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domenica 25 febbraio 2018

Spunti contemplativi ...per affrettare la Nostra trasfigurazione


Quarto mistero luminoso: la trasfigurazione di Cristo

Dieci spunti contemplativi per la recita meditativa delle dieci Ave Maria:

 

1. In un’alba serena di marzo Gesù con gli apostoli e i discepoli raggiungono il monte Tabor. Appena giunti, il Signore, sceglie Pietro, Giovanni e Giacomo di Zebedeo per salire sulla vetta e manda a predicare tutti gli altri nella zona. 

2. In un momento di sosta Pietro chiede col fiato grosso dove si va? E perché si deve raggiungere la vetta del monte. Gesù risponde: “Vado ad unirmi col Padre mio e vi ho voluti con Me perché vi amo. Su lesti! Agli appuntamenti di Dio si va sempre veloci”.

3. Arrivati quasi sulla vetta il Signore si mette in disparte a pregare nella stessa posa del Getsemani, mentre i tre apostoli per la stanchezza si addormentano nella frescura della vegetazione.

4. Ad un certo momento un evento inedito sveglia i tre apostoli. Li scuote una luminosità così viva che annulla quella del sole e dilaga e penetra fin sotto il verde dei cespugli e alberi sotto cui si sono messi. Aprono gli occhi stupiti e vedono Gesù trasfigurato. Egli è ora tale e quale come lo vedo nelle visioni del Paradiso. Naturalmente senza le piaghe e senza il vessillo della Croce. Ma la maestà del Volto e del Corpo è uguale, uguale ne è la luminosità, e uguale la veste che da un rosso cupo si è mutata nel diamantifero e perlifero tessuto immateriale che lo veste in Cielo. Il suo Viso è un sole dalla luce siderale ma intensissima, nel quale raggiano gli occhi di zaffiro. Sembra più alto ancora, come la sua glorificazione ne avesse aumentata la statura. Non saprei dire se la luminosità, che rende persino fosforescente il pianoro, provenga tutta da Lui o se alla sua propria si mesca quella che ha concentrata sul suo Signore tutta la luce che è nell’Universo e nei Cieli. So che è qualcosa di indescrivibile”.

5. Gli apostoli chiamano Gesù con una certa paura perché è talmente trasfigurato che non sembra sia il loro Maestro. Il Signore non risponde perché in quel momento è rapito da una visione che lo sublima. La luce aumenta ancora per due fiamme che scendono dal cielo e si collocano ai lati di Gesù. Quando sono stabilite sul pianoro, il loro velo si apre e ne appaiono due maestosi e luminosi personaggi. L’uno più anziano, dallo sguardo acuto e severo e da una lunga barba bipartita. Dalla sua fronte partono corni di luce che me lo indicano per Mosé. L’altro è più giovane, scarno, barbuto e peloso, su per giù come il Battista, al quale direi assomiglia per statura, magrezza, conformazione e severità. Mentre la luce di Mosè è candida come è quella di Gesù, specie nei raggi della fronte, quella che emana Elia è solare, di fiamma viva. I due Profeti prendono una posa di riverenza davanti al loro Dio Incarnato.

6. I tre apostoli cadono in ginocchio tremanti col volto fra le mani. Vorrebbero vedere, ma hanno paura. Finalmente Pietro parla: “Maestro, Maestro. Odimi”. Gesù gira lo sguardo con un sorriso verso il suo Pietro che si rinfranca e dice: “E’ bello lo stare qui con Te, Mosè e Elia. Se vuoi facciamo tre tende per Te, per Mosè e per Elia, e noi stiamo qui a servirvi…”. Gesù lo guarda ancora e sorride più vivamente.

7. Gli apostoli non osano dire altro. Intimoriti, tacciono. Sembrano un poco ebbri come chi è sbalordito. Ma quando un velo che non è nebbia, che non è nuvola, che non è raggio, avvolge e separa i Tre gloriosi dietro uno schermo ancor più lucido di quello che già li circondava, e li nasconde alla vista dei tre, una Voce potente e armonica vibra ed empie di sé lo spazio, i tre cadono col volto contro l’erba. <<Questo è il mio Figliuolo diletto, nel quale mi sono compiaciuto. Ascoltatelo>>.

8. Gesù ritorna nella forma consueta e Pietro gli domanda: <<Come faremo a viverti accanto ora che abbiamo visto la tua Gloria? Come faremo a vivere fra gli uomini, e noi, uomini peccatori, ora che abbiamo udito la Voce di Dio?>>. Gesù risponde: <<Dovrete vivermi accanto e vedere la mia gloria sino alla fine. Siatene degni perché il tempo è vicino. Ubbidite al Padre mio e vostro. Torniamo ora fra gli uomini perché sono venuto per stare fra essi e per portare essi a Dio”. 

9. Gesù comanda ai tre apostoli: <<Siate santi per il ricordo di quest’ora, forti, fedeli. Avrete parte alla mia più completa gloria. Ma non parlate ora di questo che avete visto, ad alcuno. Neppure ai compagni. Quando il Figlio dell’uomo sarà risuscitato dai morti e tornato nella gloria del Padre, allora parlerete. Perché allora occorrerà credere per avere parte nel mio Regno>>.

10. I motivi profondi della trasfigurazione di Gesù sono questi: 1) A stornare le astuzie di Satana e le insidie dei futuri, e non ignoti a Dio Padre, nemici del Verbo Incarnato, Dio avvolse di aspetti comuni a tutti i nati da donna il Cristo non solo sinché fu “il fanciullo e il figlio del falegname” ma anche quando fu il Maestro. Soltanto la sapienza e il miracolo lo distinguevano dagli altri. Ma Israele, sebbene in minor misura, conosceva altri maestri (profeti) e operatori di miracoli. 2) Ciò doveva servire a provare anche la fede dei suoi eletti: gli apostoli e discepoli. Essi dovevano credere senza vedere cose straordinarie e divine. 3) Però, a confermare i tre, dopo che l’annuncio della morte futura di croce li aveva turbati, Egli ora si svela in tutta la gloria della sua Natura divina. Dopo di ciò il dubbio che la predetta morte di croce aveva insinuato nei suoi più prossimi seguaci, non poteva più sussistere. Essi avevano visto Dio. Dio nell’Uomo che sarebbe stato crocifisso. Era la manifestazione delle due Nature ipostaticamente unite. Manifestazione innegabile che non poteva lasciare dubbi. E al Figlio-Dio che si manifesta tale si unisce il Padre-Dio con le sue parole e il Cielo rappresentato da Mosè ed Elia.

 


1 Pater. 10 Ave Maria. 1 Gloria


INTRODUZIONE AL ROSARIO MISTICO CORONA DEL ROSARIO ...

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AMDG et DVM

ELETTI A CONOSCERE dolori e gioie del Nostro Maestro e dell'Uomo completamente Redento

II Domenica di Quaresima: TRASFIGURAZIONE

TRASFIGURAZIONE (Raffaello)

Vangelo
Matteo 17,1-9

[…] Vanno Gesù, gli apostoli e i discepoli. È con essi anche Simone d’Alfeo.
Vanno in direzione sud est, valicando i colli che fanno corona a Nazaret, superando un torrente, traversando una pianura stretta fra i colli nazareni e un gruppo di monti verso est. Questi monti sono preceduti dal cono semitronco del Tabor che mi ricorda stranamente, nella sua vetta, la lucerna dei nostri carabinieri vista di profilo.
Lo raggiungono. 
Gesù si ferma e dice: “Pietro, Giovanni e Giacomo di Zebedeo vengano con Me sul monte. Voi spargetevi alla sua base, dividendovi verso le strade che la costeggiano, e predicate il Signore. Verso sera voglio essere di nuovo a Nazaret. Non allontanatevi dunque molto. La pace sia con voi”. E volgendosi ai tre chiamati dice: “Andiamo”.
E prende la salita senza più volgersi indietro e con un passo così sollecito che fa faticare Pietro a stargli dietro.
In un momento di sosta Pietro, rosso e sudato, gli chiede col fiato grosso: “Ma dove andiamo? Non ci sono case sul monte. Sulla cima quella vecchia fortezza. Vuoi andare a predicare là?”.
“Avrei preso l’altro versante. Ma tu vedi che gli volgo le spalle. Non andremo alla fortezza, e chi è in essa non ci vedrà neppure. Vado ad unirmi col Padre mio, e vi ho voluti con Me perché vi amo. Su, lesti!”.
“Oh! mio Signore! Non potremmo andare un poco più adagio, invece, e parlare di quanto abbiamo sentito e visto ieri, che ci ha tenuti desti tutta la notte per parlarne?”.
Agli appuntamenti di Dio si va sempre veloci. Forza, Simon Pietro! Lassù vi farò riposare”. E riprende a salire…

[…] Gesù, dopo una breve sosta al fresco di un ciuffo di alberi, certo concessa per pietà di Pietro che nelle salite fatica palesemente, riprende a salire. Va fin quasi sulla vetta, là dove è un pianoro erboso che ha un semicerchio di alberi verso la costa.
“Riposate, amici. Io vado là a pregare”. E accenna con la mano ad un ampio sasso, una roccia che affiora dal monte e che si trova perciò non verso la costa ma verso l’interno, la vetta.
Gesù si inginocchia sulla terra erbosa e appoggia le mani e il capo al masso, nella posa che prenderà anche nella preghiera del Getsemani. Il sole non lo colpisce perché la vetta lo ripara. Ma il resto dello spiazzo erboso è tutto lieto di sole, sino al limite d’ombra dello scrimolo alberato sotto il quale si sono seduti gli apostoli.
Pietro si leva i sandali e ne scuote via polvere e sassolini e sta così, scalzo, coi piedi stanchi fra l’erba fresca, quasi steso, col capo su un ciuffo smeraldino che sporge più degli altri sulla sua zolla come un guanciale. Giacomo lo imita, ma per stare comodo cerca un tronco d’albero al quale appoggia il suo mantello e su questo le spalle. Giovanni resta seduto e osserva il Maestro. Ma la calma del luogo, il venticello fresco, il silenzio e la stanchezza vincono anche lui, e la testa gli si abbassa sul petto e così le palpebre sugli occhi. Non dormono profondamente nessuno dei tre, ma sono in quella sonnolenza estiva che intontisce.

Li scuote una luminosità così viva che annulla quella del sole e dilaga e penetra fin sotto il verde dei cespugli e alberi sotto cui si sono messi.
Aprono gli occhi stupiti e vedono Gesù trasfigurato. Egli è ora tale e quale come lo vedo nelle visioni del Paradiso. Naturalmente senza le Piaghe e senza il vessillo della Croce. Ma la maestà del Volto e del Corpo è uguale, uguale ne è la luminosità, e uguale la veste che da un rosso cupo si è mutata nel diamantifero e perlifero tessuto immateriale che lo veste in Cielo. Il suo Viso è un sole dalla luce siderale ma intensissima, nel quale raggiano gli occhi di zaffiro. Sembra più alto ancora, come la sua glorificazione ne avesse aumentato la statura. Non saprei dire se la luminosità, che rende persino fosforescente il pianoro, provenga tutta da Lui o se alla sua propria si mesca quella che ha concentrata sul suo Signore tutta la luce che è nell’universo e nei cieli. So che è qualche cosa di indescrivibile.
Gesù è ora in piedi, direi anzi che è alzato da terra, perché fra Lui e il verde del prato vi è come un vaporare di luce, uno spazio dato unicamente da una luce sul quale pare Egli si eriga. Ma è tanto viva che potrei anche ingannarmi, e il non vedere più il verde dell’erba sotto le piante di Gesù potrebbe esser provocato da questa luce intensa che vibra e fa onde come si vede talora nei grandi fuochi. Onde, qui, di un colore bianco, incandescente. Gesù sta col Volto alzato verso il cielo e sorride ad una sua visione che lo sublima.
Gli apostoli ne hanno quasi paura e lo chiamano, perché non pare più a loro che sia il loro Maestro tanto è trasfigurato. “Maestro, Maestro”, chiamano piano ma con ansia. Egli non sente.
“È in estasi”, dice Pietro tremante. “Che vedrà mai?”.
I tre si sono alzati in piedi. Vorrebbero accostarsi a Gesù, ma non osano.
La luce aumenta ancora per due fiamme che scendono dal cielo e si collocano ai lati di Gesù. Quando sono stabilite sul pianoro, il loro velo si apre e ne appaiono due maestosi e luminosi personaggi. L’uno più anziano, dallo sguardo acuto e severo e da una lunga barba bipartita. Dalla sua fronte partono corni di luce che me lo indicano per Mosè. L’altro è più giovane, scarno, barbuto e peloso, su per giù come il Battista, al quale direi assomiglia per statura, magrezza, conformazione e severità. Mentre la luce di Mosè è candida come è quella di Gesù, specie nei raggi della fronte, quella che emana Elia è solare, di fiamma viva.
I due Profeti prendono una posa di riverenza davanti al loro Dio Incarnato e, sebbene Questi parli loro con famigliarità, essi non abbandonano la loro posa riverente. Non comprendo neppure una delle parole dette.
I tre apostoli cadono a ginocchio tremanti, col volto fra le mani. Vorrebbero vedere, ma hanno paura.
Finalmente Pietro parla: “Maestro, Maestro. Odimi”. Gesù gira lo sguardo con un sorriso verso il suo Pietro, che si rinfranca e dice: “È bello lo stare qui con Te, Mosè e Elia. Se vuoi facciamo tre tende per Te, per Mosè e per Elia, e noi stiamo qui a servirvi…”.
Gesù lo guarda ancora e sorride più vivamente. Guarda anche Giovanni e Giacomo. Uno sguardo che li abbraccia con amore. Anche Mosè e Elia guardano i tre fissamente. I loro occhi balenano. Devono essere come raggi che penetrano i cuori.
Gli apostoli non osano dire altro. Intimoriti, tacciono. Sembrano un poco ebbri come chi è sbalordito. Ma quando un velo che non è nebbia, che non è nuvola, che non è raggio, avvolge e separa i Tre gloriosi dietro uno schermo ancor più lucido di quello che già li circondava e li nasconde alla vista dei tre, e una Voce potente e armonica vibra ed empie di sé lo spazio, i tre cadono col volto contro l’erba.
“Questo è il mio Figliuolo diletto, nel quale mi sono compiaciuto. Ascoltatelo”.
Pietro nel gettarsi bocconi esclama: “Misericordia di me, peccatore! È la Gloria di Dio che scende!”. Giacomo non fiata. Giovanni mormora con un sospiro, come fosse prossimo a svenire: “Il Signore parla!”.
Nessuno osa alzare la testa anche quando il silenzio si è rifatto assoluto. Non vedono perciò neppure il tornare della luce alla sua naturalezza di luce solare e mostrare Gesù rimasto solo e tornato il Gesù solito nella sua veste rossa.

Egli cammina verso loro sorridendo e li scuote e tocca e chiama per nome.
“Alzatevi. Sono Io. Non temete”, dice, perché i tre non osano alzare il volto e invocano misericordia sui loro peccati, temendo che sia l’Angelo di Dio che vuol mostrarli all’Altissimo.
“Levatevi, dunque. Ve lo comando”, ripete Gesù con imperio. Essi alzano il volto e vedono Gesù che sorride.
“Oh! Maestro, Dio mio!”, esclama Pietro. “Come faremo a viverti accanto ora che abbiamo visto la tua gloria? Come faremo a vivere fra gli uomini, e noi, uomini peccatori, ora che abbiamo udito la voce di Dio?”.
“Dovrete vivermi accanto e vedere la mia gloria sino alla fine. Siatene degni perché il tempo è vicino. Ubbidite al Padre mio e vostro. Torniamo ora fra gli uomini, perché sono venuto per stare fra essi e per portare essi a Dio. Andiamo. Siate santi per ricordo di quest’ora, forti, fedeli. Avrete parte alla mia più completa gloria. Ma non parlate ora di questo che avete visto ad alcuno. Neppure ai compagni. Quando il Figlio dell’uomo sarà risuscitato dai morti e tornato nella gloria del Padre, allora parlerete. Perché allora occorrerà credere per aver parte nel mio Regno”.
“Ma non deve venire Elia per preparare al tuo Regno? I rabbi dicono così”.
“Elia è già venuto ed ha preparato le vie al Signore. Tutto avviene come è stato rivelato. Ma coloro che insegnano la Rivelazione non la conoscono e non la comprendono, e non vedono e riconoscono i segni dei tempi e i messi di Dio. Elia è tornato una volta. La seconda verrà quando il tempo ultimo sarà vicino per preparare gli ultimi a Dio. Ma ora è venuto per preparare i primi al Cristo, e gli uomini non lo hanno voluto riconoscere e lo hanno tormentato e messo a morte. Lo stesso faranno col Figlio dell’uomo, perché gli uomini non vogliono riconoscere ciò che è loro bene”.
I tre chinano la testa pensosi e tristi, e scendono per la via dalla quale sono saliti insieme a Gesù.
…Ed è ancora Pietro che dice, in una sosta a mezza via: “Ah! Signore! […] Perché ci hai fatto questo?”; e anche dico: “Perché ci hai detto questo?”. Le tue ultime parole hanno cancellato la gioia della gloriosa vista dai nostri cuori! Gran giorno di paure questo! Prima ci ha fatto paura la grande luce che ci ha destati, più forte che se il monte ardesse o che se la luna fosse scesa a raggiare sul ripiano, sotto i nostri occhi; poi il tuo aspetto e il tuo staccarti dal suolo come fossi per volare via. Ho avuto paura che Tu, disgustato dalle nequizie di Israele, te ne tornassi ai Cieli, magari per ordine dell’Altissimo. Poi ho avuto paura di vedere apparire Mosè, che i suoi del suo tempo non potevano più vedere senza velo tanto splendeva sul suo volto il riflesso di Dio, e ancora era uomo, mentre ora è spirito beato e acceso di Dio, e Elia… Misericordia divina! Ho creduto essere giunto al mio ultimo momento, e tutti i peccati della mia vita, da quando rubavo le frutta nella dispensa da piccino, all’ultimo di averti mal consigliato giorni or sono, mi sono venuti alla mente. Con che tremore me ne sono pentito! Poi mi parve che mi amassero quei due giusti… e ho osato parlare. Ma anche il loro amore mi faceva paura, perché io non merito l’amore di simili spiriti. E dopo… e dopo!… La paura delle paure! La voce di Dio!… Geové che ha parlato! A noi! Ci ha detto: “Ascoltatelo!”. Tu. E ti ha proclamato “suo Figlio diletto nel quale Egli si compiace”. Che paura! Geové!… a noi!… Certo solo la tua forza ci ha tenuti in vita!… Quando Tu ci hai toccato, e le tue dita ardevano come punte di fuoco, io ho avuto l’ultimo spavento. Ho creduto che fosse l’ora di essere giudicato e che l’Angelo mi toccasse per prendermi l’anima e portarla all’Altissimo… […] Ma dopo Tu hai parlato di morte… E ogni gioia è finita… Ma perché proprio a noi tre tutto questo? Non era bene darla a tutti questa visione della tua gloria?”.
“Appunto perché tramortite udendo parlare di morte, e morte per supplizio, del Figlio dell’uomo, l’Uomo-Dio vi ha voluto fortificare per quell’ora e per sempre con la precognizione di ciò che Io sarò dopo la Morte. Ricordatevi tutto questo, per dirlo a suo tempo… Avete capito?”.
“Oh! sì, Signore. Non è possibile dimenticare. E sarebbe inutile raccontare. Ci direbbero ‘ebbri’”.
[da L’Evangelo come mi è stato rivelato, cap. 349]
*** 
[5 Agosto 1944]
15 Dice Gesù:
   
   «Ti ho preparata a meditare la mia Gloria. Domani la chiesa la celebra. Ma Io voglio che il mio piccolo Giovanni la veda nella sua verità per comprenderla meglio. Non ti eleggo soltanto a conoscere le tristezze del tuo Maestro e i suoi dolori. Chi sa stare meco nel dolore deve avere parte meco nella gioia. 
   Voglio che tu, davanti al tuo Gesù che ti si mostra, abbia gli stessi sentimenti di umiltà e pentimento dei miei apostoli.
   Mai superbia. Saresti punita perdendomi.
   Continuo ricordo di Chi sono Io e di chi sei tu.
  Continuo pensiero alle tue manchevolezze e alla mia perfezione per avere un cuore lavato dalla contrizione. Ma insieme anche tanta fiducia in Me.

   Io ho detto: “Non temete. Alzatevi. Andiamo. Andiamo fra gli uomini perché sono venuto per stare con essi. Siate santi, forti e fedeli per ricordo di quest’ora”. Lo dico anche a te e a tutti i miei prediletti fra gli uomini, a quelli che mi hanno in maniera speciale.
   Non temete di Me. Mi mostro per elevarvi, non per incenerirvi.
   Alzatevi: la gioia del dono vi dia vigoria e non vi ottunda nel sopore del quietismo, credendovi già salvi perché vi ho mostrato il Cielo.

   Andiamo insieme fra gli uomini. Vi ho inviati a sovrumane opere con sovrumane visioni e lezioni perché possiate essermi di maggiore aiuto. Vi associo alla mia opera. Ma Io non ho conosciuto e non conosco riposo. Perché il male non riposa mai e il bene deve essere sempre attivo per annullare il più che si può l’opera del nemico. Riposeremo quando il Tempo sarà compiuto. Ora occorre andare instancabilmente, operare continuamente, consumarsi indefessamente per la messe di Dio. Il mio contatto continuo vi santifichi, la mia lezione continua vi fortifichi, il mio amore di predilezione vi faccia fedeli contro ogni insidia.

   Non siate come gli antichi rabbini che insegnavano la rivelazione e poi non le credevano al punto da non riconoscere il segno dei tempi e i messi di Dio. Riconoscete i precursori del Cristo nel suo secondo avvento, poiché le forze dell’anticristo sono in marcia e, facendo eccezione alla misura che mi sono imposta, perché conosco che bevete a certe verità non per spirito soprannaturale ma per sete di curiosità umana, vi dico in verità che quello che molti crederanno vittoria sull’anticristo, la pace ormai prossima, non sarà che sosta per dare tempo al nemico del Cristo di ritemprarsi, medicarsi le ferite, riunire il suo esercito per una più crudele lotta.

   Riconoscete, voi che siete le “voci” di questo nostro Gesù, del Re dei re, del Fedele e Verace che giudica e combatte con giustizia e sarà il Vincitore della bestia e dei suoi servi e profeti, riconoscete il vostro Bene e seguitelo sempre. Nessun bugiardo aspetto vi seduca e nessuna persecuzione vi atterri. La vostra “voce” dica le mie parole. La vostra vita sia per quest’opera. E se avrete sorte, sulla Terra, comune al Cristo, al suo precursore e ad Elia, sorte cruenta o sorte tormentata da sevizie morali, sorridete alla vostra sorte futura e sicura che avrete comune con Cristo, con il suo Precursore, col suo Profeta.
   Pari nel lavoro, nel dolore e nella gloria. Qui Io Maestro ed Esempio. Là Io Premio e Re. Avermi sarà la vostra beatitudine. Sarà dimenticare il dolore. Sarà quanto ogni rivelazione è ancora insufficiente a farvi capire, perché troppo superiore è la gioia della vita futura alla possibilità di immaginare della creatura ancora unita alla carne».  

AMDG et DVM

domenica 6 agosto 2017

“Trasfigurazione”: un mistero luminoso, confortante.

DE  - EN  - ES  - FR  - IT  - PT ]
SANTA MESSA E RITO DI DEDICAZIONE
DELLA NUOVA PARROCCHIA ROMANA DI SAN CORBINIANO ALL'INFERNETTO
OMELIA DEL 
SANTO PADRE BENEDETTO XVI
Domenica, 20 marzo 2011

 
Cari fratelli e sorelle!
Sono molto contento di essere in mezzo a voi per celebrare un evento così significativo come la Dedicazione a Dio e al servizio della comunità di questa chiesa intitolata a san Corbiniano. La Provvidenza ha voluto che questo nostro incontro avvenga nella II Domenica di Quaresima, caratterizzata dal Vangelo della Trasfigurazione di Gesù

Perciò oggi abbiamo l’accostamento tra due elementi, entrambi molto importanti: da una parte, il mistero della Trasfigurazione e, dall’altra, quello del tempio, cioè della casa di Dio in mezzo alle vostre case. Le Letture bibliche che abbiamo ascoltato sono state scelte per illuminare questi due aspetti.

La Trasfigurazione. L’evangelista Matteo ci ha raccontato ciò che avvenne quando Gesù salì su un alto monte portando con sé tre dei suoi discepoli: Pietro, Giacomo e Giovanni. 

Mentre erano lassù, loro soli, il volto di Gesù divenne sfolgorante, e così pure le sue vesti. E’ ciò che chiamiamo “Trasfigurazione”: un mistero luminoso, confortante. Quale ne è il significato? 

La Trasfigurazione è una rivelazione della persona di Gesù, della sua realtà profonda. Infatti, i testimoni oculari dell’evento, cioè i tre Apostoli, furono avvolti da una nube, anch’essa luminosa – che nella Bibbia annuncia sempre la presenza di Dio – e udirono una voce che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo» (Mt 17,5). 
Con questo evento i discepoli vengono preparati al mistero pasquale di Gesù: a superare la terribile prova della passione e anche a comprendere bene il fatto luminoso della risurrezione.

Il racconto parla anche di Mosè ed Elia, che apparvero e conversavano con Gesù. Effettivamente questo episodio ha un rapporto con altre due rivelazioni divine. 

Mosè era salito sul monte Sinai, e lì aveva avuto la rivelazione di Dio. Aveva chiesto di vedere la sua gloria, ma Dio gli aveva risposto che non l’avrebbe visto in faccia, ma solo di spalle (cfr Es 33,18-23). 

In modo analogo, anche Elia ebbe una rivelazione di Dio sul monte: una manifestazione più intima, non con una tempesta, con un terremoto, o con il fuoco, ma con una brezza leggera (cfr 1 Re 19,11-13). 

A differenza di questi due episodi, nella Trasfigurazione non è Gesù ad avere la rivelazione di Dio, bensì è proprio in Lui che Dio si rivela e che rivela il suo volto agli Apostoli. 

Quindi, chi vuole conoscere Dio, deve contemplare il volto di Gesù, il suo volto trasfigurato: Gesù è la perfetta rivelazione della santità e della misericordia del Padre. 

Inoltre, ricordiamo che sul monte Sinai Mosè ebbe anche la rivelazione della volontà di Dio: i dieci Comandamenti. E, sempre sul monte, Elia ebbe da Dio la rivelazione divina di una missione da compiere. 
Gesù, invece, non riceve la rivelazione di ciò che dovrà compiere: già lo conosce; sono piuttosto gli Apostoli a sentire, nella nube, la voce di Dio che comanda: «Ascoltatelo». La volontà di Dio si rivela pienamente nella persona di Gesù. 

Chi vuole vivere secondo la volontà di Dio, deve seguire Gesù, ascoltarlo, accoglierne le parole e, con l’aiuto dello Spirito Santo, approfondirle. E’ questo il primo invito che desidero farvi, cari amici, con grande affetto: crescete nella conoscenza e nell’amore a Cristo, sia come singoli, sia come comunità parrocchiale, incontrateLo nell’Eucaristia, nell’ascolto della sua parola, nella preghiera, nella carità.

Il secondo punto è la Chiesa, come edificio e soprattutto come comunità. 

Prima di riflettere, però, sulla Dedicazione della vostra chiesa, vorrei dirvi che c’è un motivo particolare che accresce la mia gioia di trovarmi oggi con voi. 
San Corbiniano, infatti, è il fondatore della diocesi di Frisinga, in Baviera, della quale sono stato Vescovo per quattro anni. Nel mio stemma episcopale ho voluto inserire un elemento strettamente associato alla storia di questo Santo: l’orso. 

Un orso – così si racconta – aveva sbranato il cavallo di Corbiniano, che si stava recando a Roma. Egli lo rimproverò aspramente, riuscì ad ammansirlo e gli caricò sulle spalle il bagaglio che, fino a quel momento, era stato portato dal cavallo. L’orso trasportò quel carico fino a Roma e solo qui il Santo lo lasciò libero di andarsene.

Forse questo è il punto dove dire due parole sulla vita di san Corbiniano. San Corbiniano era francese, sacerdote della zona di Parigi, e aveva fondato vicino a Parigi un monastero. Era molto stimato come consigliere spirituale, ma egli cercava piuttosto la contemplazione e perciò venne a Roma per crearsi qui, vicino alle tombe degli apostoli Pietro e Paolo, un monastero. Ma il Papa Gregorio II - siamo più o meno nel 720 - stimava le sue qualità, aveva capito le sue qualità, lo ordinò vescovo incaricandolo di andare in Baviera e di annunciare in quella terra il Vangelo. 

Baviera: il Papa pensava al Paese tra il Danubio e le Alpi che per cinquecento anni era stata la provincia romana della Raetia; solo alla fine del quinto secolo la popolazione latina era tornata in gran parte in Italia. 
Là erano rimasti in pochi, la gente semplice; la terra era poco abitata e là era entrato un nuovo popolo, il popolo bavarese, che aveva trovato un’eredità cristiana perché il Paese era stato cristianizzato nel tempo romano. La gente bavarese aveva capito subito che questa era la vera religione e voleva farsi cristiana, ma mancava gente colta, mancavano sacerdoti per annunciare il Vangelo. E così il Cristianesimo era rimasto molto frammentario, iniziale. 
Il Papa conosceva questa situazione, sapeva della sete di fede che c’era in quel Paese, e perciò incaricò san Corbiniano di andare là e là annunciare il Vangelo. E a Freising, nella città del duca, su un colle, il Santo ha creato il Duomo - già aveva trovato un santuario della Madonna - e là è rimasta per più di mille anni la sede del vescovo. Solo dopo il tempo napoleonico, essa è stata trasferita trenta chilometri più a sud, a Monaco. Si chiama ancora diocesi di Monaco e Freising, e la maestosa cattedrale romanica di Freising rimane il cuore della diocesi. 

Così vediamo come i santi stanno per l’unità e l’universalità della Chiesa. L’universalità: san Corbiniano collega la Francia, la Germania, Roma. L’unità: san Corbiniano ci dice che la Chiesa è fondata su Pietro e ci garantisce anche la perennità della Chiesa costruita sulla roccia, che mille anni fa era la stessa Chiesa come oggi, perché il Signore è sempre lo stesso. 
Lui è sempre la Verità, sempre antica e sempre nuova, attualissima, presente, e apre la chiave per il futuro.

Vorrei ora ringraziare quanti hanno contribuito a costruire questa chiesa. So quanto la diocesi di Roma si impegni per assicurare ad ogni quartiere adeguati complessi parrocchiali. Saluto e ringrazio il Cardinale Vicario, il Vescovo Ausiliare del Settore e il Vescovo Segretario dell’Opera Romana per la Preservazione della Fede e la Provvista di Nuove Chiese. Saluto soprattutto i miei due successori. Saluto il Cardinale Wetter, dal quale è partita l’iniziativa di dedicare una chiesa parrocchiale a san Corbiniano e un valido sostegno per la realizzazione del progetto. Grazie Eminenza. Herzlichen Dank. Ich freue mich, daß so schnell die Kirche gewachsen ist [Grazie mille. Sono lieto che la chiesa sia sorta così velocemente]
Saluto il Cardinale Marx, attuale Arcivescovo di Monaco e Frisinga, che continua con l’amore non solo per san Corbiniano, ma anche per la sua Chiesa a Roma. Herzlichen Dank auch Ihnen [Grazie mille anche a lei]
Saluto anche S.E. Mons. Clemens della diocesi di Paderborn e Segretario del Consiglio per i Laici. 

Un particolare pensiero al Parroco, don Antonio Magnotta, con un vivissimo ringraziamento per le parole che lei ha rivolto a me. Grazie! E saluto naturalmente anche il Viceparroco! 

Attraverso tutti voi qui presenti, desidero far giungere una parola di affettuosa vicinanza ai circa diecimila residenti nel territorio della Parrocchia. Riuniti attorno all’Eucaristia, avvertiamo più facilmente che la missione di ogni comunità cristiana è quella di recare a tutti il messaggio dell’amore di Dio, far conoscere a tutti il suo volto. Ecco perché è importante che l’Eucaristia sia sempre il cuore della vita dei fedeli, come lo è quest’oggi per la vostra Parrocchia, anche se non tutti i suoi membri hanno potuto parteciparvi personalmente.

Viviamo oggi una giornata importante, che corona gli sforzi, le fatiche, i sacrifici compiuti e l’impegno della gente qui residente di costituirsi come comunità cristiana e matura, capace di avere una chiesa ormai consacrata definitivamente al culto di Dio. Mi rallegro per tale meta raggiunta e sono certo che essa favorirà l’aggregarsi e il crescere della famiglia dei credenti in questo territorio. 

La Chiesa vuole essere presente in ogni quartiere dove la gente vive e lavora, con la testimonianza evangelica di cristiani coerenti e fedeli, ma anche con edifici che permettono di radunarsi per la preghiera e i Sacramenti, per la formazione cristiana e per stabilire rapporti di amicizia e fraternità, facendo crescere i fanciulli, i giovani, le famiglie e gli anziani in quello spirito di comunità che Cristo ci ha insegnato e di cui il mondo ha tanto bisogno.

Come è stato realizzato l’edificio parrocchiale, così la mia visita desidera incoraggiarvi a realizzare sempre meglio quella Chiesa di pietre vive che siete voi. Lo abbiamo ascoltato nella seconda lettura: “Voi siete campo di Dio, edificio di Dio”, scrive san Paolo ai Corinzi (1Cor 3,9) e a noi; e li esorta a costruire sull’unico vero fondamento, che è Gesù Cristo (3,11). 

Per questo, anch’io vi esorto a fare della vostra nuova chiesa il luogo in cui si impara ad ascoltare la Parola di Dio, la “scuola” permanente di vita cristiana da cui parte ogni attività di questa parrocchia giovane e impegnata. Su questo aspetto è illuminante il testo del Libro di Neemia che ci è stato proposto nella prima lettura. In esso si vede bene che Israele è il popolo convocato per ascoltare la Parola di Dio, scritta nel libro della Legge. 
Questo libro viene letto solennemente dai ministri e viene spiegato al popolo, che sta in piedi, alza le mani al cielo, poi si inginocchia e si prostra con la faccia a terra, in segno di adorazione. È una vera liturgia, animata dalla fede in Dio che parla, dal pentimento per la propria infedeltà alla Legge del Signore, ma soprattutto dalla gioia perché la proclamazione della sua Parola è segno che Lui non ha abbandonato il suo popolo, che Lui è vicino. 

Anche voi, cari fratelli e sorelle, radunandovi ad ascoltare la Parola di Dio con fede e perseveranza, diventate, di domenica in domenica, Chiesa di Dio, formati e plasmati interiormente dalla sua Parola. Che grande dono è questo! Siatene sempre riconoscenti.
La vostra è una comunità giovane, costituita in gran parte da coppie appena sposate che vengono a vivere nel quartiere; tanti sono i bambini e i ragazzi. Conosco l’impegno e l’attenzione che vengono dedicati alla famiglia e all’accompagnamento delle giovani coppie: sappiate dar vita ad una pastorale familiare caratterizzata dall’accoglienza aperta e cordiale dei nuovi nuclei familiari, che sappia favorire la conoscenza reciproca, così che la comunità parrocchiale sia sempre più una ‘famiglia di famiglie’, capace di condividere con loro, insieme alle gioie, le inevitabili difficoltà degli inizi. 

So anche che vari gruppi di fedeli si radunano per pregare, formarsi alla scuola del Vangelo, partecipare ai Sacramenti e vivere quella dimensione essenziale per la vita cristiana che è la carità. Penso a quanti con la Caritas parrocchiale cercano di andare incontro alle tante esigenze del territorio, specialmente rispondendo alle attese dei più poveri e bisognosi.

Mi rallegro per quanto fate nella preparazione dei ragazzi e dei giovani ai Sacramenti della vita cristiana, e vi esorto ad interessarvi sempre di più anche dei loro genitori, specialmente di quelli che hanno bambini piccoli; la Parrocchia si sforzi di proporre anche a loro, in orari e modi convenienti, incontri di preghiera e di formazione, soprattutto per i genitori dei bambini che devono ricevere il Battesimo e gli altri Sacramenti dell’iniziazione cristiana. 

Abbiate anche una particolare cura e attenzione per le famiglie in difficoltà, o che si trovano in una condizione di precarietà o di irregolarità. Non lasciatele sole, ma state loro vicino con amore, aiutandole a comprendere l’autentico disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia. 

Una speciale parola di affetto e di amicizia il Papa vuole dirigerla anche a voi, cari ragazzi e giovani che mi ascoltate, ed ai vostri coetanei che vivono in questa Parrocchia. L’oggi e il domani della comunità ecclesiale e civile sono affidati in modo particolare a voi. La Chiesa si aspetta molto dal vostro entusiasmo, dalla vostra capacità di guardare avanti e dal vostro desiderio di radicalità nelle scelte della vita.

Cari amici di san Corbiniano! Il Signore Gesù, che condusse gli Apostoli sul monte a pregare e mostrò loro la sua gloria, oggi ha invitato noi in questa nuova chiesa: qui possiamo ascoltarlo, qui possiamo riconoscere la sua presenza nello spezzare il Pane eucaristico; e in questo modo diventare Chiesa viva, tempio dello Spirito Santo, segno nel mondo dell’amore di Dio. 
Ritornate alle vostre case con il cuore colmo di riconoscenza e di gioia, perché siete parte di questo grande edificio spirituale che è la Chiesa. Alla Vergine Maria affidiamo il nostro cammino quaresimale, come quello della Chiesa intera. La Madonna, che ha seguito il suo Figlio Gesù fino alla croce, ci aiuti ad essere discepoli fedeli del Cristo, per poter partecipare insieme con lei alla gioia della Pasqua. Amen.

AMDG et BVM

Prendiamo con noi Pietro Giacomo e Giovanni e gioiamo per il PROSSIMO destino

II. La Trasfigurazione di Gesù Cristo

6. “E fu trasfigurato davanti a loro” (Mt 17,2) [come da liturgia del 6.agosto.'17]. Imprimi te stesso come molle cera su questa figura, per poter ricevere la figura di Gesù Cristo. Ecco come fu: “Il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la neve” (Mt 17,2). In questa espressione si devono osservare quattro particolari: il volto, il sole, le vesti e la neve. 
Vedremo quale sia il loro significato morale.

Nella parte frontale della testa, che è il volto dell’uomo, ci sono tre sensi, la vista, l’odorato e il gusto, ordinati e disposti in modo mirabile. 

L’olfatto è posto tra la vista e il gusto, quasi come una bilancia. Analogamente nel volto della nostra anima ci sono tre sensi spirituali, disposti in ordine perfetto dalla sapienza del sommo artefice: la visione della fede, l’olfatto (il fiuto) della discrezione e il gusto della contemplazione.

7. Riguardo alla visione della fede, si legge nell’Esodo che “Mosè e Aronne, Nadab e Abiu e settanta anziani videro il Signore di Israele; sotto i suoi piedi vi era come un’opera di pietra di zaffiro, simile al cielo quando è sereno” (Es 24,9-10).

In questa citazione sono descritti tutti coloro che vedono con l’occhio della fede, e che cosa debbano vedere, cioè credere. 

Mosè s’interpreta “acquatico”, e raffigura tutti i religiosi che devono impregnarsi dell’acqua delle lacrime; a tale scopo infatti sono stati tolti dal fiume dell’Egitto, affinché in questa orribile solitudine [del mondo] seminino nelle lacrime e poi raccolgano in giubilo nella terra promessa. 
Aronne, sommo pontefice, che s’interpreta “monta­no" – [Dio lo mandò a incontrare Mosè sul monte (cf. Es 4,27)] –, raffigura tutti gli alti prelati della chiesa, che sono costituiti sul monte della dignità e dell’autorità. 
Nadab, che s’interpreta “spontaneo”, rappresenta tutti i sudditi, i quali devono obbedire spontaneamente, volentieri, e non per costrizione. Abiu, che s’interpreta “padre di essi”, raffigura tutti coloro che sono uniti in matrimonio secondo la forma della chiesa, affinché siano genitori di figli. Infine i settanta anziani d’Israele rappresentano tutti i battezzati, che nel sacramento hanno ricevuto lo Spirito Santo, il quale infonde i sette doni della grazia. Tutti costoro vedono, cioè credono, e devono vedere e credere nel Dio d’Israele.

“E sotto i suoi piedi c’era come un’opera di pietra di zaffiro”. Ecco che cosa devono credere. 
Le parole “Signore d’Israele” indicano la divini­tà, le parole “ sotto i suoi piedi” indicano l’umanità di Gesù Cristo, che dobbiamo credere vero Dio e vero uomo. 
Di questi piedi dice Mosè: “Quelli che si avvicinano ai suoi piedi riceveranno la sua dottrina” (Dt 33,3). Perciò è detto che Maria [di Màgdala] sedeva ai piedi del Signore e ascoltava la sua parola (cf. Lc 10,39). Sotto i piedi del Signore, vale a dire dopo l’in­car­nazione di Gesù Cristo, apparve l’opera del Signore, come di pietra di zaffiro e simile al cielo quando è sereno. Lo zaffiro e il cielo sereno sono dello stesso colore.

E osserva che lo zaffiro ha quattro proprietà: 
mostra in se stesso una stella, 
fa scomparire il carbonchio [dell’uomo], 
è simile al cielo sereno e 
ferma il sangue. 

Lo zaffiro raffigura la santa chiesa, che ebbe inizio dopo l’incarnazione di Cristo e durerà sino alla fine del tempo. Essa si articola in quattro ordini, cioè gli apostoli, i martiri, i confessori della fede e le vergini, che possiamo giustamen­te paragonare alle quattro proprietà dello zaffiro

Lo zaffiro mostra in se stesso una stella: questo fatto è figura degli apostoli, che per primi hanno mostrato la stella mattutina della fede a coloro che sedevano nelle tenebre e nell’ombra della morte (cf. Lc 1,79). 

Lo zaffiro con il contatto fa scomparire il carbonchio, che è una malattia mortale: e questo è figura dei martiri, che con il loro martirio hanno sconfitto la malattia mortale dell’idolatria. 

Lo zaffiro, che ha il colore del cielo, raffigura i confessori della fede, i quali, reputando sudiciume tutte le cose temporali, si sono innalzati con la fune dell’amore divino alla contemplazione della beatitudine celeste, dicendo con l’Apostolo: “La nostra patria è nei cieli” (Fil 3,20). 

Infine lo zaffiro ferma il sangue: e questo raffigura le vergini, che per amore dello sposo celeste hanno fermato totalmente in se stesse il sangue della concupiscenza carnale. E questa è l’opera meravigliosa di pietra di zaffiro, che apparve sotto i piedi del Signore.

È chiaro dunque che cosa la tua anima debba vedere e che cosa tu debba credere con l’occhio della fede.

8. Sull’olfatto (fiuto) della discrezione, leggiamo nel Cantico dell’amore (Cantico dei Cantici): “Il tuo naso è come la torre del Libano che guarda contro Damasco” (Ct 7,4). In questa citazione ci sono quattro parole molto importanti: naso, torre, Libano e Damasco

Nel naso è indicata la discrezione; 
nella torre l’umil­tà; 
nel Libano, che s’interpreta “bianchezza”, la castità; 
in Damasco, che s’interpreta “chi beve sangue”, la perfidia del diavolo.

Il naso dell’anima dunque è la virtù della discrezione, per mezzo della quale essa, come con un naso, deve saper distinguere il profumo dal fetore, il vizio dalla virtù, e avvertire anche cose poste lontano, cioè le tentazioni del diavolo che stanno per arrivare. 
Dice appunto Giobbe del vero giusto: “Sente da lontano l’odore della battaglia, gli incitamenti dei condottieri e le urla degli eserciti” (Gb 39,25). 

L’anima fedele con l’olfatto, cioè con la virtù della discrezione, prevede la guerra della carne, e i comandi dei condottieri, cioè le suggestioni della vana ragione raffigurate nei condottieri, e questo per non cadere nella fossa dell’iniquità sotto l’apparenza della santità; sente gli urli dell’esercito, cioè le tentazioni dei demoni che ululano come bestie feroci: l’ululato è proprio delle bestie feroci.

Questo “naso” della sposa dev’essere come la torre del Libano: la virtù della discrezione consiste soprattutto nell’umiltà del cuore e nella castità del corpo. 
E giusta­mente l’umiltà è detta “torre di castità” perché, come la torre difende l’accampamento, così l’umiltà del cuore difende la castità del corpo dai dardi della fornicazione. 

Se tale sarà l’olfatto della sposa, potrà agevolmente guardare contro Damasco, cioè contro il diavolo, che brama succhiare il sangue delle nostre anime, smascherando così la sua sottile perfidia.

9. Del gusto della contemplazione, dice il Profeta: “Gustate e vedete quanto è buono il Signore!” (Sal 33,9). 

Gustate, cioè con la gola della vostra mente spremete, e spremendo rievocate la beatitudine di quella celeste Gerusalemme, che è la glorificazione delle anime sante, l’ineffabile gloria delle schiere angeliche, la perenne dolcezza del Dio uno e trino; e pensate anche a quanto grande sarà la gloria di partecipare ai cori degli angeli, insieme ad essi lodare Dio con voce instancabile, contemplare di presenza il volto di Dio, ammirare la manna della divinità nell’urna d’oro dell’umanità. 

Se gusterete a fondo queste cose, in verità, in verità constaterete quanto è soave il Signore. Beata quell’anima, il cui volto è dotato e ornato di tali sensi!

Osserva ancora che l’olfatto è posto, quasi come l’ago della bilancia, tra la vista della fede e il gusto della contemplazione. 

Nella fede infatti è necessaria la discrezio­ne, affinché non ci azzardiamo ad avvicinarci a vedere il roveto ardente (cf. Es 3,3), a sciogliere i legacci dei sandali (cf. Lc 3,16), cioè a voler investigare il mistero dell’incar­nazione del Signore. Credi soltanto, e questo è sufficiente. Non è in tuo potere sciogliere i legami. Dice Salomone: “ Chi ha la pretesa di scrutare la maestà di Dio, sarà oppresso dalla gloria” (Pro 25,27). Crediamo dunque con fermezza, e profes­siamo la nostra fede con semplicità.

Anche nella contemplazione è necessaria la discrezione, per non pretendere di assaporare delle cose celesti più di quanto sia conveniente (cf. Rm 12,3). 
Dice infatti Salomone: “Figlio, hai trovato il miele?”, cioè la dolcezza della contemplazione? “Mangiane solo quanto ti basta, per non vomitarlo se ne mangi troppo” (Pro 25,16). Vomita il miele colui che, non conten­to della grazia che gli è data senza suo merito, vuole esplorare con la ragione umana la dolcezza della contempla­zione, trascurando ciò che è detto nella Genesi, che alla nascita di Beniamino, Rachele morì (cf. Gn 35,17-19).

In Beniamino è raffigurata la grazia della contemplazione, in Rachele l’umana ragione. 
Alla nascita di Beniamino muore Rachele, perché quando la mente, pretendendo di elevarsi al di sopra delle sue forze, intravede qualcosa della luce della divinità, ogni umana ragione viene meno. La morte di Rachele raffigura il venir meno della ragione. Perciò ha detto qualcuno: “Nessuno con l’umana ragione può giungere fin dove è stato rapito Paolo” (Riccardo di San Vittore).

Pertanto l’olfatto della discrezione sia come una bilancia posta tra la visione della fede e il gusto della contem­plazione, affinché il volto dell’anima nostra risplenda come il sole.

10. Osserva ancora che nel sole ci sono tre prerogative: lo splendore, la bianchezza e il calore. E vedi come queste tre proprietà del sole si accordino perfettamente con i tre sopraddetti sensi dell’anima.

Lo splendore del sole si accorda con la visione della fede, che con la chiarezza della sua luce vede e crede alle cose invisibili. 
La bianchezza, cioè la nitidezza e la purezza, si confà alla discrezione dell’olfatto; e giustamen­te, perché come ci turiamo il naso e ci voltiamo dall’altra parte davanti a una cosa puzzolente, così per la virtù del­la discrezione dobbiamo allontanarci dall’immondezza del peccato. 

E anche il calore del sole conviene al gusto della contemplazione, perché in questa c’è veramente il calore dell’amore. Dice infatti il beato Bernardo: “È assolutamente impossibile che il sommo Bene possa essere contemplato senza essere amato”: Dio infatti è l’amore stesso.

Fate dunque attenzione, o carissimi, e vedete quanto sia utile, quanto salutare prendere con sé quei tre compagni e salire sul monte della luce, perché lì c’è veramente la trasfigurazione dall’apparenza di questo mondo, che svanisce (cf. 1Cor 7,31), alla figura di Dio, che resta nei secoli dei secoli, e della quale è detto: “Il suo volto rifulse come il sole”. 

Risplenda come il sole anche il volto della nostra anima, affinché ciò che vediamo con la fede brilli nelle opere; e il bene che ben comprendiamo all’interno si traduca nella testimonianza delle opere all’esterno, per la virtù della discrezione; e ciò che gustiamo nella contem­plazione di Dio si accenda di calore nell’amore del prossi­mo. Solo così il nostro volto risplenderà come il sole.

11. “Le sue vesti divennero bianche come la neve” (Mt 17,2), “quali nessun lavandaio sulla terra riuscirebbe a fare” (Mc 9,2).

Le vesti dell’anima nostra sono le membra di questo nostro corpo: esse devono essere candide. Dice Salomone: “In ogni tempo siano candide le tue vesti!” (Eccle 9,8). 
Di quale candore? 
“Come la neve”, dice il vangelo. Il Signore, per bocca di Isaia, promette ai peccatori che si convertono: “Se i vostri peccati saranno come lo scarlatto, saranno resi bianchi come la neve (Is 1,18).

Osserva qui due cose: lo scarlatto e la neve. 
Lo scar­latto è una stoffa che ha il colore del fuoco e del sangue. 
La neve è fredda e bianca. 
Nel fuoco è raffigurato l’ardore del peccato, 
nel sangue la sua immondezza; 
nella freddezza della neve è simboleggiata la grazia dello Spirito Santo, 
nella bianchezza la purezza della mente. 

Dice dunque il Signore: “Se i vostri peccati fossero come lo scarlatto”, ecc. È come se dicesse: Se ritornerete a me, io infonderò in voi la grazia dello Spirito Santo che estinguerà l’ardore del peccato e laverà la sua immondezza. 

Egli stesso dice ancora per bocca di Ezechiele: “Verserò su di voi acqua pura e sarete purificati da tutte le vostre sozzure” (Ez 36,25).
Perciò le vesti, vale a dire le membra del nostro corpo, siano bianche come la neve, affinché la freddezza della neve, cioè la compunzione della mente, estingua l’ardore del peccato, e la purezza di una vita santa deterga ogni immondezza.

Le vesti raffigurano anche le virtù della nostra anima, che, di esse rivestita, appare gloriosa al cospetto del Signore. 

Di queste vesti, nel racconto biblico di questa domenica, è detto che Rebecca rivestì Giacobbe di vesti molto belle, che teneva presso di sé (cf. Gn 27,15). 
Rebecca, cioè la sapienza di Dio Padre, rivestì Giacobbe, vale a dire il giusto, di virtù, vesti molto belle perché intessute con la mano e l’arte della sua Sapienza: vesti che tiene presso di sé, riposte nel tesoro della sua gloria; e le ha veramente, perché è Signore e padrone di tutto e le dà a chi vuole, quando vuole e come vuole.
Queste vesti sono dette candide per l’effetto che producono, perché rendono l’uo­mo candido, non dico solo come la neve, ma molto più di essa. E tali vesti nessun lavandaio, cioè nessun predicatore sopra la terra, può renderle così candide con il lavaggio della sua predicazione.

III. l’apparizione di mosè e di elia

12. “Apparvero Mosè ed Elia, che discutevano con lui” (Mt 17,3).
Al giusto così trasfigurato, così illuminato, così rivestito, appaiono Mosè ed Elia. 

In Mosè, che era il più mansueto di tutti gli uomini che abitavano sulla terra (cf. Nm 12,3), i cui occhi non si erano appannati, né smossi i denti (Dt 34,7), è simboleggiata la mansuetudine della misericordia e della pazienza.

“Mansueto” è come dire “abituato alla mano” (manui assuetus). Questi è come un figlio, come un animale addomesticato, abituato alla mano (all’azione) della grazia divina: il suo occhio, cioè la ragione, non si annebbia con la fuliggine dell’odio, né si offusca con la nuvola del rancore; i suoi denti non si muovono contro alcuno con la mormorazione, né mordono con la detrazione.

In Elia, del quale si narra nel terzo libro dei Re che uccise i profeti di Baal sulle rive del torrente Cison (cf. 3Re 18,40), è simboleggiato lo zelo per la giustizia

“Baal” s’interpreta “che sta in alto”, o “divoratore”, e “Cison” “la loro durezza”. 
Perciò colui che veramente arde di zelo per la giustizia, 

uccide con la spada della predi­cazione, della minaccia e della scomunica i profeti e i servi della superbia, che tendono sempre verso l’alto; 

uccide i servi della gola e della lussuria, che tutto divorano: li uccide perché muoiano al vizio e vivano per Iddio (cf. Gal 2,19). E compie quest’opera nel torrente Cison, cioè per l’eccessiva durezza del loro cuore, per la quale accumulano su di sé la collera per il giorno dell’ira e della rivelazione del giusto giudizio di Dio (cf. Rm 2,5).
E dice in proposito il Signore per bocca di Ezechiele: “Sono figli di dura cervice e di cuore indomabile, quelli ai quali io ti mando” (Ez 2,4); “davvero tutta la casa d’Israele è di fronte impudente e di cervice ostinata” (Ez 3,7). 
Ha la fronte impudente colui che, quando viene rimproverato, non solo disprezza la correzione, ma neppure arrossisce del suo peccato. A costui rinfaccia Geremia: “Ti sei fatta una faccia da meretrice: non hai voluto arrossire” (Ger 3,3).

Mosè ed Elia, cioè la mansuetudine della misericordia e lo zelo per la giustizia, devono apparire col giusto, già trasfigurato sul monte della santa vita, affinché, come il Samaritano, sia in grado di versare sulle piaghe del ferito il vino e l’olio, affinché il vigore del vino supplisca alla delicatezza dell’olio, e la delicatezza dell’olio attenui la forza del vino.

Dell’angelo che apparve nella Risurrezione di Cristo, è detto in Matteo che il suo aspetto era come la folgore e le sue vesti come la neve (cf. Mt 28,3). 

Nella folgore è indicata la severità del giudizio, nel candore della neve la grazia della misericordia. 

L’an­gelo, cioè il prelato, deve avere l’aspetto della folgore, affinché le donne, cioè le menti effeminate, inorridiscano di sé alla vista della sua santità. Come fece Ester, della quale è detto: “Quando Assuero alzò il viso e mostrò dallo sfavillio degli occhi la collera del suo animo, la regina si sentì venir meno, mutò il suo colore in pallore e abbandonò la testa sulla spalla dell’ancella che l’accompagnava” (Est 15,10). 
Ma il prelato, come fece Assuero, deve porgere lo scettro d’oro della benevolenza (cf. Est 15,15), e indossare le vesti della neve, affinché quelli che la severità paterna ha rimproverato, li consoli la pietosa benevolenza della madre. 

Per questo è detto: Pur usando la sferza del padre, abbi anche le mammelle della madre.

Il prelato dev’essere come il pellicano, che – come si racconta – uccide i suoi nati, ma poi estrae dal proprio corpo del sangue e lo versa sopra di essi, e così li richiama in vita. 

Così deve fare il prelato: i suoi figli, i suoi sudditi, che ha stimmatizzato con il flagello della disciplina e ucciso con la spada dell’aspra invettiva, deve poi con il suo sangue, cioè con la compunzione della mente e l’effusione delle lacrime – che Agostino definisce “sangue dell’anima” –, richiamarli alla penitenza, nella quale appunto sta la vita dell’ani­ma.

IV. la dichiarazione della voce del padre:
“questo è il mio figlio amatissimo”

13. E se in te si effettueranno prima queste tre eventi, cioè la salita sul monte, la trasfigurazione e l’apparizione di Mosè ed Elia, il quarto seguirà necessariamente, come continua il vangelo: “Ed ecco che una nube luminosa li avvolse” (Mt 17,5). 

Un’espressione simile la troviamo alla fine dell’Esodo, dove è detto: “Dopo che tutte le cose furono compiute, una nube coprì la tenda della testimonianza, e la gloria del Signore la riempì” (Es 40,31-32).
Rammenta che nella tenda della testimonianza c’erano quattro oggetti:
 il candelabro a sette lumi, la mensa della proposizione, l’arca del testamento e l’altare d’oro (cf. Es 25,31-36). 

La tenda della testimonianza raffigura il giusto: tenda, perché “la sua vita sulla terra è un combattimento” (Gb 7,1): infatti è dalla tenda che i soldati armati sono soliti uscire per affrontare i nemici, quando sono da essi attaccati; così fa pure il giusto quando intraprende il combattimento, e viene lui stesso attaccato; per questo si dice: “Il nemico che combatte valorosamente, fa combattere valorosamente anche te” (Ovidio); tenda della testimonianza, che ha non solo da quelli che sono fuori (cf. 1Tm 3,7) e che talvolta non corrisponde al vero, ma da se stesso, perché sua gloria è la testimonianza della sua coscienza (cf. 2Cor 1,12), e non della lingua altrui.

In questa tenda della testimonianza, il candelabro d’oro, battuto a mano, con sette lumi, raffigura la compunzione del cuore d’oro del giusto, che è percosso da molteplici sospiri come da tanti martelli. 
I sette lumi di questo candelabro sono i tre capretti, le tre forme di pane e l’anfora di vino, portati dai tre suddetti compagni del giusto. E nella tenda del giusto c’è anche la mensa della proposizione, nella quale è raffigurata la perfezione della vita santa, sulla quale devono essere posti i pani della proposizione, cioè il nutrimento della predicazione, che a tutti deve essere offerto. Dice infatti l’Apo­stolo: “Sono in debito sia verso i greci che verso i barbari” (Rm 1,14).

E ancora lì nella tenda c’è l’arca dell’alleanza, con dentro la manna e la verga di Aronne. 
Nell’arca, cioè nella mente del giusto, ci dev’essere la manna della mansuetudine, per essere come Mosè, e la verga della correzione, per essere come Elia. 
E infine c’è l’altare d’oro, simbolo del fermo proposito della perseveranza finale. In questo altare viene offerto ogni giorno l’incenso della devota compunzione e da esso salgono gli aromi della profumata orazione.

14. Giustamente quindi è detto: “Dopo che tutte le cose furono compiute, una nube coprì la tenda della testimonian­za”. Tale tenda, nella quale è compiuto tutto ciò che riguarda la perfezione, è coperta dalla nube ed è riempita dalla gloria del Signore, come è detto nel vangelo di oggi: “E una nube luminosa li avvolse”. 

Infatti la grazia del Signore ripara il giusto trasfigurato sul monte della luce, cioè della santa vita: lo ripara dagli ardori della prosperità di questo mondo, dalla pioggia della concupiscenza carnale, dalla tempesta della persecuzione diabolica; e così merita di sentire lo spirare di un’aura leggera (cf. 3Re 19,12), la tenerezza di Dio Padre che dice: “Questo è il figlio mio amatissimo, ascoltatelo!” (Mt 17,5).

È veramente degno di essere chiamato figlio di Dio, colui che ha preso con sé i tre sopraddetti compagni, che è salito sul monte, che ha trasfigurato se stesso dalla figura di questo mondo nella figura di Dio, che ha avuto come compagni Mosè ed Elia e ha meritato di essere avvolto dalla nube luminosa.

Ti preghiamo, dunque, Signore Gesù, che dalla valle della miseria tu ci faccia salire al monte della vita santa, affinché segnati dall’impronta della tua passione e fondati sulla mansuetudine della misericordia e lo zelo della giustizia, meritiamo nel giorno del giudizio di essere avvolti dalla nube luminosa e di sentire la voce della gioia, della letizia e dell’esultanza: “Venite, benedetti del Padre mio”, che vi ha benedetti sul monte Tabor, “rice­vete il regno che è stato preparato per voi fin dall’origine del mondo” (Mt 25,34).
A questo regno si degni di condurci colui al quale è onore e gloria, lode e dominio, maestà ed eternità nei secoli dei secoli. E ogni spirito risponda: Amen!

AMEN