venerdì 24 febbraio 2012

Papa Benedetto XVI: La carità è il frutto della verità


Lectio Divina di Benedetto XVI con i Parroci di Roma per l'inizio della Quaresima.
Il Papa ha parlato " a braccio" alle 11 di ieri mattina 23 febbraio, nell’Aula Paolo VI incontrando il Clero della diocesi di Roma per il tradizionale appuntamento di inizio Quaresima.
Dopo il saluto del Cardinale Vicario Agostino Vallini, il Santo Padre ha proposto una Lectio divina incentrata su un passo della Lettera agli Efesini (4, 1-16).
Il testo completo della Lectio Divina si trova sul sito vaticano.
Per il video cliccare qui.

Postiamo solo la parte finale della Lectio Divina del Papa. (A.C.)

" Certo, in questi ultimi decenni, abbiamo vissuto anche un altro uso della parola «fede adulta». Si parla di «fede adulta», cioè emancipata dal Magistero della Chiesa. Fino a quando sono sotto la madre, sono fanciullo, devo emanciparmi; emancipato dal Magistero, sono finalmente adulto. Ma il risultato non è una fede adulta, il risultato è la dipendenza dalle onde del mondo, dalle opinioni del mondo, dalla dittatura dei mezzi di comunicazione, dall’opinione che tutti pensano e vogliono. Non è vera emancipazione, l’emancipazione dalla comunione del Corpo di Cristo! Al contrario, è cadere sotto la dittatura delle onde, del vento del mondo. La vera emancipazione è proprio liberarsi da questa dittatura, nella libertà dei figli di Dio che credono insieme nel Corpo di Cristo, con il Cristo Risorto, e vedono così la realtà, e sono capaci di rispondere alle sfide del nostro tempo.

Mi sembra che dobbiamo pregare molto il Signore, perché ci aiuti ad essere emancipati in questo senso, liberi in questo senso, con una fede realmente adulta, che vede, fa vedere e può aiutare anche gli altri ad arrivare alla vera perfezione, alla vera età adulta, in comunione con Cristo.

In questo contesto c’è la bella espressione dell’aletheuein en te agape, essere veri nella carità, vivere la verità, essere verità nella carità: i due concetti vanno insieme.



Oggi il concetto di verità è un po’ sotto sospetto perché si combina verità con violenza. Purtroppo nella storia ci sono stati anche episodi dove si cercava di difendere la verità con la violenza. Ma le due sono contrarie. La verità non si impone con altri mezzi, se non da se stessa! La verità può arrivare solo tramite se stessa, la propria luce. Ma abbiamo bisogno della verità; senza verità non conosciamo i veri valori e come potremo ordinare il kosmos dei valori? Senza verità siamo ciechi nel mondo, non abbiamo strada. Il grande dono di Cristo è proprio che vediamo il Volto di Dio e, anche se in modo enigmatico, molto insufficiente, conosciamo il fondo, l’essenziale della verità in Cristo, nel suo Corpo. 


E conoscendo questa verità, cresciamo anche nella carità che è la legittimazione della verità e ci mostra che è verità. Direi proprio che la carità è il frutto della verità - l’albero si conosce dai frutti – e se non c’è carità, anche la verità non è propriamente appropriata, vissuta; e dove è la verità, nasce la carità. Grazie a Dio, lo vediamo in tutti i secoli: nonostante i fatti negativi, il frutto della carità è sempre stato presente nella cristianità e lo è oggi! Lo vediamo nei martiri, lo vediamo in tante suore, frati e sacerdoti che servono umilmente i poveri, i malati, che sono presenza della carità di Cristo. E così sono il grande segno che qui è la verità.

Preghiamo il Signore perché ci aiuti a portare il frutto della carità ed essere così testimoni della sua verità. Grazie".




© Copyright 2012 - Libreria Editrice Vaticana




LAUDETUR JESUS CHRISTUS!
LAUDETUR CUM MARIA!
SEMPER LAUDENTUR!

Perché la tua anima sia tempio della sua presenza.


Antonio de Torres 1714.jpg

Dalle «Omelie» di san Giovanni Crisostomo, vescovo



(Om. 6 sulla preghiera; PG 64, 462-466)
La preghiera è luce per l'anima

<<La preghiera, o dialogo con Dio, è un bene sommo. 

È, infatti, una comunione intima con Dio. 
Come gli occhi del corpo vedendo la luce ne sono rischiarati, così anche l'anima che è tesa verso Dio viene illuminata dalla luce ineffabile della preghiera. 

Deve essere, però, una preghiera non fatta per abitudine ma che proceda dal cuore. Non deve essere circoscritta a determinati tempi od ore, ma fiorire continuamente, notte e giorno.


Non bisogna infatti innalzare il nostro animo a Dio solamente quando attendiamo con tutto lo spirito alla preghiera. Occorre che, anche quando siamo occupati in altre faccende, sia nella cura verso i poveri, sia nelle altre attività, impreziosite magari dalla generosità verso il prossimo, abbiamo il desiderio e il ricordo di Dio, perché, insaporito dall'amore divino, come da sale, tutto diventi cibo gustosissimo al Signore dell'universo. 
Possiamo godere continuamente di questo vantaggio, anzi per tutta la vita, se a questo tipo di preghiera dedichiamo il più possibile del nostro tempo.
File:Gesù in preghiera nell'orto dei Getsemani.jpg
La preghiera è luce dell'anima, vera conoscenza di Dio, mediatrice tra Dio e l'uomo. L'anima, elevata per mezzo suo in alto fino al cielo, abbraccia il Signore con amplessi ineffabili. 

Come il bambino, che piangendo grida alla madre, l'anima cerca ardentemente il latte divino, brama che i propri desideri vengano esauditi e riceve doni superiori ad ogni essere visibile.

La preghiera funge da augusta messaggera dinanzi a Dio, e nel medesimo tempo rende felice l'anima perché appaga le sue aspirazioni. Parlo, però, della preghiera autentica e non delle sole parole.


Essa è un desiderare Dio, un amore ineffabile che non proviene dagli uomini, ma è prodotto dalla grazia divina. Di essa l'Apostolo dice: Non sappiamo pregare come si conviene, ma lo Spirito stesso intercede per noi con gemiti inesprimibili (cfr. Rm 8, 26b). Se il Signore dà a qualcuno tale modo di pregare, è una ricchezza da valorizzare, è un cibo celeste che sazia l'anima; chi l'ha gustato si accende di desiderio celeste per il Signore, come di un fuoco ardentissimo che infiamma la sua anima.


Abbellisci la tua casa di modestia e umiltà mediante la pratica della preghiera. 

Rendi splendida la tua abitazione con la luce della giustizia; 
orna le sue pareti con le opere buone come di una patina di oro puro e al posto dei muri e delle pietre preziose colloca la fede e la soprannaturale magnanimità, ponendo sopra ogni cosa, in alto sul fastigio, la preghiera a decoro di tutto il complesso

Così prepari per il Signore una degna dimora, così lo accogli in splendida reggia. Egli ti concederà di trasformare la tua anima in tempio della sua presenza.>>
RESPONSORIO Cfr. Lam 5, 20-21a; Mt 8, 25

R. Perché, Signore, vuoi dimenticarci per sempre? Abbandonarci per lunghi giorni? * Fa' che torniamo a te, e noi ritorneremo.
V. Salvaci, Signore, siamo perduti!
R. Fa' che torniamo a te, e noi ritorneremo.


ORAZIONE

Accompagna con la tua benevolenza, Padre misericordioso, i primi passi del nostro cammino penitenziale, perché all'osservanza esteriore corrisponda un profondo rinnovamento dello spirito. Per il nostro Signore.

Benediciamo il Signore.
R. Rendiamo grazie a Dio.



LAUDETUR JESUS CHRISTUS!
LAUDETUR CUM MARIA!
SEMPER LAUDENTUR!

mercoledì 22 febbraio 2012

TENTATO da SATANA. TREMENDO. "Non ci indurre in tentazione ma liberaci dal Male"



Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Marco 1,12-15.
Subito dopo lo Spirito lo sospinse nel deserto e vi rimase quaranta giorni, tentato da satana; stava con le fiere e gli angeli lo servivano. Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù si recò nella Galilea predicando il vangelo di Dio e diceva: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al vangelo».
Traduzione liturgica della Bibbia


Corrispondenza nell' "Evangelo come mi è stato rivelato" 
di Maria Valtorta: 
Volume 1 Capitolo 46 pagina 287.


Vedo la solitudine petrosa già vista alla mia sinistra nella visione del battesimo di Gesù al Giordano. Però devo essere molto addentrata in essa perché non vedo affatto il bel fiume lento e azzurro, né la vena di verde che lo costeggia alle sue due rive, come alimentata da quell’arteria d’acqua. Qui, solo solitudine, pietroni, terra talmente arsa da essere ridotta a polvere giallastra, che ogni tanto il vento solleva con piccoli vortici, che paion fiato di bocca febbrile tanto sono asciutti e caldi. E tormentosi per la polvere che penetra con essi nelle narici e nelle fauci. Moto rari, qualche piccolo cespuglio spinoso, non si sa come resistente in quella desolazione. Sembrano ciuffetti di superstiti capelli sulla testa di un calvo. Sopra, un cielo spietatamente azzurro; sotto, il suolo arido; intorno, massi e silenzio. Ecco quanto vedo come natura.

Addossato ad un enorme pietrone, che per la sua forma sembra una ‘C’ che fa un embrione di grotta e seduto su un sasso trascinato in quell’incavo, sta Gesù. Si ripara così dal sole cocente. E l’interno ammonitore mi avverte che quel sasso, su cui ora siede, è anche il suo inginocchiatoio e il suo guanciale quando prende le brevi ore di riposo, avvolto nel suo mantello, al lume delle stelle e all’aria fredda della notte. Infatti là presso è la sacca che gli ho visto prendere prima di partire da Nazareth. Tutto il suo avere. E dal come si piega floscia, comprendo che è vuota del poco cibo che vi aveva messo Maria.

Gesù è magro e pallido. Sta seduto con i gomiti appoggiati ai ginocchi e gli avambracci sporti in avanti, con le mani unite ed intrecciate nelle dita. Medita. Ogni tanto soleva lo sguardo e lo gira attorno e guarda il sole alto, quasi a perpendicolo, nel cielo azzurro. Ogni tanto, e specie dopo aver girato lo sguardo attorno e averlo alzato verso la luce solare, chiude gli occhi e si appoggia al masso che gli fa da riparo, come preso da vertigine.

Vedo apparire il brutto ceffo di Satana. Non che si presenti nella forma con cui noi ce lo raffiguriamo, con corna, coda, ecc.ecc. Pare un beduino avvolto nel suo vestito e nel suo mantellone che pare un domino da maschera. Sul capo il turbante, le cui falde bianche scendono a far riparo sulle spalle e lungo i lati del viso. Di modo che di questo appare un breve triangolo molto bruno, dalle labbra sottili e sinuose, degli occhi nerissimi e incavati, pieni di bagliori magnetici. Due pupille che ti leggono in fondo al cuore, ma nella quali non leggi nulla, o una sola parola: mistero. 

L’opposto dell’occhio di Gesù, tanto magnetico fascinatore anch’esso, che ti legge in cuore, ma nel quale leggi anche che nel suo cuore è amore e bontà per te. L’occhio di Gesù è una carezza all’anima. Questo è come un doppio pugnale che ti perfora e brucia.
Si avvicina a Gesù: "Sei solo?"
Gesù lo guarda e non risponde.
"Come sei capitato qui? Ti sei sperduto?"
Gesù lo guarda da capo e tace.
"Se avessi dell’acqua nella borraccia te la darei. Ma ne sono senza anch’io. M’è morto il cavallo e mi dirigo a piedi al guado. Là berrò e troverò chi mi dà un pane. So la via. vieni con me. Ti guiderò."
Gesù non alza più neppure gli occhi.
"Non rispondi? Sai che se resti qui, muori? Già si leva il vento. Sarà bufera. Vieni".
Gesù stringe le mani in muta preghiera.

"Ah! sei proprio Tu, dunque? E’ tanto che ti cerco! Ed ora è tanto che ti osservo. Dal momento che sei stato battezzato. Chiami l’Eterno? E’ lontano. Ora sei sulla terra e in mezzo agli uomini. E negli uomini regno io. Pure mi fai pietà e ti voglio soccorrere, perché sei buono e sei venuto a sacrificarti per nulla. Gli uomini ti odieranno per la tua bontà. Non capiscono che oro e cibo, e senso. Sacrificio, dolore, ubbidienza, sono parole morte per loro più di questa polvere. Solo il serpe può nascondersi qui attendendo di mordere e lo sciacallo di sbranare. Vieni via. Non merita soffrire per loro. Li conosco più di Te."

Satana si è seduto di fronte a Gesù e lo fruga col suo sguardo tremendo, e sorride con la sua bocca di serpe. Gesù tace sempre e prega mentalmente.
"Tu diffidi di me. Fai male. Io sono la sapienza della terra. Ti poso essere maestro per insegnarti a trionfare. Vedi: l’importante è trionfare. Poi, quando ci si è imposti e si è affascinato il mondo, allora lo si conduce dove si vuole noi. Ma prima bisogna essere come piace a loro. Come loro. Sedurli facendo loro credere che li ammiriamo e li seguiamo nel loro pensiero.
Sei giovane e bello. Comincia dalla donna. E’ sempre da essa che si deve incominciare. Io ho sbagliato inducendo la donna alla disubbidienza. Dovevo consigliarla per altro modo. Ne avrei fatto uno strumento migliore e avrei vinto Dio. Ho avuto fretta. Ma Tu! Io t’insegno perché c’è stato un giorno che ho guardato a Te con giubilo angelico e un resto di quell’amore è rimasto, ma Tu ascoltami, ed usa della mia esperienza. Fatti una compagna. Dove non riuscirai Tu, essa riuscirà. Sei il nuovo Adamo, devi avere la tua Eva.

E poi, come puoi comprendere e guarire le malattie del senso se non sai cosa sono? Non sai che è lì il nocciolo da cui nasce la pianta della cupidità e della prepotenza? Perché l’uomo vuole regnare? Perché vuole essere ricco, potente? Per possedere la donna. Questa è come l’allodola. Ha bisogno del luccichio per essere attirata. L’oro e la potenza sono le due facce dello specchio che attirano le donne e le cause del male nel mondo. Guarda: dietro a mille delitti dai volti diversi, ce ne sono novecento almeno che hanno radice nella fame del possesso della donna o nella volontà di una donna, arsa da un desiderio che l’uomo non soddisfa ancora o non soddisfa più. Vai dalla donna se vuoi sapere cosa è la vita. E solo dopo saprai curare e guarire i morbi dell’umanità.
E’ bella, sai, la donna! Non c’è nulla di più bello nel mondo. L’uomo ha il pensiero e la forza. Ma la donna! Il suo pensiero è un profumo, il suo contatto è carezza di fiori, la sua grazia è come vino che scende, la sua debolezza come matassa di seta o ricciolo di bambino nelle mani di un uomo, la sua carezza è forza che si rovescia sulla nostra e la accende. Si annulla il dolore, la fatica, il cruccio, quando si posa presso una donna, ed essa è fra le nostre braccia come un fascio di fiori.

Ma che stolto che sono! Tu hai fame e ti parlo della donna. La tua vigoria è esausta. Per questo, questa fragranza della terra, questo fiore del creato, questo frutto che dà e suscita amore, ti pare senza valore. Ma guarda queste pietre. Come sono tonde e levigate, dorate sotto al sole che scende. Non sembrano pani? Tu, Figlio di Dio, non hai che dire: "Voglio", perché esse divengano pane fragrante come quello che ora le massaie levano dal forno per la cena dei loro familiari. E queste acacie così aride, se Tu vuoi, non possono empirsi di dolci pomi, di datteri di miele? Satollati, o Figlio di Dio. Tu sei il Padrone della terra. Essa si inchina per mettere ai tuoi piedi se stessa e sfamare la tua fame.
Lo vedi che impallidisci e vacilli solo a sentir nominare il pane? Povero Gesù! Sei tanto debole da non potere più neppure comandare al miracolo? Vuoi che lo faccia io per Te? Non ti sono a paro. Ma qualcosa posso. Starò privo per un anno della mia forza, la radunerò tutta, ma ti voglio servire perché Tu sei buono ed io sempre mi ricordo che sei il mio Dio, anche se ora ho demeritato di chiamarti tale. Aiutami con le tue preghiere perché io possa..."
"Taci. ‘Non di solo pane vive l’uomo, ma di ogni parola che viene da Dio’."
Il demonio ha un sussulto di rabbia. Digrigna i denti e stringe i pugni. Ma si contiene e volge il digrigno in sorriso.
"Comprendo. Tu sei sopra le necessità della terra e hai ribrezzo a servirti di me. L’ho meritato. Ma vieni , allora, e vedi cosa è nella casa di Dio. Vedi come anche i sacerdoti non ricusano di venire a transazioni fra lo spirito e la carne. Perché infine sono uomini e non angeli. Compi un miracolo spirituale. Io ti porto sul pinnacolo del Tempio e Tu trasfigurati in bellezza lassù, e poi chiama le coorti di angeli e di' che facciano delle loro ali intrecciate pedana al tuo piede e ti calino così nel cortile principale. Che ti vedano e si ricordino che Dio è. Ogni tanto è necessario manifestarsi, perché l’uomo ha una memoria tanto labile, specie in ciò che è spirituale. Sai come gli angeli saranno beati di far riparo al tuo piede e scala a Te che scendi!"
" ‘Non tentare il Signore Iddio tuo’ è detto".
"Comprendi che anche la tua apparizione non muterebbe le cose e il Tempio continuerebbe ad essere mercato e corruzione. La tua divina sapienza lo sa che i cuori dei ministri del Tempio sono un nido di vipere, che si sbranano e sbranano pur di predominare. Non sono domati che dalla potenza umana.
E allora vieni. Adorami, Io ti darò la terra. Alessandro, Ciro, Cesare, tutti i più grandi dominatori passati o viventi, saranno simili a capi di meschine carovane rispetto a Te che avrai tutti i regni della terra sotto il tuo scettro. E coi regni tutte le ricchezze, tutte le bellezze della terra, e donne, e cavalli, e armati e templi. Potrai alzare dovunque il tuo Segno, quando sarai Re dei re e Signore del mondo. Allora sarai ubbidito e venerato dal popolo e dal sacerdozio. Tutte le caste ti onoreranno e ti serviranno, perché sarai il Potente, l’Unico, il Signore.
Adorami un attimo solo! Levami questa sete che ho di essere adorato! E’ quella che mi ha perduto. Ma è rimasta in me e mi brucia. Le vampe dell’inferno sono fresca aria del mattino rispetto a questo ardore che mi brucia l’interno. E’ il mio inferno questa sete. Un attimo, un attimo solo, o Cristo. tu che sei buono! Un attimo di gioia all’eterno Tormentato! Fammi sentire cosa voglia dire essere dio e mi avrai devoto, ubbidiente come servo per tutta la vita, per tutte le tue imprese. Un attimo! Un solo attimo, e non ti tormenterò più!".
E Satana si butta in ginocchio supplicando.
Gesù si è alzato, invece. Divenuto più magro in questi giorni di digiuno, sembra ancora più alto. Il suo volto è terribile di severità e potenza. I suoi occhi sono due zaffiri che bruciano. La sua voce è un tuono che si ripercuote contro l’incavo del masso e si sparge sulla sassaia e la piana desolata quando dice: "Va' via, Satana! E’ scritto ‘Adorerai il Signore Dio tuo e servirai Lui solo’!".
Satana con un urlo di strazio dannato e di odio indescrivibile scatta in piedi, tremendo a vedersi nella sua furente, fumante persona. E poi scompare con un nuovo urlo di maledizione.

Gesù si siede stanco, appoggiando indietro il capo contro il masso. Pare esausto. Suda. Ma esseri angelici vengono ad alitare con le loro ali nell’afa dello speco, purificandola e rinfrescandola. Gesù apre gli occhi e sorride. Io non lo vedo mangiare. Direi che Egli si nutre dell’aroma del Paradiso e ne esce rinvigorito.
Il sole scompare a ponente. Egli prende la vuota bisaccia e, accompagnato dagli angeli che fanno una mite luce, sospesi sul suo capo mentre la notte cala rapidissima, si avvia verso est, meglio verso nord-est. Ha ripreso la sua espressione abituale, il passo sicuro. Solo resta, a ricordo del lungo digiuno, un aspetto più ascetico nel volto magro e pallido e negli occhi rapiti in una gioia non di questa terra.


Dice Gesù:
"Ieri eri senza la tua forza, che è la mia volontà, ed eri perciò un essere semivivo. Ho fatto riposare le tue membra e ti ho fatto fare l’unico digiuno che ti pesi: quello della mia parola. Povera Maria! Hai fatto il Mercoledì delle Ceneri. In tutto sentivi il sapor della cenere, poiché eri senza il tuo Maestro. Non mi facevo sentire. Ma c’ero.
Questa mattina, poiché l’ansia è reciproca, ti ho mormorato nel tuo dormiveglia: "Agnus Dei qui tollis peccata mundi, dona nobis pacem" e te l’ho fatto ripetere molte volte e tante te le ho ripetute. Hai creduto che parlassi su questo. No. Prima c’era il punto che ti ho mostrato e che ti commenterò. Poi questa sera ti illustrerò quest’altro.
Satana, lo hai visto, si presenta sempre con veste benevola. Con aspetto comune. Se le anime sono attente, e soprattutto in spirituale contatto con Dio, avvertono quell’avviso che le rende guardinghe e pronte a combattere le insidie demoniache. Ma se le anime sono disattente al divino, separate da una carnalità che soverchia e assorda, non aiutate dalla preghiera che congiunge a Dio e riversa la sua forza come da canale nel cuore dell’uomo, allora difficilmente esse si avvedono del tranello nascosto sotto l’apparenza innocua e vi cadono. Liberarsene è, poi, molto difficile.

Le due vie più comuni prese da Satana per giungere alle anime sono il senso e la gola. Comincia sempre dalla materia. Smantellata e asservita questa, dà l’attacco alla parte superiore. Prima il morale: il pensiero con le sue superbie e cupidigie; poi lo spirito, levandogli non solo l’amore -quello non esiste già più quando l’uomo ha sostituito l’amore divino con altri amori umani- ma anche il timore di Dio. E’ allora che l’uomo si abbandona in anima e corpo a Satana, pur di arrivare a godere ciò che vuole, godere sempre di più.

Come Io mi sia comportato, lo hai visto. Silenzio e orazione. Silenzio. Perché se Satana fa la sua opera di seduttore e ci viene intorno, lo si deve subire senza stolte impazienze e vili paure. Ma reagire con la sostenutezza alla sua presenza, e con la preghiera alla sua seduzione.

E’ inutile discutere con Satana. Vincerebbe lui, perché è forte nella sua dialettica. Non c’è che Dio che lo vinca. E allora ricorrere a Dio, che parli per noi, attraverso a noi. Mostrare a Satana quel Nome e quel Segno, non tanto scritti su una carta o incisi su un legno, quanto scritti e incisi nel cuore. Il mio Nome, il mio Segno. 

Ribattere a Satana unicamente quando insinua che egli è come Dio, usando la parola di Dio. Egli non la sopporta.

Poi, dopo la lotta, viene la vittoria, e gli angeli servono e difendono il vincitore dall’odio di Satana. Lo ristorano con le rugiade celesti, con la Grazia che riversano a piene mani nel cuore del figlio fedele, con la benedizione che accarezza lo spirito.
Occorre avere volontà di vincere Satana e fede in Dio e nel suo aiuto. Fede nella potenza della preghiera e nella bontà del Signore. Allora Satana non può fare del male.
Va’ in pace. Questa sera ti letificherò col resto".
Estratto di "l'Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta ©Centro Editoriale Valtortianohttp://www.mariavaltorta.com/


LAUDETUR JESUS CHRISTUS!
LAUDETUR CUM MARIA!
SEMPER LAUDENTUR!

martedì 21 febbraio 2012

SERAFINO EUCARISTICO: San Francesco d’Assisi "ardeva di amore in tutte le fibre del suo essere verso il Sacramento del Corpo del Signore, preso da stupore oltre ogni misura per tanta benevola degnazione e generosissima carità.



SAN FRANCESCO D’ASSISI
modello di amore eucaristico per i sacerdoti e per i fedeli
S. Francesco d’Assisi "ardeva di amore in tutte le fibre del suo essere verso il Sacramento del Corpo del Signore, preso da stupore oltre ogni misura per tanta benevola degnazione e generosissima carità. Riteneva grave segno di disprezzo non ascoltare almeno una Messa al giorno, se il tempo lo permet­teva. Si comunicava spesso e con tanta devozione da rendere devoti anche gli altri...
Un giorno volle mandare i frati per il mondo con pissi­di preziose, perchè riponessero in luogo il più degno possibi­le il prezzo della redenzione, ovunque lo vedessero conserva­to con poco decoro.
Voleva che si dimostrasse grande rispetto alle mani del Sacerdote, perché ad esse è stato conferito il Divino potere di consacrare questo Sacramento. "Se mi capitasse - diceva spesso - di incontrare insieme un Santo che viene dal cielo ed un Sacerdote poverello, saluterei prima il Prete e correrei a baciargli le mani. Direi infatti: Ohi! Aspetta, San Lorenzo, perché le mani di costui toccano il Verbo di vita e possiedo­no un potere sovrumano!'".
In questa stupenda pagina del beato Tommaso da Celano, primo biografo di san Francesco d’Assisi, è riassunta tutta la vita Eucaristica di S. Francesco, ricca di amore e di fede, di devozione e di ardore. Non manca proprio nulla all'esempla­rità di una vita Eucaristica piena e perfetta per tutti: per gli stessi sacerdoti, come per i semplici fedeli.
La S. Messa, la S. Comunione, l'adorazione Eucaristica, il decoro dell'altare e delle Chiese, la venerazione per i Sacerdoti ministri dell'Eucaristia: in tutto questo S. Francesco ci è maestro e modello in misura tale da farlo considerare non solo un Santo Eucaristico ma un serafino innamorato dell' Eucaristia.
E tra i suoi figli noi avremo le figure mirabili di serafini dell'Eucaristia come S. Antonio di Padova e S. Bonaventura che hanno scritto pagine di sublime dottrina e di struggente amore all'Eucaristia, come S. Pasquale Baylon, diventato protettore dei congressi Eucaristici, come S. Giuseppe da Copertino che si levava in volo estatico verso gli Ostensori e verso i Tabernacoli, come il B. Matteo da Girgenti e il B. Bo­naventura da Potenza che dopo morte, anche con il corpo­ cadavere venerarono l'Eucaristia, come san Pio da Pietrelcina che per più ore di giorno e di notte sostava in preghiera presso l’altare eucaristico.
La S. Messa era per S. Francesco un mistero di grazia così sublime che nella lettera al Capitolo generale e a tutti i frati scrisse queste esclamazioni di fuoco: "L'umanità trepi­di, l'universo intero tremi, e il cielo esulti, quando sull'alta­re, nelle mani del Sacerdote, è il Cristo figlio di Dio vivo".
La cosa che sconvolge S. Francesco è l'amore di Gesù spinto fino ad un'umiltà inconcepibile: "O ammirabile altez­za, o degnazione stupenda! O umiltà sublime! O sublimità umile, che il Signore dell'Universo, Dio e Figlio di Dio, così si umili da nascondersi, per la nostra salvezza, in poca appa­renza di pane!".
Per questo egli considerava grave mancanza di amore da parte nostra l'assenza alla S. Messa quotidiana. Per questo egli non solo partecipava almeno ad una S. Messa, ma quan­do era infermo, per quanto era possibile, si faceva celebrare la S. Messa in cella, o almeno si faceva leggere la pagina del Vangelo della Messa del giorno: "Voleva sempre ascoltare il Vangelo del giorno - è scritto nella Leggenda perugina - quando non aveva potuto partecipare alla Messa".
Quale lezione per noi tutti, che spesso siamo così pigri e facciamo fatica anche a partecipare alla Messa solo la do­menica! Non parliamo poi della Messa giornaliera, disertata al punto che in tante Chiese il Sacerdote deve celebrare la S. Messa ai banchi o a quattro devote vecchiette.
File:Jacopo chimenti detto l'empoli, madonna che porge il bambino a san francesco.jpg
Per la S. Comunione, S. Francesco ci insegna come rice­verla da serafini ardenti di amore: "Si comunicava spesso - dice il Celano - e con tanta devozione da rendere devoti anche gli altri". Ecco la vera devozione: quella che edifica, che costruisce, che spinge al meglio anche gli altri. S. Bona­ventura infatti dice che la devozione di S. Francesco nel fare la S. Comunione era tale "da rendere devoti anche gli altri". Basti pensare che subito dopo la Comunione "il più delle volte veniva rapito in estasi". E il Celano ci svela l'intimo di S. Francesco scrivendo che "quando riceveva l'Agnello im­molato, immolava lo spirito in quel fuoco, che ardeva sem­pre sull'altare del suo cuore". Questo e l'amore che diventa fusione, l'immolazione d'amore che non ammette divisioni: "Chi mangia la mia carne e beve il mio Sangue rimane in Me e Io in lui" (Gv 6,56).
S. Francesco si preparava alla S. Comunione con una premura attentissima: non solo la sua vita Santa, ricca di eroismi quotidiani, ma anche la Confessione sacramentale doveva preparare ogni volta la sua anima a ricevere Gesù Eucaristico con il massimo candore di grazia. A quei tempi non più di tre volte alla settimana poteva comunicarsi: ebbe­ne, tre volte alla settimana S. Francesco si confessava. Quan­do si ama, si vuol compiacere la persona amata donandole tutto ciò che possa farla gioire. L'anima purificata dal Sacramento della Confessione diventa una dimora piena di cando­re e di profumo per Gesù Ostia immacolata. S. Francesco non solo lo sapeva e lo faceva, ma lo raccomandava a tutti con fervore veramente serafico. Nella Lettera a tutti i fedeli S. Francesco scrisse così: Gesù "vuole che tutti siamo salvi per Lui, e che lo si riceva con cuore puro e corpo casto. Ma pochi sono coloro che lo vogliono ricevere...". Nella Lettera ai reggitori dei popoli scrive: "Vi consiglio, signori miei, di mettere da parte ogni cura e preoccupazione e di ricevere devotamente la comunione del Santissimo Corpo e Sangue del Signore nostro Gesù Cristo".
Quando si ama, inoltre, si guarda con occhi d'amore non solo la persona amata, ma anche tutto ciò che riguarda la persona amata. In tal senso S. Francesco coltivò a tensione altissima d'amore sia l'adorazione all'Eucaristia, sia la vene­razione per tutto ciò che riguarda l'Eucaristia, ossia le Chiese e i Sacerdoti.
La passione d'amore per l'adorazione Eucaristica fu cosi ardente in S. Francesco, che non erano poche le notti intere da lui trascorse ai piedi del Tabernacolo. E se talvolta il sonno lo prendeva, si appisolava per un poco sui gradini dell'altare, e poi riprendeva instancabile e fervente. Chi lo sosteneva? La fede e l'amore verso questo "mirabile Sacramento" (dalla Liturgia).
La sua fede e il suo amore all'Eucaristia si irradiano dalla sua vita e dai suoi scritti con un fulgore luminosissimo. Ai frati una volta scrisse: "Prego tutti voi, fratelli, baciando­vi i piedi e con quanto ardore posso, di tributare tutta la riverenza e tutto l'onore che potete al Santissimo Corpo e Sangue del Signore nostro Gesù Cristo".
Per S. Francesco la fede nell'Eucaristia fa tutt'uno con la fede nella SS. Trinità e nel Verbo Incarnato. E così voleva che fosse per tutti. Perciò scriveva con vigore e calore: "Il Figlio, in quanto Dio come il Padre, non differisce in qualche cosa dal Padre e dallo Spirito Santo. E allora tutti coloro che si fermarono alla sola umanità del Si­gnore Gesù Cristo e non videro e non credettero nello Spiri­to di Dio, che egli era vero Figlio di Dio, furono condannati; similmente adesso tutti coloro che vedono il sacramento del corpo di Cristo, il quale viene sacrificato sull'altare mediante le parole del Signore, però per il ministero del Sacerdote, Sotto le specie del pane e del vino, e non vedono e non cre­dono, secondo lo Spirito di Dio che esso è veramente il San­tissimo Corpo e Sangue del Signore nostro Gesù Cristo, sono condannati". E poco oltre continua la sua ammonizione con un efficace paragone: "Come ai Santi apostoli apparve in ve­ra Carne, così ora si mostra a noi nel Pane Consacrato; e co­me essi con lo sguardo fisico vedevano solo la sua Carne ma, contemplandolo con gli occhi della fede, credevano che egli era Dio, così anche noi, vedendo pane e vino con gli occhi del corpo, vediamo e fermamente crediamo che il suo Santis­simo Corpo e Sangue sono vivi e veri".
Questa fede e questo amore arriveranno al punto di far­gli esclamare più volte che "dell'altissimo Figlio di Dio nient'altro io vedo corporalmente, in questo mondo, se non il Santissimo Corpo e il Sangue suo... E questi Santissimi mi­steri sopra ogni cosa voglio che siano onorati, venerati e col­locati in luoghi preziosi".
L'amore alla Casa del Signore è inseparabile dall'amore all'Eucaristia. Non si può amare Gesù e trascurare la sua di­mora. Anche in questo S. Francesco ci ha lasciato una lezio­ne stupenda per ardore e concretezza. Personalmente, egli si preoccupava della pulizia delle Chiese, dei calici e delle pissidi, delle tovaglie e delle ostie, dei vasi di fiori e delle lampade.
Esortava i ministri dell'altare ad essere ferventi e fedeli nel circondare il SS. Sacramento di ogni decoro e riverenza. In una lettera ai Custodi sembra scrivere proprio in ginoc­chio: "Vi prego, più che se lo facessi per me stesso, perché quando conviene e lo vedrete necessario, supplichiate umil­mente i Sacerdoti perché venerino sopra ogni cosa il Santissi­mo Corpo e Sangue del Signore nostro Gesù Cristo... I calici, i corporali, gli ornamenti degli altari e tutto ciò che riguarda il Sacrificio devono essere preziosi. E se il Santissimo Corpo del Signore sarà collocato in modo miserevole in qualche luogo, secondo il precetto della Chiesa, sia posto da essi in un luogo prezioso e sia custodito e sia portato con grande venerazione e nel dovuto modo sia dato agli altri... E quan­do è consacrato dal Sacerdote sull'altare ed è portato in qualche parte, tutti, in ginocchio, rendano lode, gloria e onore al Signore Dio vivo e vero".
Queste cose S. Francesco le scriveva e le diceva. Quando arrivava in un paese, dopo aver predicato al popolo, di solito radunava a parte il clero e parlava di questi problemi con ardore appassionato, ricorrendo perfino alla minaccia delle pene eterne: "Non si muove a pietà il nostro animo - escla­mava - sapendo che il Signore, così buono, si mette nelle nostre mani e noi possiamo toccarlo e riceverlo? O ignoria­mo che cadremo nelle sue mani? Emendiamoci decisamen­te, dunque, di queste e di altre cose, e dovunque si trovasse il Santissimo Corpo del Signore nostro Gesù Cristo riposto e lasciato indegnamente, rimoviamolo da quel luogo e riponia­molo e racchiudiamolo in un luogo prezioso".
Più concretamente ancora, S. Francesco stesso, andan­do a predicare per città e villaggi "portava una scopa per pu­lire le Chiese", come riferisce la Leggenda perugina, perché "molto soffriva Francesco nell'entrare in una chiesa e veder­la sporca", e ciò lo spingeva a raccomandare ai Sacerdoti "di avere la massima cura nel mantenere pulite le Chiese, gli alta­ri e tutta la suppellettile che serve per la celebrazione dei divini misteri".
Inoltre, "una volta volle mandare alcuni frati per tutte le province, - dice lo Specchio di perfezione - a portare pissidi belle e splendenti, affinché dovunque trovassero il Corpo del Signore conservato in modo sconveniente, lo col­locassero con onore in quelle pissidi. E anche volle mandare altri frati per tutte le regioni con molti e buoni ferri da o­stie, per fare delle particole belle e pure".
Se a questo aggiungiamo che S. Francesco faceva pre­parare da S. Chiara i corporali da donare alle Chiese povere e che egli stesso a volte preparava i vasi di fiori per l'altare, possiamo farci un'idea più completa del fervore Eucaristico di S. Francesco.
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Che cosa dire, in particolare, della venerazione di san Francesco per i Sacerdoti all’altare? Basti qui riportare le parole del suo Testamento: "Il signore mi dette e mi dà tanta fede nei Sacerdoti che vivono secondo la forma della Santa Chiesa romana, a causa del loro ordine, che se mi dovessero perseguitare voglio ricorrere ad essi e non voglio in loro considerare il peccato, perché in essi io vedo il Figlio di Dio".
Ecco la visione soprannaturale di S. Francesco riguardo ai consacrati in “Persona Christi”, ossia ai Sacerdoti: "In essi io vedo il Figlio di Dio". Per questo egli voleva che "fossero onorati in maniera particolare i Sacerdoti - dicono i Tre compagni – i quali amministrano sacramenti così venerandi e sublimi: dovunque li incontrassero, doveva­no chinare il capo davanti a loro e baciare loro le mani... E difatti, dovunque s'imbattessero in un Sacerdote, non impor­ta se ricco o povero, degno o indegno, s'inchinavano umil­mente in segno di reverenza".
Agli stessi Sacerdoti egli dice con amore: "Badate alla vostra dignità, frati Sacerdoti, e siate Santi perché Egli è Santo. E come il Signore Dio onorò voi sopra tutti gli uomini, per questo mistero, così voi più di ogni altro uomo amate, riverite, onorate Lui". E’ davvero ineffabile la dignità di colui che “impersona Cristo” ed è chiamato ad essere ovunque “presenza di Cristo” e a pensare, parlare e operare in tutto “come Cristo”.
Per questo san Francesco si preoccupa che i Sacerdoti possano sempre “celebrare la Messa puri e ripieni di purezza compiano con riverenza il vero sacrificio del santissimo corpo e sangue del Signore nostro Gesù Cristo, con intenzione santa e monda…”. Abbiano sempre, essi, la massima devozione e il massimo candore dell’anima, con la perfet­ta obbedienza a tutte le norme della Chiesa e con tutta la delicatezza nel portarlo fra le mani e nel distribuirlo agli al­tri, facendo così stupire gli angeli che li assistono.
San Francesco non si stanca di raccomandare ai sacerdoti soprattutto l’umiltà, riferendo l’esempio di Gesù stesso il quale “ogni giorno si umilia, come quando dalla sede regale discese nel grembo della Vergine: ogni giorno, infatti, egli stesso viene a noi in apparenza umile, ogni giorno discende dal seno del Padre sull’altare nelle mani del sacerdote”.
E le mani del sacerdote dovrebbero essere pure come quelle della Madonna, raccomanda il Serafico Padre, esprimendosi con queste parole sublimi: “Ascoltate, fratelli miei. Se la Beata Vergine è così onorata, come è giusto, perché lo portò nel suo santissimo grembo [….] quanto deve essere santo, giusto e degno colui che tocca con le sue mani, riceve nel cuore e con la bocca e offre agli altri, perché ne mangino, Lui non già morituro, ma in eterno vivente e glorificato, sul quale gli angeli desiderano fissare lo sguardo”.
Per questo, considerando tali compiti così sublimi del Sacerdote, san Francesco non può trattenersi dal fare una dolorosa e amara costatazione nei riguardi di ogni Sacerdote: “E’ una grande miseria e una miseranda debolezza, che avendo lui così presente, voi vi prendiate cura di qualche altra cosa in tutto il mondo”. Se ogni Sacerdote riflettesse sui richiami del Serafico Padre!
La conclusione di tutto il discorso sulla pietà e sulla vita Eucaristica secondo S. Francesco d’Assisi possiamo trovarla in questa sua esortazio­ne che vale certamente anche per tutti noi: "Nulla di voi tenete per voi; affinché vi accolga tutti Colui che a voi si dà tutto". Essere l’uno dell’altro, essere l’uno nell’altro: non è forse questo il contenuto delle divine parole d’amore sommo di Gesù: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui” (Gv 6, 56)?
P. Stefano Maria Manelli FI

LAUDETUR JESUS CHRISTUS!
LAUDETUR CUM MARIA!
SEMPER LAUDENTUR!

"IL ROSARIO E' L'ARMA NELLA BATTAGLIA e LA CONSOLAZIONE NEL RIPOSO"


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"Vieni, Spirito Santo, vieni 
per mezzo della potente intercessione
del Cuore Immacolato di Maria,
Tua amatissima Sposa"


Salmo 24

A te, o Madre, ho elevato il mio cuore, * per le tue preghiere non arrossisca al giudizio di Dio.

Non mi deridano i miei nemici * perché in te confidando trovo fortezza.

Non mi vincano insidie mortali * e le forze del male non m’impediscano il cammino.

La tua potenza infranga il loro assalto * e tu benigna accogli la mia anima.

Degnati di guidarmi alla patria celeste * e di unirmi alle schiere degli Angeli.

Gloria al Padre…

LAUDETUR JESUS CHRISTUS!
LAUDETUR CUM MARIA!
SEMPER LAUDENTUR!