STORIA DI MOSE'
Ritorno
in Egitto (Es 4, 18‑27)
Decise
allora di ritornare in Egitto conducendo con sé la moglie e il figlio. Nel
viaggio, come dice la storia, gli andò incontro un angelo, che gli minacciò la
morte, ma la donna riuscì a placarlo con il sangue della circoncisione del
figlio.
Anche
Aronne, suo fratello, venne a incontrarlo e a parlargli secondo l’ordine che
aveva ricevuto da Dio.
Per la
liberazione del popolo (Es
4, 28‑31; 5, 1‑19)
Il popolo
che viveva disperso in mezzo agli Egiziani e oppresso sotto i lavori forzati,
fu da loro convocato in assemblea, dove essi promisero a tutti la liberazione
dalla schiavitù. Il proposito fu manifestato al sovrano da Mosè stesso, ma
quello si mise a opprimere ancor più gli Israeliti, mostrandosi più esigente
con i sovraintendenti ai lavori. Ordini più severi imposero la raccolta di una
quantità maggiore di argilla, di paglia e di stoppa.
Gli
indovini egiziani e i serpenti (Es
7, 8‑13)
Quando il
Faraone, tale era il nome del tiranno degli egiziani, fu informato dei portenti
che Mosè aveva compiuto in mezzo al suo popolo, escogitò dei raggiri servendosi
degli indovini. Era convinto che le arti magiche di costoro avrebbero potuto
riprodurre lo stesso portento delle verghe trasformate da Mosè in serpente al
cospetto di tutti gli Egiziani.
In
realtà, anche le verghe degli indovini divennero serpenti, ma il serpente
uscito dalla verga di Mosè si lanciò su di loro e li divorò.
Questo
bastò a smascherare l’errore e mostrare che la magia aveva saputo procurare
alle verghe soltanto una vita effimera, capace di destare l’ammirazione di
persone facili a lasciarsi ingannare.
Le piaghe
d’Egitto (Es 7, 14‑11,
36)
Quando
Mosè s’accorse che anche il popolo egiziano appoggiava pienamente il despota
autore di quei raggiri, procurò di colpirli tutti indistintamente, con dei
castighi.
Gli stessi
elementi del mondo materiale, quasi un esercito agli ordini di Mosè, si
schierarono contro gli Egiziani: la terra, l’acqua, l’aria, il fuoco mutarono
le loro qualità naturali, ma soltanto quando si trattava di castigare gli
Egiziani maldisposti verso gli Ebrei. Quando qualcuno di questi elementi
causava la punizione dei primi, contemporaneamente e nel medesimo luogo
lasciava immuni gli altri, perché innocenti.
Le acque
mutate in sangue (Es
7, 14‑25)
Così le
acque d’Egitto si mutarono in sangue coagulato che, formando una massa
compatta, fece morire i pesci. Ma per gli Ebrei l’acqua restò quella che era,
anche se, per il suo apparente colore, poteva essere scambiata per sangue.
Gli
indovini presero a pretesto l’apparenza di sangue che aveva l’acqua usata dagli
Ebrei, per ordire nuovi inganni.
Le rane (Es 7,
26; 8, 11)
Una
moltitudine di rane riempì in seguito tutto l’Egitto. Esse non venivano da una
eccezionale proliferazione della natura, ma le fece accorrere in numero
straordinario un ordine di Mosè. Penetrarono così in tutte le case degli
Egiziani, causando gravi danni, ma non toccarono quelle degli Ebrei.
Le
tenebre (Es 10, 21‑23)
Ill nuovo
castigo degli Egiziani fu di non riuscire più a distinguere il giorno dalla
notte. Restarono avvolti in una oscurità continua, mentre gli Ebrei non
trovarono mutato il consueto alternarsi di luce e tenebre.
Altre
calamità (Es 8,12‑10, 20)
Molte
altre calamità vennero suscitate da Mosè contro gli Egiziani: la grandine, il
fuoco, le mosche, le pustole, i topi, gli sciami di cavallette. Tutte queste
cose procurarono danni di maggiore o minore entità in conformità con la loro
specifica natura. Come sempre, gli Ebrei non subirono danno alcuno, ma ne
venivano a conoscenza dalle grida e dalle informazioni dei loro vicini
Egiziani.
La morte
dei primogeniti (Es
12,29‑30)
Tuttavia
il fatto che rese più evidente questa diversità tra Ebrei ed Egiziani, fu la
morte dei primogeniti. Davanti ai loro figli più cari trovati morti, gli
Egiziani levarono grandi grida di dolore, mentre tra gli Ebrei c’era piena
tranquillità e sicurezza. Essi infatti avevano segnato gli stipiti delle porte
di ogni loro casa con il sangue degli agnelli uccisi e questa fu la ragione
della loro salvezza.
La
partenza degli Ebrei (Es
12,37‑42)
Mosè non
appena vide gli Egiziani colpiti indistintamente con la morte dei loro
primogeniti e, per tanta disgrazia, immersi nel dolore e nel pianto, diede
agli Israeliti l’ordine della partenza, rendendoli docili con l’invito a
chiedere agli Egiziani le loro suppellettili, a titolo di prestito.
L’inseguimento
(Es 14,5‑9)
Per tre
giorni gli Ebrei camminarono fuori dei confini dell’Egitto, ma l’Egiziano, ci
dice la storia, dispiaciuto che Israele non fosse più sottoposto alla sua
schiavitù, decise di assalirli con la forza, mandando contro di loro un
esercito di cavalieri. Alla vista dell’esercito con armi e cavalli gli Ebrei,
poco pratici di guerra e non abituati a tali spettacoli, si spaventarono e si
ribellarono a Mosè. Ma qui la storia riferisce sul conto di questi un fatto
quasi incredibile: mentre infatti egli moltiplicava le energie per incoraggiare
i suoi, esortandoli a nutrire buone speranze, nel suo intimo supplicava il
Signore che li liberasse dalle angustie.
Riferiscono
che Dio intese quel grido silenzioso, consigliando a Mosè come scampare dal
pericolo.
La nube (Es 13,21‑22)
Intanto
era apparsa una nube a far da guida al popolo. Essa non consisteva di vapori
umidi, soggetti a condensazione, come normalmente avviene. Era una nube dalla
straordinaria composizione cui corrispondevano altrettanto straordinari
effetti. Infatti era guidata dal Signore e, se stiamo alle informazioni del
racconto, avveniva questo: quando i raggi del sole splendevano con forza, la
nube faceva da riparo al popolo, mandando ombra a chi le stava sotto e insieme
una sottile rugiada, che rinfrescava l’aria infuocata; di notte invece, si
trasformava in fuoco che, da sera fino all’alba, mandava luce sul cammino
degli Israeliti[1].
[1]
Questi elementi della
scienza fisica antica relativi alla composizione delle nubi, sono trattati da
Gregorio anche in altre sue opere come l’Explicatio
in Exaemeron (PG 44, 97 D), e i Libri
contra Eunomium (PG 45, 344 B ‑ 577 A).