Motu Proprio
SUMMORUM PONTIFICUM e
LETTERA AI VESCOVI - 7 Luglio 2007
SUA
SANTITÀ BENEDETTO XVI
MOTU PROPRIO DATA
[Latino, Ungherese, Italiano, Inglese]
SUMMORUM PONTIFICUM
MOTU PROPRIO DATA
[Latino, Ungherese, Italiano, Inglese]
SUMMORUM PONTIFICUM
I Sommi
Pontefici fino ai nostri giorni ebbero costantemente cura che la Chiesa di
Cristo offrisse alla Divina Maestà un culto degno, “a lode e gloria del Suo
nome” ed “ad utilità di tutta la sua Santa Chiesa”.
Da
tempo immemorabile, come anche per l’avvenire, è necessario mantenere il
principio secondo il quale “ogni Chiesa particolare deve concordare con la
Chiesa universale, non solo quanto alla dottrina della fede e ai segni
sacramentali, ma anche quanto agli usi universalmente accettati dalla
ininterrotta tradizione apostolica, che devono essere osservati non solo per
evitare errori, ma anche per trasmettere l’integrità della fede, perché la legge
della preghiera della Chiesa corrisponde alla sua legge di fede”[1].
Tra
i Pontefici che ebbero tale doverosa cura eccelle il nome di san Gregorio Magno,
il quale si adoperò perché ai nuovi popoli dell’Europa si trasmettesse sia la
fede cattolica che i tesori del culto e della cultura accumulati dai Romani nei
secoli precedenti. Egli comandò che fosse definita e conservata la forma della
sacra Liturgia, riguardante sia il Sacrificio della Messa sia l’Ufficio Divino,
nel modo in cui si celebrava nell’Urbe. Promosse con massima cura la diffusione
dei monaci e delle monache, che operando sotto la regola di san Benedetto,
dovunque unitamente all’annuncio del Vangelo illustrarono con la loro vita la
salutare massima della Regola: “Nulla venga preposto all’opera di Dio” (cap.
43). In tal modo la sacra Liturgia celebrata secondo l’uso romano arricchì non
solo la fede e la pietà, ma anche la cultura di molte popolazioni. Consta
infatti che la liturgia latina della Chiesa nelle varie sue forme, in ogni
secolo dell’età cristiana, ha spronato nella vita spirituale numerosi Santi e ha
rafforzato tanti popoli nella virtù di religione e ha fecondato la loro pietà.
Molti altri Romani Pontefici, nel corso dei
secoli, mostrarono particolare sollecitudine a che la sacra Liturgia espletasse
in modo più efficace questo compito: tra essi spicca s. Pio V, il quale sorretto
da grande zelo pastorale, a seguito dell’esortazione del Concilio di Trento,
rinnovò tutto il culto della Chiesa, curò l’edizione dei libri liturgici,
emendati e “rinnovati secondo la norma dei Padri” e li diede in uso alla Chiesa
latina.
Tra i libri liturgici del Rito romano risalta
il Messale Romano, che si sviluppò nella città di Roma, e col passare dei secoli
a poco a poco prese forme che hanno grande somiglianza con quella vigente nei
tempi più recenti.
“Fu questo il medesimo obbiettivo che seguirono
i Romani Pontefici nel corso dei secoli seguenti assicurando l’aggiornamento o
definendo i riti e i libri liturgici, e poi, all’inizio di questo secolo,
intraprendendo una riforma generale”[2]. Così agirono i nostri Predecessori
Clemente VIII, Urbano VIII, san Pio X[3], Benedetto XV, Pio XII e il B. Giovanni
XXIII.
Nei tempi più recenti, il Concilio Vaticano II
espresse il desiderio che la dovuta rispettosa riverenza nei confronti del culto
divino venisse ancora rinnovata e fosse adattata alle necessità della nostra
età. Mosso da questo desiderio, il nostro Predecessore, il Sommo Pontefice Paolo
VI, nel 1970 per la Chiesa latina approvò i libri liturgici riformati e in parte
rinnovati. Essi, tradotti nelle varie lingue del mondo, di buon grado furono
accolti da Vescovi, sacerdoti e fedeli. Giovanni Paolo II rivide la terza
edizione tipica del Messale Romano. Così i Romani Pontefici hanno operato
“perché questa sorta di edificio liturgico [...] apparisse nuovamente splendido
per dignità e armonia”[4].
Ma in talune regioni non pochi fedeli aderirono
e continuano ad aderire con tanto amore ed affetto alle antecedenti forme
liturgiche, le quali avevano imbevuto così profondamente la loro cultura e il
loro spirito, che il Sommo Pontefice Giovanni Paolo II, mosso dalla cura
pastorale nei confronti di questi fedeli, nell’anno 1984 con lo speciale indulto
“Quattuor abhinc annos”, emesso dalla Congregazione per il Culto Divino,
concesse la facoltà di usare il Messale Romano edito dal B. Giovanni XXIII
nell’anno 1962; nell’anno 1988 poi Giovanni Paolo II di nuovo con la Lettera
Apostolica “Ecclesia
Dei”, data in forma di Motu proprio, esortò i Vescovi ad usare
largamente e generosamente tale facoltà in favore di tutti i fedeli che lo
richiedessero.
A seguito delle insistenti preghiere di questi
fedeli, a lungo soppesate già dal Nostro Predecessore Giovanni Paolo II, e dopo
aver ascoltato Noi stessi i Padri Cardinali nel Concistoro tenuto il 22 marzo
2006, avendo riflettuto approfonditamente su ogni aspetto della questione, dopo
aver invocato lo Spirito Santo e contando sull’aiuto di Dio, con la presente
Lettera Apostolica stabiliamo quanto segue:
Art. 1. Il Messale Romano promulgato da Paolo
VI è la espressione ordinaria della “lex orandi” (“legge della
preghiera”) della Chiesa cattolica di rito latino. Tuttavia il Messale Romano
promulgato da S. Pio V e nuovamente edito dal B. Giovanni XXIII deve venir
considerato come espressione straordinaria della stessa “lex orandi” e deve
essere tenuto nel debito onore per il suo uso venerabile e antico. Queste due
espressioni della “lex orandi” della Chiesa non porteranno in alcun
modo a una divisione nella “lex credendi” (“legge della fede”) della
Chiesa; sono infatti due usi dell’unico rito romano.
Perciò è lecito celebrare il Sacrificio della
Messa secondo l’edizione tipica del Messale Romano promulgato dal B. Giovanni
XXIII nel 1962 e mai abrogato, come forma straordinaria della Liturgia della
Chiesa. Le condizioni per l’uso di questo Messale stabilite dai documenti
anteriori “Quattuor abhinc annos” e “Ecclesia Dei”, vengono
sostituite come segue:
Art. 2. Nelle Messe celebrate senza il popolo,
ogni sacerdote cattolico di rito latino, sia secolare sia religioso, può usare o
il Messale Romano edito dal beato Papa Giovanni XXIII nel 1962, oppure il
Messale Romano promulgato dal Papa Paolo VI nel 1970, e ciò in qualsiasi giorno,
eccettuato il Triduo Sacro. Per tale celebrazione secondo l’uno o l’altro
Messale il sacerdote non ha bisogno di alcun permesso, né della Sede Apostolica,
né del suo Ordinario.
Art. 3. Le comunità degli Istituti di vita
consacrata e delle Società di vita apostolica, di diritto sia pontificio sia
diocesano, che nella celebrazione conventuale o “comunitaria” nei propri oratori
desiderano celebrare la Santa Messa secondo l’edizione del Messale Romano
promulgato nel 1962, possono farlo. Se una singola comunità o un intero Istituto
o Società vuole compiere tali celebrazioni spesso o abitualmente o
permanentemente, la cosa deve essere decisa dai Superiori maggiori a norma del
diritto e secondo le leggi e gli statuti particolari.
Art. 4. Alle celebrazioni della Santa Messa di
cui sopra all’art. 2, possono essere ammessi – osservate le norme del diritto –
anche i fedeli che lo chiedessero di loro spontanea volontà.
Art. 5. § 1. Nelle parrocchie, in cui esiste
stabilmente un gruppo di fedeli aderenti alla precedente tradizione liturgica,
il parroco accolga volentieri le loro richieste per la celebrazione della Santa
Messa secondo il rito del Messale Romano edito nel 1962. Provveda a che il bene
di questi fedeli si armonizzi con la cura pastorale ordinaria della parrocchia,
sotto la guida del Vescovo a norma del can. 392, evitando la discordia e
favorendo l’unità di tutta la Chiesa.
§ 2. La celebrazione secondo il Messale del B.
Giovanni XXIII può aver luogo nei giorni feriali; nelle domeniche e nelle
festività si può anche avere una celebrazione di tal genere.
§ 3. Per i fedeli e i sacerdoti che lo
chiedono, il parroco permetta le celebrazioni in questa forma straordinaria
anche in circostanze particolari, come matrimoni, esequie o celebrazioni
occasionali, ad esempio pellegrinaggi.
§ 4. I sacerdoti che usano il Messale del B.
Giovanni XXIII devono essere idonei e non giuridicamente impediti.
§ 5. Nelle chiese che non sono parrocchiali né
conventuali, è compito del Rettore della chiesa concedere la licenza di cui
sopra.
Art. 6. Nelle Messe celebrate con il popolo
secondo il Messale del B. Giovanni XXIII, le letture possono essere proclamate
anche nella lingua vernacola, usando le edizioni riconosciute dalla Sede
Apostolica.
Art. 7. Se un gruppo di fedeli laici fra quelli
di cui all’art. 5 § 1 non abbia ottenuto soddisfazione alle sue richieste da
parte del parroco, ne informi il Vescovo diocesano. Il Vescovo è vivamente
pregato di esaudire il loro desiderio. Se egli non può provvedere per tale
celebrazione, la cosa venga riferita alla Commissione Pontificia “Ecclesia
Dei”.
Art. 8. Il Vescovo, che desidera rispondere a
tali richieste di fedeli laici, ma per varie cause è impedito di farlo, può
riferire la questione alla Commissione “Ecclesia Dei”, perché gli offra
consiglio e aiuto.
Art. 9 § 1. Il parroco, dopo aver considerato
tutto attentamente, può anche concedere la licenza di usare il rituale più
antico nell’amministrazione dei sacramenti del Battesimo, del Matrimonio, della
Penitenza e dell’Unzione degli infermi, se questo consiglia il bene delle
anime.
§ 2. Agli Ordinari viene concessa la facoltà di
celebrare il sacramento della Confermazione usando il precedente antico
Pontificale Romano, qualora questo consigli il bene delle anime.
§ 3. Ai chierici costituiti “in
sacris” è lecito usare il Breviario Romano promulgato dal B. Giovanni XXIII
nel 1962.
Art. 10. L’Ordinario del luogo, se lo riterrà
opportuno, potrà erigere una parrocchia personale a norma del can. 518 per le
celebrazioni secondo la forma più antica del rito romano, o nominare un
cappellano, osservate le norme del diritto.
Art. 11. La Pontificia Commissione
“Ecclesia Dei”, eretta da Giovanni Paolo II nel 1988[5], continua ad
esercitare il suo compito.
Tale Commissione abbia la forma, i compiti e le
norme, che il Romano Pontefice le vorrà attribuire.
Art. 12. La stessa Commissione, oltre alle
facoltà di cui già gode, eserciterà l’autorità della Santa Sede vigilando sulla
osservanza e l’applicazione di queste disposizioni.
Tutto ciò che da Noi è stato stabilito con
questa Lettera Apostolica data a modo di Motu proprio, ordiniamo che
sia considerato come “stabilito e decretato” e da osservare dal giorno 14
settembre di quest’anno, festa dell’Esaltazione della Santa Croce, nonostante
tutto ciò che possa esservi in contrario.
Dato a Roma, presso San Pietro, il 7 luglio
2007, anno terzo del nostro Pontificato.
BENEDICTUS PP.
XVI
[1] Ordinamento generale del Messale Romano, 3a
ed., 2002, n. 397.
[2] Giovanni Paolo II, Lett. ap. Vicesimus
quintus annus, 4 dicembre 1988, 3: AAS 81 (1989), 899.
[3] Ibid.
[4] S. Pio X, Lett. ap. Motu propio data,
Abhinc duos annos, 23 ottobre 1913: AAS 5 (1913), 449-450; cfr Giovanni Paolo
II, lett. ap. Vicesimus quintus annus, n. 3: AAS 81 (1989), 899.
[5] Cfr Ioannes Paulus II, Lett. ap. Motu
proprio data Ecclesia Dei, 2 luglio 1988, 6: AAS 80 (1988), 1498.
© Copyright 2007 - Libreria Editrice
Vaticana
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Ecclesia
Dei
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LETTERA DI
SUA SANTITÀ
BENEDETTO XVI
AI VESCOVI
IN OCCASIONE DELLA PUBBLICAZIONE
DELLA LETTERA APOSTOLICA "MOTU PROPRIO DATA"
SUMMORUM PONTIFICUM
SULL'USO
DELLA LITURGIA ROMANA
ANTERIORE
ALLA RIFORMA EFFETTUATA NEL 1970
[Francese, Inglese, Italiano, Portoghese, Spagnolo, Tedesco]
[Francese, Inglese, Italiano, Portoghese, Spagnolo, Tedesco]
Cari Fratelli nell’Episcopato,
con grande fiducia e speranza metto nelle
vostre mani di Pastori il testo di una nuova Lettera Apostolica “Motu Proprio
data” sull’uso della liturgia romana anteriore alla riforma effettuata nel 1970.
Il documento è frutto di lunghe riflessioni, di molteplici consultazioni e di
preghiera.
Notizie e giudizi fatti senza sufficiente
informazione hanno creato non poca confusione. Ci sono reazioni molto divergenti
tra loro che vanno da un’accettazione gioiosa ad un’opposizione dura, per un
progetto il cui contenuto in realtà non era conosciuto.
A questo documento si opponevano più
direttamente due timori, che vorrei affrontare un po’ più da vicino in questa
lettera.
In primo luogo, c’è il timore che qui venga
intaccata l’Autorità del Concilio Vaticano II e che una delle sue decisioni
essenziali – la riforma liturgica – venga messa in dubbio. Tale timore è
infondato. Al riguardo bisogna innanzitutto dire che il Messale, pubblicato in
duplice edizione da Paolo VI e poi riedito una terza volta con l'approvazione di
Giovanni Paolo II, ovviamente è e rimane la forma normale – la forma
ordinaria – della Liturgia Eucaristica. L’ultima stesura del Missale
Romanum, anteriore al Concilio, che è stata pubblicata con l’autorità di
Papa Giovanni XXIII nel 1962 e utilizzata durante il Concilio, potrà, invece,
essere usata come forma extraordinaria della Celebrazione liturgica.
Non è appropriato parlare di queste due stesure del Messale Romano come se
fossero “due Riti”. Si tratta, piuttosto, di un uso duplice dell’unico e
medesimo Rito. Quanto all’uso del Messale del 1962, come forma extraordinaria
della Liturgia della Messa, vorrei attirare l’attenzione sul fatto che questo
Messale non fu mai giuridicamente abrogato e, di conseguenza, in linea di
principio, restò sempre permesso. Al momento dell’introduzione del nuovo
Messale, non è sembrato necessario di emanare norme proprie per l’uso possibile
del Messale anteriore. Probabilmente si è supposto che si sarebbe trattato di
pochi casi singoli che si sarebbero risolti, caso per caso, sul posto. Dopo,
però, si è presto dimostrato che non pochi rimanevano fortemente legati a questo
uso del Rito romano che, fin dall’infanzia, era per loro diventato familiare.
Ciò avvenne, innanzitutto, nei Paesi in cui il movimento liturgico aveva donato
a molte persone una cospicua formazione liturgica e una profonda, intima
familiarità con la forma anteriore della Celebrazione liturgica. Tutti sappiamo
che, nel movimento guidato dall’Arcivescovo Lefebvre, la fedeltà al Messale
antico divenne un contrassegno esterno; le ragioni di questa spaccatura, che qui
nasceva, si trovavano però più in profondità. Molte persone, che accettavano
chiaramente il carattere vincolante del Concilio Vaticano II e che erano fedeli
al Papa e ai Vescovi, desideravano tuttavia anche ritrovare la forma, a loro
cara, della sacra Liturgia; questo avvenne anzitutto perché in molti luoghi non
si celebrava in modo fedele alle prescrizioni del nuovo Messale, ma esso
addirittura veniva inteso come un’autorizzazione o perfino come un obbligo alla
creatività, la quale portò spesso a deformazioni della Liturgia al limite del
sopportabile. Parlo per esperienza, perché ho vissuto anch’io quel periodo con
tutte le sue attese e confusioni. E ho visto quanto profondamente siano state
ferite, dalle deformazioni arbitrarie della Liturgia, persone che erano
totalmente radicate nella fede della Chiesa.
Papa Giovanni Paolo II si vide, perciò,
obbligato a dare, con il Motu Proprio “Ecclesia
Dei” del 2 luglio 1988, un quadro normativo per l’uso del Messale del 1962,
che però non conteneva prescrizioni dettagliate, ma faceva appello, in modo più
generale, alla generosità dei Vescovi verso le “giuste aspirazioni” di quei
fedeli che richiedevano quest’uso del Rito romano. In quel momento il Papa
voleva, così, aiutare soprattutto la Fraternità San Pio X a ritrovare la piena
unità con il Successore di Pietro, cercando di guarire una ferita sentita sempre
più dolorosamente. Purtroppo questa riconciliazione finora non è riuscita;
tuttavia una serie di comunità hanno utilizzato con gratitudine le possibilità
di questo Motu Proprio. Difficile è rimasta, invece, la questione dell’uso del
Messale del 1962 al di fuori di questi gruppi, per i quali mancavano precise
norme giuridiche, anzitutto perché spesso i Vescovi, in questi casi, temevano
che l’autorità del Concilio fosse messa in dubbio. Subito dopo il Concilio
Vaticano II si poteva supporre che la richiesta dell’uso del Messale del 1962 si
limitasse alla generazione più anziana che era cresciuta con esso, ma nel
frattempo è emerso chiaramente che anche giovani persone scoprono questa forma
liturgica, si sentono attirate da essa e vi trovano una forma, particolarmente
appropriata per loro, di incontro con il Mistero della Santissima Eucaristia.
Così è sorto un bisogno di un regolamento giuridico più chiaro che, al tempo del
Motu Proprio del 1988, non era prevedibile; queste Norme intendono anche
liberare i Vescovi dal dover sempre di nuovo valutare come sia da rispondere
alle diverse situazioni.
In secondo luogo, nelle discussioni sull’atteso
Motu Proprio, venne espresso il timore che una più ampia possibilità dell’uso
del Messale del 1962 avrebbe portato a disordini o addirittura a spaccature
nelle comunità parrocchiali. Anche questo timore non mi sembra realmente
fondato. L’uso del Messale antico presuppone una certa misura di formazione
liturgica e un accesso alla lingua latina; sia l’una che l’altra non si trovano
tanto di frequente. Già da questi presupposti concreti si vede chiaramente che
il nuovo Messale rimarrà, certamente, la forma ordinaria del Rito Romano, non
soltanto a causa della normativa giuridica, ma anche della reale situazione in
cui si trovano le comunità di fedeli.
E’ vero che non mancano esagerazioni e qualche
volta aspetti sociali indebitamente vincolati all’attitudine di fedeli legati
all’antica tradizione liturgica latina. La vostra carità e prudenza pastorale
sarà stimolo e guida per un perfezionamento. Del resto le due forme dell’uso del
Rito Romano possono arricchirsi a vicenda: nel Messale antico potranno e
dovranno essere inseriti nuovi santi e alcuni dei nuovi prefazi. La Commissione
“Ecclesia Dei” in contatto con i diversi enti dedicati all’ “usus antiquior”
studierà le possibilità pratiche. Nella celebrazione della Messa secondo il
Messale di Paolo VI potrà manifestarsi, in maniera più forte di quanto non lo è
spesso finora, quella sacralità che attrae molti all’antico uso. La garanzia più
sicura che il Messale di Paolo VI possa unire le comunità parrocchiali e venga
da loro amato consiste nel celebrare con grande riverenza in conformità alle
prescrizioni; ciò rende visibile la ricchezza spirituale e la profondità
teologica di questo Messale.
Sono giunto, così, a quella ragione positiva
che mi ha motivato ad aggiornare mediante questo Motu Proprio quello del 1988.
Si tratta di giungere ad una riconciliazione interna nel seno della Chiesa.
Guardando al passato, alle divisioni che nel corso dei secoli hanno lacerato il
Corpo di Cristo, si ha continuamente l’impressione che, in momenti critici in
cui la divisione stava nascendo, non è stato fatto il sufficiente da parte dei
responsabili della Chiesa per conservare o conquistare la riconciliazione e
l’unità; si ha l’impressione che le omissioni nella Chiesa abbiano avuto una
loro parte di colpa nel fatto che queste divisioni si siano potute consolidare.
Questo sguardo al passato oggi ci impone un obbligo: fare tutti gli sforzi,
affinché a tutti quelli che hanno veramente il desiderio dell’unità, sia reso
possibile di restare in quest’unità o di ritrovarla nuovamente. Mi viene in
mente una frase della Seconda Lettera ai Corinzi, dove Paolo scrive: “La nostra
bocca vi ha parlato francamente, Corinzi, e il nostro cuore si è tutto aperto
per voi. Non siete davvero allo stretto in noi; è nei vostri cuori invece che
siete allo stretto… Rendeteci il contraccambio, aprite anche voi il vostro
cuore!” (2 Cor 6,11–13). Paolo lo dice certo in un altro contesto, ma
il suo invito può e deve toccare anche noi, proprio in questo tema. Apriamo
generosamente il nostro cuore e lasciamo entrare tutto ciò a cui la fede stessa
offre spazio.
Non c’è nessuna contraddizione tra l’una e
l’altra edizione del Missale Romanum. Nella storia della Liturgia c’è
crescita e progresso, ma nessuna rottura. Ciò che per le generazioni anteriori
era sacro, anche per noi resta sacro e grande, e non può essere improvvisamente
del tutto proibito o, addirittura, giudicato dannoso. Ci fa bene a tutti
conservare le ricchezze che sono cresciute nella fede e nella preghiera della
Chiesa, e di dar loro il giusto posto. Ovviamente per vivere la piena comunione
anche i sacerdoti delle Comunità aderenti all’uso antico non possono, in linea
di principio, escludere la celebrazione secondo i libri nuovi. Non sarebbe
infatti coerente con il riconoscimento del valore e della santità del nuovo rito
l’esclusione totale dello stesso.
In conclusione, cari Confratelli, mi sta a
cuore sottolineare che queste nuove norme non diminuiscono in nessun modo la
vostra autorità e responsabilità, né sulla liturgia né sulla pastorale dei
vostri fedeli. Ogni Vescovo, infatti, è il moderatore della liturgia nella
propria diocesi (cfr. Sacrosanctum
Concilium, n. 22: “Sacrae Liturgiae moderatio ab Ecclesiae auctoritate unice
pendet quae quidem est apud Apostolicam Sedem et, ad normam iuris, apud
Episcopum”).
Nulla si toglie quindi all’autorità del Vescovo
il cui ruolo, comunque, rimarrà quello di vigilare affinché tutto si svolga in
pace e serenità. Se dovesse nascere qualche problema che il parroco non possa
risolvere, l’Ordinario locale potrà sempre intervenire, in piena armonia, però,
con quanto stabilito dalle nuove norme del Motu Proprio.
Inoltre, vi invito, cari Confratelli, a
scrivere alla Santa Sede un resoconto sulle vostre esperienze, tre anni dopo
l’entrata in vigore di questo Motu Proprio. Se veramente fossero venute alla
luce serie difficoltà, potranno essere cercate vie per trovare rimedio.
Cari Fratelli, con animo grato e fiducioso,
affido al vostro cuore di Pastori queste pagine e le norme del Motu Proprio.
Siamo sempre memori delle parole dell’Apostolo Paolo dirette ai presbiteri di
Efeso: “Vegliate su voi stessi e su tutto il gregge, in mezzo al quale lo
Spirito Santo vi ha posti come Vescovi a pascere la Chiesa di Dio, che egli si è
acquistata con il suo sangue” (Atti 20,28).
Affido alla potente intercessione di Maria,
Madre della Chiesa, queste nuove norme e di cuore imparto la mia Benedizione
Apostolica a Voi, cari Confratelli, ai parroci delle vostre diocesi, e a tutti i
sacerdoti, vostri collaboratori, come anche a tutti i vostri
fedeli.
Dato presso San Pietro, il 7 luglio 2007
BENEDICTUS PP. XVI
© Copyright 2007 - Libreria Editrice Vaticana
Pontificia
Commissione Ecclesia Dei
30 aprile 2011Istruzione Universae Ecclesiae sull’applicazione della Lettera Apostolica Motu Proprio data "Summorum Pontificum" di S.S. Benedetto P.P. XVI [Inglese, Italiano, Latino, Portoghese, Spagnolo, Tedesco] |
- Nota Redazionale sull'Istruzione UNIVERSAE ECCLESIAE - Testo dell'Istruzione UNIVERSAE ECCLESIAE (Latino) - Testo dell'Istruzione UNIVERSAE ECCLESIAE (Italiano) - Nota del Direttore della Sala Stampa, P. Federico Lombardi NOTA REDAZIONALE SULL'ISTRUZIONE UNIVERSAE ECCLESIAE
La Pontificia Commissione
Ecclesia Dei rende nota l’Istruzione sull’applicazione della Lettera Apostolica Motu Proprio
data Summorum Pontificum di S.S. Benedetto XVI.
Con il Motu Proprio Summorum Pontificum, emanato il 7 luglio 2007 ed entrato
in vigore il 14 settembre di quello stesso anno (AAS 99 [2007] 777-781),
il Santo Padre ha promulgato una legge universale per la Chiesa con l’intento di
regolamentazione dell’uso della Liturgia Romana in vigore nell’anno 1962,
illustrando autorevolmente le ragioni della sua decisione nella Lettera ai Vescovi che accompagnava la pubblicazione del
Motu Proprio sull’uso della Liturgia Romana anteriore alla Riforma
effettuata nel 1970 (AAS 99 [2007] 795-799).
Nella suddetta Lettera il
Santo Padre ha chiesto ai Confratelli nell’Episcopato di far pervenire alla
Santa Sede un rapporto a tre anni dall’entrata in vigore del Motu Proprio (cfr
cpv. 11). Tenendo conto delle osservazioni dei Pastori della Chiesa di tutto il
mondo, e avendo raccolto domande di chiarificazione e richieste di indicazioni
specifiche, viene ora pubblicata la seguente Istruzione dall’incipit
latino: Universae Ecclesiae. L’Istruzione è stata approvata dallo stesso
Pontefice nell’Udienza concessa al Cardinale Presidente l’8 aprile 2011, e porta
la data del 30 aprile 2011, memoria liturgica di San Pio V, Papa.
Nel testo dell’Istruzione, dopo alcune osservazioni introduttive e di tipo
storico (Parte I, nn. 1-8), si esplicitano innanzitutto i compiti della
Pontificia Commissione Ecclesia Dei (Parte II, nn. 9-11), stabilendo in
seguito, in ottemperanza al Motu Proprio pontificio, alcune specifiche
norme e disposizioni (Parte III, nn. 12-35), prima di tutto quelle relative alla
competenza propria del Vescovo diocesano (nn. 13-14). Si illustrano poi i
diritti e i doveri dei fedeli che compongono un coetus fidelium
interessato (nn. 15-19), nonché del sacerdote ritenuto idoneo a celebrare la
forma extraordinaria del Rito Romano (sacerdos idoneus, nn.
20-23). Si regolano alcune questioni pertinenti alla disciplina liturgica ed
ecclesiastica (nn. 24-28), specificando in particolare le norme relative alla
celebrazione della Cresima e dell’Ordine sacro (nn. 29-31), all’uso del
Breviarium Romanum (n. 32), dei libri liturgici propri degli Ordini
religiosi (n. 34), del Pontificale Romanum e del Rituale Romanum
(n. 35), che erano in vigore nell’anno 1962, nonché alla celebrazione del Triduo
sacro (n. 33).
È viva speranza della
Pontificia Commissione Ecclesia Dei che l’osservanza delle norme e
disposizioni dell’Istruzione, che regolano l’Usus Antiquior del Rito
Romano e sono affidate alla carità pastorale e alla prudente vigilanza dei
Pastori della Chiesa, contribuirà, quale stimolo e guida, alla riconciliazione e
all’unità, come auspicate dal Santo Padre (cfr Lettera ai Vescovi del 7 luglio 2007, cpvv.
7-8).
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PONTIFICIA COMMISSIO ECCLESIA DEI
INSTRUCTIO
Ad exsequendas Litteras Apostolicas Summorum Pontificuma S. S. BENEDICTO PP. XVI Motu Proprio datas
I.
Prooemium
1. Universae Ecclesiae
Litterae Apostolicae Summorum Pontificum Benedicti PP. XVI, die 7 iulii
a. D. 2007 motu proprio datae atque inde a die 14 septembris a. D. 2007
vigentes, Romanae Liturgiae divitias reddiderunt propiores.
2. Hisce Litteris Motu
Proprio datis Summus Pontifex Benedictus XVI legem universalem Ecclesiae tulit
ut regulis nostris temporibus aptioribus quoad usum Romanae Liturgiae anno 1962
vigentem provideret.
3. Sedula Summorum
Pontificum sollicitudine hac in Sacrae Liturgiae cura necnon et in
recognoscendis liturgicis libris memorata, Sanctitas Sua antiquum principium in
mentem revocavit, ab immemorabilibus receptum et in futurum servandum:
"unaquaeque Ecclesia particularis concordare debet cum universali Ecclesia
non solum quoad fidei doctrinam et signa sacramentalia, sed etiam quoad usus
universaliter acceptos ab apostolica et continua traditione, qui servandi sunt
non solum ut errores vitentur, verum etiam ad fidei integritatem tradendam, quia
Ecclesiae lex orandi eius legi credendi respondet"1.
4. Insuper, Apostolicus
Dominus et Romanos Pontifices commemorat, qui hac in cura maximopere meriti
sunt, praesertim S. Gregorium Magnum et S. Pium V. Summus Pontifex etiam recolit
inter liturgicos libros, Missale Romanum semper eminuisse,
prolabentibusque saeculis incrementa novisse, usque ad beatum Papam Ioannem
XXIII. Deinde, cum instauratio liturgica post Concilium Vaticanum II ageretur,
Paulus VI anno 1970 novum Missale usui Ecclesiae Ritus Latini destinatum
adprobavit, quod postea in plures linguas translatum fuit cuiusque editio tertia
anno 2000 a Ioanne Paulo II est promulgata.
5. Nonnulli vero
Christifideles, spiritu rituum liturgicorum Concilio Vaticano II anteriorum
imbuti, desiderium praecipuum patefecerant antiquam servandi traditionem. Quam
ob rem Ioannes Paulus II, speciali Indulto a Sacra Congregatione pro Sacramentis
et Cultu Divino anno 1984 concesso, "Quattuor abhinc annos", facultatem
dedit utendi Missali Romano a beato Papa Ioanne XXIII promulgato, attentis tamen
quibusdam conditionibus. Praeterea ipse Ioannes Paulus II Litteris Apostolicis
Ecclesia Dei motu proprio anno 1988 datis, Episcopos ad magnanimem
liberalitatem huius facultatis concedendae, ad bonum omnium christifidelium id
postulantium, adhortatus est. Similiter et Papa Benedictus XVI promulgando
Litteras Apostolicas Summorum Pontificum nuncupatas egit, de quibus vero
quaedam principia essentialia ad Usum spectantia Antiquiorem Ritus Romani quam
maxime heic recolere praestat.
6. Textus Missalis Romani a
Paulo VI promulgati, et textus ad ultimam usque editionem Ioannis XXIII
pertinentes, duae expressiones Liturgiae Romanae exstant, quae respective
ordinaria et extraordinaria nuncupantur: agitur nempe de duobus
unius Ritus Romani usibus, qui ad invicem iuxta ponuntur. Nam utraque forma est
expressio unicae Ecclesiae legis orandi. Propter venerabilem et antiquum usum
forma extraordinaria debito honore est servanda.
7. Litteras Apostolicas
Summorum Pontificum motu proprio datas comitatur Epistola ab ipso Summo
Pontifice eodem die subsignata (7. VII. 2007), in qua fuse de opportunitate
necnon et de necessitate ipsarum Litterarum agitur: leges recentiores erant
nempe ferendae, deficientibus regulis quae usum Liturgiae Romanae anno 1962
vigentem plane ordinarent. Insuper recentiore legislatione opus erat quia, edito
novo Missali, non est visum cur regulae edendae essent quoad usum Liturgiae anni
1962. Increscentibus magis magisque in dies fidelibus expostulantibus
celebrationem formae extraordinariae, leges autem erant ferendae. Inter
cetera monet Benedictus XVI: "Inter duas Missalis Romani editiones nulla est
contradictio. In historia liturgiae incrementum et progressus inveniuntur, nulla
tamen ruptura. Id quod maioribus nostris sacrum erat, nobis manet sacrum et
grande, et non licet ut repente omnino vetitum sit, neque ut plane noxium
judicetur"2.
8. Litterae Apostolicae
Summorum Pontificum eminenter exprimunt Magisterium Romani Pontificis
eiusque munus regendi atque Sacram Liturgiam ordinandi3, ipsiusque
sollicitudinem utpote Christi Vicarii et Ecclesiae Universae
Pastoris4. Ipsae Litterae intendunt:
a) Liturgiam Romanam in
Antiquiori Usu, prout pretiosum thesaurum servandum, omnibus largire
fidelibus;
b) Usum eiusdem Liturgiae
iis re vera certum facere, qui id petunt, considerando ipsum Usum Liturgiae
Romanae anno 1962 vigentem esse facultatem ad bonum fidelium datam, ac proinde
in favorem fidelium benigne esse interpretandam, quibus praecipue
destinatur;
c) Reconciliationi in sinu
Ecclesiae favere.
II.
Munera Pontificiae Commissionis Ecclesia Dei
9. Summus Pontifex
Pontificiae Commissioni Ecclesia Dei potestatem ordinariam vicariam
dignatus est impertire in omnibus rebus intra eius competentiae fines,
praesertim circa sedulam observantiam et vigilantiam in exsequendas
dispositiones in Litteris Apostolicis Summorum Pontificum contentas (cf.
art. 12).
10. § 1. Praeter facultates
olim a Ioanne Paulo II concessas necnon a Benedicto XVI confirmatas (cf.
Litterae Apostolicae Summorum Pontificum, art.11 et art.12), Pontificia
Commissio huiusmodi potestatem exercet etiam in decernendo de recursibus ei
legitime commissis, prout hierarchicus Superior, adversus actum administrativum
singularem a quolibet Ordinario emissum, qui Litteris Apostolicis videatur
contrarius.
§ 2. Decreta quae Pontificia
Commissio de recursibus emanat, apud Supremum Tribunal Signaturae Apostolicae
oppugnari possunt ad normam iuris.
11. Pontificiae Commissionis
Ecclesia Dei, praevia adprobatione Congregationis pro Cultu Divino et
Disciplina Sacramentorum, est curare de edendis libris liturgicis ad formam
extraordinariam Ritus Romani pertinentibus.
III.
Normae Praecipuae
12. Pontifícia haec
Commissio, vigore auctoritatis sibi commissae et facultatum quibus gaudet,
peracta inquisitione apud Episcopos totius orbis, rectam interpretationem et
fidelem exsecutionem Litterarum Apostolicarum Summorum Pontificum pro
certo habere volens, hanc Instructionem edit, ad normam canonis 34 Codicis Iuris
Canonici.
De Episcoporum Dioecesanorum
Competentia
13. Episcoporum
Dioecesanorum, iuxta Codicem Iuris Canonici, est vigilare circa rem liturgicam,
ut bonum commune servetur et ut omnia digne, pacifice et aequo animo in eorum
Dioecesibus fiant5, iuxta mentem Romani Pontificis in Litteris
Apostolicis Summorum Pontificum palam expressam6. Si quae
controversia oriatur vel dubium fundatum quoad celebrationem formae
extraordinariae, iudicium Pontificiae Commissioni Ecclesia Dei
reservatur.
14. Episcopo Dioecesano
munus incumbit necessaria suppeditandi subsidia ut fidelis erga formam
extraordinariam Ritus Romani habeatur observantia, ad normam Litterarum
Apostolicarum Summorum Pontificum.
De coetu fidelium
(cf. Litterae Apostolicae Summorum Pontificum, art. 5 § 1)
15. Coetus fidelium dicitur
"stabiliter exsistens" ad sensum art. 5 § 1 Litterarum Apostolicarum Summorum
Pontificum, quando ab aliquibus personis cuiusdam paroeciae constituitur,
etsi post publicationem Litterarum Apostolicarum coniunctis, ratione
venerationis Liturgiae in Antiquiore Usu, poscentibus ut in ecclesia paroeciali
vel in aliquo oratorio vel sacello Antiquior Usus celebretur: hic coetus
constitui potest a personis ex pluribus paroeciis aut dioecesibus convenientibus
et qui una concurrunt ad ecclesiam paroecialem aut oratorium ad finem, de quo
supra, assequendum.
16. Si quidam sacerdos
obiter in quandam ecclesiam paroecialem vel oratorium cum aliquibus personis
incidens, Sacrum in forma extraordinaria facere velit, ad normam artt. 2
et 4 Litterarum Apostolicarum, parochus aut rector ecclesiae, vel sacerdos qui
de ea curam gerit, ad celebrandum admittat, attento tamen ordine celebrationum
liturgicarum ipsius ecclesiae.
17. § 1. Ut de singulis
casibus iudicium feratur, parochus aut rector, aut sacerdos qui ecclesiae curam
habet, prudenti mente agat, pastorali zelo, caritate et urbanitate
suffultus.
§ 2. Si coetus paucis
constet fidelibus, ad Ordinarium loci adeundum est ut designet ecclesiam in quam
ad huiusmodi celebrationes fideles se conferre possint, ita ut actuosa
participatio facilior et Sanctae Missae celebratio dignior reddi
valeant.
18. In sanctuariis et in
peregrinationum locis possibilitas celebrandi secundum extraordinariam
formam coetibus peregrinorum id petentibus praebeatur (cf. Litterae
Apostolicae Summorum Pontificum, art. 5 § 3), si sacerdos adest
idoneus.
19. Christifideles
celebrationem secundum formam extraordinariam postulantes, auxilium ne
ferant neque nomen dent consociationibus, quae validitatem vel legitimitatem
Sanctae Missae Sacrificii et Sacramentorum secundum formam ordinariam
impugnent, vel Romano Pontifici, Universae Ecclesiae Pastori quoquo modo sint
infensae.
De Sacerdotibus
idoneis (cf. Litterae Apostolicae Summorum Pontificum, art. 5 §
4)
20. Quoad ea quae necessaria
sunt ut sacerdos quidam idoneus habeatur ad celebrandum secundum formam
extraordinariam, statuitur:
a) Quivis sacerdos, ad
normam Iuris Canonici7, non impeditus, idoneus censetur ad
celebrandam Sanctam Missam secundum formam extraordinariam;
b) ad usum Latini sermonis
quod attinet, necesse est ut sacerdos celebraturus scientia polleat ad verba
recte proferenda eorumque intelligendam significationem;
c) quoad peritiam vero ritus
exsequendi, idonei habentur sacerdotes qui ad Sacrum faciendum secundum
extraordinariam formam sponte adeunt et qui antea hoc
fecerant.
21. Ordinarii enixe rogantur
ut clericis instituendis occasionem praebeant accommodatam artem celebrandi in
forma extraordinaria acquirendi, quod potissimum pro Seminariis valet, in
quibus providebitur ut sacrorum alumni convenienter instituantur, Latinum
discendo sermonem8 et, adiunctis id postulantibus, ipsam Ritus Romani
formam extraordinariam.
22. In Dioecesibus ubi
desint sacerdotes idonei, fas est Episcopis dioecesanis iuvamen a sacerdotibus
Institutorum a Pontificia Commissione Ecclesia Dei erectorum exposcere,
sive ut celebrent, sive ut ipsam artem celebrandi doceant.
23. Facultas celebrandi
Missam sine populo seu uno tantum ministro participante, secundum formam
extraordinariam Ritus Romani concessa est cuivis presbytero, tum saeculari,
cum religioso (cf. Litterae Apostolicae Summorum Pontificum, art. 2).
Ergo, in huiusmodi celebrationibus, sacerdotes, ad normam Litterarum
Apostolicarum, nulla speciali licentia Ordinariorum vel superiorum
indigent.
De disciplina liturgica et
ecclesiastica
24. Libri liturgici
formae extraordinariae adhibeantur ut prostant. Omnes qui secundum
extraordinariam formam Ritus Romani celebrare exoptant, tenentur rubricas
relativas scire easque in celebrationibus recte exsequi.
25. In antiquo Missali
recentiores sancti et aliquae ex novis praefationibus inseri possunt immo
debent9, secundum quod quam primum statutum erit.
26. Ad ea quae constabilita
sunt in Litteris Apostolicis Summorum Pontificum, ad articulum 6,
dicendum est quod lectiones Sanctae Missae, quae in Missali anni 1962
continentur, proferri possunt aut solum Latine, aut Latine, vernacula sequente
versione, aut in Missis lectis etiam solum vernacule.
27. Quoad regulas
disciplinares ad celebrationem formae extraordinariae pertinentes,
applicetur disciplina ecclesiastica Codicis Iuris Canonici anno 1983
promulgati.
28. Praeterea, cum sane de
lege speciali agitur, quoad materiam propriam, Litterae Apostolicae Summorum
Pontificum derogant omnibus legibus liturgicis, sacrorum rituum propriis,
exinde ab anno 1962 promulgatis, et cum rubricis librorum liturgicorum anni 1962
non congruentibus.
De Confirmatione et de
Ordine
29. Facultas adhibendi
formulam antiquam ad Confirmationem impertiendam, confirmata est a Litteris
Apostolicis Summorum Pontificum (cf. art. 9, § 2), proinde non necessario
adhibenda est pro forma extraordinaria formula recentior, quae in
Ordine Confirmationis Pauli PP. VI invenitur.
30. Quoad primam Tonsuram,
Ordines Minores et Subdiaconatum, Litterae Apostolicae Summorum
Pontificum nullam obmutationem in disciplina Codicis Iuris Canonici anno
1983 introduxerunt: hac de causa, pro Institutis Vitae Consecratae et
Societatibus Vitae Apostolicae Pontificiae Commissioni Ecclesia Dei
subditis, sodalis votis perpetuis professus aut societati clericali vitae
apostolicae definitive incorporatus, per receptum diaconatum incardinatur
tamquam clericus eidem instituto aut societati, ad normam canonis 266 § 2
Codicis Iuris Canonici.
31. Dumtaxat Institutis
Vitae Consecratae et Societatibus Vitae Apostolicae Pontificiae Commissioni
Ecclesia Dei subditis, et his ubi servatur usus librorum liturgicorum
formae extraordinariae, licet Pontificali Romano anni 1962 uti ad Ordines
maiores et minores conferendos.
De Breviario
Romano
32. Omnibus clericis
conceditur facultas recitandi Breviarium Romanum anni 1962, de quo art. 9, § 3
Litterarum Apostolicarum Summorum Pontificum, et quidem integre et Latino
sermone.
De Triduo
Sacro
33. Coetus fidelium,
anteriori traditioni liturgicae adhaerens, iure gaudet, si sacerdos idoneus
adest, celebrandi et ipsum Sacrum Triduum iuxta extraordinariam formam.
Deficiente autem ecclesia vel oratorio ad huiusmodi celebrationes exsequendas
exclusive deputatis, parochus aut Ordinarius, communi de consilio cum idoneo
sacerdote, favorabiliores praebeant occasiones pro bono animarum assequendo,
haud exclusa possibilitate reiterandi Sacri Tridui celebrationes in ipsa
ecclesia.
De Ritibus Religiosorum
Ordinum
34. Sodalibus Ordinum
Religiosorum licet uti propriis libris liturgicis anno 1962
vigentibus.
De Pontificali Romano et de
Rituali Romano
35. Salvo quod sub n. 31
huius Instructionis praescriptum est, ad mentem n. 28 ipsius Instructionis licet
Pontificale Romanum, Rituale Romanum et Caeremoniale Episcoporum anno 1962
vigentia adhibere.
Summus Pontifex
Benedictus PP. XVI, in Audientia die 8 aprilis a. d. MMXI subscripto Cardinali
Praesidi Pontificiae Commissionis "Ecclesia Dei" concessa, hanc Instructionem
ratam habuit et publici iuris fieri iussit.
Datum Romae, ex Aedibus
Pontificiae Commissionis Ecclesia Dei, die 30 aprilis a. D. MMXI, in
memoria S. Pii V.
Gulielmus Cardinalis
Levada
Praeses
Vido Pozzo
A Secretis
______________
1 BENEDICTUS XVI, Litterae Apostolicae
Summorum Pontificum Motu Proprio datae, I, AAS 99 (2007) 777; cf.
Institutio Generalis Missalis Romani, tertia editio 2002, n.
397.
2 BENEDICTUS XVI, Epistola ad
Episcopos ad producendas Litteras Apostolicas Motu Proprio datas, de Usu
Liturgiae Romanae Instaurationi anni 1970 praecedentis, AAS 99 (2007)
798.
3 Cf. CIC, can. 838 § 1 et §
2.
4 Cf. CIC, can. 331.
5 Cf. CIC, cann. 223, § 2; 838 § 1 et §
4.
6 Cf. BENEDICTUS XVI, Epistola ad
Episcopos ad producendas Litteras Apostolicas Motu Proprio datas, de Usu
Liturgiae Romanae Instaurationi anni 1970 praecedentis, AAS 99 (2007)
799.
7 Cf. CIC, can. 900, § 2.
8 Cf. CIC, can. 249; cf. Conc. Vat. II,
Const. Sacrosanctum Concilium, n. 36; Decl. Optatam totius n.
13.
9 Cf. BENEDICTUS XVI, Epistola ad
Episcopos ad producendas Litteras Apostolicas Motu Proprio datas, de Usu
Liturgiae Romanae Instaurationi anni 1970 praecedentis, AAS 99 (2007)
797.
|
PONTIFICIA COMMISSIONE ECCLESIA DEI
ISTRUZIONE
sull’applicazione della Lettera Apostolica Motu Proprio data Summorum Pontificum di S.S. BENEDETTO PP. XVI
I.
Introduzione
1. La Lettera Apostolica,
Summorum Pontificum Motu Proprio data, del Sommo Pontefice
Benedetto XVI del 7 luglio 2007, entrata in vigore il 14 settembre 2007, ha reso
più accessibile alla Chiesa universale la ricchezza della Liturgia
Romana.
2. Con tale Motu Proprio il
Sommo Pontefice Benedetto XVI ha promulgato una legge universale per la Chiesa
con l’intento di dare una nuova normativa all’uso della Liturgia Romana in
vigore nel 1962.
3. Il Santo Padre, dopo aver
richiamato la sollecitudine dei Sommi Pontefici nella cura per la Sacra Liturgia
e nella ricognizione dei libri liturgici, riafferma il principio tradizionale,
riconosciuto da tempo immemorabile e necessario da mantenere per l’avvenire,
secondo il quale "ogni Chiesa particolare deve concordare con la Chiesa
universale, non solo quanto alla dottrina della fede e ai segni sacramentali, ma
anche quanto agli usi universalmente accettati dalla ininterrotta tradizione
apostolica, che devono essere osservati non solo per evitare errori, ma anche
per trasmettere l’integrità della fede, perché la legge della preghiera della
Chiesa corrisponde alla sua legge di fede"1.
4. Il Sommo Pontefice
ricorda inoltre i Pontefici Romani che, in modo particolare, si sono impegnati
in questo compito, specificamente San Gregorio Magno e San Pio V. Il Papa
sottolinea altresì che, tra i sacri libri liturgici, particolare risalto nella
storia ha avuto il Missale Romanum, che ha ricevuto nuovi aggiornamenti
lungo il corso dei tempi fino al Beato Papa Giovanni XXIII. Successivamente, in seguito alla riforma
liturgica posteriore al Concilio Vaticano II, Papa Paolo VI nel 1970 approvò per la Chiesa di rito latino un
nuovo Messale, poi tradotto in diverse lingue. Papa Giovanni Paolo II nell’anno 2000 ne promulgò una terza
edizione.
5. Diversi fedeli, formati
allo spirito delle forme liturgiche precedenti al Concilio Vaticano II, hanno espresso il vivo desiderio di
conservare la tradizione antica. Per questo motivo, Papa Giovanni Paolo II con lo speciale Indulto Quattuor abhinc
annos, emanato nel 1984 dalla Sacra Congregazione per il Culto Divino, concesse a
determinate condizioni la facoltà di riprendere l’uso del Messale Romano
promulgato dal Beato Papa Giovanni XXIII. Inoltre, Papa Giovanni Paolo II, con il Motu Proprio Ecclesia Dei del 1988, esortò i Vescovi perché fossero
generosi nel concedere tale facoltà in favore di tutti i fedeli che lo
richiedevano. Nella medesima linea si pone Papa Benedetto XVI con il Motu Proprio Summorum Pontificum, nel quale vengono indicati alcuni
criteri essenziali per l’Usus Antiquior del Rito Romano, che qui è
opportuno ricordare.
6. I testi del Messale
Romano di Papa Paolo VI e di quello risalente all’ultima edizione di Papa Giovanni XXIII, sono due forme della Liturgia Romana, definite
rispettivamente ordinaria e extraordinaria: si tratta di due usi
dell’unico Rito Romano, che si pongono l’uno accanto all’altro. L’una e l’altra
forma sono espressione della stessa lex orandi della Chiesa. Per il suo
uso venerabile e antico, la forma extraordinaria deve essere conservata
con il debito onore.
7. Il Motu Proprio Summorum Pontificum è accompagnato da una Lettera del Santo Padre ai Vescovi, con la stessa data del
Motu Proprio (7 luglio 2007). Con essa vengono offerte ulteriori delucidazioni
sull’opportunità e sulla necessità del Motu Proprio stesso; si trattava, cioè,
di colmare una lacuna, dando una nuova normativa all’uso della Liturgia Romana
in vigore nel 1962. Tale normativa si imponeva particolarmente per il fatto che,
al momento dell’introduzione del nuovo Messale, non era sembrato necessario
emanare disposizioni che regolassero l’uso della Liturgia vigente nel 1962. In
ragione dell’aumento di quanti richiedono di poter usare la forma
extraordinaria, si è reso necessario dare alcune norme in
materia.
Tra l’altro Papa Benedetto XVI afferma: "Non c’è nessuna contraddizione tra
l’una e l’altra edizione del Messale Romano. Nella storia della liturgia c’è
crescita e progresso, ma nessuna rottura. Ciò che per le generazioni anteriori
era sacro, anche per noi resta sacro e grande, e non può essere improvvisamente
del tutto proibito o, addirittura, giudicato
dannoso"2.
8. Il Motu Proprio Summorum Pontificum costituisce una rilevante espressione
del Magistero del Romano Pontefice e del munus a Lui proprio di regolare
e ordinare la Sacra Liturgia della Chiesa3 e manifesta la Sua
sollecitudine di Vicario di Cristo e Pastore della Chiesa
Universale4.
Esso si propone l’obiettivo
di:
a) offrire a tutti i fedeli
la Liturgia Romana nell’Usus Antiquior, considerata tesoro prezioso da
conservare;
b) garantire e assicurare
realmente a quanti lo domandano, l’uso della forma extraordinaria, nel
presupposto che l’uso della Liturgia Romana in vigore nel 1962 sia una facoltà
elargita per il bene dei fedeli e pertanto vada interpretata in un senso
favorevole ai fedeli che ne sono i principali destinatari;
c) favorire la
riconciliazione in seno alla Chiesa.
II.
Compiti della Pontificia Commissione Ecclesia Dei
9. Il Sommo Pontefice ha
conferito alla Pontificia Commissione Ecclesia Dei potestà ordinaria
vicaria per la materia di sua competenza, in modo particolare vigilando
sull’osservanza e sull’applicazione delle disposizioni del Motu Proprio Summorum Pontificum (cf. art. 12).
10. § 1. La Pontificia
Commissione esercita tale potestà, oltre che attraverso le facoltà
precedentemente concesse dal Papa Giovanni Paolo II e confermate da Papa Benedetto XVI (cf. Motu Proprio Summorum Pontificum, artt. 11-12), anche attraverso il
potere di decidere dei ricorsi ad essa legittimamente inoltrati, quale Superiore
gerarchico, avverso un eventuale provvedimento amministrativo singolare
dell’Ordinario che sembri contrario al Motu Proprio.
§ 2. I decreti con i quali
la Pontificia Commissione decide i ricorsi, potranno essere impugnati ad
normam iuris presso il Supremo Tribunale della Segnatura
Apostolica.
11. Spetta alla Pontificia
Commissione Ecclesia Dei, previa approvazione da parte della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei
Sacramenti, il compito di curare l’eventuale edizione dei testi liturgici
relativi alla forma extraordinaria del Rito Romano.
III.
Norme specifiche
12. Questa Pontificia
Commissione, in forza dell’autorità che le è stata attribuita e delle facoltà di
cui gode, a seguito dell’indagine compiuta presso i Vescovi di tutto il mondo,
con l’animo di garantire la corretta interpretazione e la retta applicazione del
Motu Proprio Summorum Pontificum, emana la seguente Istruzione, a norma
del can.
34 del Codice di Diritto Canonico.
La
competenza dei Vescovi diocesani
13. I Vescovi diocesani,
secondo il Codice di Diritto Canonico, devono vigilare in materia
liturgica per garantire il bene comune e perché tutto si svolga degnamente, in
pace e serenità nella loro Diocesi5, sempre in accordo con la
mens del Romano Pontefice chiaramente espressa dal Motu Proprio Summorum Pontificum6. In caso di controversia o
di dubbio fondato circa la celebrazione nella forma extraordinaria,
giudicherà la Pontificia Commissione Ecclesia Dei.
14. È compito del Vescovo
diocesano adottare le misure necessarie per garantire il rispetto della forma
extraordinaria del Rito Romano, a norma del Motu Proprio Summorum Pontificum.
Il coetus
fidelium (cf. Motu Proprio Summorum Pontificum, art. 5 § 1)
15. Un coetus
fidelium potrà dirsi stabiliter exsistens ai sensi dell’art. 5 § 1
del Motu Proprio Summorum Pontificum, quando è costituito da alcune persone
di una determinata parrocchia che, anche dopo la pubblicazione del Motu Proprio,
si siano unite in ragione della loro venerazione per la Liturgia nell’Usus
Antiquior, le quali chiedono che questa sia celebrata nella chiesa
parrocchiale o in un oratorio o cappella; tale coetus può essere anche
costituito da persone che provengano da diverse parrocchie o Diocesi e che a tal
fine si riuniscano in una determinata chiesa parrocchiale o in un oratorio o
cappella.
16. Nel caso di un sacerdote
che si presenti occasionalmente in una chiesa parrocchiale o in un oratorio con
alcune persone ed intenda celebrare nella forma extraordinaria, come
previsto dagli artt. 2 e 4 del Motu Proprio Summorum Pontificum, il parroco o il rettore di chiesa o
il sacerdote responsabile di una chiesa, ammettano tale celebrazione, seppur nel
rispetto delle esigenze di programmazione degli orari delle celebrazioni
liturgiche della chiesa stessa.
17. § 1. Per decidere in
singoli casi, il parroco o il rettore, o il sacerdote responsabile di una
chiesa, si regolerà secondo la sua prudenza, lasciandosi guidare da zelo
pastorale e da uno spirito di generosa accoglienza.
§ 2. Nei casi di gruppi
numericamente meno consistenti, ci si rivolgerà all’Ordinario del luogo per
individuare una chiesa in cui questi fedeli possano riunirsi per ivi assistere a
tali celebrazioni, in modo tale da assicurare una più facile partecipazione e
una più degna celebrazione della Santa Messa.
18. Anche nei santuari e
luoghi di pellegrinaggio si offra la possibilità di celebrare nella forma
extraordinaria ai gruppi di pellegrini che lo richiedano (cf. Motu Proprio
Summorum Pontificum, art. 5 § 3), se c’è un sacerdote
idoneo.
19. I fedeli che chiedono la
celebrazione della forma extraordinaria non devono in alcun modo
sostenere o appartenere a gruppi che si manifestano contrari alla validità o
legittimità della Santa Messa o dei Sacramenti celebrati nella forma
ordinaria e/o al Romano Pontefice come Pastore Supremo della Chiesa
universale.
Il sacerdos
idoneus (cf. Motu Proprio Summorum Pontificum, art. 5 § 4)
20. In merito alla questione
di quali siano i requisiti necessari, affinché un sacerdote sia ritenuto
"idoneo" a celebrare nella forma extraordinaria, si enuncia quanto
segue:
a) Ogni sacerdote che non
sia impedito a norma del Diritto Canonico è da ritenersi idoneo alla
celebrazione della Santa Messa nella forma
extraordinaria7.
b) Per quanto riguarda l’uso
della lingua latina, è necessaria una sua conoscenza basilare, che permetta di
pronunciare le parole in modo corretto e di capirne il significato.
c) Per quanto riguarda la
conoscenza dello svolgimento del Rito, si presumono idonei i sacerdoti che si
presentano spontaneamente a celebrare nella forma extraordinaria, e
l’hanno usato precedentemente.
21. Si chiede agli Ordinari
di offrire al clero la possibilità di acquisire una preparazione adeguata alle
celebrazioni nella forma extraordinaria. Ciò vale anche per i Seminari,
dove si dovrà provvedere alla formazione conveniente dei futuri sacerdoti con lo
studio del latino8 e, se le esigenze pastorali lo suggeriscono,
offrire la possibilità di apprendere la forma extraordinaria del
Rito.
22. Nelle Diocesi dove non
ci siano sacerdoti idonei, i Vescovi diocesani possono chiedere la
collaborazione dei sacerdoti degli Istituti eretti dalla Pontificia Commissione
Ecclesia Dei, sia in ordine alla celebrazione, sia in ordine
all’eventuale apprendimento della stessa.
23. La facoltà di celebrare
la Messa sine populo (o con la partecipazione del solo ministro) nella
forma extraordinaria del Rito Romano è data dal Motu Proprio ad ogni
sacerdote sia secolare sia religioso (cf. Motu Proprio Summorum Pontificum, art. 2). Pertanto in tali
celebrazioni, i sacerdoti a norma del Motu Proprio Summorum Pontificum, non necessitano di alcun permesso
speciale dei loro Ordinari o superiori.
La
disciplina liturgica ed ecclesiastica
24. I libri liturgici della
forma extraordinaria vanno usati come sono. Tutti quelli che desiderano
celebrare secondo la forma extraordinaria del Rito Romano devono
conoscere le apposite rubriche e sono tenuti ad eseguirle correttamente nelle
celebrazioni.
25. Nel Messale del 1962
potranno e dovranno essere inseriti nuovi santi e alcuni dei nuovi
prefazi9, secondo la normativa che verrà indicata in
seguito.
26. Come prevede il Motu
Proprio Summorum Pontificum all’art. 6, si precisa che le letture
della Santa Messa del Messale del 1962 possono essere proclamate o
esclusivamente in lingua latina, o in lingua latina seguita dalla traduzione in
lingua vernacola, ovvero, nelle Messe lette, anche solo in lingua
vernacola.
27. Per quanto riguarda le
norme disciplinari connesse alla celebrazione, si applica la disciplina
ecclesiastica, contenuta nel vigente Codice di Diritto Canonico.
28. Inoltre, in forza del
suo carattere di legge speciale, nell’ambito suo proprio, il Motu Proprio Summorum Pontificum, deroga a quei provvedimenti
legislativi, inerenti ai sacri Riti, emanati dal 1962 in poi ed incompatibili
con le rubriche dei libri liturgici in vigore nel 1962.
Cresima e
Ordine sacro
29. La concessione di usare
la formula antica per il rito della Cresima è stata confermata dal Motu Proprio
Summorum Pontificum (cf. art. 9 § 2). Pertanto non è
necessario utilizzare per la forma extraordinaria la formula rinnovata
del Rito della Confermazione promulgato da Papa Paolo VI.
30. Con riguardo alla
tonsura, agli ordini minori e al suddiaconato, il Motu Proprio Summorum Pontificum non introduce nessun cambiamento nella
disciplina del Codice di Diritto Canonico del 1983; di conseguenza, negli
Istituti di Vita Consacrata e nelle Società di Vita Apostolica che dipendono
dalla Pontificia Commissione Ecclesia Dei, il professo con voti perpetui
oppure chi è stato incorporato definitivamente in una società clericale di vita
apostolica, con l’ordinazione diaconale viene incardinato come chierico
nell’istituto o nella società, a norma del canone 266 § 2 del Codice di
Diritto Canonico.
31. Soltanto negli Istituti
di Vita Consacrata e nelle Società di Vita Apostolica che dipendono dalla
Pontificia Commissione Ecclesia Dei e in quelli dove si mantiene l’uso
dei libri liturgici della forma extraordinaria, è permesso l’uso del
Pontificale Romanum del 1962 per il conferimento degli ordini minori e
maggiori.
Breviarium
Romanum
32. Viene data ai chierici
la facoltà di usare il Breviarium Romanum in vigore nel 1962, di cui
all’art. 9 § 3 del Motu Proprio Summorum Pontificum. Esso va recitato integralmente e in
lingua latina.
Il Triduo
sacro
33. Il coetus
fidelium, che aderisce alla precedente tradizione liturgica, se c’è un
sacerdote idoneo, può anche celebrare il Triduo Sacro nella forma
extraordinaria. Nei casi in cui non ci sia una chiesa o oratorio previsti
esclusivamente per queste celebrazioni, il parroco o l’Ordinario, d’intesa con
il sacerdote idoneo, dispongano le modalità più favorevoli per il bene delle
anime, non esclusa la possibilità di ripetere le celebrazioni del Triduo Sacro
nella stessa chiesa.
I Riti
degli Ordini Religiosi
34. È permesso l’uso dei
libri liturgici propri degli Ordini religiosi in vigore nel 1962.
Pontificale Romanum e Rituale Romanum
35. È permesso l’uso del
Pontificale Romanum e del Rituale Romanum, così come del
Caeremoniale Episcoporum in vigore nel 1962, a norma del n. 28 di questa
Istruzione e fermo restando quanto disposto nel n. 31 della
medesima.
Il Sommo Pontefice Benedetto
XVI, nell’ Udienza concessa il giorno 8 aprile 2011 al sottoscritto Cardinale
Presidente della Pontificia Commissione Ecclesia Dei, ha approvato la presente
Istruzione e ne ha ordinato la pubblicazione.
Dato a Roma, dalla Sede
della Pontificia Commissione Ecclesia Dei, il 30 aprile 2011,
nella memoria di san Pio V.
William Cardinale Levada
Presidente
Mons. Guido
Pozzo
Segretario
_______________
1 BENEDETTO
XVI, Lettera Apostolica Summorum Pontificum Motu Proprio data, AAS
99 (2007) 777; cf. Ordinamento generale del Messale Romano, terza
ed. 2002, n. 397.
2 BENEDETTO
XVI, Lettera ai Vescovi in occasione della pubblicazione della Lettera
Apostolica "Motu Proprio data" Summorum Pontificum sull’uso della Liturgia
Romana anteriore alla Riforma effettuata nel 1970, AAS 99 (2007)
798.
3 Cf. C.I.C. can.
838 §1 e §2.
4 Cf. C.I.C. can.
331.
5 Cf. C.I.C.
cann. 223 § 2; 838 §1 e § 4.
6 Cf. BENEDETTO
XVI, Lettera ai Vescovi in occasione della pubblicazione della Lettera
Apostolica "Motu Proprio data" Summorum Pontificum sull’uso della Liturgia
Romana anteriore alla Riforma effettuata nel 1970, AAS 99 (2007)
799.
7 Cf. C.I.C. can.
900 § 2.
8 Cf. C.I.C. can.
249; cf. Conc. Vat. II, Cost. Sacrosanctum Concilium, n. 36; Dich.
Optatam totius n. 13.
9 Cf. BENEDETTO
XVI, Lettera ai Vescovi in occasione della pubblicazione della Lettera
Apostolica"Motu Proprio data" Summorum Pontificum sull’uso della Liturgia Romana
anteriore alla Riforma effettuata nel 1970, AAS 99 (2007) 797.
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NOTA DEL
DIRETTORE DELLA STAMPA, P. FEDERICO LOMBARDI
L’Istruzione
sull’applicazione del Motu proprio "Summorum Pontificum" (del 7 luglio 2007,
entrato in vigore il 14 settembre 2007) è stata approvata dal Papa Benedetto XVI
l’8 aprile scorso e porta la data del 30 aprile, memoria liturgica di San Pio V,
Papa.
L’Istruzione, in base alle
prime parole del testo latino, viene denominata "Universae Ecclesiae" ed è della
Pontificia Commissione "Ecclesia Dei", a cui il Papa aveva affidato – fra
l’altro - il compito di vigilare sull’osservanza e l’applicazione del Motu
proprio. Perciò essa porta la firma del suo Presidente, Card. William Levada, e
del Segretario, Mons. Guido Pozzo.
Il documento è stato inviato
a tutte le Conferenze Episcopali nelle settimane scorse. Ricordiamo che "le
istruzioni… rendono chiare le disposizioni delle leggi e sviluppano e
determinano i procedimenti nell’eseguirle" (CIC, can.34). Come viene detto al
n.12, l’Istruzione è emanata "con l’animo di garantire la corretta
interpretazione e la retta applicazione" del Motu proprio "Summorum
Pontificum".
Era naturale che alla legge
contenuta nel Motu proprio seguisse l’Istruzione sulla sua applicazione. Il
fatto che ciò avvenga ora a più di tre anni di distanza si spiega facilmente
ricordando che nella Lettera con cui il Papa accompagnava il Motu proprio diceva
esplicitamente ai Vescovi: "Vi invito a scrivere alla Santa Sede, tre anni dopo
l’entrata in vigore di questo Motu proprio. Se veramente fossero venute alla
luce serie difficoltà, potranno essere cercate vie per trovare rimedio".
L’Istruzione porta quindi in sé anche il frutto della verifica triennale
dell’applicazione della legge, che era stata prevista fin
dall’inizio.
Il documento presenta un
linguaggio semplice e di facile lettura. La sua Introduzione (nn.1-8) ricorda
brevemente la storia del Messale Romano fino all’ultima edizione di Giovanni
XXIII, nel 1962, e al nuovo Messale approvato da Paolo VI nel 1970, a seguito
della riforma liturgica del Concilio Vaticano II, e ribadisce il principio
fondamentale che si tratta di "due forme della Liturgia Romana, definite
rispettivamente ordinaria e extraordinaria: si tratta di due usi
dell’unico Rito romano, che si pongono uno accanto all’altro. L’una e l’altra
forma sono espressione della stessa lex orandi della Chiesa. Per il suo
uso venerabile e antico, la forma extraordinaria deve essere conservata
con il debito onore" (n.6).
Si ribadisce anche la
finalità del Motu proprio, articolandola nei seguenti tre punti: a) offrire a
tutti i fedeli la Liturgia Romana nell’uso più antico, considerata tesoro
prezioso da conservare; b) garantire e assicurare realmente, a quanti lo
domandano, l’uso della forma extraordinaria; c) favorire la
riconciliazione in seno alla Chiesa (cfr n.8).
Una breve Sezione del
documento (nn. 9-11) ricorda i compiti e i poteri della Commissione "Ecclesia
Dei", a cui il Papa "ha conferito potestà ordinaria vicaria" nella materia. Ciò
comporta tra l’altro due conseguenze molto importanti. Anzitutto, essa può
decidere sui ricorsi che le vengano presentati contro eventuali provvedimenti di
vescovi o altri ordinari, che sembrino in contrasto con le disposizioni del Motu
proprio (ferma restando la possibilità di impugnare ulteriormente le decisioni
della Commissione stessa presso il Tribunale supremo della Segnatura
Apostolica). Inoltre, spetta alla Commissione, con l’approvazione della
Congregazione per il Culto Divino, curare l’eventuale edizione dei testi
liturgici per la forma extraordinaria del Rito romano (nel seguito del
documento si auspica, ad esempio, l’inserimento di nuovi santi e di nuovi
prefazi).
La parte propriamente
normativa del documento (nn. 12-35) contiene 23 brevi punti su diversi
argomenti.
Si ribadisce la competenza
dei Vescovi diocesani per l’attuazione del Motu proprio, ricordando che in caso
di controversia circa la celebrazione nella forma extraordinaria
giudicherà la Commissione "Ecclesia Dei".
Si chiarisce il concetto di
coetus fidelium (cioè "gruppo di fedeli") stabiliter existens
("stabile") che desidera di poter assistere alla celebrazione in forma
extraordinaria. Pur lasciando alla saggia valutazione dei pastori la
valutazione del numero di persone necessario per costituirlo, si precisa che
esso non deve essere necessariamente costituito da persone appartenenti a una
sola parrocchia, ma può risultare da persone che confluiscono da diverse
parrocchie o addirittura da diverse diocesi. Sempre tenendo conto del rispetto
delle esigenze pastorali più ampie, l’Istruzione propone uno spirito di
"generosa accoglienza" verso i gruppi di fedeli che richiedano la forma
extraordinaria o i sacerdoti che chiedano di celebrare occasionalmente in
tal forma con alcuni fedeli.
Molto importante è la
precisazione (n. 19) secondo cui i fedeli che chiedono la celebrazione in
forma extraordinaria "non devono in alcun modo sostenere o appartenere a
gruppi che si manifestino contrari alla validità o legittimità della forma
ordinaria" e/o all’autorità del Papa come Pastore Supremo della Chiesa
universale. Ciò sarebbe infatti in palese contraddizione con la finalità di
"riconciliazione" del Motu proprio stesso.
Importanti indicazioni sono
date anche circa il "sacerdote idoneo" alla celebrazione in forma
extraordinaria. Naturalmente egli non deve avere impedimenti dal punto di
vista canonico, deve conoscere sufficientemente bene il latino e conoscere il
rito da celebrare. Si incoraggiano perciò i vescovi a rendere possibile nei
seminari una formazione adeguata a tal fine, e si indica la possibilità di
ricorrere, se mancano altri sacerdoti idonei, alla collaborazione dei sacerdoti
degli Istituti eretti dalla Commissione "Ecclesia Dei" (che usano normalmente la
forma extraordinaria).
L’Istruzione ribadisce come
ogni sacerdote sia secolare sia religioso abbia licenza di celebrare la Messa
"senza popolo" nella forma extraordinaria se lo desidera. Perciò, se non
si tratta di celebrazioni con il popolo, i singoli religiosi non hanno bisogno
del permesso dei superiori.
Seguono – sempre per quanto
riguarda la forma extraordinaria - norme relative alle regole liturgiche
e all’uso di libri liturgici (come il Rituale, il Pontificale, il Cerimoniale
dei vescovi), alla possibilità di usare la lingua vernacola per le letture (a
complemento di quella latina, o anche in alternativa nelle "Messe lette"), alla
possibilità per i chierici di usare il Breviario precedente alla riforma
liturgica, alla possibilità di celebrare il Triduo Sacro nella Settimana Santa
per i gruppi di fedeli che chiedono il rito antico. Per quanto riguarda le
ordinazioni sacre, l’uso dei libri liturgici più antichi è permesso solo negli
Istituti che dipendono dalla Commissione "Ecclesia Dei".
A lettura compiuta, rimane
l’impressione di un testo di grande equilibrio, che intende favorire – secondo
l’intenzione del Papa – il sereno uso della liturgia precedente alla riforma da
parte di sacerdoti e fedeli che ne sentano il sincero desiderio per il loro bene
spirituale; anzi, che intende garantire la legittimità e l’effettività di tale
uso nella misura del ragionevolmente possibile. Allo stesso tempo il testo è
animato da fiducia nella saggezza pastorale dei vescovi, e insiste molto
fortemente sullo spirito di comunione ecclesiale che deve essere presente in
tutti – fedeli, sacerdoti, vescovi – affinché la finalità di riconciliazione,
così presente nella decisione del Santo Padre, non venga ostacolata o frustrata,
ma favorita e raggiunta.
13 Maggio 2011
LAUDETUR JESUS CHRISTUS!
LAUDETUR CUM MARIA!
SEMPER LAUDENTUR!
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