martedì 21 febbraio 2012

Motu Proprio "SUMMORUN PONTIFICUM" e LETTERA AI VESCOVI - 7 Luglio 2007 + Istruzione "Universae Ecclesiae" sull’applicazione della Lettera Apostolica Motu Proprio data "Summorum Pontificum" di S.S. Benedetto P.P. XVI 30 aprile 2011


Motu Proprio 

SUMMORUM PONTIFICUM e 

LETTERA AI VESCOVI - 7 Luglio 2007


LETTERA APOSTOLICA DI
SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI
MOTU PROPRIO DATA

[Latino, Ungherese, Italiano, Inglese]

SUMMORUM PONTIFICUM


I Sommi Pontefici fino ai nostri giorni ebbero costantemente cura che la Chiesa di Cristo offrisse alla Divina Maestà un culto degno, “a lode e gloria del Suo nome” ed “ad utilità di tutta la sua Santa Chiesa”.

Da tempo immemorabile, come anche per l’avvenire, è necessario mantenere il principio secondo il quale “ogni Chiesa particolare deve concordare con la Chiesa universale, non solo quanto alla dottrina della fede e ai segni sacramentali, ma anche quanto agli usi universalmente accettati dalla ininterrotta tradizione apostolica, che devono essere osservati non solo per evitare errori, ma anche per trasmettere l’integrità della fede, perché la legge della preghiera della Chiesa corrisponde alla sua legge di fede”[1].

Tra i Pontefici che ebbero tale doverosa cura eccelle il nome di san Gregorio Magno, il quale si adoperò perché ai nuovi popoli dell’Europa si trasmettesse sia la fede cattolica che i tesori del culto e della cultura accumulati dai Romani nei secoli precedenti. Egli comandò che fosse definita e conservata la forma della sacra Liturgia, riguardante sia il Sacrificio della Messa sia l’Ufficio Divino, nel modo in cui si celebrava nell’Urbe. Promosse con massima cura la diffusione dei monaci e delle monache, che operando sotto la regola di san Benedetto, dovunque unitamente all’annuncio del Vangelo illustrarono con la loro vita la salutare massima della Regola: “Nulla venga preposto all’opera di Dio” (cap. 43). In tal modo la sacra Liturgia celebrata secondo l’uso romano arricchì non solo la fede e la pietà, ma anche la cultura di molte popolazioni. Consta infatti che la liturgia latina della Chiesa nelle varie sue forme, in ogni secolo dell’età cristiana, ha spronato nella vita spirituale numerosi Santi e ha rafforzato tanti popoli nella virtù di religione e ha fecondato la loro pietà.

Molti altri Romani Pontefici, nel corso dei secoli, mostrarono particolare sollecitudine a che la sacra Liturgia espletasse in modo più efficace questo compito: tra essi spicca s. Pio V, il quale sorretto da grande zelo pastorale, a seguito dell’esortazione del Concilio di Trento, rinnovò tutto il culto della Chiesa, curò l’edizione dei libri liturgici, emendati e “rinnovati secondo la norma dei Padri” e li diede in uso alla Chiesa latina.

Tra i libri liturgici del Rito romano risalta il Messale Romano, che si sviluppò nella città di Roma, e col passare dei secoli a poco a poco prese forme che hanno grande somiglianza con quella vigente nei tempi più recenti.

“Fu questo il medesimo obbiettivo che seguirono i Romani Pontefici nel corso dei secoli seguenti assicurando l’aggiornamento o definendo i riti e i libri liturgici, e poi, all’inizio di questo secolo, intraprendendo una riforma generale”[2]. Così agirono i nostri Predecessori Clemente VIII, Urbano VIII, san Pio X[3], Benedetto XV, Pio XII e il B. Giovanni XXIII.

Nei tempi più recenti, il Concilio Vaticano II espresse il desiderio che la dovuta rispettosa riverenza nei confronti del culto divino venisse ancora rinnovata e fosse adattata alle necessità della nostra età. Mosso da questo desiderio, il nostro Predecessore, il Sommo Pontefice Paolo VI, nel 1970 per la Chiesa latina approvò i libri liturgici riformati e in parte rinnovati. Essi, tradotti nelle varie lingue del mondo, di buon grado furono accolti da Vescovi, sacerdoti e fedeli. Giovanni Paolo II rivide la terza edizione tipica del Messale Romano. Così i Romani Pontefici hanno operato “perché questa sorta di edificio liturgico [...] apparisse nuovamente splendido per dignità e armonia”[4].

Ma in talune regioni non pochi fedeli aderirono e continuano ad aderire con tanto amore ed affetto alle antecedenti forme liturgiche, le quali avevano imbevuto così profondamente la loro cultura e il loro spirito, che il Sommo Pontefice Giovanni Paolo II, mosso dalla cura pastorale nei confronti di questi fedeli, nell’anno 1984 con lo speciale indulto “Quattuor abhinc annos”, emesso dalla Congregazione per il Culto Divino, concesse la facoltà di usare il Messale Romano edito dal B. Giovanni XXIII nell’anno 1962; nell’anno 1988 poi Giovanni Paolo II di nuovo con la Lettera Apostolica “Ecclesia Dei”, data in forma di Motu proprio, esortò i Vescovi ad usare largamente e generosamente tale facoltà in favore di tutti i fedeli che lo richiedessero.

A seguito delle insistenti preghiere di questi fedeli, a lungo soppesate già dal Nostro Predecessore Giovanni Paolo II, e dopo aver ascoltato Noi stessi i Padri Cardinali nel Concistoro tenuto il 22 marzo 2006, avendo riflettuto approfonditamente su ogni aspetto della questione, dopo aver invocato lo Spirito Santo e contando sull’aiuto di Dio, con la presente Lettera Apostolica stabiliamo quanto segue:

Art. 1. Il Messale Romano promulgato da Paolo VI è la espressione ordinaria della “lex orandi” (“legge della preghiera”) della Chiesa cattolica di rito latino. Tuttavia il Messale Romano promulgato da S. Pio V e nuovamente edito dal B. Giovanni XXIII deve venir considerato come espressione straordinaria della stessa “lex orandi” e deve essere tenuto nel debito onore per il suo uso venerabile e antico. Queste due espressioni della “lex orandi” della Chiesa non porteranno in alcun modo a una divisione nella “lex credendi” (“legge della fede”) della Chiesa; sono infatti due usi dell’unico rito romano.

Perciò è lecito celebrare il Sacrificio della Messa secondo l’edizione tipica del Messale Romano promulgato dal B. Giovanni XXIII nel 1962 e mai abrogato, come forma straordinaria della Liturgia della Chiesa. Le condizioni per l’uso di questo Messale stabilite dai documenti anteriori “Quattuor abhinc annos” e “Ecclesia Dei”, vengono sostituite come segue:

Art. 2. Nelle Messe celebrate senza il popolo, ogni sacerdote cattolico di rito latino, sia secolare sia religioso, può usare o il Messale Romano edito dal beato Papa Giovanni XXIII nel 1962, oppure il Messale Romano promulgato dal Papa Paolo VI nel 1970, e ciò in qualsiasi giorno, eccettuato il Triduo Sacro. Per tale celebrazione secondo l’uno o l’altro Messale il sacerdote non ha bisogno di alcun permesso, né della Sede Apostolica, né del suo Ordinario.

Art. 3. Le comunità degli Istituti di vita consacrata e delle Società di vita apostolica, di diritto sia pontificio sia diocesano, che nella celebrazione conventuale o “comunitaria” nei propri oratori desiderano celebrare la Santa Messa secondo l’edizione del Messale Romano promulgato nel 1962, possono farlo. Se una singola comunità o un intero Istituto o Società vuole compiere tali celebrazioni spesso o abitualmente o permanentemente, la cosa deve essere decisa dai Superiori maggiori a norma del diritto e secondo le leggi e gli statuti particolari.

Art. 4. Alle celebrazioni della Santa Messa di cui sopra all’art. 2, possono essere ammessi – osservate le norme del diritto – anche i fedeli che lo chiedessero di loro spontanea volontà.

Art. 5. § 1. Nelle parrocchie, in cui esiste stabilmente un gruppo di fedeli aderenti alla precedente tradizione liturgica, il parroco accolga volentieri le loro richieste per la celebrazione della Santa Messa secondo il rito del Messale Romano edito nel 1962. Provveda a che il bene di questi fedeli si armonizzi con la cura pastorale ordinaria della parrocchia, sotto la guida del Vescovo a norma del can. 392, evitando la discordia e favorendo l’unità di tutta la Chiesa.

§ 2. La celebrazione secondo il Messale del B. Giovanni XXIII può aver luogo nei giorni feriali; nelle domeniche e nelle festività si può anche avere una celebrazione di tal genere.

§ 3. Per i fedeli e i sacerdoti che lo chiedono, il parroco permetta le celebrazioni in questa forma straordinaria anche in circostanze particolari, come matrimoni, esequie o celebrazioni occasionali, ad esempio pellegrinaggi.

§ 4. I sacerdoti che usano il Messale del B. Giovanni XXIII devono essere idonei e non giuridicamente impediti.

§ 5. Nelle chiese che non sono parrocchiali né conventuali, è compito del Rettore della chiesa concedere la licenza di cui sopra.

Art. 6. Nelle Messe celebrate con il popolo secondo il Messale del B. Giovanni XXIII, le letture possono essere proclamate anche nella lingua vernacola, usando le edizioni riconosciute dalla Sede Apostolica.

Art. 7. Se un gruppo di fedeli laici fra quelli di cui all’art. 5 § 1 non abbia ottenuto soddisfazione alle sue richieste da parte del parroco, ne informi il Vescovo diocesano. Il Vescovo è vivamente pregato di esaudire il loro desiderio. Se egli non può provvedere per tale celebrazione, la cosa venga riferita alla Commissione Pontificia “Ecclesia Dei”.

Art. 8. Il Vescovo, che desidera rispondere a tali richieste di fedeli laici, ma per varie cause è impedito di farlo, può riferire la questione alla Commissione “Ecclesia Dei”, perché gli offra consiglio e aiuto.

Art. 9 § 1. Il parroco, dopo aver considerato tutto attentamente, può anche concedere la licenza di usare il rituale più antico nell’amministrazione dei sacramenti del Battesimo, del Matrimonio, della Penitenza e dell’Unzione degli infermi, se questo consiglia il bene delle anime.

§ 2. Agli Ordinari viene concessa la facoltà di celebrare il sacramento della Confermazione usando il precedente antico Pontificale Romano, qualora questo consigli il bene delle anime.

§ 3. Ai chierici costituiti “in sacris” è lecito usare il Breviario Romano promulgato dal B. Giovanni XXIII nel 1962.

Art. 10. L’Ordinario del luogo, se lo riterrà opportuno, potrà erigere una parrocchia personale a norma del can. 518 per le celebrazioni secondo la forma più antica del rito romano, o nominare un cappellano, osservate le norme del diritto.

Art. 11. La Pontificia Commissione “Ecclesia Dei”, eretta da Giovanni Paolo II nel 1988[5], continua ad esercitare il suo compito.

Tale Commissione abbia la forma, i compiti e le norme, che il Romano Pontefice le vorrà attribuire.

Art. 12. La stessa Commissione, oltre alle facoltà di cui già gode, eserciterà l’autorità della Santa Sede vigilando sulla osservanza e l’applicazione di queste disposizioni.

Tutto ciò che da Noi è stato stabilito con questa Lettera Apostolica data a modo di Motu proprio, ordiniamo che sia considerato come “stabilito e decretato” e da osservare dal giorno 14 settembre di quest’anno, festa dell’Esaltazione della Santa Croce, nonostante tutto ciò che possa esservi in contrario.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 7 luglio 2007, anno terzo del nostro Pontificato.



BENEDICTUS PP. XVI



[1] Ordinamento generale del Messale Romano, 3a ed., 2002, n. 397.

[2] Giovanni Paolo II, Lett. ap. Vicesimus quintus annus, 4 dicembre 1988, 3: AAS 81 (1989), 899.

[3] Ibid.

[4] S. Pio X, Lett. ap. Motu propio data, Abhinc duos annos, 23 ottobre 1913: AAS 5 (1913), 449-450; cfr Giovanni Paolo II, lett. ap. Vicesimus quintus annus, n. 3: AAS 81 (1989), 899.

[5] Cfr Ioannes Paulus II, Lett. ap. Motu proprio data Ecclesia Dei, 2 luglio 1988, 6: AAS 80 (1988), 1498.

© Copyright 2007 - Libreria Editrice Vaticana

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Ecclesia Dei

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LETTERA DI SUA SANTITÀ
BENEDETTO XVI
AI VESCOVI IN OCCASIONE DELLA PUBBLICAZIONE
DELLA LETTERA APOSTOLICA "MOTU PROPRIO DATA"
SUMMORUM PONTIFICUM
SULL'USO DELLA LITURGIA ROMANA
ANTERIORE ALLA RIFORMA EFFETTUATA NEL 1970

[Francese, Inglese, Italiano, Portoghese, Spagnolo, Tedesco]



Cari Fratelli nell’Episcopato,

con grande fiducia e speranza metto nelle vostre mani di Pastori il testo di una nuova Lettera Apostolica “Motu Proprio data” sull’uso della liturgia romana anteriore alla riforma effettuata nel 1970. Il documento è frutto di lunghe riflessioni, di molteplici consultazioni e di preghiera.

Notizie e giudizi fatti senza sufficiente informazione hanno creato non poca confusione. Ci sono reazioni molto divergenti tra loro che vanno da un’accettazione gioiosa ad un’opposizione dura, per un progetto il cui contenuto in realtà non era conosciuto.

A questo documento si opponevano più direttamente due timori, che vorrei affrontare un po’ più da vicino in questa lettera.

In primo luogo, c’è il timore che qui venga intaccata l’Autorità del Concilio Vaticano II e che una delle sue decisioni essenziali – la riforma liturgica – venga messa in dubbio. Tale timore è infondato. Al riguardo bisogna innanzitutto dire che il Messale, pubblicato in duplice edizione da Paolo VI e poi riedito una terza volta con l'approvazione di Giovanni Paolo II, ovviamente è e rimane la forma normale – la forma ordinaria – della Liturgia Eucaristica. L’ultima stesura del Missale Romanum, anteriore al Concilio, che è stata pubblicata con l’autorità di Papa Giovanni XXIII nel 1962 e utilizzata durante il Concilio, potrà, invece, essere usata come forma extraordinaria della Celebrazione liturgica. Non è appropriato parlare di queste due stesure del Messale Romano come se fossero “due Riti”. Si tratta, piuttosto, di un uso duplice dell’unico e medesimo Rito. Quanto all’uso del Messale del 1962, come forma extraordinaria della Liturgia della Messa, vorrei attirare l’attenzione sul fatto che questo Messale non fu mai giuridicamente abrogato e, di conseguenza, in linea di principio, restò sempre permesso. Al momento dell’introduzione del nuovo Messale, non è sembrato necessario di emanare norme proprie per l’uso possibile del Messale anteriore. Probabilmente si è supposto che si sarebbe trattato di pochi casi singoli che si sarebbero risolti, caso per caso, sul posto. Dopo, però, si è presto dimostrato che non pochi rimanevano fortemente legati a questo uso del Rito romano che, fin dall’infanzia, era per loro diventato familiare. Ciò avvenne, innanzitutto, nei Paesi in cui il movimento liturgico aveva donato a molte persone una cospicua formazione liturgica e una profonda, intima familiarità con la forma anteriore della Celebrazione liturgica. Tutti sappiamo che, nel movimento guidato dall’Arcivescovo Lefebvre, la fedeltà al Messale antico divenne un contrassegno esterno; le ragioni di questa spaccatura, che qui nasceva, si trovavano però più in profondità. Molte persone, che accettavano chiaramente il carattere vincolante del Concilio Vaticano II e che erano fedeli al Papa e ai Vescovi, desideravano tuttavia anche ritrovare la forma, a loro cara, della sacra Liturgia; questo avvenne anzitutto perché in molti luoghi non si celebrava in modo fedele alle prescrizioni del nuovo Messale, ma esso addirittura veniva inteso come un’autorizzazione o perfino come un obbligo alla creatività, la quale portò spesso a deformazioni della Liturgia al limite del sopportabile. Parlo per esperienza, perché ho vissuto anch’io quel periodo con tutte le sue attese e confusioni. E ho visto quanto profondamente siano state ferite, dalle deformazioni arbitrarie della Liturgia, persone che erano totalmente radicate nella fede della Chiesa.

Papa Giovanni Paolo II si vide, perciò, obbligato a dare, con il Motu Proprio “Ecclesia Dei” del 2 luglio 1988, un quadro normativo per l’uso del Messale del 1962, che però non conteneva prescrizioni dettagliate, ma faceva appello, in modo più generale, alla generosità dei Vescovi verso le “giuste aspirazioni” di quei fedeli che richiedevano quest’uso del Rito romano. In quel momento il Papa voleva, così, aiutare soprattutto la Fraternità San Pio X a ritrovare la piena unità con il Successore di Pietro, cercando di guarire una ferita sentita sempre più dolorosamente. Purtroppo questa riconciliazione finora non è riuscita; tuttavia una serie di comunità hanno utilizzato con gratitudine le possibilità di questo Motu Proprio. Difficile è rimasta, invece, la questione dell’uso del Messale del 1962 al di fuori di questi gruppi, per i quali mancavano precise norme giuridiche, anzitutto perché spesso i Vescovi, in questi casi, temevano che l’autorità del Concilio fosse messa in dubbio. Subito dopo il Concilio Vaticano II si poteva supporre che la richiesta dell’uso del Messale del 1962 si limitasse alla generazione più anziana che era cresciuta con esso, ma nel frattempo è emerso chiaramente che anche giovani persone scoprono questa forma liturgica, si sentono attirate da essa e vi trovano una forma, particolarmente appropriata per loro, di incontro con il Mistero della Santissima Eucaristia. Così è sorto un bisogno di un regolamento giuridico più chiaro che, al tempo del Motu Proprio del 1988, non era prevedibile; queste Norme intendono anche liberare i Vescovi dal dover sempre di nuovo valutare come sia da rispondere alle diverse situazioni.

In secondo luogo, nelle discussioni sull’atteso Motu Proprio, venne espresso il timore che una più ampia possibilità dell’uso del Messale del 1962 avrebbe portato a disordini o addirittura a spaccature nelle comunità parrocchiali. Anche questo timore non mi sembra realmente fondato. L’uso del Messale antico presuppone una certa misura di formazione liturgica e un accesso alla lingua latina; sia l’una che l’altra non si trovano tanto di frequente. Già da questi presupposti concreti si vede chiaramente che il nuovo Messale rimarrà, certamente, la forma ordinaria del Rito Romano, non soltanto a causa della normativa giuridica, ma anche della reale situazione in cui si trovano le comunità di fedeli.

E’ vero che non mancano esagerazioni e qualche volta aspetti sociali indebitamente vincolati all’attitudine di fedeli legati all’antica tradizione liturgica latina. La vostra carità e prudenza pastorale sarà stimolo e guida per un perfezionamento. Del resto le due forme dell’uso del Rito Romano possono arricchirsi a vicenda: nel Messale antico potranno e dovranno essere inseriti nuovi santi e alcuni dei nuovi prefazi. La Commissione “Ecclesia Dei” in contatto con i diversi enti dedicati all’ “usus antiquior” studierà le possibilità pratiche. Nella celebrazione della Messa secondo il Messale di Paolo VI potrà manifestarsi, in maniera più forte di quanto non lo è spesso finora, quella sacralità che attrae molti all’antico uso. La garanzia più sicura che il Messale di Paolo VI possa unire le comunità parrocchiali e venga da loro amato consiste nel celebrare con grande riverenza in conformità alle prescrizioni; ciò rende visibile la ricchezza spirituale e la profondità teologica di questo Messale.

Sono giunto, così, a quella ragione positiva che mi ha motivato ad aggiornare mediante questo Motu Proprio quello del 1988. Si tratta di giungere ad una riconciliazione interna nel seno della Chiesa. Guardando al passato, alle divisioni che nel corso dei secoli hanno lacerato il Corpo di Cristo, si ha continuamente l’impressione che, in momenti critici in cui la divisione stava nascendo, non è stato fatto il sufficiente da parte dei responsabili della Chiesa per conservare o conquistare la riconciliazione e l’unità; si ha l’impressione che le omissioni nella Chiesa abbiano avuto una loro parte di colpa nel fatto che queste divisioni si siano potute consolidare. Questo sguardo al passato oggi ci impone un obbligo: fare tutti gli sforzi, affinché a tutti quelli che hanno veramente il desiderio dell’unità, sia reso possibile di restare in quest’unità o di ritrovarla nuovamente. Mi viene in mente una frase della Seconda Lettera ai Corinzi, dove Paolo scrive: “La nostra bocca vi ha parlato francamente, Corinzi, e il nostro cuore si è tutto aperto per voi. Non siete davvero allo stretto in noi; è nei vostri cuori invece che siete allo stretto… Rendeteci il contraccambio, aprite anche voi il vostro cuore!” (2 Cor 6,11–13). Paolo lo dice certo in un altro contesto, ma il suo invito può e deve toccare anche noi, proprio in questo tema. Apriamo generosamente il nostro cuore e lasciamo entrare tutto ciò a cui la fede stessa offre spazio.

Non c’è nessuna contraddizione tra l’una e l’altra edizione del Missale Romanum. Nella storia della Liturgia c’è crescita e progresso, ma nessuna rottura. Ciò che per le generazioni anteriori era sacro, anche per noi resta sacro e grande, e non può essere improvvisamente del tutto proibito o, addirittura, giudicato dannoso. Ci fa bene a tutti conservare le ricchezze che sono cresciute nella fede e nella preghiera della Chiesa, e di dar loro il giusto posto. Ovviamente per vivere la piena comunione anche i sacerdoti delle Comunità aderenti all’uso antico non possono, in linea di principio, escludere la celebrazione secondo i libri nuovi. Non sarebbe infatti coerente con il riconoscimento del valore e della santità del nuovo rito l’esclusione totale dello stesso.

In conclusione, cari Confratelli, mi sta a cuore sottolineare che queste nuove norme non diminuiscono in nessun modo la vostra autorità e responsabilità, né sulla liturgia né sulla pastorale dei vostri fedeli. Ogni Vescovo, infatti, è il moderatore della liturgia nella propria diocesi (cfr. Sacrosanctum Concilium, n. 22: “Sacrae Liturgiae moderatio ab Ecclesiae auctoritate unice pendet quae quidem est apud Apostolicam Sedem et, ad normam iuris, apud Episcopum”).

Nulla si toglie quindi all’autorità del Vescovo il cui ruolo, comunque, rimarrà quello di vigilare affinché tutto si svolga in pace e serenità. Se dovesse nascere qualche problema che il parroco non possa risolvere, l’Ordinario locale potrà sempre intervenire, in piena armonia, però, con quanto stabilito dalle nuove norme del Motu Proprio.

Inoltre, vi invito, cari Confratelli, a scrivere alla Santa Sede un resoconto sulle vostre esperienze, tre anni dopo l’entrata in vigore di questo Motu Proprio. Se veramente fossero venute alla luce serie difficoltà, potranno essere cercate vie per trovare rimedio.

Cari Fratelli, con animo grato e fiducioso, affido al vostro cuore di Pastori queste pagine e le norme del Motu Proprio. Siamo sempre memori delle parole dell’Apostolo Paolo dirette ai presbiteri di Efeso: “Vegliate su voi stessi e su tutto il gregge, in mezzo al quale lo Spirito Santo vi ha posti come Vescovi a pascere la Chiesa di Dio, che egli si è acquistata con il suo sangue” (Atti 20,28).

Affido alla potente intercessione di Maria, Madre della Chiesa, queste nuove norme e di cuore imparto la mia Benedizione Apostolica a Voi, cari Confratelli, ai parroci delle vostre diocesi, e a tutti i sacerdoti, vostri collaboratori, come anche a tutti i vostri fedeli.

Dato presso San Pietro, il 7 luglio 2007


BENEDICTUS PP. XVI


© Copyright 2007 - Libreria Editrice Vaticana


Pontificia Commissione Ecclesia Dei

Istruzione
Universae Ecclesiae
sull’applicazione della
Lettera Apostolica Motu Proprio data
"Summorum Pontificum" di S.S. Benedetto P.P. XVI
30 aprile 2011
[Inglese, Italiano, Latino, Portoghese, Spagnolo, Tedesco]


NOTA REDAZIONALE SULL'ISTRUZIONE UNIVERSAE ECCLESIAE
Con il Motu Proprio Summorum Pontificum, emanato il 7 luglio 2007 ed entrato in vigore il 14 settembre di quello stesso anno (AAS 99 [2007] 777-781), il Santo Padre ha promulgato una legge universale per la Chiesa con l’intento di regolamentazione dell’uso della Liturgia Romana in vigore nell’anno 1962, illustrando autorevolmente le ragioni della sua decisione nella Lettera ai Vescovi che accompagnava la pubblicazione del Motu Proprio sull’uso della Liturgia Romana anteriore alla Riforma effettuata nel 1970 (AAS 99 [2007] 795-799).
Nella suddetta Lettera il Santo Padre ha chiesto ai Confratelli nell’Episcopato di far pervenire alla Santa Sede un rapporto a tre anni dall’entrata in vigore del Motu Proprio (cfr cpv. 11). Tenendo conto delle osservazioni dei Pastori della Chiesa di tutto il mondo, e avendo raccolto domande di chiarificazione e richieste di indicazioni specifiche, viene ora pubblicata la seguente Istruzione dall’incipit latino: Universae Ecclesiae. L’Istruzione è stata approvata dallo stesso Pontefice nell’Udienza concessa al Cardinale Presidente l’8 aprile 2011, e porta la data del 30 aprile 2011, memoria liturgica di San Pio V, Papa.
Nel testo dell’Istruzione, dopo alcune osservazioni introduttive e di tipo storico (Parte I, nn. 1-8), si esplicitano innanzitutto i compiti della Pontificia Commissione Ecclesia Dei (Parte II, nn. 9-11), stabilendo in seguito, in ottemperanza al Motu Proprio pontificio, alcune specifiche norme e disposizioni (Parte III, nn. 12-35), prima di tutto quelle relative alla competenza propria del Vescovo diocesano (nn. 13-14). Si illustrano poi i diritti e i doveri dei fedeli che compongono un coetus fidelium interessato (nn. 15-19), nonché del sacerdote ritenuto idoneo a celebrare la forma extraordinaria del Rito Romano (sacerdos idoneus, nn. 20-23). Si regolano alcune questioni pertinenti alla disciplina liturgica ed ecclesiastica (nn. 24-28), specificando in particolare le norme relative alla celebrazione della Cresima e dell’Ordine sacro (nn. 29-31), all’uso del Breviarium Romanum (n. 32), dei libri liturgici propri degli Ordini religiosi (n. 34), del Pontificale Romanum e del Rituale Romanum (n. 35), che erano in vigore nell’anno 1962, nonché alla celebrazione del Triduo sacro (n. 33).
È viva speranza della Pontificia Commissione Ecclesia Dei che l’osservanza delle norme e disposizioni dell’Istruzione, che regolano l’Usus Antiquior del Rito Romano e sono affidate alla carità pastorale e alla prudente vigilanza dei Pastori della Chiesa, contribuirà, quale stimolo e guida, alla riconciliazione e all’unità, come auspicate dal Santo Padre (cfr Lettera ai Vescovi del 7 luglio 2007, cpvv. 7-8).



PONTIFICIA COMMISSIO ECCLESIA DEI

INSTRUCTIO
Ad exsequendas Litteras Apostolicas Summorum Pontificuma S. S. BENEDICTO PP. XVI Motu Proprio datas
I.
Prooemium

1. Universae Ecclesiae Litterae Apostolicae Summorum Pontificum Benedicti PP. XVI, die 7 iulii a. D. 2007 motu proprio datae atque inde a die 14 septembris a. D. 2007 vigentes, Romanae Liturgiae divitias reddiderunt propiores.
2. Hisce Litteris Motu Proprio datis Summus Pontifex Benedictus XVI legem universalem Ecclesiae tulit ut regulis nostris temporibus aptioribus quoad usum Romanae Liturgiae anno 1962 vigentem provideret.
3. Sedula Summorum Pontificum sollicitudine hac in Sacrae Liturgiae cura necnon et in recognoscendis liturgicis libris memorata, Sanctitas Sua antiquum principium in mentem revocavit, ab immemorabilibus receptum et in futurum servandum: "unaquaeque Ecclesia particularis concordare debet cum universali Ecclesia non solum quoad fidei doctrinam et signa sacramentalia, sed etiam quoad usus universaliter acceptos ab apostolica et continua traditione, qui servandi sunt non solum ut errores vitentur, verum etiam ad fidei integritatem tradendam, quia Ecclesiae lex orandi eius legi credendi respondet"1.
4. Insuper, Apostolicus Dominus et Romanos Pontifices commemorat, qui hac in cura maximopere meriti sunt, praesertim S. Gregorium Magnum et S. Pium V. Summus Pontifex etiam recolit inter liturgicos libros, Missale Romanum semper eminuisse, prolabentibusque saeculis incrementa novisse, usque ad beatum Papam Ioannem XXIII. Deinde, cum instauratio liturgica post Concilium Vaticanum II ageretur, Paulus VI anno 1970 novum Missale usui Ecclesiae Ritus Latini destinatum adprobavit, quod postea in plures linguas translatum fuit cuiusque editio tertia anno 2000 a Ioanne Paulo II est promulgata.
5. Nonnulli vero Christifideles, spiritu rituum liturgicorum Concilio Vaticano II anteriorum imbuti, desiderium praecipuum patefecerant antiquam servandi traditionem. Quam ob rem Ioannes Paulus II, speciali Indulto a Sacra Congregatione pro Sacramentis et Cultu Divino anno 1984 concesso, "Quattuor abhinc annos", facultatem dedit utendi Missali Romano a beato Papa Ioanne XXIII promulgato, attentis tamen quibusdam conditionibus. Praeterea ipse Ioannes Paulus II Litteris Apostolicis Ecclesia Dei motu proprio anno 1988 datis, Episcopos ad magnanimem liberalitatem huius facultatis concedendae, ad bonum omnium christifidelium id postulantium, adhortatus est. Similiter et Papa Benedictus XVI promulgando Litteras Apostolicas Summorum Pontificum nuncupatas egit, de quibus vero quaedam principia essentialia ad Usum spectantia Antiquiorem Ritus Romani quam maxime heic recolere praestat.
6. Textus Missalis Romani a Paulo VI promulgati, et textus ad ultimam usque editionem Ioannis XXIII pertinentes, duae expressiones Liturgiae Romanae exstant, quae respective ordinaria et extraordinaria nuncupantur: agitur nempe de duobus unius Ritus Romani usibus, qui ad invicem iuxta ponuntur. Nam utraque forma est expressio unicae Ecclesiae legis orandi. Propter venerabilem et antiquum usum forma extraordinaria debito honore est servanda.
7. Litteras Apostolicas Summorum Pontificum motu proprio datas comitatur Epistola ab ipso Summo Pontifice eodem die subsignata (7. VII. 2007), in qua fuse de opportunitate necnon et de necessitate ipsarum Litterarum agitur: leges recentiores erant nempe ferendae, deficientibus regulis quae usum Liturgiae Romanae anno 1962 vigentem plane ordinarent. Insuper recentiore legislatione opus erat quia, edito novo Missali, non est visum cur regulae edendae essent quoad usum Liturgiae anni 1962. Increscentibus magis magisque in dies fidelibus expostulantibus celebrationem formae extraordinariae, leges autem erant ferendae. Inter cetera monet Benedictus XVI: "Inter duas Missalis Romani editiones nulla est contradictio. In historia liturgiae incrementum et progressus inveniuntur, nulla tamen ruptura. Id quod maioribus nostris sacrum erat, nobis manet sacrum et grande, et non licet ut repente omnino vetitum sit, neque ut plane noxium judicetur"2.
8. Litterae Apostolicae Summorum Pontificum eminenter exprimunt Magisterium Romani Pontificis eiusque munus regendi atque Sacram Liturgiam ordinandi3, ipsiusque sollicitudinem utpote Christi Vicarii et Ecclesiae Universae Pastoris4. Ipsae Litterae intendunt:
a) Liturgiam Romanam in Antiquiori Usu, prout pretiosum thesaurum servandum, omnibus largire fidelibus;
b) Usum eiusdem Liturgiae iis re vera certum facere, qui id petunt, considerando ipsum Usum Liturgiae Romanae anno 1962 vigentem esse facultatem ad bonum fidelium datam, ac proinde in favorem fidelium benigne esse interpretandam, quibus praecipue destinatur;
c) Reconciliationi in sinu Ecclesiae favere.

II.
Munera Pontificiae Commissionis Ecclesia Dei

9. Summus Pontifex Pontificiae Commissioni Ecclesia Dei potestatem ordinariam vicariam dignatus est impertire in omnibus rebus intra eius competentiae fines, praesertim circa sedulam observantiam et vigilantiam in exsequendas dispositiones in Litteris Apostolicis Summorum Pontificum contentas (cf. art. 12).
10. § 1. Praeter facultates olim a Ioanne Paulo II concessas necnon a Benedicto XVI confirmatas (cf. Litterae Apostolicae Summorum Pontificum, art.11 et art.12), Pontificia Commissio huiusmodi potestatem exercet etiam in decernendo de recursibus ei legitime commissis, prout hierarchicus Superior, adversus actum administrativum singularem a quolibet Ordinario emissum, qui Litteris Apostolicis videatur contrarius.
§ 2. Decreta quae Pontificia Commissio de recursibus emanat, apud Supremum Tribunal Signaturae Apostolicae oppugnari possunt ad normam iuris.
11. Pontificiae Commissionis Ecclesia Dei, praevia adprobatione Congregationis pro Cultu Divino et Disciplina Sacramentorum, est curare de edendis libris liturgicis ad formam extraordinariam Ritus Romani pertinentibus.

III.
Normae Praecipuae

12. Pontifícia haec Commissio, vigore auctoritatis sibi commissae et facultatum quibus gaudet, peracta inquisitione apud Episcopos totius orbis, rectam interpretationem et fidelem exsecutionem Litterarum Apostolicarum Summorum Pontificum pro certo habere volens, hanc Instructionem edit, ad normam canonis 34 Codicis Iuris Canonici.


De Episcoporum Dioecesanorum Competentia


13. Episcoporum Dioecesanorum, iuxta Codicem Iuris Canonici, est vigilare circa rem liturgicam, ut bonum commune servetur et ut omnia digne, pacifice et aequo animo in eorum Dioecesibus fiant5, iuxta mentem Romani Pontificis in Litteris Apostolicis Summorum Pontificum palam expressam6. Si quae controversia oriatur vel dubium fundatum quoad celebrationem formae extraordinariae, iudicium Pontificiae Commissioni Ecclesia Dei reservatur.
14. Episcopo Dioecesano munus incumbit necessaria suppeditandi subsidia ut fidelis erga formam extraordinariam Ritus Romani habeatur observantia, ad normam Litterarum Apostolicarum Summorum Pontificum.

De coetu fidelium (cf. Litterae Apostolicae Summorum Pontificum, art. 5 § 1)
15. Coetus fidelium dicitur "stabiliter exsistens" ad sensum art. 5 § 1 Litterarum Apostolicarum Summorum Pontificum, quando ab aliquibus personis cuiusdam paroeciae constituitur, etsi post publicationem Litterarum Apostolicarum coniunctis, ratione venerationis Liturgiae in Antiquiore Usu, poscentibus ut in ecclesia paroeciali vel in aliquo oratorio vel sacello Antiquior Usus celebretur: hic coetus constitui potest a personis ex pluribus paroeciis aut dioecesibus convenientibus et qui una concurrunt ad ecclesiam paroecialem aut oratorium ad finem, de quo supra, assequendum.
16. Si quidam sacerdos obiter in quandam ecclesiam paroecialem vel oratorium cum aliquibus personis incidens, Sacrum in forma extraordinaria facere velit, ad normam artt. 2 et 4 Litterarum Apostolicarum, parochus aut rector ecclesiae, vel sacerdos qui de ea curam gerit, ad celebrandum admittat, attento tamen ordine celebrationum liturgicarum ipsius ecclesiae.
17. § 1. Ut de singulis casibus iudicium feratur, parochus aut rector, aut sacerdos qui ecclesiae curam habet, prudenti mente agat, pastorali zelo, caritate et urbanitate suffultus.
§ 2. Si coetus paucis constet fidelibus, ad Ordinarium loci adeundum est ut designet ecclesiam in quam ad huiusmodi celebrationes fideles se conferre possint, ita ut actuosa participatio facilior et Sanctae Missae celebratio dignior reddi valeant.
18. In sanctuariis et in peregrinationum locis possibilitas celebrandi secundum extraordinariam formam coetibus peregrinorum id petentibus praebeatur (cf. Litterae Apostolicae Summorum Pontificum, art. 5 § 3), si sacerdos adest idoneus.
19. Christifideles celebrationem secundum formam extraordinariam postulantes, auxilium ne ferant neque nomen dent consociationibus, quae validitatem vel legitimitatem Sanctae Missae Sacrificii et Sacramentorum secundum formam ordinariam impugnent, vel Romano Pontifici, Universae Ecclesiae Pastori quoquo modo sint infensae.

De Sacerdotibus idoneis (cf. Litterae Apostolicae Summorum Pontificum, art. 5 § 4)

20. Quoad ea quae necessaria sunt ut sacerdos quidam idoneus habeatur ad celebrandum secundum formam extraordinariam, statuitur:
a) Quivis sacerdos, ad normam Iuris Canonici7, non impeditus, idoneus censetur ad celebrandam Sanctam Missam secundum formam extraordinariam;
b) ad usum Latini sermonis quod attinet, necesse est ut sacerdos celebraturus scientia polleat ad verba recte proferenda eorumque intelligendam significationem;
c) quoad peritiam vero ritus exsequendi, idonei habentur sacerdotes qui ad Sacrum faciendum secundum extraordinariam formam sponte adeunt et qui antea hoc fecerant.
21. Ordinarii enixe rogantur ut clericis instituendis occasionem praebeant accommodatam artem celebrandi in forma extraordinaria acquirendi, quod potissimum pro Seminariis valet, in quibus providebitur ut sacrorum alumni convenienter instituantur, Latinum discendo sermonem8 et, adiunctis id postulantibus, ipsam Ritus Romani formam extraordinariam.
22. In Dioecesibus ubi desint sacerdotes idonei, fas est Episcopis dioecesanis iuvamen a sacerdotibus Institutorum a Pontificia Commissione Ecclesia Dei erectorum exposcere, sive ut celebrent, sive ut ipsam artem celebrandi doceant.

23. Facultas celebrandi Missam sine populo seu uno tantum ministro participante, secundum formam extraordinariam Ritus Romani concessa est cuivis presbytero, tum saeculari, cum religioso (cf. Litterae Apostolicae Summorum Pontificum, art. 2). Ergo, in huiusmodi celebrationibus, sacerdotes, ad normam Litterarum Apostolicarum, nulla speciali licentia Ordinariorum vel superiorum indigent.


De disciplina liturgica et ecclesiastica


24. Libri liturgici formae extraordinariae adhibeantur ut prostant. Omnes qui secundum extraordinariam formam Ritus Romani celebrare exoptant, tenentur rubricas relativas scire easque in celebrationibus recte exsequi.
25. In antiquo Missali recentiores sancti et aliquae ex novis praefationibus inseri possunt immo debent9, secundum quod quam primum statutum erit.

26. Ad ea quae constabilita sunt in Litteris Apostolicis Summorum Pontificum, ad articulum 6, dicendum est quod lectiones Sanctae Missae, quae in Missali anni 1962 continentur, proferri possunt aut solum Latine, aut Latine, vernacula sequente versione, aut in Missis lectis etiam solum vernacule.

27. Quoad regulas disciplinares ad celebrationem formae extraordinariae pertinentes, applicetur disciplina ecclesiastica Codicis Iuris Canonici anno 1983 promulgati.
28. Praeterea, cum sane de lege speciali agitur, quoad materiam propriam, Litterae Apostolicae Summorum Pontificum derogant omnibus legibus liturgicis, sacrorum rituum propriis, exinde ab anno 1962 promulgatis, et cum rubricis librorum liturgicorum anni 1962 non congruentibus.


De Confirmatione et de Ordine

29. Facultas adhibendi formulam antiquam ad Confirmationem impertiendam, confirmata est a Litteris Apostolicis Summorum Pontificum (cf. art. 9, § 2), proinde non necessario adhibenda est pro forma extraordinaria formula recentior, quae in Ordine Confirmationis Pauli PP. VI invenitur.
30. Quoad primam Tonsuram, Ordines Minores et Subdiaconatum, Litterae Apostolicae Summorum Pontificum nullam obmutationem in disciplina Codicis Iuris Canonici anno 1983 introduxerunt: hac de causa, pro Institutis Vitae Consecratae et Societatibus Vitae Apostolicae Pontificiae Commissioni Ecclesia Dei subditis, sodalis votis perpetuis professus aut societati clericali vitae apostolicae definitive incorporatus, per receptum diaconatum incardinatur tamquam clericus eidem instituto aut societati, ad normam canonis 266 § 2 Codicis Iuris Canonici.
31. Dumtaxat Institutis Vitae Consecratae et Societatibus Vitae Apostolicae Pontificiae Commissioni Ecclesia Dei subditis, et his ubi servatur usus librorum liturgicorum formae extraordinariae, licet Pontificali Romano anni 1962 uti ad Ordines maiores et minores conferendos.


De Breviario Romano

32. Omnibus clericis conceditur facultas recitandi Breviarium Romanum anni 1962, de quo art. 9, § 3 Litterarum Apostolicarum Summorum Pontificum, et quidem integre et Latino sermone.


De Triduo Sacro

33. Coetus fidelium, anteriori traditioni liturgicae adhaerens, iure gaudet, si sacerdos idoneus adest, celebrandi et ipsum Sacrum Triduum iuxta extraordinariam formam. Deficiente autem ecclesia vel oratorio ad huiusmodi celebrationes exsequendas exclusive deputatis, parochus aut Ordinarius, communi de consilio cum idoneo sacerdote, favorabiliores praebeant occasiones pro bono animarum assequendo, haud exclusa possibilitate reiterandi Sacri Tridui celebrationes in ipsa ecclesia.


De Ritibus Religiosorum Ordinum

34. Sodalibus Ordinum Religiosorum licet uti propriis libris liturgicis anno 1962 vigentibus.


De Pontificali Romano et de Rituali Romano

35. Salvo quod sub n. 31 huius Instructionis praescriptum est, ad mentem n. 28 ipsius Instructionis licet Pontificale Romanum, Rituale Romanum et Caeremoniale Episcoporum anno 1962 vigentia adhibere.


Summus Pontifex Benedictus PP. XVI, in Audientia die 8 aprilis a. d. MMXI subscripto Cardinali Praesidi Pontificiae Commissionis "Ecclesia Dei" concessa, hanc Instructionem ratam habuit et publici iuris fieri iussit.
Datum Romae, ex Aedibus Pontificiae Commissionis Ecclesia Dei, die 30 aprilis a. D. MMXI, in memoria S. Pii V.
Gulielmus Cardinalis Levada
Praeses
Vido Pozzo
A Secretis
______________
1 BENEDICTUS XVI, Litterae Apostolicae Summorum Pontificum Motu Proprio datae, I, AAS 99 (2007) 777; cf. Institutio Generalis Missalis Romani, tertia editio 2002, n. 397.
2 BENEDICTUS XVI, Epistola ad Episcopos ad producendas Litteras Apostolicas Motu Proprio datas, de Usu Liturgiae Romanae Instaurationi anni 1970 praecedentis, AAS 99 (2007) 798.
3 Cf. CIC, can. 838 § 1 et § 2.
4 Cf. CIC, can. 331.
5 Cf. CIC, cann. 223, § 2; 838 § 1 et § 4.
6 Cf. BENEDICTUS XVI, Epistola ad Episcopos ad producendas Litteras Apostolicas Motu Proprio datas, de Usu Liturgiae Romanae Instaurationi anni 1970 praecedentis, AAS 99 (2007) 799.
7 Cf. CIC, can. 900, § 2.
8 Cf. CIC, can. 249; cf. Conc. Vat. II, Const. Sacrosanctum Concilium, n. 36; Decl. Optatam totius n. 13.
9 Cf. BENEDICTUS XVI, Epistola ad Episcopos ad producendas Litteras Apostolicas Motu Proprio datas, de Usu Liturgiae Romanae Instaurationi anni 1970 praecedentis, AAS 99 (2007) 797.



PONTIFICIA COMMISSIONE ECCLESIA DEI

ISTRUZIONE
sull’applicazione della Lettera Apostolica
Motu Proprio data Summorum Pontificum di
S.S. BENEDETTO PP. XVI
I.
Introduzione

1. La Lettera Apostolica, Summorum Pontificum Motu Proprio data, del Sommo Pontefice Benedetto XVI del 7 luglio 2007, entrata in vigore il 14 settembre 2007, ha reso più accessibile alla Chiesa universale la ricchezza della Liturgia Romana.
2. Con tale Motu Proprio il Sommo Pontefice Benedetto XVI ha promulgato una legge universale per la Chiesa con l’intento di dare una nuova normativa all’uso della Liturgia Romana in vigore nel 1962.
3. Il Santo Padre, dopo aver richiamato la sollecitudine dei Sommi Pontefici nella cura per la Sacra Liturgia e nella ricognizione dei libri liturgici, riafferma il principio tradizionale, riconosciuto da tempo immemorabile e necessario da mantenere per l’avvenire, secondo il quale "ogni Chiesa particolare deve concordare con la Chiesa universale, non solo quanto alla dottrina della fede e ai segni sacramentali, ma anche quanto agli usi universalmente accettati dalla ininterrotta tradizione apostolica, che devono essere osservati non solo per evitare errori, ma anche per trasmettere l’integrità della fede, perché la legge della preghiera della Chiesa corrisponde alla sua legge di fede"1.
4. Il Sommo Pontefice ricorda inoltre i Pontefici Romani che, in modo particolare, si sono impegnati in questo compito, specificamente San Gregorio Magno e San Pio V. Il Papa sottolinea altresì che, tra i sacri libri liturgici, particolare risalto nella storia ha avuto il Missale Romanum, che ha ricevuto nuovi aggiornamenti lungo il corso dei tempi fino al Beato Papa Giovanni XXIII. Successivamente, in seguito alla riforma liturgica posteriore al Concilio Vaticano II, Papa Paolo VI nel 1970 approvò per la Chiesa di rito latino un nuovo Messale, poi tradotto in diverse lingue. Papa Giovanni Paolo II nell’anno 2000 ne promulgò una terza edizione.
5. Diversi fedeli, formati allo spirito delle forme liturgiche precedenti al Concilio Vaticano II, hanno espresso il vivo desiderio di conservare la tradizione antica. Per questo motivo, Papa Giovanni Paolo II con lo speciale Indulto Quattuor abhinc annos, emanato nel 1984 dalla Sacra Congregazione per il Culto Divino, concesse a determinate condizioni la facoltà di riprendere l’uso del Messale Romano promulgato dal Beato Papa Giovanni XXIII. Inoltre, Papa Giovanni Paolo II, con il Motu Proprio Ecclesia Dei del 1988, esortò i Vescovi perché fossero generosi nel concedere tale facoltà in favore di tutti i fedeli che lo richiedevano. Nella medesima linea si pone Papa Benedetto XVI con il Motu Proprio Summorum Pontificum, nel quale vengono indicati alcuni criteri essenziali per l’Usus Antiquior del Rito Romano, che qui è opportuno ricordare.
6. I testi del Messale Romano di Papa Paolo VI e di quello risalente all’ultima edizione di Papa Giovanni XXIII, sono due forme della Liturgia Romana, definite rispettivamente ordinaria e extraordinaria: si tratta di due usi dell’unico Rito Romano, che si pongono l’uno accanto all’altro. L’una e l’altra forma sono espressione della stessa lex orandi della Chiesa. Per il suo uso venerabile e antico, la forma extraordinaria deve essere conservata con il debito onore.
7. Il Motu Proprio Summorum Pontificum è accompagnato da una Lettera del Santo Padre ai Vescovi, con la stessa data del Motu Proprio (7 luglio 2007). Con essa vengono offerte ulteriori delucidazioni sull’opportunità e sulla necessità del Motu Proprio stesso; si trattava, cioè, di colmare una lacuna, dando una nuova normativa all’uso della Liturgia Romana in vigore nel 1962. Tale normativa si imponeva particolarmente per il fatto che, al momento dell’introduzione del nuovo Messale, non era sembrato necessario emanare disposizioni che regolassero l’uso della Liturgia vigente nel 1962. In ragione dell’aumento di quanti richiedono di poter usare la forma extraordinaria, si è reso necessario dare alcune norme in materia.
Tra l’altro Papa Benedetto XVI afferma: "Non c’è nessuna contraddizione tra l’una e l’altra edizione del Messale Romano. Nella storia della liturgia c’è crescita e progresso, ma nessuna rottura. Ciò che per le generazioni anteriori era sacro, anche per noi resta sacro e grande, e non può essere improvvisamente del tutto proibito o, addirittura, giudicato dannoso"2.
8. Il Motu Proprio Summorum Pontificum costituisce una rilevante espressione del Magistero del Romano Pontefice e del munus a Lui proprio di regolare e ordinare la Sacra Liturgia della Chiesa3 e manifesta la Sua sollecitudine di Vicario di Cristo e Pastore della Chiesa Universale4.
Esso si propone l’obiettivo di:
a) offrire a tutti i fedeli la Liturgia Romana nell’Usus Antiquior, considerata tesoro prezioso da conservare;
b) garantire e assicurare realmente a quanti lo domandano, l’uso della forma extraordinaria, nel presupposto che l’uso della Liturgia Romana in vigore nel 1962 sia una facoltà elargita per il bene dei fedeli e pertanto vada interpretata in un senso favorevole ai fedeli che ne sono i principali destinatari;
c) favorire la riconciliazione in seno alla Chiesa.

II.
Compiti della Pontificia Commissione Ecclesia Dei

9. Il Sommo Pontefice ha conferito alla Pontificia Commissione Ecclesia Dei potestà ordinaria vicaria per la materia di sua competenza, in modo particolare vigilando sull’osservanza e sull’applicazione delle disposizioni del Motu Proprio Summorum Pontificum (cf. art. 12).
10. § 1. La Pontificia Commissione esercita tale potestà, oltre che attraverso le facoltà precedentemente concesse dal Papa Giovanni Paolo II e confermate da Papa Benedetto XVI (cf. Motu Proprio Summorum Pontificum, artt. 11-12), anche attraverso il potere di decidere dei ricorsi ad essa legittimamente inoltrati, quale Superiore gerarchico, avverso un eventuale provvedimento amministrativo singolare dell’Ordinario che sembri contrario al Motu Proprio.
§ 2. I decreti con i quali la Pontificia Commissione decide i ricorsi, potranno essere impugnati ad normam iuris presso il Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica.
11. Spetta alla Pontificia Commissione Ecclesia Dei, previa approvazione da parte della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, il compito di curare l’eventuale edizione dei testi liturgici relativi alla forma extraordinaria del Rito Romano.

III.
Norme specifiche

12. Questa Pontificia Commissione, in forza dell’autorità che le è stata attribuita e delle facoltà di cui gode, a seguito dell’indagine compiuta presso i Vescovi di tutto il mondo, con l’animo di garantire la corretta interpretazione e la retta applicazione del Motu Proprio Summorum Pontificum, emana la seguente Istruzione, a norma del can. 34 del Codice di Diritto Canonico.
La competenza dei Vescovi diocesani
13. I Vescovi diocesani, secondo il Codice di Diritto Canonico, devono vigilare in materia liturgica per garantire il bene comune e perché tutto si svolga degnamente, in pace e serenità nella loro Diocesi5, sempre in accordo con la mens del Romano Pontefice chiaramente espressa dal Motu Proprio Summorum Pontificum6. In caso di controversia o di dubbio fondato circa la celebrazione nella forma extraordinaria, giudicherà la Pontificia Commissione Ecclesia Dei.
14. È compito del Vescovo diocesano adottare le misure necessarie per garantire il rispetto della forma extraordinaria del Rito Romano, a norma del Motu Proprio Summorum Pontificum.
Il coetus fidelium (cf. Motu Proprio Summorum Pontificum, art. 5 § 1)
15. Un coetus fidelium potrà dirsi stabiliter exsistens ai sensi dell’art. 5 § 1 del Motu Proprio Summorum Pontificum, quando è costituito da alcune persone di una determinata parrocchia che, anche dopo la pubblicazione del Motu Proprio, si siano unite in ragione della loro venerazione per la Liturgia nell’Usus Antiquior, le quali chiedono che questa sia celebrata nella chiesa parrocchiale o in un oratorio o cappella; tale coetus può essere anche costituito da persone che provengano da diverse parrocchie o Diocesi e che a tal fine si riuniscano in una determinata chiesa parrocchiale o in un oratorio o cappella.
16. Nel caso di un sacerdote che si presenti occasionalmente in una chiesa parrocchiale o in un oratorio con alcune persone ed intenda celebrare nella forma extraordinaria, come previsto dagli artt. 2 e 4 del Motu Proprio Summorum Pontificum, il parroco o il rettore di chiesa o il sacerdote responsabile di una chiesa, ammettano tale celebrazione, seppur nel rispetto delle esigenze di programmazione degli orari delle celebrazioni liturgiche della chiesa stessa.
17. § 1. Per decidere in singoli casi, il parroco o il rettore, o il sacerdote responsabile di una chiesa, si regolerà secondo la sua prudenza, lasciandosi guidare da zelo pastorale e da uno spirito di generosa accoglienza.
§ 2. Nei casi di gruppi numericamente meno consistenti, ci si rivolgerà all’Ordinario del luogo per individuare una chiesa in cui questi fedeli possano riunirsi per ivi assistere a tali celebrazioni, in modo tale da assicurare una più facile partecipazione e una più degna celebrazione della Santa Messa.
18. Anche nei santuari e luoghi di pellegrinaggio si offra la possibilità di celebrare nella forma extraordinaria ai gruppi di pellegrini che lo richiedano (cf. Motu Proprio Summorum Pontificum, art. 5 § 3), se c’è un sacerdote idoneo.
19. I fedeli che chiedono la celebrazione della forma extraordinaria non devono in alcun modo sostenere o appartenere a gruppi che si manifestano contrari alla validità o legittimità della Santa Messa o dei Sacramenti celebrati nella forma ordinaria e/o al Romano Pontefice come Pastore Supremo della Chiesa universale.
Il sacerdos idoneus (cf. Motu Proprio Summorum Pontificum, art. 5 § 4)
20. In merito alla questione di quali siano i requisiti necessari, affinché un sacerdote sia ritenuto "idoneo" a celebrare nella forma extraordinaria, si enuncia quanto segue:
a) Ogni sacerdote che non sia impedito a norma del Diritto Canonico è da ritenersi idoneo alla celebrazione della Santa Messa nella forma extraordinaria7.
b) Per quanto riguarda l’uso della lingua latina, è necessaria una sua conoscenza basilare, che permetta di pronunciare le parole in modo corretto e di capirne il significato.
c) Per quanto riguarda la conoscenza dello svolgimento del Rito, si presumono idonei i sacerdoti che si presentano spontaneamente a celebrare nella forma extraordinaria, e l’hanno usato precedentemente.
21. Si chiede agli Ordinari di offrire al clero la possibilità di acquisire una preparazione adeguata alle celebrazioni nella forma extraordinaria. Ciò vale anche per i Seminari, dove si dovrà provvedere alla formazione conveniente dei futuri sacerdoti con lo studio del latino8 e, se le esigenze pastorali lo suggeriscono, offrire la possibilità di apprendere la forma extraordinaria del Rito.
22. Nelle Diocesi dove non ci siano sacerdoti idonei, i Vescovi diocesani possono chiedere la collaborazione dei sacerdoti degli Istituti eretti dalla Pontificia Commissione Ecclesia Dei, sia in ordine alla celebrazione, sia in ordine all’eventuale apprendimento della stessa.
23. La facoltà di celebrare la Messa sine populo (o con la partecipazione del solo ministro) nella forma extraordinaria del Rito Romano è data dal Motu Proprio ad ogni sacerdote sia secolare sia religioso (cf. Motu Proprio Summorum Pontificum, art. 2). Pertanto in tali celebrazioni, i sacerdoti a norma del Motu Proprio Summorum Pontificum, non necessitano di alcun permesso speciale dei loro Ordinari o superiori.
La disciplina liturgica ed ecclesiastica
24. I libri liturgici della forma extraordinaria vanno usati come sono. Tutti quelli che desiderano celebrare secondo la forma extraordinaria del Rito Romano devono conoscere le apposite rubriche e sono tenuti ad eseguirle correttamente nelle celebrazioni.
25. Nel Messale del 1962 potranno e dovranno essere inseriti nuovi santi e alcuni dei nuovi prefazi9, secondo la normativa che verrà indicata in seguito.
26. Come prevede il Motu Proprio Summorum Pontificum all’art. 6, si precisa che le letture della Santa Messa del Messale del 1962 possono essere proclamate o esclusivamente in lingua latina, o in lingua latina seguita dalla traduzione in lingua vernacola, ovvero, nelle Messe lette, anche solo in lingua vernacola.
27. Per quanto riguarda le norme disciplinari connesse alla celebrazione, si applica la disciplina ecclesiastica, contenuta nel vigente Codice di Diritto Canonico.
28. Inoltre, in forza del suo carattere di legge speciale, nell’ambito suo proprio, il Motu Proprio Summorum Pontificum, deroga a quei provvedimenti legislativi, inerenti ai sacri Riti, emanati dal 1962 in poi ed incompatibili con le rubriche dei libri liturgici in vigore nel 1962.
Cresima e Ordine sacro
29. La concessione di usare la formula antica per il rito della Cresima è stata confermata dal Motu Proprio Summorum Pontificum (cf. art. 9 § 2). Pertanto non è necessario utilizzare per la forma extraordinaria la formula rinnovata del Rito della Confermazione promulgato da Papa Paolo VI.
30. Con riguardo alla tonsura, agli ordini minori e al suddiaconato, il Motu Proprio Summorum Pontificum non introduce nessun cambiamento nella disciplina del Codice di Diritto Canonico del 1983; di conseguenza, negli Istituti di Vita Consacrata e nelle Società di Vita Apostolica che dipendono dalla Pontificia Commissione Ecclesia Dei, il professo con voti perpetui oppure chi è stato incorporato definitivamente in una società clericale di vita apostolica, con l’ordinazione diaconale viene incardinato come chierico nell’istituto o nella società, a norma del canone 266 § 2 del Codice di Diritto Canonico.
31. Soltanto negli Istituti di Vita Consacrata e nelle Società di Vita Apostolica che dipendono dalla Pontificia Commissione Ecclesia Dei e in quelli dove si mantiene l’uso dei libri liturgici della forma extraordinaria, è permesso l’uso del Pontificale Romanum del 1962 per il conferimento degli ordini minori e maggiori.

Breviarium Romanum

32. Viene data ai chierici la facoltà di usare il Breviarium Romanum in vigore nel 1962, di cui all’art. 9 § 3 del Motu Proprio Summorum Pontificum. Esso va recitato integralmente e in lingua latina.
Il Triduo sacro
33. Il coetus fidelium, che aderisce alla precedente tradizione liturgica, se c’è un sacerdote idoneo, può anche celebrare il Triduo Sacro nella forma extraordinaria. Nei casi in cui non ci sia una chiesa o oratorio previsti esclusivamente per queste celebrazioni, il parroco o l’Ordinario, d’intesa con il sacerdote idoneo, dispongano le modalità più favorevoli per il bene delle anime, non esclusa la possibilità di ripetere le celebrazioni del Triduo Sacro nella stessa chiesa.
I Riti degli Ordini Religiosi
34. È permesso l’uso dei libri liturgici propri degli Ordini religiosi in vigore nel 1962.
Pontificale Romanum e Rituale Romanum
35. È permesso l’uso del Pontificale Romanum e del Rituale Romanum, così come del Caeremoniale Episcoporum in vigore nel 1962, a norma del n. 28 di questa Istruzione e fermo restando quanto disposto nel n. 31 della medesima.

Il Sommo Pontefice Benedetto XVI, nell’ Udienza concessa il giorno 8 aprile 2011 al sottoscritto Cardinale Presidente della Pontificia Commissione Ecclesia Dei, ha approvato la presente Istruzione e ne ha ordinato la pubblicazione.

Dato a Roma, dalla Sede della Pontificia Commissione Ecclesia Dei, il 30 aprile 2011, nella memoria di san Pio V.
William Cardinale Levada

Presidente

Mons. Guido Pozzo

Segretario

_______________
1 BENEDETTO XVI, Lettera Apostolica Summorum Pontificum Motu Proprio data, AAS 99 (2007) 777; cf. Ordinamento generale del Messale Romano, terza ed. 2002, n. 397.
2 BENEDETTO XVI, Lettera ai Vescovi in occasione della pubblicazione della Lettera Apostolica "Motu Proprio data" Summorum Pontificum sull’uso della Liturgia Romana anteriore alla Riforma effettuata nel 1970, AAS 99 (2007) 798.
3 Cf. C.I.C. can. 838 §1 e §2.
4 Cf. C.I.C. can. 331.
5 Cf. C.I.C. cann. 223 § 2; 838 §1 e § 4.
6 Cf. BENEDETTO XVI, Lettera ai Vescovi in occasione della pubblicazione della Lettera Apostolica "Motu Proprio data" Summorum Pontificum sull’uso della Liturgia Romana anteriore alla Riforma effettuata nel 1970, AAS 99 (2007) 799.
7 Cf. C.I.C. can. 900 § 2.
8 Cf. C.I.C. can. 249; cf. Conc. Vat. II, Cost. Sacrosanctum Concilium, n. 36; Dich. Optatam totius n. 13.
9 Cf. BENEDETTO XVI, Lettera ai Vescovi in occasione della pubblicazione della Lettera Apostolica"Motu Proprio data" Summorum Pontificum sull’uso della Liturgia Romana anteriore alla Riforma effettuata nel 1970, AAS 99 (2007) 797.

NOTA DEL DIRETTORE DELLA STAMPA, P. FEDERICO LOMBARDI
L’Istruzione sull’applicazione del Motu proprio "Summorum Pontificum" (del 7 luglio 2007, entrato in vigore il 14 settembre 2007) è stata approvata dal Papa Benedetto XVI l’8 aprile scorso e porta la data del 30 aprile, memoria liturgica di San Pio V, Papa.
L’Istruzione, in base alle prime parole del testo latino, viene denominata "Universae Ecclesiae" ed è della Pontificia Commissione "Ecclesia Dei", a cui il Papa aveva affidato – fra l’altro - il compito di vigilare sull’osservanza e l’applicazione del Motu proprio. Perciò essa porta la firma del suo Presidente, Card. William Levada, e del Segretario, Mons. Guido Pozzo.
Il documento è stato inviato a tutte le Conferenze Episcopali nelle settimane scorse. Ricordiamo che "le istruzioni… rendono chiare le disposizioni delle leggi e sviluppano e determinano i procedimenti nell’eseguirle" (CIC, can.34). Come viene detto al n.12, l’Istruzione è emanata "con l’animo di garantire la corretta interpretazione e la retta applicazione" del Motu proprio "Summorum Pontificum".
Era naturale che alla legge contenuta nel Motu proprio seguisse l’Istruzione sulla sua applicazione. Il fatto che ciò avvenga ora a più di tre anni di distanza si spiega facilmente ricordando che nella Lettera con cui il Papa accompagnava il Motu proprio diceva esplicitamente ai Vescovi: "Vi invito a scrivere alla Santa Sede, tre anni dopo l’entrata in vigore di questo Motu proprio. Se veramente fossero venute alla luce serie difficoltà, potranno essere cercate vie per trovare rimedio". L’Istruzione porta quindi in sé anche il frutto della verifica triennale dell’applicazione della legge, che era stata prevista fin dall’inizio.
Il documento presenta un linguaggio semplice e di facile lettura. La sua Introduzione (nn.1-8) ricorda brevemente la storia del Messale Romano fino all’ultima edizione di Giovanni XXIII, nel 1962, e al nuovo Messale approvato da Paolo VI nel 1970, a seguito della riforma liturgica del Concilio Vaticano II, e ribadisce il principio fondamentale che si tratta di "due forme della Liturgia Romana, definite rispettivamente ordinaria e extraordinaria: si tratta di due usi dell’unico Rito romano, che si pongono uno accanto all’altro. L’una e l’altra forma sono espressione della stessa lex orandi della Chiesa. Per il suo uso venerabile e antico, la forma extraordinaria deve essere conservata con il debito onore" (n.6).
Si ribadisce anche la finalità del Motu proprio, articolandola nei seguenti tre punti: a) offrire a tutti i fedeli la Liturgia Romana nell’uso più antico, considerata tesoro prezioso da conservare; b) garantire e assicurare realmente, a quanti lo domandano, l’uso della forma extraordinaria; c) favorire la riconciliazione in seno alla Chiesa (cfr n.8).
Una breve Sezione del documento (nn. 9-11) ricorda i compiti e i poteri della Commissione "Ecclesia Dei", a cui il Papa "ha conferito potestà ordinaria vicaria" nella materia. Ciò comporta tra l’altro due conseguenze molto importanti. Anzitutto, essa può decidere sui ricorsi che le vengano presentati contro eventuali provvedimenti di vescovi o altri ordinari, che sembrino in contrasto con le disposizioni del Motu proprio (ferma restando la possibilità di impugnare ulteriormente le decisioni della Commissione stessa presso il Tribunale supremo della Segnatura Apostolica). Inoltre, spetta alla Commissione, con l’approvazione della Congregazione per il Culto Divino, curare l’eventuale edizione dei testi liturgici per la forma extraordinaria del Rito romano (nel seguito del documento si auspica, ad esempio, l’inserimento di nuovi santi e di nuovi prefazi).
La parte propriamente normativa del documento (nn. 12-35) contiene 23 brevi punti su diversi argomenti.
Si ribadisce la competenza dei Vescovi diocesani per l’attuazione del Motu proprio, ricordando che in caso di controversia circa la celebrazione nella forma extraordinaria giudicherà la Commissione "Ecclesia Dei".
Si chiarisce il concetto di coetus fidelium (cioè "gruppo di fedeli") stabiliter existens ("stabile") che desidera di poter assistere alla celebrazione in forma extraordinaria. Pur lasciando alla saggia valutazione dei pastori la valutazione del numero di persone necessario per costituirlo, si precisa che esso non deve essere necessariamente costituito da persone appartenenti a una sola parrocchia, ma può risultare da persone che confluiscono da diverse parrocchie o addirittura da diverse diocesi. Sempre tenendo conto del rispetto delle esigenze pastorali più ampie, l’Istruzione propone uno spirito di "generosa accoglienza" verso i gruppi di fedeli che richiedano la forma extraordinaria o i sacerdoti che chiedano di celebrare occasionalmente in tal forma con alcuni fedeli.
Molto importante è la precisazione (n. 19) secondo cui i fedeli che chiedono la celebrazione in forma extraordinaria "non devono in alcun modo sostenere o appartenere a gruppi che si manifestino contrari alla validità o legittimità della forma ordinaria" e/o all’autorità del Papa come Pastore Supremo della Chiesa universale. Ciò sarebbe infatti in palese contraddizione con la finalità di "riconciliazione" del Motu proprio stesso.
Importanti indicazioni sono date anche circa il "sacerdote idoneo" alla celebrazione in forma extraordinaria. Naturalmente egli non deve avere impedimenti dal punto di vista canonico, deve conoscere sufficientemente bene il latino e conoscere il rito da celebrare. Si incoraggiano perciò i vescovi a rendere possibile nei seminari una formazione adeguata a tal fine, e si indica la possibilità di ricorrere, se mancano altri sacerdoti idonei, alla collaborazione dei sacerdoti degli Istituti eretti dalla Commissione "Ecclesia Dei" (che usano normalmente la forma extraordinaria).
L’Istruzione ribadisce come ogni sacerdote sia secolare sia religioso abbia licenza di celebrare la Messa "senza popolo" nella forma extraordinaria se lo desidera. Perciò, se non si tratta di celebrazioni con il popolo, i singoli religiosi non hanno bisogno del permesso dei superiori.
Seguono – sempre per quanto riguarda la forma extraordinaria - norme relative alle regole liturgiche e all’uso di libri liturgici (come il Rituale, il Pontificale, il Cerimoniale dei vescovi), alla possibilità di usare la lingua vernacola per le letture (a complemento di quella latina, o anche in alternativa nelle "Messe lette"), alla possibilità per i chierici di usare il Breviario precedente alla riforma liturgica, alla possibilità di celebrare il Triduo Sacro nella Settimana Santa per i gruppi di fedeli che chiedono il rito antico. Per quanto riguarda le ordinazioni sacre, l’uso dei libri liturgici più antichi è permesso solo negli Istituti che dipendono dalla Commissione "Ecclesia Dei".
A lettura compiuta, rimane l’impressione di un testo di grande equilibrio, che intende favorire – secondo l’intenzione del Papa – il sereno uso della liturgia precedente alla riforma da parte di sacerdoti e fedeli che ne sentano il sincero desiderio per il loro bene spirituale; anzi, che intende garantire la legittimità e l’effettività di tale uso nella misura del ragionevolmente possibile. Allo stesso tempo il testo è animato da fiducia nella saggezza pastorale dei vescovi, e insiste molto fortemente sullo spirito di comunione ecclesiale che deve essere presente in tutti – fedeli, sacerdoti, vescovi – affinché la finalità di riconciliazione, così presente nella decisione del Santo Padre, non venga ostacolata o frustrata, ma favorita e raggiunta.

13 Maggio 2011


LAUDETUR JESUS CHRISTUS!
 LAUDETUR CUM MARIA!
SEMPER LAUDENTUR!

domenica 19 febbraio 2012

(8) DON GUIDO BORTOLUZZI: Il 'segno' di Caino. La prima locuzione interiore."La parola". Scene di vita quotidiana. La femmina ‘sui generis’ della specie preumana. La Bambina è stata ‘concepita immacolata’. La piana ai piedi del promontorio. L’ibridazione della specie umana creata perfetta. Quella femmina “PONTE”. Il ‘peccato originale’ § 205:– PECCATO ORRRR... ENDO, ... ORRRR... IBILE, ... ORRRR... IGINALE. .


Il SEGNO DI CAINO
PRIMA RIVELAZIONE:
ricevuta a Chies d’Alpago in data incerta fra il 1965 e il 1968





(Nota della curatrice) 
È bene ricordare al lettore che questa locuzione è pervenuta almeno quattro anni prima della grande visione appena descritta [vedi Don Guido Bortoluzzi (7)e che prima di questa rivelazione don Guido non aveva avuto alcuna rivelazione. Aveva solo intuito che la Donna era figlia di Adamo perché tratta 
dalla sua ‘costa’, ma la identificava ancora con Eva. 


Premessa 




§ 191   Rileggendo nella Bibbia il racconto della ‘Torre di Babele’, giunsi al versetto 5-8 del Capitolo 11 della Genesi e mi soffermai alle parole: 
   “Il Signore discese e disse: – Confondiamo le loro lingue 
in modo che non si intendano più –”. 
   – Macché! È un’eresia – esclamai. – “Deus intentator malorum est”, dice la lettera di S. Giacomo, Dio non può tentare nessuno al male (Gc. 1,13). La confusione è avvenuta molto tempo prima, sicuramente con il peccato originale. –


 La prima locuzione interiore

§ 192    Rilessi la storia di Caino e mi fermai ad indovinare quale 
fosse “il segno che il Signore gli aveva posto perché chi lo 
avesse incontrato non lo uccidesse” (Genesi 4,15). 


   “Quel ‘segno’  – pensai,  – deve essere sul davanti della 
sua persona, per essere riconoscibile da chi lo incontra:


   a) Un marchio sulla fronte? Sarebbe stata una crudeltà. Doveva 
essere un segno a sua difesa, non a sua condanna.

   b) Un orecchino? Non è in faccia. 


   c) Un anello al naso? O sul labbro inferiore? Impossibile.

   d) Un segno sul mento? Nella bocca?”.

 – FERMATI  LÌ  – mi disse una Voce sommessa  – NON SI 
VEDE, SI SENTE.  – 


Era la prima volta in assoluto che udivo la Voce del 
Signore. Ne rimasi commosso. 
“Allora è dentro la bocca” pensai.

   e) – I canini sporgenti? -


È QUELLO DI CUI TI INTERESSI. -
Chiusi il Libro, vi appoggiai la fronte e stetti parecchi minuti a fantasticare. Domandai: 
– Signore, che segno era quello? Doveva aprire la bocca, 
mostrare la lingua?-
La stessa Voce mi suggerì in tono chiaro: 
LA PAROLA.  – Fui entusiasta della rivelazione ed esclamai:
– Grazie, Signore; questo potevate dirmelo solo Voi! –



'‘La parola’' 


§ 193   Andavo ricapitolando: “L’uso cosciente della parola, o 
la manifestazione del pensiero attraverso la parola, come 
ebbe a dire Paolo VI, è privilegio esclusivo dell’Uomo fra 
tutti gli esseri creati in quanto è stato fatto ad immagine di 
Dio”.
   Quindi il primo Uomo, creato perfetto ad immagine e somiglianza di Dio, parlava. In senso accomodativo si può dire che: 
“In principio erat verbum”, in principio, all’inizio dell’umanità 
esisteva la parola, il linguaggio.

   Ma se ‘la parola’ era un requisito normale per l’Uomo, 
come poteva essere un segno che contraddistingueva Caino 
come uomo?
 Conclusi che se l’umanità ai suoi esordi era ristretta a 
quell’unica famiglia che necessariamente parlava e che se 
Caino si faceva conoscere come uomo soltanto con l’uso 
della ‘parola’ per non essere ucciso, era chiaro che Caino 
nelle forme somatiche non si dimostrava un uomo ma un 
ominide. 


   L’ipotesi dell’ibridazione della specie umana con quella subumana, espressa da alcuni studiosi già nel ‘700, era 
dunque ben indovinata
  
(Nota 48: Don Guido sta pensando al francese George Louis Leclerc conte di Buffon (1707-1788). Fu il primo studioso di scienze naturali nell’intuire che se l’Uomo era stato creato perfetto, come dice 
la Bibbia, e poi era decaduto allo stato bestiale, la causa andava ricercata in un problema di ibridazione genetica).

   E di conseguenza se Caino, come dice la Bibbia in Genesi 4,15
aveva timore di venir ucciso perché poteva essere 
scambiato per un ominide, è chiaro pure che era cominciata 
la caccia agli ominidi per sterminarli ed impedire che si 
moltiplicassero e compromettessero ancora l’integrità della 
specie umana mediante rapporti generativi irresponsabili.

   A conferma di questa supposizione starebbe il “canto della 
spada” di Lamek, quel Lamek discendente di Caino (Genesi 
4,18-24) che non va confuso con il suo omonimo discendente di Set (Genesi 5,25-31). 
Grazie a questo ‘segno’ Caino non fu ucciso. Sicuramente 
non prima d’aver generato, poiché noi uomini odierni 
siamo tutti discendenti di Caino. 




IL PECCATO ORIGINALE
SECONDA RIVELAZIONE:
ricevuta nel 1970 a Farra d’Alpago e scritta dopo il 1974

(Nota della curatrice) / Questa rivelazione è strettamente 
legata a quella precedente, ragione per cui don Guido ha voluto che i due capitoli fossero messi di seguito.

Va ricordato al lettore che, quando nel 1970 don Guido ebbe questa rivelazione, non aveva ancora avuto la grande visione del 1972 riportata nelle pagine precedenti. Aveva avuto solo la rivelazione de ‘Il segno di Caino’ ricevuta sotto forma di locuzione interiore. Quindi, durante questa rivelazione, non conosce ancora la vera identità di Eva, motivo questo che giustifica le riflessioni precedenti il racconto di questa rivelazione, ma ha già assunto come una certezza la tesi dell’ibridazione della specie umana. 
Partendo però da questa conclusione, si aprivano due possibilità: chi 
aveva peccato con un ancestre, il primo Uomo o la prima Donna? La Bibbia diceva che “Eva aveva ascoltato il ‘serpente’ e che poi... ‘aveva mangiato’ e aveva dato da mangiare all’Uomo”.

Il verbo ‘mangiare’ aveva chiaramente un significato allegorico. Era una metafora per intendere ‘avere rapporti generativi’. Lo diceva già il commento del Sales (Genesi 4,1). Inoltre questa era una deduzione logica sapendo che la conseguenza del peccato originale 
era stata la nascita di Caino, un ibrido. Tutto ciò, però, non era ancora sufficiente per la comprensione del testo biblico.

Il problema quindi era insolubile e don Guido comprese che né lui, né 
altri, avrebbe potuto risolverlo senza l’aiuto di Dio. Perciò, quando si arrese di fronte ai suoi limiti, il Signore lo considerò pronto a ricevere la rivelazione del ‘peccato originale’ che gli svelò sotto forma di ‘sogno profetico’.
Data la scabrosità del contenuto, il ‘sogno profetico’ fu scelto 
dal Signore come il modo migliore affinché il messaggio arrivasse 
a don Guido, volente o non, almeno nel subconscio. 
È la stessa dinamica della rivelazione della morte di Abele e di alcune 
altre rivelazioni avvenute prima e dopo la grande visione.

Poiché don Guido aveva un carattere forte e deciso e quand’era contrariato opponeva tutte le sue forze per resistere a un’idea che non approvava, il Signore lo mise in condizione di accogliere come conoscenza ciò che probabilmente ad occhi aperti avrebbe rifiutato. 
Il fatto che avesse avuto questa rivelazione ‘in sogno’, gli creò non pochi problemi di credibilità. In quest’epoca così materialista, le esperienze che non possono essere scientificamente dimostrate e ripetute trovano poco credito! 
Perfino egli stesso fu indotto in un primo tempo, a causa della scabrosità del contenuto, a respingerlo come fonte di conoscenza, cercando con la volontà di dimenticarlo. Solo dopo la grande visione del 1972 e dopo aver compreso i collegamenti con quella, essendosi tranquillizzato che pur questo era un messaggio autentico del Signore, si accinse a trascriverlo dando ad esso l’importanza che ha un ‘sogno profetico’.

Perciò, prima di proseguire, è utile spendere qualche parola per spiegare al lettore che cosa s’intende quando si parla di ‘sogni profetici’.

I ‘sogni profetici’

Questi sono una delle tante modalità scelte dal Signore, come le locuzioni, le visioni, le estasi, le apparizioni, ecc., per far conoscere il Suo Pensiero o la Sua Volontà agli uomini. 
Il termine oggi suona in modo strano perché si tende a confonderli con 
i sogni onirici o sogni comuni che sono una proiezione inconscia dell’‘io’. 
Ma don Guido, che ha sperimentato cosa sia un ‘sogno profetico’, sa che, differenza dei normali sogni, la mente e le capacità razionali non vengono attenuate, ma addirittura potenziate! Egli infatti mantiene tutte le sue capacità di analisi e di sintesi, mentre il suo corpo rimane in totale inerzia, nel sonno appunto. 
Il ‘sogno profetico’ ha per don Guido molte caratteristiche 
simili alla visione, dove le capacità intellettive e la memoria restano integre, tant’è vero che le mette sullo stesso piano. 
Nell’Antico Testamento, quando questo avveniva, nessuno se ne stupiva, e parlarne era cosa normale. Il soggetto infatti, al suo risveglio, non 
aveva alcun dubbio che il sogno avesse un contenuto profetico autentico, 
anche se talvolta in chiave allegorica da decodificare.


Ma, a differenza di S. Giuseppe, di don Bosco e di altri Santi, don Guido è meno docile perché tende a respingerne i contenuti. Se, come accadde, le scene che ha visto sono troppo violente per il suo animo sensibile, inconsciamente tende a cancellarle dalla sua mente. 
Tuttavia alcuni ricordi si sistemano ugualmente nel suo inconscio, permettendogli più tardi di fare collegamenti, similitudini, deduzioni, ecc. fino a quando, confermato dal Signore, si decide a prenderne nota.

È comunque chiaro che don Guido, come egli stesso afferma nel suo 
manoscritto, non fa alcuna distinzione fra visioni in stato di veglia o di 
sonno, poiché entrambe sono esperienze soprannaturali che gli danno immagini della medesima intensità, nitidezza e consapevolezza. Si tratta, in entrambi i casi, di doni carismatici in cui le percezioni avvengono attraverso lo Spirito e sono altrettanto vive di quelle percepite in stato di veglia attraverso i sensi./

Premessa 


§ 194   È la seconda rivelazione dopo quella de ‘Il segno di 
Caino’, ma questa mi venne fatta ‘in sogno’. 
   Ho già detto come mi fu rivelato ‘Il segno di Caino’ mentre stavo studiando sul libro della Genesi le parole che lo riguardavano. Quel ‘segno’ era ‘la parola’, l’uso della favella, prerogativa esclusiva dell’Uomo, perché solo all’Uomo 
fu dato un cervello perfetto, molto più perfetto di qualunque 
altro animale, un apparecchio computer ricetrasmittente.

   Quella prima rivelazione rafforzò il concetto che mi ero 
formato sul problema della confusione delle lingue come 
effetto della confusione o ibridazione fra la specie umana 
e quella degli ominidi-ancestri. L’uso della favella era dunque un’eccezione per Caino che doveva assomigliare in tutto ad un ominide-ancestre. 
   Nel testo di ‘Storia Sacra’ scritto da don Bosco avevo 
appreso che Caino, diventato vecchio, era tanto ‘peloso’ e 
brutto ‘da essere scambiato per una bestia’. 
Ma mi chiedevo se fosse già vecchio quando uccise Abele 
e se fosse brutto fin dalla nascita, donde l’invidia verso il 
fratello come Esaù verso Giacobbe.

Caino dunque doveva essere frutto del peccato originale 
commesso dal primo Uomo, peccato ripetuto dai discendenti 
puri di Adamo, i ‘Figli di Dio’, “quando videro che tra le ‘figlie degli uomini’ (le discendenti ibride di Caino) ce n’erano 
di belle (non pelose) e le presero in sposa” (Genesi 6,1-2). 
   Studiai di nuovo il terzo capitolo della Genesi e considerai il versetto 6: “Vidit quod bonum esset lignum ad vescendum... aspectuque delectabile”, cioè “Adamo vide che 
l’albero genealogico era buono e, nell’ebraico si legge, desiderabile per avere conoscenza”. 
   Quel ‘conoscenza’ è un eufemismo: indica, come si sa, 
rapporto generativo’. Qui sta il nodo del mistero: individuare 
l’albero genealogico che, conosciuto, avrebbe portato alla rovina. 


   La rovina del genere umano non poteva venire per via di 
generazione dall’Albero genealogico della Vita umana, 
perché il Creatore, che fece bene tutte le cose, fece benissimo 
il Campione dell’umanità e altrettanto bene la sua legittima 
Sposa, la Donna. Dunque, la rovina non avrebbe potuto venire dalla Donna, perché anch’essa apparteneva all’Albero della Vita, 
giacché fu “tratta dalla costa”, cioè dal seme, di Adamo 
e un rapporto generativo fra Lei e l’Uomo non solo 
non era proibito, ma comandato. 


   L’incesto nella prima e seconda generazione, nella monogenesi della specie umana come per qualsiasi altra specie, 
era d’obbligo per necessità di natura per la trasmissione dei 
caratteri integri della nuova specie e per l’unità stessa della 
specie. Non c’erano alternative. 
   Perciò l’albero genealogico a cui allude il versetto doveva 
essere estraneo alla specie umana. 
Questa è la verità che si nasconde dietro l’espressione metaforica del versetto 3,6 della Genesi.

In altre parole l’Uomo, quel primo Uomo e come lui ogni 
suo discendente legittimo, doveva evitare ogni rapporto generativo al di fuori della sua specie, cioè con ‘l’albero genealogico’ da cui fu tratto: quello degli ancestri.

§ 195    Ed ecco i miei pensieri: [leggere con particolare attenzione]
   – Dice la Genesi al versetto 15 del terzo capitolo: “Porrò 
inimicizia fra te, serpente, e la Donna e fra il tuo seme e 
quello di lei”. L’“inimicizia fra il ‘serpente’ e la Donna”, rispecchiata nella “inimicizia fra ‘il seme’ suo (del serpente) 
e quello di lei (della Donna)”, si riferisce a Caino e Abele? 
Ma se essi sono entrambi figli di Adamo (Genesi 4,1-2), allora essi avrebbero avuto come madre, il primo questo simbolico ‘serpente’ e l’altro la Donna.

   – Che cos’era quel ‘serpente’ maledetto femmina, il cui 
seme avvelena e porta alla morte?

 – Il problema era ancora incentrato nei primi versetti del 
terzo capitolo: 
– Se le madri di Caino e Abele, come è detto al versetto 
3,15, sono distinte e sono per Caino il ‘serpente’ e per Abele 
la Donna, e se in entrambi i casi il padre è lo stesso Adamo, 
allora al versetto 4,2 dove si dice che “Adamo conobbe 
Eva, sua moglie; ella concepì e partorì Caino; e poi partorì 
il fratello di lui Abele”, il verbo ‘partorì’ (="dare alla luce"), 
qui espresso al femminile, andrebbe sostituito con ‘generò’ 
che indica per entrambi i casi la paternità di Adamo, al maschile. 
   Per lo stesso motivo il pronome femminile andrebbe sostituito con un pronome maschile che sottintenda Adamo, 
così: “Adamo conobbe Eva, da essa egli generò Caino e poi 
(Adamo) generò, dalla Donna, il fratello di lui Abele”.


   – Certo è che tutti e due sono figli di Adamo, il primo 
sicuramente della femmina denominata ‘il serpente’, l’altro 
della Donna. 
   – E se la madre di Caino nei versetti precedenti era stata 
denominata ‘il serpente’, era improprio chiamare quella femmina 
‘moglie’ di Adamo.

   Questi ed altri insistenti interrogativi mi venivano alla 
mente ogni volta che mi dedicavo alla lettura della Genesi. 
Ricordandomi d’avere a casa mia a Farra d’Alpago una 
Bibbia del 1700 con molte note in calce, pensai che, vista 
l’epoca in cui fu stampata così vicina a quella di George 
Louis Leclerc conde de Buffon, ci fosse in essa qualche accenno alla sua teoria sull’ibridazione della specie. 
   Avevo sistemato la biblioteca nella mia camera. Presi 
quella Bibbia del ‘700, scritta ancora con la lettera "f" al 
posto della ‘s’, e vi studiai fino a mezzodì. 
Tempo sprecato, delusione, amarezza. Per quanto mi arrovellassi il cervello in tante supposizioni, capivo che non 
potevo riuscire a comprendere quel mistero tenuto nascosto 
per tanti secoli ai profeti dell’Antico Testamento ed anche a 
quelli del Nuovo.



§ 196 !   Ma sapevo che ci sarei riuscito, perché nel 1928 Padre 
Matteo Crawley, al termine di una meditazione che tenne 
a noi chierici, predisse al seminarista della I liceo classico 
Albino Luciani che sarebbe salito ai più alti gradi della 
Gerarchia Ecclesiastica, e predisse a me, alunno allora di I 
teologia, che sedevo a 2 metri davanti a lui nel banco della 
Cappella, che il Signore mi avrebbe rivelato i segreti della 
Bibbia. 
   Mi predisse anche avversità, ma aggiunse che il Signore 
mi avrebbe sostenuto e consolato con le Sue rivelazioni.


Ricordavo inoltre come, già nel 1922, anche don Giovanni 
Calabria, da Verona, [Nota d. r.:1873+ 4.XII.1954; beatificato 
dal Beato Giov.Paolo II il 17.4.1988] mi fece sapere 
che ‘da anziano, avrei dovuto scrivere un libro importante 
sulla Genesi Biblica’ e aveva insistito che lo scrivessi presto. 


   Erano però ormai trascorsi tanti anni e le tristi vicende 
che si erano succedute nella mia vita mi insegnavano che 
non ero più la persona adatta per ricevere una rivelazione.



§ 197   Chiusi la Bibbia a mezzodì e, dopo un pasto frugale, andai 
a riposare nella camera attigua alla mia, sul letto che era 
stato della mia povera mamma, morta alcuni mesi prima.

   Adagiandomi ero arrivato a recitare le parole del Miserere 
del Salmo 50 di Re Davide: “Et in peccatis concepit me mater mea”, nel peccato mi concepì mia madre. 
   A quel pensiero mi ribellavo e trovavo assurdo che un atto 
d’amore benedetto da Dio potesse essere un peccato. 
La frase dunque doveva avere un altro significato. Quale? 
Aveva forse a che fare con il ‘peccato originale’? In che 
cosa sarà consistito questo misterioso peccato? 


   E, meditando, mi soffermai sul versetto seguente: 
“... Incerta et occulta Sapientiae tuae manifestasti 
mihi”, Tu, o Dio, hai manifestato a me i misteri della Tua 
Sapienza. 
   – Signore, non avete ancora manifestato alla Chiesa il 
mistero del ‘peccato originale’! Se lo avete rivelato al Re 
profeta, perché egli non lo ha detto?  – 
Mi addormentai e puntualmente ebbi un ‘sogno’. 


Scene di vita quotidiana 


Ecco il ‘sogno’.
 § 198    Mi trovavo in un cortiletto a poca distanza dal suo ingresso.


(Nota 49: Abbiamo visto che questo ‘sogno’ è stato ricevuto 2 anni 
prima della grande visione già raccontata, ma le scene si riferiscono ad un episodio avvenuto un anno e mezzo o due dopo la nascita della Bambina. 
Quindi Adamo, che nella rivelazione di prima aveva una quindicina d’anni, ora ne ha 16 o 17).

   A destra avevo la facciata di un rustico, di fronte un terrapieno, alto circa 6 m e lungo 5 o 6, che scendeva verticalmente e si congiungeva ad un muretto che in forma semicircolare delimitava, alla mia sinistra, il cortile per gli altri 
due lati. Questo spiazzo dominava la pianura sottostante 
verso Sud e verso Ovest.
   Davanti a me, poco più oltre e sempre vicino all’ingresso 
del cortile, vedo un animale femmina a statura eretta, alto 
quasi un metro, nero e peloso, di un pelo non fitto e liscio 
come quello delle scimmie, ma più rado e arruffato come la 
lanugine che l’uomo ha dall’adolescenza alla radice degli 
arti superiori ed inferiori. 
   Tiene in braccio il suo piccolo, brachicefalo, privo di naso 
e di mento, che con la sua mano si diverte a far oscillare 
il grande orecchio destro orizzontale della madre che esce 
sulla spalla e lo urta. 
   Alla sinistra di essa ci sono altre due femmine, pure in 
piedi e vedo, di profilo, il loro muso glabro con l’angolo 
facciale retto, senza mento e senza naso, con capelli che 
scendono sulla nuca fino al collo e davanti fino agli occhi. 
   Sono un po’ più alte della prima e guardano verso il centro 
del cortile. Le vedo dalle anche in su, così che posso osservare al di sopra delle loro teste, quello che esse vedono. 




§ 199    Quattro cuccioli della stessa specie si muovono carponi 
attorno ad una piccola Creatura umana, rosea e grassoccia, 
che vedo di schiena, ridere contenta e stare in piedi. 
   Età: un anno e mezzo o due.
Vidi poco dopo che era una Bimba.
Mi sembrò che il maschietto più grande insegnasse agli
altri a girare intorno alla Bambina e, passandole davanti, a 
fare la genuflessione doppia con inchino profondo. 
   Sopraggiunge dal lato opposto al mio un bel Giovane 
completamente nudo, dalla pelle arrossata e lucida, imberbe, con capelli neri che gli scendono fino alle spalle. 
   Scavalca il muretto e, passando attraverso la scena, va 
a sedersi sulla panca con le spalle appoggiate alla parete 
della costruzione rustica. Sta a guardare la scena. 
   Il cucciolo più grande, nero e peloso, con gli orecchi 
grandi, nudi, eretti fin sopra la testa, si muove con molta 
disinvoltura. Fa una genuflessione doppia e inchino profondo davanti al Giovane e poi davanti alla piccola Creatura 
umana, quindi si allontana verso il fondo del cortile con 
agili capriole. 
   Un altro cucciolo, questa volta femmina, un po’ più piccolo ma con gli orecchi orizzontali, si sforza di ripetere i gesti 
del primo, ma li fa in modo più impacciato.

 La femmina ‘sui generis’ della specie preumana 


§ 200   Vedo intervenire una femmina diversa, un esemplare eccezionale ed unico nel suo genere, non pelosa salvo alla 
radice degli arti, di pelle non nera ma giallastra, non vista 
prima perché era accovacciata presso l’angolo esterno del 
cortile alla mia sinistra. 
   Non ha orecchi eretti come i maschi, né completamente orizzontali come le altre femmine. Sono sì di grandezza 
sproporzionata, ma solo la parte superiore è piegata in fuori, orizzontalmente, di circa 4 cm e senza il bordo ripiegato 
della cartilagine.
   La sua bocca, quando è chiusa, non appare larga come 
quella dei suoi simili ma, quando la apre, si vedono i quattro 
canini un po’ più lunghi degli altri denti.
Ha gli avambracci lunghi, ma le mani sono meno rozze.
Ha gambe corte e tozze, ma non come gli altri esemplari 
della sua specie. È brachicefala, con i capelli opachi castano 
chiaro, lunghi dietro fino al collo e davanti fino agli occhi.
Ma sotto quella fronte bassa ci sono un paio di occhi umani e gote umane.
Mostra dai 25 ai 30 anni paragonata alla donna di oggi. 
Essa interviene fra i piccoli ogni volta che uno di essi si 
azzarda a toccare la Bambina. Avanza a salti. Non cammina 
sulle gambe, ma, servendosi delle braccia come di grucce, 
avanza portando innanzi il suo sedere ad ogni balzo. 
   Il più intraprendente è il maschietto più grande. Al sopraggiungere della femmina glabra, il più grandicello schizza 
via svelto con delle capriole.

 La Bambina è stata ‘concepita immacolata’

§ 201   Appena l’avevo vista la Voce mi suggerì delle parole che 
non ricordo esattamente, ma il cui senso era che: 
   – QUELLA FEMMINA SENZA PELO È LA MADRE DELLA BAMBINA, CONCEPITA IMMACOLATA PER L’INTERVENTO DIRETTO DEL CREATORE SULLA FORMAZIONE DEL GAMETE FEMMINILE E SULLA MODALITÀ 
DELLA SUA FECONDAZIONE AD OPERA DELL’UOMO 
‘IN SIMILITUDINE NATURAE’ – , cioè con un rapporto secondo natura, benché nel sonno, come dice la Bibbia. 


   La femmina bianca e senza pelo fa la genuflessione doppia e l’inchino profondo davanti al Giovane e costringe la 
cuccioletta nera a ripetere la cerimonia. Poi ritorna all’angolo dal quale era venuta. Altri due cuccioli, ultimi arrivati, 
si muovono sui quattro arti intorno alla piccola Creatura 
umana. 
   Interviene di nuovo il cucciolo più grande che ripete la cerimonia, ma succede confusione. Forse ha toccato la Bimba 
ai piedi, o questa vuol giocare coi più piccoli perché si curva 
verso di loro. C’è un nuovo intervento della femmina senza 
pelo che sopraggiunge dal suo angolo dove era tornata ad 
accovacciarsi. 
   Ma questa volta la femmina si avvicina troppo al Giovane 
e, dopo un nuovo atto d’adorazione con inchino profondo, 
pare dapprima che gli voglia toccare un ginocchio: poi lo 
tenta avvicinando la testa fra le ginocchia del giovane Uomo 
seduto. 
   Ma egli la scaccia, ed essa questa volta si erge in piedi 
e ritorna al suo posto ma, passando a fianco della Bimba 
intenta a guardare i più piccoli e china su di loro, le dà uno 
schiaffetto per scaricare su di lei l’umiliazione e procede. 
   La Bimba cammina piangendo verso il giovane Papà seduto e si ferma al suo fianco destro. Speravo che la prendesse in braccio, o che, almeno, l’accarezzasse. Invece egli sta 
osservando la femmina bianca che si allontana.

 La piana ai piedi del promontorio 


Cambia la scena.


§ 202   Vidi quest’ultima scena da un livello superiore, non più 
dal cortile dove prima il Giovane stava seduto sulla panca,
ma dal ballatoio di legno sovrastante la facciata alla quale 
egli prima appoggiava la schiena. 
   Questo ballatoio non era sporgente dalla facciata ma 
rientrante da essa e coperto dal tetto. 
Di là potei vedere, verso Sud, una grande pianura che dal 
piede dell’altura su cui mi trovavo si allungava fino a perdita d’occhio (3 o 4 km) nella foschia lontana, contenuta entro 
due solchi divergenti per tutta la lunghezza.


  All’inizio la larghezza della piana poteva essere di 50 m 
circa, più lontano pareva fosse più larga. 
Era tutta coperta di messi spontanee biondeggianti. 
Il pane era assicurato e anche la biada per gli animali servitori. 
Era un vasto campo di frumento, tracciato nella parte più 
prossima da qualche solco per l’irrigazione anche lungo la 
linea mediana. 
Nella parte occidentale di questa pianura e vicino all’altura su cui mi trovavo, il campo era stato ridotto ad orto con 
diverse specie d’ortaggi. 
   Oltre l’orto, fino alla distanza di 100 metri, vedevo una 
fila di cinque o sei casette alte un metro e mezzo, sicuramente costruite dal giovane Uomo per quelle femmine con i 
loro cuccioli, ed una più grande in mezzo all’orto, forse per 
mettere a riparo gli attrezzi da lavoro. 
   Sul ballatoio compare il Giovane dall’estremità Sud. Lo 
seguo fino al capo opposto di esso. Di là, una scaletta saliva 
sopra il terrapieno. Sale e, girando a sinistra, percorre il terrazzo fino al suo termine (oltre l’ingresso dell’abitazione con 
i preziosi che vidi nella grande visione). Lo percorro con lui 
ed entro in una grotta che riceveva luce solo dall’entrata. 
   Il soffitto era composto di lastroni di pietra giallastra di 
arenaria. L’abitacolo era stato evidentemente ricavato lungo una cengia e murato in tutta la sua lunghezza nella parte 
esterna. 
All’interno dell’abitacolo la parete di sinistra, volta a valle 
e lungo la quale camminavo, era coperta da una malta di sabbia grigia, sopra uno sfondo nero non ben levigato che aveva 
lo scopo di renderla impermeabile. Alla mia destra c’era un 
giaciglio, alto 30-40 cm, addossato alla parete rocciosa. 
   Ora mi ritrovo nella parte più interna dell’abitacolo. Il Giovane vi si adagia con i piedi verso l’ingresso. 
Lo osservo di scorcio da dietro la sua testa, al suo stesso 
livello,vicinissimo. 


La Bimba è innocente 
riguardo al peccato originale 


§ 203   Compare all’ingresso la Bambina nuda. Si ferma un poco. 
Poi avanza coi passetti incerti dei pargoli di un anno e mezzo o due, forse per l’asperità del pavimento. 
   Mentre passava a fianco del giaciglio, m’aspettavo di vedere il giovane Papà farle una carezza, ma nulla. Ormai 
avevo capito che il giovane Uomo era il Capostipite Adamo. 
Non volevo guardare la Bimba perché era nuda, ma una 
Voce mi disse: 
   – GUARDALA! È MOLTO BELLA.  – 
Era proprio molto bella. Un viso paffuto, con lineamenti 
così delicati, armoniosi e ben proporzionati che mi fecero 
sorridere. Anche le sue membra erano ben proporzionate e 
grassocce. La pelle era lucida e rosea, ma di un roseo meno 
intenso di quella del suo Papà. 


   La vedevo bene nonostante fosse in controluce. Pareva a 
piedi scalzi, ma forse aveva una suoletta. 
Passò lungo il fianco del giaciglio, superò il posto nel 
quale mi trovavo e si diresse verso il fondo dell’abitacolo e 
non la vidi più. Doveva avere, penso, il suo giaciglio dietro 
a me. 
   – RICORDATI CHE È INNOCENTE!  – mi venne detto  
– RICORDALO!  – 
Non capii che queste parole si riferivano al fatto che stava 
per accadere.

Quella femmina “PONTE” 


§ 204   Vidi, invece, un’ombra comparire e sparire due, tre volte, 
all’ingresso della grotta. 
   La terza volta la vidi completamente inquadrata nella luce 
dell’ingresso. Non la vedevo bene in controluce, ma quegli 
orecchi lunghi, dalle punte orizzontali mi fecero capire che 
era la femmina glabra già vista nel cortile.

   La Bambina non poteva essere salita lassù da sola; vi fu 
portata certamente dalla madre, la quale si era fermata 
fuori dell’ingresso per l’abitudine, perché evidentemente il 
Giovane non la voleva nel cubicolo. 
   Le reiterate apparizioni della sua testa nel vano dell’ingresso dovettero corrispondere ad altrettanti segnali della sua voce, perché emetteva la lingua. 
   Certo ciangottava come una gatta in calore. Era la sua 
stagione, prevista dal giovane Uomo. 


   Egli “diede ascolto a quella voce”, incoraggiandola, suppongo, la prima, la seconda, la terza volta che essa aveva 
sporto la testa dallo stipite dell’ingresso. Poi lo vidi sollevare la testa dal guanciale e anche un po’ le spalle, poiché 
giaceva supino, e la guardò per alcuni istanti. 
   Forse la invitava. 
Fu allora che essa si decise ad entrare. 


La solita Voce intervenne dicendo: 
– PONTE.  – 
   Rimasi pensieroso. Quale legame poteva esserci mai fra 
quel che vedevo e un ponte? Rinunciai a capire e concentrai 
nuovamente la mia attenzione sulla femmina che mi stava 
davanti.

 Il ‘peccato originale’

§ 205   La vedevo solo dalle anche in su, ma poi, dai movimenti che faceva, capivo che poggiava prima un ginocchio sul 
giaciglio da un lato dei piedi del Ragazzo, poi l’altro ginocchio dall’altro lato. 
   Quindi, aiutandosi con le lunghe braccia come grucce, si 
spinse innanzi sopra il corpo del Giovane, fino a presentare 
i suoi seni sopra la faccia di lui come volesse offrirgli il proprio ‘frutto’, cioè il latte dei suoi seni. 
   Quando si chinò sopra di lui vidi il suo muso ad un palmo 
sopra i miei occhi. 
Quella testa schiacciata, quei capelli corti che le scendevano fin sugli occhi, quegli orecchi enormi e orizzontali, quella bocca dalle labbra aperte fino alla radice delle mascelle, 
ma specialmente quegli occhi grossi, quasi fuori 
dalle orbite, che mi fissavano, mi fecero inorridire.

   In quel momento fui scosso di soprassalto dal fracasso 
che pareva ripetere un suono simile a pecc... pecc... pecc... 
prodotto dalla messa in moto di un grosso camion a tre assi 
posteggiato a fianco della mia casa. 
   Istintivamente mi ritrassi e mi svegliai. 
Anch’io giacevo supino ed avevo l’impressione che la femmina giallastra fosse sopra di me come se mi fosse venuta 
addosso. Che orrore! 
   Contemporaneamente una Voce potente, assecondando lo 
strepito del motore e dell’innesto della marcia, disse:
   – PECCATO ORRRR... ENDO, ... ORRRR... IBILE, ... 
ORRRR... IGINALE. – 
   Il tre assi partì con un suono metallico, come se il parafango 
fosse urtato ripetutamente da un ferro. Mi alzai esclamando:

– Gesù mio, misericordia! E il Ragazzo si è innamorato di 
una strega simile?  –

§ 206    Non si era innamorato di quella femmina preumana. Si 
era solo illuso di generare da essa una creatura bella come 
la Bambina. 
   Vide (perché aveva osservato) che l’albero (selvatico) era 
bello (rispetto alle altre femmine) e desiderabile per arrivare alla conoscenza (ossia al rapporto generativo) per avere 
altri figli (Genesi 3,6). 
   Non vidi il Giovane mangiare cioè succhiare il frutto ossia il latte dell’albero, né lo vidi mangiare dell’albero. Era 
intuitivo.

   Pensai: “Inimicus homo superseminavit zizaniam”. Solo 
un ribelle poteva seminare la zizzania sopra il campo del 
Signore, la Vita Umana! 


   Riflettei: “Qui potest facere mundum de immundo concepto semine?”. E chi se non Dio può nuovamente rendere 
mondo ciò che è stato concepito da un seme immondo? 
   
Ripensando allo strepito (pecc... pecc... pecc...) di quel 
motore che veniva messo in moto e alle tre parole udite 
contemporaneamente a quel rumore, specialmente all’ultima con quell’‘erre’ prolungata della parola ORRRR... 
IGINALE, sono indotto a credere che fosse già predisposta 
la coincidenza della parola col fracasso onomatopeico che 
ho già detto e che mi ha fatto sussultare inorridito. 






§ 207   Avevo quasi dimenticato molti particolari di questo ‘sogno’, quando, due anni dopo la grande visione del 1972 e 
quattro da questa rivelazione, ebbi un altro ‘sogno’, quello 
de ‘La sera del giorno fatale della morte di Abele’ che narrerò più avanti.

   Quel ‘sogno’ aveva un preciso riferimento a questo, riguardo alla Donna. Quando durante quella rivelazione dissi “vorrei vederla, perché non l’ho mai vista”. 
   – L’HAI VISTA  – mi fu risposto e rividi la Bambina nel 
cortile e nel cubicolo con il padre e udii nuovamente le parole: 
   – RICORDATI CHE È INNOCENTE!  – 
   Il Signore voleva riportarmi con la memoria a questa rivelazione (del ‘peccato originale’), perché l’estraneità della 
Donna a questo peccato è fondamentale per la comprensione 
di tutta la Rivelazione dell’Antico e del Nuovo Testamento.

 L’ibridazione della specie umana creata perfetta 


§ 208   Se Adamo non si fosse illuso di generare da questa femmina preumana delle persone, cosa che non poteva accadere 
senza l’intervento del Signore, passata la sua generazione il 
problema non si sarebbe mai più ripresentato per l’incompatibilità genetica fra le due specie. 
  
 Se il Capostipite non avesse generato dalla femmina ancestre, essa non avrebbe portato con i suoi cromosomi lo squilibrio nella specie umana. Invece l’istinto bestiale entrato 
nel patrimonio genetico dell’umanità, sarà il genio malefico 
dell’animo umano.

   Ecco dunque perché aveva così grande valore l’obbedienza a Dio: il Giovane non poteva conoscere le leggi della 
genetica, e Dio non era tenuto a spiegargliele, ma solo a 
dargli un ordine e fargli sapere che, se avesse trasgredito, 
la sua specie, come specie pura, avrebbe trovato la morte... 
l’estinzione. È quanto è accaduto.

§ 209    Per l’uomo perfetto era impossibile generare dagli ancestri comuni. I cromosomi, come i gancetti di una cernieralampo, possono combinarsi solo se sono appaiati o, al massimo, se da un lato ve n’è solo uno in più. 
   Quindi fra la specie umana e quella preumana non c’era 
alcuna possibilità di ibridazione perché la differenza di due 
cromosomi rendeva impossibile l’aggancio a tutta la cerniera. “... Puoi mangiare a volontà di tutti gli alberi del 
giardino...”  
(Nota 50:“Questa era un’ipotesi teorica  
– spiegava don Guido  – che non voleva intendere che ad 
Adamo fosse concesso accoppiarsi alle altre femmine ancestri esclusa Eva. Sarebbe inverosimile una mostruosità simile! ‘Deus intentator malorum est’, Dio non può spingere alcuno 
al male”.)


 è una frase che nasconde una verità di ordine 
genetico: i cromosomi ed i geni della cellula riproduttiva 
umana non potevano attecchire con quelli della cellula riproduttiva delle altre femmine ancestri.
   Potevano attecchire solo con quelli dell’‘albero della conoscenza del bene e del male’, cioè con quell’esemplare 
unico ed eccezionale, il ‘capo di ponte’ che doveva restare 
‘ponte a senso unico’ e che non doveva essere usato in senso 
vietato, pena la rovina, la morte del genere umano come 
specie pura.

   Passato il pericolo relativo a questa femmina, le due specie avrebbero potuto coesistere serenamente. 
Da qui il perentorio divieto di ‘mangiare’ il frutto di ‘quell’albero’. 
Il Giovane disobbedì.

Si credeva un dio in Terra e volle fare come Dio, non 
sapendo che, troncato il cordone ombelicale che univa la 
Bambina alla madre preumana, “Deus cessavit ab omni 
opere suo quod patrarat”, Dio aveva terminato il Suo programma d’intervento creativo diretto, essendo stato raggiunto il finalismo della creazione della specie umana. 


   Voler fare come Dio aveva fatto è stata l’infausta presunzione del primo Uomo che così creò un ‘ponte’ fra le due 
specie, aprendo la via all’involuzione della specie umana 
dalla quale tuttora non siamo completamente risorti. 
   Adamo non sapeva che i figli ereditano i caratteri non solo 
del padre ma anche della madre in uguali proporzioni. 
Credeva, come si è creduto fino a tempi relativamente recenti, che la femmina fosse solo il ‘locus aptus’, il luogo 
adatto come il solco della terra per far germogliare il seme. 
   La sua ignoranza delle leggi della genetica non giustifica 
il suo peccato di disubbidienza, di presunzione, di incesto 
bestiale.


Caino, il frutto di questo rapporto vietato, come mi fu fatto 
vedere nella terza, nella sesta e nella settima rivelazione, 
sarà in tutto simile ai figli delle sorelle di Eva perché erediterà i caratteri fisici della specie degli ancestri dalla madre.  Sarà nero, peloso e brachicefalo ecc… 
   Ma erediterà dal padre i caratteri psichici e intellettivi 
nella misura in cui sarà capace. Da quel peccato, infatti, 
ebbe origine l’ibridazione della specie umana con quella 
subumana degli ancestri.

   Essa avrebbe portato all’estinzione della specie umana 
pura e al totale abbrutimento di quella ibrida se il Creatore, 
“per opera del quale furono fatte tutte le cose”, non fosse 
intervenuto ‘in extremis’ ad eliminare con il diluvio, cosiddetto universale, o con più diluvi, tutti gli individui irrecuperabili e non avesse guidato la rievoluzione di quei pochi 
che erano meno contaminati dalle tare ancestrali. 
   Dunque solo in questo caso si può parlare di ‘rievoluzione 
guidata’. 


   L’ipotesi o teoria sostenuta nel ‘700 da Leclerc era dunque esatta. Egli era credente e credeva alla Bibbia che dichiara l’Uomo fatto ‘molto bene’ da Dio e non allo stato di 
bestia in via di evoluzione, e che l’umanità fu corrotta fin 
dalla prima generazione a causa dell’ibridazione fra le due 
specie mediante il ‘trait d’union’ o ‘capo di ponte’. Leclerc 
ebbe una profonda intuizione o una rivelazione? Se avesse 
detto di aver avuto una rivelazione sarebbe morto sul rogo!! 
Io non fui messo al rogo, ma ho sperimentato quanto pesi 
essere emarginato...! 


§ 210   Avendo assistito al ‘peccato originale’ compresi il vero significato della ‘circoncisione’: la ‘costa’ 


(nota 51: Fino dall’adolescenza don Guido aveva intuito che l’espressione 
allegorica della Genesi (la costa) 
nascondeva un significato genetico, aiutato dalla fortuita identica espressione idiomatica del suo paese natio che chiamava ‘costa’ il membro maschile. Don Guido riteneva inutile fare esegesi biblica su un termine metaforico. Prima, diceva, bisogna comprendere il concetto che si nasconde dietro un eufemismo, poi si può tradurlo adeguatamente. Infatti aveva compreso che “se la Donna fu tratta dalla ‘costa’ 
di Adamo, Ella era sua Figlia”)
  
di Adamo peccò e la ‘costa’ di Abramo e figli fu circoncisa. 


   Compresi anche che il Battesimo è un perfezionamento 
della circoncisione:

1) la ‘circoncisione’ è un atto di riparazione al ‘peccato 
originale’: è un atto simbolico di sottomissione e di obbedienza a Dio in contrapposizione all’autosufficienza e alla 
disobbedienza di Adamo;

   2) il ‘Battesimo’ è un atto formale di adozione a ‘figlio 
di Dio’, previa la sottomissione a Dio. Il diseredato viene 
riammesso ai diritti dell’eredità. 


La circoncisione non può essere considerata in modo riduttivo 
come un atto di mera osservanza alla Legge, ma deve 
essere il segno di una consapevole volontà di riscatto dalla 
condizione di illegittimità di fronte a Dio. La Circoncisione 
è l’espressione della volontà dell’uomo di stringere un’alleanza 
personale con Dio alla quale Dio risponderà con l’adozione a figlio mediante il Battesimo.



LAUDETUR JESUS CHRISTUS!
LAUDETUR CUM MARIA!
SEMPER LAUDENTUR!

Akita (2): Primo e secondo messaggio della Vergine Santissima nel 1973 a suor Agnese Sasagawa


i messaggi della Beata Vergine Maria a suor Agnese Sasagawa
La statua della Beata Vergine Maria presso il convento delle Serve dell'Eucarestia ad Akita
(la statua, nel corso degli anni, ha fatto registrare numerosi fenomeni soprannaturali)

Messaggio del 6 luglio 1973 (prima apparizione)

"Figlia mia, mia novizia, mi hai obbedito bene abbandonando tutto per seguirmi. E’ dolorosa l’infermità alle tue orecchie? La tua sordità sarà guarita, stanne certa. La ferita alla tua mano ti fa soffrire? Prega in riparazione ai peccati degli uomini. Ogni persona in questa comunità è la ma insostituibile figlia. Recitate bene la preghiera delle Serve dell’Eucarestia? 


Allora recitiamola insieme:


Sacratissimo Cuore di Gesù, realmente presente nella Santa Eucarestia, io consacro il mio corpo e la mia anima per essere interamente uniti con il Tuo Cuore che viene sacrificato in ogni istante in tutti gli altari del mondo, dando lode al Padre e invocando la venuta del Suo Regno. Ti prego, ricevi l’umile offerta di me stessa. Usami come desideri per la gloria del Padre e per la salvezza delle anime.
Santissima Madre di Dio, non farmi essere separata dal tuo Divino Figlio. Ti prego, difendimi e proteggimi come tua figlia particolare. Amen".


Alla fine della preghiera la voce dice:


"Prega molto per il Papa, i vescovi e i preti. Dal momento del tuo Battesimo hai sempre pregato per loro con fede. Continua a pregare molto, moltissimo. Racconta al tuo superiore tutto quello che è successo oggi e obbedisci a tutto ciò che ti dirà. Egli ha chiesto che tu preghi con fervore".



Messaggio del 3 agosto 1973 (seconda apparizione)

"Figlia mia, mia novizia, ami il Signore? Se ami il signore ascolta quello che ho da dirti. E’ molto importante. Lo riferirai al tuo superiore.
Molti uomini in questo mondo fanno soffrire il Signore. Io desidero anime che lo consolino per placare la collera del Padre Celeste. Desidero, con Mio Figlio, anime che dovranno riparare, per mezzo della loro sofferenza e della loro povertà, per i peccatori e gli ingrati.


Affinché il mondo possa conoscere la Sua ira, il Padre Celeste si sta preparando a infliggere un grande Castigo su tutta l’umanità.


Con Mio Figlio sono intervenuta tante volte per placare l’ira del Padre. Ho impedito l’arrivo di calamità offrendogli le sofferenze del Figlio sulla Croce, il Suo prezioso sangue e le anime dilette che Lo consolano formando una schiera di anime vittime. 
Preghiera, penitenza e sacrifici coraggiosi possono attenuare la collera del Padre. 


Io desidero anche questo dalla vostra comunità…che ami la povertà, che si santifichi e preghi in riparazione per l’ingratitudine e le offese di tanti uomini.


Recitate la preghiera delle Serve dell’Eucarestia consapevoli del suo significato. Mettetela in pratica; offrite in riparazione per i peccati tutto ciò che Dio può mandare. Fai in modo che tutte si sforzino, secondo le capacità e la posizione, di offrirsi interamente al Signore.
Anche in un istituto secolare la preghiera è necessaria. 


Già le anime che vogliono pregare stanno per essere radunate. Senza dare troppa importanza alla forma, siate fedeli e ferventi nella preghiera per consolare il Maestro".


E dopo un attimo di silenzio:
"Quello che pensi in cuor tuo è vero? Sei sinceramente decisa a diventare la pietra scartata? Mia novizia, tu che desideri appartenere senza riserve al Signore per diventare la degna sposa dello Sposo, fai i tuoi voti sapendo che devi essere appesa alla croce con tre chiodi. Questi tre chiodi sono: povertà, castità e obbedienza. Dei tre l’obbedienza è fondamentale. Nel totale abbandono, fatti guidare dal tuo superiore. Egli saprà come capirti e indirizzarti".


Laudetur Jesus Christus!
Laudetur cum Maria!
 Semper laudentur 

sabato 18 febbraio 2012

Akita (1): Le sole armi che vi resteranno sono il Rosario e il Segno lasciato da Mio Figlio

La statua della Beata Vergine Maria presso il convento delle Serve dell'Eucarestia ad Akita
(la statua, nel corso degli anni, ha fatto registrare numerosi fenomeni soprannaturali)

*




Messaggio del 13 ottobre 1973 (terza e ultima apparizione)

"Mia cara figlia, ascolta bene ciò che ho da dirti. Ne informerai il tuo superiore".
Dopo un attimo di silenzio la Madonna continua dicendo:


"Come ti ho detto, se gli uomini non si pentiranno e non miglioreranno se stessi, il Padre infliggerà un terribile castigo su tutta l’umanità. Sarà un castigo più grande del Diluvio, tale come non se ne è mai visto prima. 

Il fuoco cadrà dal cielo e spazzerà via una grande parte dell’umanità, i buoni come i cattivi, senza risparmiare né preti né fedeli.

I sopravvissuti si troveranno così afflitti che invidieranno i morti. 

Le sole armi che vi resteranno sono il Rosario e il Segno lasciato da Mio Figlio. Recitate ogni giorno le preghiere del Rosario. Con il Rosario pregate per il Papa, i vescovi e i preti.

L’opera del diavolo si insinuerà anche nella Chiesa in una maniera tale che si vedranno cardinali opporsi ad altri cardinali, vescovi contro vescovi. 
I sacerdoti che mi venerano saranno disprezzati e ostacolati dai loro confratelli…chiese ed altari saccheggiati; 
la Chiesa sarà piena di coloro che accettano compromessi e il Demonio spingerà molti sacerdoti e anime consacrate a lasciare il servizio del Signore. 


Il demonio sarà implacabile specialmente contro le anime consacrate a Dio. Il pensiero della perdita di tante anime è la causa della mia tristezza. Se i peccati aumenteranno in numero e gravità, non ci sarà perdono per loro.


Con coraggio, parla al tuo superiore. Egli saprà come incoraggiare ognuna di voi a pregare e a realizzare il vostro compito di riparazione. E’ il vescovo Ito, che dirige la vostra comunità".


E dopo aver sorriso aggiunge:
"Hai ancora qualcosa da chiedere? Oggi sarà l’ultima volta che io ti parlerò in viva voce. Da questo momento in poi obbedirai a colui che ti è stato inviato e al tuo superiore.


Prega molto le preghiere del Rosario. Solo io posso ancora salvarvi dalle calamità che si approssimano. Coloro che avranno fiducia in me saranno salvati".



Laudetur Iesus Christus!
Laudetur cum Maria!
Semper laudentur