuno; al contrario ci si dovrebbe rallegrare, come per la riscoperta di un tesoro lasciato sepolto troppo a lungo.
Perché non si può fare tesoro delle molte e diverse ricchezze oggi vive nella Chiesa di Cristo, ivi compresa la bellezza, la profondità e la sacralità del rito tradizionale? 

Questa lettera vuole essere una mano tesa, un gesto concreto per favorire l’inizio di un rapporto nel nome di Cristo. Ognuno con il proprio carisma, ovviamente, ma tutti volti a glorificare Dio, in conformità e nel rispetto del Magistero della Chiesa.

Alessio, Alessio, Anna, David, Donato, Eleonora, Giulia, Giuliano, Lucia, Massimo, Massimo, Matteo, Milena, Roberto.




*

Ringraziamo di cuore un nostro lettore trentino, che con pazienza ci ha inviato la pagina del quotidiano, assecondando i nostri problemi tecnici! Grazie!


observator
Noto soltanto che parla di confronto con altre chiese cristiane che differiscono per ...forma, calendario...; che profonda considerazione?! Fosse solo differenza di forma e di calendario... della sostanza - che piu' conta ...omissis. Inoltre il latino non va bene , ma nella messa N.O ...puo' andare; allora non e' tanto il latino ma la messa antica , quella di tutti i cristiani per 1970 anni, o quasi. Poi bello il finale... noi non l'avevamo capito che il Santo, Santo Santo fosse un acclamazione. Sul resto, gli altri interventi hanno evidenziato qual tipo di intervista sia stata ...e il Papa e' il capo della ( nuova ) setta e anche Papa Giovanni Paolo II che, inascoltato, aveva dato precise indicazioni e si apprestava a nuovi interventi- mi pare, da cio' che via via trapelava - dati gli ostacoli che venivano frapposti...ma non si diceva "santo subito? come si concilia? forse il Rogger ce lo puo' spiegare...

giovedì 26 gennaio 2012, 01:47:22

doc
Buongiorno a tutti!
Sono uno dei firmatari di quella lettera; sono davvero felice di vedere riportate qui le nostre peripezie e che questa vicenda vi abbia tanto interessati. La cosa più triste, devo dire la verita, è stato leggere una simile intervista proprio alla vigilia della settimana per l'unità dei cristiani. Proprio per questo abbiamo tentato di rispondere alla provocazione con l'offerta di un dialogo, e non con una polemica; purtroppo, la nostra lettera al direttore del giornale è rimasta nel cassetto (è stato pubblicato, cmq, l'intervento di un altro partecipante alla Messa, che si è soffermato piuttosto sulla perfetta liceità di quella celebrazione secondo le direttive del Summum Pontificum).

Una precisazione: i "quindici" citati da mons. Rogger sono un numero da lui ipotizzato e mai verificato (non mi pare di averlo mai visto alla chiesa del Suffragio...); in effetti, i partecipanti ad ogni celebrazione domenicale di don Rinaldo sono solitamente attorno alla cinquantina. Nel complesso, poi, quasi un centinaio di persone la frequentano, chi più, chi meno assiduamente. Noi giovani firmatari siamo solo una parte di quel centinaio di fedeli (è vero, in totale siamo ca. 15, ma è solo un caso!): abbiamo letto l'intervista sul giornale, ne abbiamo discusso insieme (un po' di persona, un po' via mail) ed abbiamo cercato di rispondere con una lettera collettiva alle parole di mons. Rogger, ragionandoci sopra e limandola un po'.

Saluti da Trento,
David

mercoledì 25 gennaio 2012, 16:22:09

Miserere
Che nessun ipocrita, falso "dialoghista", vi possa fermare nel vostro cammino di santificazione, anche se, purtroppo, rivestito della dignità sacerdotale! Restate sempre uniti alla Vera Chiesa con a capo il Santo Padre! Il resto... lasciate perdere!

mercoledì 25 gennaio 2012, 23:33:37

Anselmo R
Per uno abituato all'aria pesante e malata di città fate bene come l'aria pura delle Dolomiti

giovedì 26 gennaio 2012, 09:07:01

robdealb91
Noi di Perugia abbiamo ricevuto dal direttore del settimanale diocesano (non in un'intervista apposita per noi, ma nella risposta a due lettere) dei "fissati", degli "irriducibili", dei "fanatici", "non in comunione con la Chiesa di oggi", nonostante (deve essere stato un colpo per lui sapere ciò!) "la pur giovane età".
Cari amici e coetanei di Trento, vantatevi addirittura, avete avuto un'intervista solo per voi, da cui si può sentire il rumore dei denti che rosicano e delle unghie che si spezzano per arrampicarsi sugli specchi; se a Perugia e, penso quindi anche a Trento, "laici impegnati" e sacerdoti invidiosi arrivano a calunniare il gruppo stabile e i suoi sacerdoti (forse il vedere una chiesa rispettabilmente piena per una Messa, e con numerosi giovani e giovani adulti li scombussola così tanto?) vuol dire che il nostro risultato l'abbiamo ottenuto!
Monsignor Rogger insulta voi, chiamandovi "settari" (ma non era uno di quelli che straparlavano sempre di "dialogo", "comprensione", "accoglienza"?), insulta San Pio V, i Padri del Concilio tridentino, i Santi che si sono nutriti di quella Liturgia, insulta il Papa e il suo Magistero, ma soprattutto insulta Nostro Signore, visto che definisce "orrore" la Messa che è il Suo Sacrificio incruento; vantatevi, vantiamoci dei suoi insulti, e andiamo avanti!!

mercoledì 25 gennaio 2012, 09:31:08


LAUDETUR JESUS CHRISTUS!
LAUDETUR CUM MARIA!
SEMPER LAUDENTUR!

martedì 6 marzo 2012

Preghiamo SANTA PERPETUA E FELICITA, MARTIRI, per ottenere ... "la perpetua felicità!"



6 MARZO
SANTA PERPETUA E FELICITA, MARTIRI
Gloria di questo giorno.
La festa di queste due sante eroine della fede cristiana veniva celebrata, nelle chiese loro dedicate, domani 7 marzo, giorno anniversario del loro trionfo; ma la memoria di san Tommaso d'Aquino sembrava eclissare quella delle sue due grandi Martiri africane. Avendo perciò la Santa Sede elevato la loro memoria, per la Chiesa universale, al rito doppio, prescrisse d'anticipare d'un giorno la loro solennità; così la Liturgia presenta fin da oggi all'ammirazione del lettore cristiano lo spettacolo di cui fu testimone la città di Cartagine nell'anno 202 o 203. Niente ci fa meglio comprendere il vero spirito del Vangelo secondo il quale in questi giorni dobbiamo riformare i nostri sentimenti e la nostra vita. Queste due donne, queste due madri affrontarono i più grandi sacrifici; Dio chiese loro non soltanto la vita, ma più che la vita; ed esse vi si assoggettarono con quella semplicità e magnanimità che fece d'Abramo il Padre dei credenti.
La forza nella debolezza.
I loro nomi, come osserva sant'Agostino, erano un presagio della sorte che il cielo riservava loro: una perpetua felicità. L'esempio che diedero della forza cristiana è di per se stesso una vittoria che assicura il trionfo della fede di Gesù Cristo in terra d'Africa. Ancora pochi anni, e san Cipriano farà sentire la sua voce eloquente che chiama i cristiani al martirio. Dove trovare accenti più commoventi che nelle pagine scritte dalla mano della giovane donna di ventidue anni, Perpetua, la quale ci narra con una calma celestiale le prove che doveva passare prima d'arrivare a Dio, e che, sul punto d'andare all'anfiteatro, trasmise ad un altro perché completasse la sua sanguinosa tragedia?
Leggendo queste gesta, di cui i secoli non hanno potuto alterare né fascino, né grandezza, sentiamo quasi la presenza dei nostri antenati nella fede e ammiriamo la potenza della grazia divina, che suscitò un tale coraggio dal seno stesso d'una società idolatra e corrotta; e considerando qual genere di eroi Dio usò per infrangere la formidabile resistenza del mondo pagano, non si può fare a meno di ripetere con san Giovanni Crisostomo: "A me piace tanto leggere gli Atti dei Martiri; ma ho un'attrattiva particolare per quelli che ritraggono le lotte sostenute dalle donne cristiane. Più debole è l'atleta e più gloriosa è la vittoria; infatti il nemico vede l'avvicinarsi della disfatta proprio dal lato dove aveva sempre trionfato. Per la donna egli ci vinse; ora per la donna viene abbattuto. Nelle sue mani ella fu una arma contro di noi; ora ne diviene la spada che lo trapassa. In principio la donna peccò, e quale compenso del suo peccato ebbe in eredità la morte; ora la martire muore, ma muore per non peccare più. Sedotta da promesse menzognere, la donna violò il precetto divino; ora per non violare la fedeltà al divino benefattore, la martire preferisce sacrificare la vita. Quale scusa ora avrà l'uomo per farsi perdonare la sua codardia, quando delle semplici donne mostrano un sì virile coraggio? quando, così deboli e delicate, si sono viste trionfare dell'inferiorità del loro sesso, e, fortificate dalla grazia, riportare sì gloriose vittorie"? (Omelia Su vari passi del N. T.).
Le Lezioni di queste due Martiri narrano i tratti più salienti del loro combattimento. Vi sono inseriti frammenti del vero racconto scritto da santa Perpetua. Esso ispirerà senza dubbio a più di un lettore il desiderio di leggere per intero negli Atti dei Martiri [1] il resto del magnifico testamento di questa eroina.
VITA. - Sotto l'imperatore Severo, furono arrestati a Cartagine, in Africa, alcuni giovani catecumeni: Revocato e Felicita, tutti e due schiavi, e con loro Saturnino e Secondolo, e da ultimo, Vibia Perpetua, di famiglia distinta, educata con molta cura e sposata a un uomo di alta condizione. All'età di ventidue anni ella aveva ancora il padre e la madre, due fratelli, uno dei quali era, come lei, catecumeno, e un bambino al quale essa dava ancora il latte. Vibia Perpetua scrisse interamente di suo pugno la storia del suo martirio.

Eravamo già sotto la pressione dei nostri persecutori, racconta Perpetua, e mio padre, spinto dal grande amore che mi portava, faceva ogni sforzo per scuotermi e farmi cambiare d'avviso. Padre mio, gli dissi, io non posso chiamarmi con altro nome diverso da quel che sono, cioè cristiana.
A tale parola mio padre si slanciò contro di me e sembrava volesse cavarmi gli occhi, ma finì per dirmi soltanto delle villanie e delle ingiurie, e quindi si ritirò confuso per non aver potuto vincer la mia fermezza con tutti gli artifizi che il demonio gli aveva suggerito. Per qualche giorno non si fece più vedere da me e ne ringraziai il Signore. La sua lontananza mi era un sollievo. Durante questo breve intervallo ricevemmo il battesimo; e lo Spirito Santo, mentre io stavo nell'acqua, m'ispirò di domandare un'unica cosa: la pazienza nelle pene che avrei dovuto soffrire nel corpo.

Pochi giorni dopo fummo condotti in prigione. All'entrare ebbi uno spavento indicibile, perché io non avevo mai visto tenebre sì orrende. Che giorni tristi! Eravamo così ammucchiati uno contro l'altro che si soffocava; per di più si era costretti a subire ad ogni momento l'insolenzà dei soldati di guardia. Ma l'angoscia più grave mi veniva dal pensiero del mio bambino, che era lontano da me. Terzo e Pomponio, i cari diaconi che avevano cura di noi, riuscirono a ottenere, profondendo del denaro, che per alcune ore lungo la giornata fossimo condotti in luogo aperto, a respirare un poco d'aria. Allora, usciti dal fondo del carcere, ciascuno poteva ristorarsi come meglio gli piaceva. Mia cura era di dare il latte al bambino, già mezzo morto per l'inedia. Con molto affetto parlai a mia madre, confortai mio fratello, e raccomandai a tutti in modo speciale l'assistenza al piccino. Ma ero in pena nel vedere i miei cari afflitti per causa mia.

Dopo pochi giorni si diffuse la voce che saremmo stati giudicati. A tal notizia mio padre, accasciato dal dolore, corse dalla sua villetta e venne a vedermi, sperando di togliermi dal mio proposito, e mi diceva: "Figlia mia, abbi pietà dei miei capelli bianchi; abbi pietà di tuo padre, se almeno mi credi ancora degno d'essere chiamato tuo padre! Pensa a tua madre, ai tuoi fratelli, al tuo figlioletto, che senza di te non potrà vivere. Non ostinarti a questo modo, perché tu fai morire tutti, e ci mandi in rovina!".
Così parlava mio padre nel suo amor per me, e nello stesso tempo mi baciava le mani, si gettava ai miei piedi, mi chiamava non "figlia" ma signora e padrona. A simili accenti, io sentivo pietà per lui, perché di tutta la mia famiglia era l'unico che non si sarebbe gloriato del mio martirio; lo rassicurai dicendo: "Accadrà quel che Dio vorrà: poiché non siamo noi i padroni di noi stessi, ma Dio! Ed egli se ne andò molto rattristato".

Un giorno, durante la refezione, fummo improvvisamente chiamati per un interrogatorio. Andammo al foro. Sparsasi di ciò subito la voce, veniva agglomerandosi nei dintorni del foro una folla immensa. Montammo sul palco del tribunale. I miei compagni furono interrogati e confessarono. Quando venne il mio turno d'essere interrogata, mio padre apparve d'improvviso portando in braccio il mio figlioletto; mi trasse in disparte fuori del mio posto e in atto supplichevole mi disse: "Abbi pietà del bambino". Il procuratore Ilariano insisteva: "Abbi pietà dei capelli bianchi di tuo padre; "abbi compassione della tenera età di tuo figlio. Sacrifica alla salute degl'imperatori ". Non farò mai una cosa simile, risposi, io sono cristiana.

Allora il giudice pronunziò la sentenza, per la quale eravamo tutti condannati alle belve: noi scendemmo festanti dal palco per andare nelle prigioni. Poiché il mio bambino era abituato a prendere il latte da me ed a restare con me nella prigione, inviai subito a richiederlo a mio padre, ma egli non volle darlo. Piacque a Dio che il bimbo non domandasse più latte, di modo che io non ebbi più alcuna preoccupazione per lui, né venni a soffrire per questo, alcuna dolorosa conseguenza.

Fino a questo punto ho scritto io stessa il racconto; quello poi che accadrà in seguito, nel combattimento per il mio martirio, scriverà chi vorrà.
Anche Felicita ottenne da Dio un insigne favore. Ella era otto mesi che attendeva dal Signore un bambino. Man mano che il giorno dei giochi si avvicinava la sua tristezza aumentava, perché temeva che il suo stato di madre facesse rimandare il martirio ad altra epoca: la legge infatti proibiva di giustiziare a questo modo le madri. I suoi compagni di martirio non erano meno rattristati di lei, al pensiero d'abbandonare, sola, sul cammino della speranza e del bene che essi avrebbero posseduto così dolce amica e sorella. Perciò tutti si unirono in una sola preghiera in favore di Felicita. E tre giorni prima dei giochi, ella ebbe la grazia d'una bambina. Ai gemiti di lei nell'oscura prigione un carceriere disse: "Se tu in questo momento non sei capace di sopportare il dolore, che accadrà quando sarai di fronte alle bestie, che tu hai mostrato or ora di disprezzare e di non temere quando hai rifiutato di sacrificare?". Felicita rispose: "Adesso a soffrire sono io sola, ma allora ci sarà un Altro in me, che patirà per me, perché anch'io patirò per lui". La bambina di Felicita fu adottata da una cristiana.

Spuntò finalmente il giorno del trionfo. Camminavano i martiri dalla prigione all'anfiteatro come andassero al cielo, giulivi in volto, commossi e trepidanti non per il timore ma per la gioia. Veniva ultima Perpetua, placida in viso, il passo grave, calma e maestosa come si conviene a una matrona di Cristo; con la forza superiore e divina dei suoi occhi imponeva rispetto a tutti. Era con lei Felicita, gioiosa per la sua riacquistata liberazione, che le permetteva di combattere quel giorno con le fiere, e desiderosa di purificarsi in un secondo battesimo.

Per le due donne si era preparato una mucca furiosa (certo fu il demonio a suggerire questo animale generalmente sconosciuto nei giuochi), quasi si volesse recare maggior insulto al loro sesso. Si spogliarono queste sante donne delle loro vesti, si involsero in una rete, e in tale stato furono esposte alle belve. Perpetua fu esposta prima, e fu dalla mucca sollevata in aria con le corna. Ricadde sui lombi, battendo in terra fortemente. Nella caduta la sua tunica si aperse per buon tratto da un fianco; ed ella la ricongiunse subito con la mano e si ricoprì, più attenta al pudore che non al dolore.

"Richiamata dagli arenai, si accorse che la sua capigliatura era sciolta: e allora raccolse e rannodò la chioma, pensando che una martire non deve avere, morendo, i capelli scarmigliati, affinchè nessuno avesse a credere che si affliggeva nel momento della sua gloria. Così ricomposta, Perpetua si rialzò, e, vedendo Felicita che giaceva al suolo quasi morta (gettata anch'essa a terra dalla vacca), le si accostò, le diede la mano, la sollevò dal suolo. Si fermarono là in piedi ambedue. Il popolo, mosso a compassione, gridò che si facessero uscire dalla porta Sanavivaria. Ivi Perpetua accolta da un catecumeno a lei molto affezionato, di nome Rustico, sembrava una persona che esce da un profondo sonno, ma era in estasi, e, guardandosi intorno chiese con stupore di tutti: "Quando dunque saremo esposte a questa mucca?". E siccome le si rispose che ciò era già stato fatto, essa non se ne convinse, finché non vide sopra le sue vestimenta e sopra il suo stesso corpo le tracce di quanto aveva sofferto. Dopo di che fece chiamare suo fratello e Rustico, e disse loro: "State saldi nella fede, amatevi gli uni e gli altri, e non rendetevi scandalo dei nostri patimenti".

Quanto a Secondolo, Dio volle chiamarlo a sé mentre stava ancora chiuso nel carcere. Saturnino e Revocato, prima assaliti da un leopardo, furono poi crudelmente trascinati da un orso. Saturo fu prima esposto a un cinghiale, quindi a un orso; ma questa bestia non usci fuori della sua gabbia, così che, due volte rimasto immune, il martire fu chiamato dentro; solo alla fine dello spettacolo venne presentato a un leopadro, che con un sol morso lo immerse in un lago di sangue. "È lavato davvero! è lavato davvero! " gridò il popolo alludendo al battesimo. Poi il martire cadde svenuto e fu trasportato nello spoliario, ove già si trovavano gli altri martiri per essere scannati.

Ma il popolo reclamava il ritorno dei condannati, poiché voleva darsi al barbaro piacere di mirare le spade quando s'immergono nel corpo d'un uomo. I martiri da loro stessi s'alzarono, condiscendendo al desiderio del popolo; e, giunti nel mezzo dell'anfiteatro, si diedero il bacio per consumare così il martirio in pace; poi, immobili, silenziosi, attesero il ferro. Saturo, che marciava in testa, morì per il primo.

Perpetua era riserbata a un nuovo dolore. Colpita per sbaglio tra le coste e la gola diede un grido; poi, siccome il suo carnefice era un gladiatore novizio, prese essa stessa la mano tremante di quell'apprendista e si appoggiò la punta della spada sopra la gola. Sembrava che questa donna valorosa non potesse morire che di propria volontà, e che lo spirito immondo, dal quale era temuta, non potesse toccarla senza il suo consenso.


Nota sulla composizione degli Atti.
"Nel leggere questo celebre brano - d'un sì ardente e puro entusiasmo e d'una semplicità così bella e commovente, solo qua e là gravata di un tantino di retorica - ci si rende conto della sua intessitura. Il primo capitolo è un prologo da attribuirsi al redattore, che ha messo insieme le diverse parti narrate. Nel secondo capitolo il redattore narra sommariamente la simultanea cattura di Vibia Perpetua, giovane donna di ventidue anni, istruita e di famiglia ragguardevole; di due giovani, Saturnino e Secondolo; da ultimo di due schiavi, Revocato e Felicita, tutti catecumeni. (Un po' più tardi, un certo Saturo, loro istruttore, si sarebbe spontaneamente consegnato: paragrafo iv). Quindi dichiara che cede la parola a Perpetua che ha redatto di proprio pugno il racconto delle sue sofferenze...
Bisogna perciò immaginarsi che le cose siano andate press'a poco così: Perpetua e Saturo nell'oscura prigione ebbero l'agio di stendere una breve relazione dei patimenti che soffrirono, e prima di tutto dei "carismi" con cui Dio li visitò. Tali annotazioni cadono fra le mani d'un testimone oculare del loro supplizio, il quale indaga su particolari che non ha potuto vedere coi propri occhi, completa la narrazione dei martiri e, dai diversi elementi, ne ricava un insieme che inquadra in un'esortazione morale e religiosa. Bisogna dunque distinguere due parti negli Atti quella del compilatore e quella degli stessi martiri...
Io credo che, con tutta franchezza, si possa identificare nel redattore Tertulliano... Sono il suo stile, la sua lingua, le sue parole... Il testo poi fu redatto poco dopo il 202-303, data del supplizio dei martiri".
(Pietro di Labriolle, Histoire de la litterature latine chrétienne, 3a ediz., 1947, p. 156).
Santa Perpetua.
Tutta la cristianità s'inchina davanti a te, o Perpetua! Ma c'è di più: ogni giorno, il celebrante pronuncia il tuo nome fra i nomi privilegiati ch'egli ripete al cospetto della vittima divina; così la tua memoria è perpetuamente associata a quella di Cristo, cui il tuo amore rese testimonianza col sangue. Ma quale beneficio egli s'è degnato d'accordarci, permettendoci di penetrare i sentimenti della tua anima generosa nelle pagine vergate dalle tue mani e pervenute fino a noi attraverso i secoli! Là noi apprendiamo il tuo amore "più forte della morte" (Ct 8,6), che ti fece vittoriosa in tutti i combattimenti. L'acqua battesimale non aveva ancora bagnata la tua fronte, che già eri annoverata fra i martiri. Ben presto dovesti sostenere gli assalti di un padre, e superare la tenerezza filiale di quaggiù per preservare quella che dovevi all'altro Padre che sta nei cieli. Non tardò il tuo cuore materno ad essere sottoposto alla più terribile prova, quando il bambino che prendeva vita dal tuo seno ti fu portato via come un novello Isacco, e rimanesti sola nella veglia dell'ultimo combattimento.
"Dov'eri tu, diremo con sant'Agostino, quando neppure vedevi la bestia furibonda cui ti avevano esposta? Di quali delizie godevi, al punto d'essere divenuta insensibile a sì gravi dolori? Quale amore t'inebriava? Quale bellezza celeste ti cattivava? Quale bevanda ti aveva tolto il senso delle cose di quaggiù, tu, ch'eri ancora, nei vincoli della vita mortale?" (Per il giorno natalizio di santa Perpetua e Felicita).
Il Signore ti aveva predisposta al sacrificio. E allora comprendiamo come la tua vita sia divenuta affatto celeste, e come la tua anima, dimorante già per l'amore, in Gesù che ti aveva tutto chiesto e al quale nulla negasti, fosse sin d'allora estranea a quel corpo che doveva ben presto abbandonare. Ti tratteneva ancora un legame, quello che la spada doveva troncare; ma affinché la tua immolazione fosse volontaria sino alla fine, fu necessario che con la tua stessa mano vibrassi il colpo che schiudeva all'anima il passaggio al Sommo Bene. Tu fosti donna veramente forte, nemica del serpente infernale! Oggetto di tutto il suo odio, tu lo vincesti! Ed ecco che dopo secoli il tuo nome ha il privilegio di far palpitare ogni cuore cristiano.
Santa Felicita.
Ricevi anche tu i nostri omaggi, o Felicita! Tu fosti degna compagna di Perpetua. Nel secolo essa brillò nel novero delle matrone di Cartagine; ma, nonostante la tua condizione servile, il battesimo l'aveva resa tua sorella, e ambedue camminaste di pari passo nell'arena del martirio. Appena si rialzava dalle violente cadute, essa correva a te, e tu le tendevi la mano; la nobile donna e la schiava si confondevano nell'abbraccio del martirio. In tal modo gli spettatori dell'anfiteatro erano già in grado di capire come la nuova religione avesse insita in sé una virtù, destinata a far soccombere la schiavitù.
O Perpetua! o Felicita! fate che i vostri esempi non vadano perduti, e che il pensiero delle vostre virtù ed immolazioni eroiche ci sostengano nei sacrifici più piccoli che il Signore esige da noi. Pregate anche per le nuove Chiese che sorgono sulle sponde africane; esse si raccomandano a voi; beneditele, e fate che rifioriscano, per la vostra potente intercessione, la fede e i costumi cristiani.

[1] PG t. 3, c. 13-58 e H. Leclerq. XX: I Martiri, t. I, p. 122-139. Questi Atti costituiscono uno del brani più completi della letteratura cristiana, e la loro autenticità è al di sopra d'ogni sospetto.

da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - I. Avvento - Natale - Quaresima - Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, p. 831-837



Beata Maria Baouardy: "Gesù mi sembrava tenero come il fiore dei campi, che appassisce non ap­pena lo si tocchi. ... "


Ora accompagniamo suor Maria nel suo ritiro di venti giorni che pre­cedette la sua Professione religiosa. Grazie a Padre Lazzaro, suo confessore, pos­sediamo le rivelazioni comunicate alla novizia. I considerevoli estratti che stiamo per dare di questo lavoro ci sembrano talmente elevati, belli e profondi, che non possiamo non vedervi l'espressione di una dottrina dettata dal cielo a questa 'igno­rante' che sapeva appena leggere.


«Nostro Signore era davanti a me. Io lo vedevo, volevo andare verso di Lui e non lo potevo. Gesù mi sembrava tenero come il fiore dei campi, che appassisce non ap­pena lo si tocchi.

 Facevo un passo verso di Lui, e mi fermavo; non avevo quasi le gambe; sembrava che rientrassero nel mio corpo come delle sbarre di ferro: esse non potevano reggermi. Mi è sembrato tuttavia di essere andata un poco avanti e ho det­to: Signore, sono avanzata un po' verso di te; tu sei davanti a me, i miei occhi ti ve­dono, le mie orecchie ti sentono, dammi un po' di forza per arrivare fino a te. Nello stesso tempo, ho invocato lo Spirito Santo per ottenere la forza. Mi sembrava sem­pre che Gesù non fosse lontano da me. 

Guardavo qualche volta dietro di me, e ogni volta che guardavo così, provocavo delle piaghe nel corpo di Gesù. Ed ho chiesto: Che cosa è tutto questo? Subito qualcuno mi ha preso e mi ha detto: Guarda davanti a te. 
Ho guardato e mi è sembrato di vedere un giardino dove erano fiori, alberi e frutti. Davanti alla porta del giardino era acceso un grande fuoco. Per entrare nel giardino, bisognava attraversare questo fuoco. Contemporaneamente, ho visto due persone davanti al giardino. 

Una camminava con fierezza, la testa alzata; l'altra ave­va la testa abbassata e sembrava curva. La prima è entrata senza timore, con la testa sempre alzata. Tuttavia è penetrata nel giardino ed ha colto dei fiori e dei frutti in quantità. In seguito è ritornata alla porta ed ha attraversato di nuovo le fiamme per uscire; ma i suoi vestiti sono stati interamente bruciati, così come tutto ciò che por­tava. Era completamente nuda. 

Anche la seconda persona è entrata; per attraversare il fuoco, si è molto abbassata e il fuoco non ha preso i suoi vestiti. Una volta nel giar­dino, ella l'ha percorso, ha colto molti fiori, molta frutta di ogni specie, ed è torna­ta alla porta del giardino carica di fiori e di frutti; per attraversare le fiamme alla sua uscita, si è abbassata ancora di più di quando era entrata. E le fiamme non l'hanno toccata; ed è uscita più bella e più ricca di quando era entrata.

Ho chiesto di nuovo quello che ciò significasse, e colui che mi guidava mi ha detto: Il fuoco è l'immagine dei fastidi, delle pene, delle angosce, delle sofferenze, delle prove della vita. Il Signore li manda perché si raccolgano fiori e frutti. 
La pri­ma persona che è entrata nel giardino e che ne è uscita povera, triste, nuda, raffigura coloro che si inorgogliscono nella prova: l'orgoglio, l'egoismo, l'amor pro­prio fanno loro perdere tutto. La seconda persona raffigura le anime che si umiliano nella sofferenza, nella prova. Esse si caricano di fiori e di frutti.

Il momento di offrire al Signore i fiori ed i frutti arriva; è la morte. Le due ani­me si presentano davanti al Signore. Il Signore interroga l'una e l'altra. 

Dice alla prima: Tu sei entrata nel giardino; hai raccolto fiori e frutti: dove sono? Signore, risponde, il fuoco che ho attraversato ha bruciato tutto, tutto divorato. Non ho con­servato niente. Ebbene, riprende il Signore, poiché tu non hai niente, va nel nien­te. Maledetta, io non ti conosco! 

Il Signore si rivolge in seguito alla seconda che nasconde i suoi frutti e le dice: E tu, che cosa hai raccolto? E costei getta subito davanti al Signore ciò che teneva nascosto; e, abbassando la testa, risponde: Sei tu che mi hai guidato e che hai raccolto questi frutti. E il Signore risponde: Entra e riposati e godi delle gioie del Signore».

LAUDETUR JESUS CHRISTUS!
LAUDETUR CUM MARIA!
SEMPER LAUDENTUR!