VITA INFELICE DI UN NOVELLO APOSTATA
Contritio et infelicitas in viis eorum.
Nelle loro vie è afflizione e calamità.
SALMO 13, v. 3.
TORINO, 1853
TIPOGRAFIA DIR. DA P. DE-AGOSTINI
Via della Zecca, N. 23, casa Birago. {1 [181]} {2 [182]}
[è premesso alle opere dubbie]
INDEX
Prefazione
CONVERSAZIONE I. Perdita della tranquillità della mente.
CONVERSAZIONE SECONDA. Perdita della pace del cuore.
CONVERSAZIONE TERZA ED ULTIMA. Perdita della buona riputazione.
Esempio di un apostata della città di Nizza, ritornato alla Cattolica religione, per lo zelo di s. Vincenzo de' Paoli
Prefazione
Quest'operetta ha per oggetto il disingannare quei Cristiani Cattolici, che in questi sgraziati tempi si lasciano strascinare al protestantismo; e siccome la maggior parte di essi saranno forse pur troppo giovani sconsigliati, ed inesperti, così di questi particolarmente si fa qui il ritratto con un ragionamento al tutto semplice e famigliare.
Vi si parla poi di un Apostata novello, di chi cioè rinunziò alla Chiesa Cattolica Romana da poco tempo, perchè chi ne è vecchio protestante, per la cecità della mente, e durezza del cuore, è difficile, che conosca, e senta lo stato infelice in cui si trova. {3 [183]}
Voglia Dio far discendere la sua benedizione su queste poche linee, onde qualche frutto producano in quelli fra i giovani, che avranno la pazienza di leggerle, e leggerle con intenzione di conoscere l'errore, in cui caddero; affinché se ne allontanino, e stiamo fermi nella fede della loro Madre Santa Chiesa, fuori di cui non v'è salvezza, e la quale colle braccia aperte ansiosamente li attende. Così sia. {4 [184]}
CONVERSAZIONE I. Perdita della tranquillità della mente.
Apostata. Non sono ancora che pochi mesi dacché non vi ho più veduto, o mio buon amico, eppure sembrami già scorso un secolo; tanto cara mi è sempre stata la vostra amicizia.
Amico. Vi ringrazio di cuore di sì gentili vostre espressioni, o dilettissimo mio; ed anche a me, credete pure, diede non poca pena. Ma e qual è mai il motivo, per cui ora venite nuovamente a ritrovarmi, dopo di avermi lasciato per abbracciare dottrine e massime sì contrarie alle mie, perche empie ed anticattoliche? Vi assicuro, che l'essere voi stato per tutto questo tempo lontano da me mi diede molta pena, ma molto più mi crucia il vedervi in braccio all'errore e alla falsità.
Ap. Nulla a voi voglio celare; vengo anzi, vi dirò candidamente, appunto per esternarvi le pene che provo nell'avere fatto tal passo, e ricevere quindi da voi, più provetto di me, sollievo ed aiuto.
Am. Oh! Se la cosa e così, veniteci {5 [185]} pure volentieri, che io vi accolgo colla massima consolazione e gioia; e non temete, che sarà mio impegno di apportarvi tutto quel conforto, di cui io posso esser capace. Sedetevi qui; e parlate pure liberamente.
Ap. Comincio a dirvi, che la mia mente e così conturbata per insulsi principii e dottrine a me insegnate, che non posso più trovare riposo nè giorno nè notte. Immaginatevi! mi si vuol far credere primieramente, che la Chiesa Cattolica non ha mai ricevuto da Gesù Cristo l'autorità d'interpretare la Sacra Scrittura, ma che la parola di Dio scritta può ognuno spiegarla secondo il privato suo sentimento, e giudicarne secondo che gli pare; ond'è che tra i protestanti, chi insegna una cosa, e chi un'altra; la stessa dottrina da uno è creduta vera, dall'altro falsa; lo stesso testo della Sacra Scrittura questi l'intende in un senso, e quegli in un altro affatto contrario. Ma se è così, io dico, essendo una sola la verità, e d'altronde tanto diversa la maniera di pensare degli uomini, come mai potrà quella riconoscersi ed abbracciarsi? Vi assicuro, che da tale labirinto non so come cavarmene; e quindi l'animo mio non gode più la primiera tranquillità. {6 [186]}
Am. Vi compatisco, fratello dilettissimo, in queste vostre angustie di spirito; ma se tali nuovi insegnamenti li trovate voi stesso falsi ed assurdi, e perche li abbracciaste, e perchè ora almeno non li rigettate?
Ap. A dirvela col cuore sulle labbra, si è perchè nemmeno ancor posso intendere, come veramente la Chiesa, che è pur composta d'uomini miserabili come gli altri, e capaci d'ingannarsi, abbia ricevuto da Dio l'incarico di spiegare ai fedeli la Divina Scrittura e possa essere infallibile ne'suoi insegnamenti.
Am. Voi dunque ignorate, che essa sia stata detta nella Sacra Scrittura colonna e firmamento della verità; che alla medesima Chiesa Gesù Cristo abbia promesso l'assistenza dello Spirito Santo, acciocchè non possa errare; e che egli abbia dato particolarmente a S. Pietro, e nella sua persona a tutti i Romani Pontefici, suoi successori, il potere, anzi il comando di rinfrancare gli altri nella fede, e quindi d'interpretare loro la Sacra Scrittur a, e loro far conoscere le verità, che in esse si contengono, e tenerli lontani dagli errori, in cui incorrono quelli, che, confidando ne'proprii lumi, con questi soli {7 [187]} di scorta si fanno a leggere e a interpretare la parola di Dio scritta.
Ap. No; non ignoro punto tali cose, ma perchè nella stessa Chiesa Cattolica s'insinuano tante superfluità, che non vengono sicuramente da Dio, e non sono quindi che opera dell' uomo, da cui si conosce essersi introdotte? Io perciò non posso alla medesima aderire pienamente, e ne sono conturbato.
Am. Superfluità? E quali sono elleno mai queste cose, che voi dite superflue, quasichè la Chiesa abbia dato luogo a cose inutili, non suggerite da Dio nelle Sacre Carte, o almeno non conformi al suo spirito, e non giovevoli all'uomo?
Ap. Per esempio: il culto esteriore, la vigilia e il digiuno in certi giorni, il numero settenario dei Sacramenti, la venerazione delle statue ed immagini, e simili, non sono elleno cose tutte queste, su cui Gesù Cristo nulla pressoché dispose, e la Chiesa sola, i Papi, i Vescovi introdussero di proprio talento, e diressero con istruzioni, e leggi particolari? Ecco il perchè, sostengono i protestanti, doversi stare al puro Vangelo, e così troncarsi tutte queste superfluità indegne d'un Dio sì grande ... {8 [188]}
Am. Sono dunque queste le cose, che voi chiamate superflue, ed opera solo dell' uomo? Dio buono! che abbaglio prendete voi mai!
Orsù ditemi le ragioni, per cui ne portate questo giudizio, ed io ve ne mostrerò l'insussistenza, e vi caverò così d'inganno.
Ap. Il culto esteriore si crede superfluo, perchè Dio è puro spirito, e, come dice lo stesso Vangelo, dee essere adorato soltanto in ispirito e verità. Della vigilia e del digiuno non se ne fa neppure parola nella Sacra Scrittura; tra i Sacramenti parimente ve ne sono di quelli, di cui in essa non vi e cenno; e così finalmente riguardo alla venerazione delle statue, pitture ed immagini divote. Che anzi questa pratica sembra proibita nell'Antico Testamento, siccome quella, che s'avvicina all'empio delitto dell'idolatria, onorandosi per essa il sasso, il legno, la carta, la tela, di cui sono quelle formale, o su cui sono dipinte.
Am. Non avrei mai creduto, che cadeste in sì grossolani errori. Mi fate veramente compassione.
Ap. Eh! di grazia non dite così, o mio caro amico, poiche, sin da principio vi {9 [189]} protestai, che voleva confidarvi tutte le interne pene, che mi cagionano tali dottrine, appunto per riceverne da voi lume e indirizzo.
Am. Ebbene: sentite le mie risposte, e spero, che vi convinceranno di tante falsità. Cominciamo dal culto esteriore. Di che siamo noi composti? Forse solamente d'una sostanza spirituale, qual è l'anima, o non altresì d'una sostanza materiale, che è il corpo? Ma se Dio e Creatore e Padrone dell'anima nostra e del nostro corpo parimente, perchè mai l'una e l'altra di queste due nostre sostanze, la spirituale cioè, e la materiale, non dovrà onorarlo, prestando alla sua divina Maestà e grandezza infinita tutto quel culto interno ed esterno, di cui ciascuna di essa e capace? E non è la ragione stessa naturale, che ci detta esser ciò più che giusto e doveroso? Nè serve l'opporre, che Gesù Cristo ha detto doversi Dio onorare in ispirito e verità, poichè questo avviso riguarda quelli soltanto, i quali non uniscono al culto esteriore anche l'interno omaggio del cuore, essendo il primo da sè solo pressochè inutile; ond'è, che il Divin Redentore rimproverava di tal vizio gli stessi Ebrei. {10 [190]}
Che se questa spiegazione non vi basta, riflettete alla circostanza, nella quale Gesù Cristo disse tal cosa. Voi già il sapete, che quelle parole furono indirizzate alla Samaritana, allorquando essa gli disse, che, secondo l'insegnamento dei suoi padri, Iddio dovevasi adorare soltanto in un certo monte e luogo determinato, ed egli rispose, che in appresso si sarebbe potuto adorare ovunque in ispirito e verità. Sicchè queste parole del Salvatore non sono punto contrarie al culto esterno. E tanto è vero, che, come ci racconta la stessa S. Scrittura, lo praticò S. Pietro, piegando, come dice egli stesso, avanti a Dio le sue ginocchia; lo praticò S. Giovanni, che con essolui entrò nel tempio di Gerusalemme a pregare; e per tacere degli altri Apostoli, lo praticò un S. Stefano Protomartire, che colle ginocchia piegate pregò per gli stessi suoi lapidatori, e così continuarono a praticare tutti i successori degli Apostoli e dei fedeli della primitiva Chiesa. Leggete la Storia Ecclesiastica, e ve ne persuaderete; che anzi leggete solamente la liturgia dei protestanti, e vedrete che mentre essi gridano contro al culto esteriore dei cattolici, {11 [191]} essi ne hanno grosse liturgie, colla differenza, che le cerimonie, i riti e il culto de'protestanti per lo più sono insignificanti e contraddittorii, e presso ai cattolici nulla si usa che non significhi e richiami a memoria del cristiano, qualche verità contenuta nella Bibbia[1].
Ap. Benissimo; queste ragioni mi vanno veramente a sangue, e non so più che opporvi. Sentirò perciò ora con piacere le prove a sostegno della vigilia e del digiuno. Di quest'obbligo almeno credo che nulla se ne dica nelle sacre pagine; e poi, che importa mai a Dio, che noi mangiamo più o meno, e che usiamo più di questo o di quell'altro cibo; purchè non eccediamo contra la temperanza e sobrietà? E non è Dio stesso, che dichiarò l'uomo padrone di cibarsi anche delle carni degli animali a suo beneplacito? E il Vangelo non dice anzi, che quel che entra per la bocca, non macchia punto l'anima nostra? Non è dunque cosa giusta l'obbligare alla vigilia ed al digiuno.
Am. Concedo, se così volete, che nella Sacra Scrittura non vi sia espresso l'obbligo del digiuno, ma dovreste sapere, {12 [192]} che in essa sta scritto, come il Divin Salvatore disse, che un tal genere di demoni non si può scacciare, se non per mezzo dell'orazione e del digiuno: che disse, non doversi far sembianza di tristezza, quando si digiuna, correggendo così un difetto del digiuno non proscrivendolo; che inoltre in tanti luoghi dell'antico testamento, il digiuno è prescritto, o raccomandato, e che il Divin Salvatore e gli Apostoli altamente inculcarono spesse volte la mortificazione. Oltracciò un'altra menzione del digiuno si riscontra in quelle parole, colle quali Gesù Cristo disse, che quando lo sposo della Chiesa, cioè egli stesso, non fosse più stato quaggiù, i fedeli avrebbero digiunato, ma non prima[2]. Dopo tutto ciò ditemi in vostra fede: e gli esempi di Gesù Cristo non si debbono da noi imitare? E non ha egli digiunato rigorosamente là nel deserto per 40 giorni e 40 notti? E prima di lui non ha anche digiunato il profeta Elia, ed altri ancora? Dunque nella Scrittura si fa più volte menzione del digiuno. Parlando poi particolarmente {13 [193]} del digiuno quaresimale sono gli stessi Apostoli che l'hanno instituito, come affermano i Ss. Padri, pel vero nostro bene e spirituale e anche corporale, come dice la Chiesa stessa, e lo confermano gli stessi Dottori di medicina. Se si tratta poi degli altri digiuni, che furono dalla Chiesa stabiliti, egli è certo che la Chiesa poteva ciò fare stante la facoltà, che ne ricevette da Gesù Cristo stesso, allorchè promise di reggere la società dei fedeli, come un principe governa la società civile. Ma voi dite specialmente riguardo all'astinenza delle carni, esser ciò opposto a quanto disse Gesù Cristo, cioè non macchiare l'anima qualunque cibo entri nella nostra bocca: falso, falsissimo. Il senso vero e genuino di queste parole dei Redentore si e che il cibo per se stesso e cosa indifferente, all'opposto delle parole che escono dalla nostra bocca, le quali, se buone, arricchiscono l'anima nostra, e se cattive la macchiano. Non dice dunque, che non sia male l'usare del cibo quando è vietato. E in verità, anche il frutto dell'albero della vita, che v'era in mezzo al paradiso terrestre, era per se stesso una cosa indifferente; eppure, perchè proibito, qual danno arrecò a'nostri progenitori {14 [194]} per averlo gustato, e dopo di essi anche a tutti noi? Ah! Riflettete di grazia, che colla vigilia e digiuno facciamo penitenza dei nostri peccati, come ce ne diedero esempio tutti i Santi ci prepariamo a ben celebrare le maggiori solennità, e poi con queste astinenze mortifichiamo le recalcitranti nostre passioni. Il motivo poi per cui Dio nella legge scritta dichiarò l'uomo padrone di cibarsi delle carni, sarà forse perchè da principio nella legge di natura questa sorta di cibo gli era vietato, essendo stato a que'tempi l'ordinario nutrimento, e bevanda dell'uomo il pane, le erbe, e l'acqua, come in essa medesima si legge; e questo, come vedete, fa piuttosto contro di voi. Non è così?
Ap. Basta, basta; veniamo ora a parlare dei Sacramenti. Tra questi, i protestanti rigettano specialmente la Penitenza, ossia la confessione auricolare, perchè troppo umilia l'uomo il dover manifestare ad un altro uomo i suoi più secreti pensieri ed azioni; e quanto all'Eucaristia non possono credere alla real presenza di G. C. nell'ostia, quindi interpretano le parole di G. C. in modo mistico e figurativo. Prego or voi a sciogliermi {15 [195]} queste difficoltà, e così cavarmi da tali interne dubbiezze.
Am. Che i Sacramenti siano sette ne più ne meno, è un articolo di fede definito dal Concilio di Trento; e dalla Sacra Scrittura stessa si traggono le prove dei medesimi, le quali abbiamo anche dalla Tradizione apostolica, che e altresì parola di Dio, e si trovano pure presso tutti gli eretici usciti dalla Chiesa prima del secolo decimosesto. Giacchè però voi mi parlate solo di due, io risponderò alle sole difficoltà risguardanti i medesimi. Riguardo all'istituzione del Sacramento della Penitenza ne sono chiare le parole, colle quali G. C. diede a S. Pietro, e quindi agli altri Apostoli, e nella loro persona a'suoi successori, ministri della Chiesa, la podestà sovrumana di rimettere e ritenere le colpe degli uomini; ora perchè essi possano conoscerle, e giudicare, se siano colpe da rimettersi o non rimettersi, uopo è che per mezzo della confessione lor siano manifestate. Di qui è, che la stessa Scrittura esorta espressamente ognuno di noi a confessare i nostri peccati; e ben si sa, che già sin dai primi tempi della Chiesa si facevano tali confessioni sacramentali benché {16 [196]} non sempre in secreto, ma spesso in pubblico, ricevendone poi, ed esigendone anche pubbliche le penitenze. Ora, posto ciò, a che serve mai il dire che è cosa umiliante il confessarsi? Se è G. C. che lo stabilì, se ciò e necessario per ottenere il perdono da Dio de'nostri peccati, quindi ricuperare il diritto perduto alla gloria di Dio, quand'anche costi alquanto, e vi ripugni l'amor proprio, uopo però è eseguirlo.
Altronde mentre i protestanti gridano contro la confessione auricolare, vi fanno un mistero, e non vi lasciano facilmente conoscere le umilianti confessioni ch'essi fanno fare a coloro, che cadono in certi peccati: confessione non auricolare, non ad un solo, ma a molti, ma pubblica, coi più amari rimproveri, in faccia ad una moltitudine di gente[3].
Sebbene è assolutamente falso, che debba considerarsi cosa tanto umiliante il confidare le proprie miserie ad uno, che in sostanza è della stessa nostra creta, può investirsi, e deve compatire alle {17 [197]} debolezze altrui, essendo egli stesso circondato da infermità; oltrechè in quel tribunale rappresenta Dio medesimo, cosicchè quanto ascolta, non lo sente come uomo, ma come Dio; onde può benissimo, anzi dee dire, che nulla sa delle cose a lui confessate, essendo queste coperte da tre gravissimi sigilli, naturale, cioè, divino ed ecclesiastico; per cui il confessore deve tacere quanto sente in confessione anche a costo della vita, come fece San Giovanni Nepomuceno martire. Al checoncorre la stessa Provvidenza di Dio, essendo certo che neppure in caso di demenza nel confessore, giammai si palesarono cose udite in questo gran tribunale. Del resto, volete che io ve la dica chiara: gli eretici osteggiano la confessione, non già perchè lor cagioni rossore il manifestare le proprie colpe, mentre anzi in pubblico si gloriano dei loro disordini e peccati anche più vergognosi; ma perchè questa si oppone allo stesso loro libertinaggio. Quanto alla SS. Eucaristia, che Gesù C. instituì nell'ultima Cena Pasquale fatta co'suoi Apostoli, a'quali (e per essi a tutti i sacerdoti ) diede l'altra sorprendente autorità di consacrare il suo corpo e sangue sacratissimo; un sol riflesso dee {18 [198]} bastare per convincervi della real sua presenza nel medesimo Sacramento; ed è, che quando lo insegnò agli altri suoi discepoli, essi ne restarono scandalizzati, non potendo capire come egli potesse dare a mangiare il suo corpo e a bere il suo sangue. Non per questo Gesù Cristo mutò linguaggio, ma confermò il già detto, e il senso in cui i discepoli l'avevano inteso, e piuttosto che secondarli nei loro pensamenti, li lasciò partire da sè. E non ne diede egli stesso delle prove facendosi talvolta vedere nell'ostia consacrata, come già ai tempi di S. Luigi, Re di Francia, oltre l'ardor di carità che dalla comunione ricevettero S. Filippo Neri, San Tommaso d'Aquino, Santa Teresa di Gesù, e tanti altri Santi?
Ap. Pure non so capire, come con due sole parole d'un uomo contro a tutte le regole della natura si possa annientare totalmente la sostanza del pane conservandone le sole specie, ed esteriori apparenze del colore, gusto e forma, e sotto le medesime, vi sottentri l'umanità sacrosanta di G. C.
Am. Ma e il modo con cui G. C. cambiò già l'acqua in vino nelle nozze di Cana Galilea, lo capite voi? Che più? {19 [199]}
Potete voi comprendere, come Dio dapprincipio abbia creato, cioè, cavato dal niente, il sole, la luna, le stelle, la terra, il mare, gli animali e quanto vi è in tutto l'universo? E se ciò fece, volete dubitare, che possa operare il gran portento della transustanziazione del pane, e del vino nel Corpo, e Sangue suo preziosissimo? E ciò non volete credere, perchè non lo capite? Credete voi forse soltanto quel che potete intendere? Spiegatemi un po', se vi sentite, il modo, con cui l'anima vostra vi fa muovere la lingua, gli occhi, le mani, e spiegatemi come una piccola semente gettata sotto terra, poco tempo dopo, esce cambiata in una spiga, nella quale essa si moltiplica in tanti altri grani? Eppure negar questo, egli è negar l'evidenza. V'ingannate poi nel dire, che le parole della Consacrazione sono parole dell'uomo, poichè, sebbene siano propriamente da esso proferite, sono però proferite a nome di G. C. stesso, di cui il Sacerdote non è che un puro istrumento. Infatti in tutto il resto della celebrazione della Messa il Sacerdote parla sempre in nome proprio, ma giunto alla consacrazione parla a nome di Gesù, dicendo non {20 [200]} già questo e il Corpo di Gesù, ma bensì questo e il Corpo mio.
Ap. Io non avrei più nulla ad opporre a questi vostri ragionamenti, ma perchè l'ora si fa tarda ditemi presto qualche cosa sulla venerazione delle Statue, ed immagini divote. Io ho sentito a dire, che Dio proibì tal cosa nel Levitico, o Deuteronomio, per essere ciò una vera idolatria.
Am. Sappiate, che questo errore fu adottato già da certi eretici, che si chiamano Iconoclasti, perchè abborrivano l'uso dei quadri divoti sopra gli altari. Ma oh! quanto insulsamente. Imperocchè noi non veneriamo già il materiale del quadro, della pittura, della statua, come fanno gli idolatri, che così li adorano quali veri loro Dei, perchè allora sicuramente cadremmo anche noi nello stesso enorme peccato dell'idolatria, che è quello appunto, da cui Dio volle tener lontano il popolo Ebreo col proibirgli a tal fine di formarsi statue di legno, o di pietra per venerarle. Noi cattolici veneriamo in que'segni esterni Iddio, od i suoi servi, che in esse ci sono rappresentati e richiamati alla memoria, e così da esse prendiamo occasione di presentar loro l'omaggio del nostro {21 [201]} cuore. Non è dunque diretto il nostro culto alla cosa materiale, che abbiamo sotto gli occhi, ma bensì a Dio, a Maria SS.ma, ed ai Santi del Cielo. E che ciò possa riaccendere in noi la pietà, chi ne dubita? Chi vede una croce, come può non pensare a Gesù morto per noi, e quindi adorarlo in essa? Vedendo un'immagine di Maria, che accarezza il suo Gesù, si sente subito nel cuore un impulso a raccomandarsi a Lei, onde lo preghi per noi. Così vedendo dipinto il martirio di un Santo, d'una santa non è forse cosa naturale il prendere motivo d'imitarne il coraggio nel soffrir tutto per Dio, e quindi invocarlo, onde ce ne ottenga da Dio la grazia? Ed ecco in qual senso, e con quale spirito ed intenzione inculca il Catolicismo a'suoi seguaci di venerare le divote immagini e statue; la quale pratica lo stesso Concilio di Trento dichiarò utilissima alle anime. Ciò resta pur comprovato esser anzi di aggradimento a Dio, mentre da tante statue, e pitture specialmente di Maria SS. si operarono singolari prodigi a favore degli ammalati, che divoti ricorrevano con confidenza a quella gran vergine venerata in questo, o in quell'altro celebre {22 [202]} santuario, come ci narrano molte veridiche istorie.
Ap. Sono veramente contento di sentire ragioni così sode in prova di questa verità. Io depongo ogni mio dubbio a questo proposito; siccome pure sono pienamente convinto di quanto più sopra mi spiegaste. Vi assicuro, amico mio carissimo, che tali vostre spiegazioni mettono assai bene in tranquillità il mio spirito; ve ne ringrazio di cuore, riservandomi però, se me lo permettete, di ritornar dimani a ricrearmi così utilmente secovoi, e palesarvi altri miei timori, e chi sa, che alla fin fine mi risolva di abiurare gli errori, che abbracciai!
Am. Se voi siete contento, io lo sono doppiamente. Veniteci pure nuovamente a quest'ora medesima, che io vi attendo con gran piacere. Vi auguro intanto buona notte.
Ap. Buon riposo anche a voi. A rivederci. {23 [203]}
CONVERSAZIONE SECONDA. Perdita della pace del cuore.
Apostata. Voi ben sapete, amico mio dilettissimo, che chi non gode la quiete del suo spirito, nemmeno può godere la pace del suo cuore. Or ecco dunque l'altro danno che io ebbi dall'aver rinunziato al Cattolicismo: il mio cuore è sempre inquieto, oppresso da timori, da rimorsi di coscienza, da spaventi.
Amico. E qual è la causa di tali inquietudini e pene del vostro cuore? Spiegatevi.
Ap. Io penso giorno e notte: Chi sa se mi salverò? Egli è ben vero, che i miei nuovi maestri mi assicurano, che anche nel Protestantismo vi è salute; pure il mio interno, la mia coscienza pare non potersi persuadere, che tanto in una quanto in un'altra Religione sì opposte possa ottenersi lo stesso fine. A questo contraddice la ragione: vie opposte non possono condurre allo stesso termine.
Am. È proprio così: perchè una è la verità, come una la fede, un solo battesimo, {24 [204]} un solo Dio. Or bene, Iddio essendo la verità stessa e infinitamente santo, come può mai ammettere due religioni, una diametralmente opposta all'altra, e nell'insegnamento e nella dottrina e nella morale? Certo una delle due deve essere falsa, epperò rigettata da Dio. Già voi siete pienamente convinto, che la protestante racchiude delle contraddizioni, mentre fu lecito ad ognuno di ammettere quella fede, dottrina e morale, che più pare e piace. Che anzi lo stesso individuo, che oggi crede una cosa, domani può rifiutarla. E potria dunque essere, che una religione così tra se stessa opposta sia la vera, e che nella medesima si possa piacere a Dio e ottenere salute? È proprio cosi: fuori della Chiesa Cattolica non vi è salute, come già fuori dell'arca di Noè, che, a detta dei Ss. PP., ne era il simbolo, la figura, nessuno potè scampare dal diluvio universale. Vedete: il peccato di Adamo fu come un diluvio, che privò del diritto alla gloria del Paradiso tutto l'uman genere. Iddio, mosso a compassione di noi, mandò il suo divin Figliuolo a riscattarci dalla schiavitù del demonio; e per quelli che vogliono goder di sua redenzione, fondò {25 [205]} Gesù Cristo la sua Chiesa, cui affidò i suoi Sacramenti, che sono i mezzi, coi quali ci sono applicati i suoi meriti, affinchè ricuperiamo il diritto perduto alla gloria. Nella stessa guisa adunque, che un ammalato non può guarire, se non gli sono applicati i rimedi, così nemmeno noi, stando fuori della Chiesa di Gesù Cristo, non ne riceviamo i suoi benefici influssi, i suoi Sacramenti, i doni di Dio. Tutto ciò lo insegna lo stesso Vangelo, ove Gesù Cristo dice, che chi non ascolta la sua Chiesa, non ascolta lui stesso, e che dee essere considerato come un un gentile e pubblicano. Fuori di essa pertanto non vi è certamente salute. Ora, che spensieratezza si è lo eleggere di starne fuori? I Protestanti stessi dicono, che anche i Cattolici si salvano, e noi diciamo che essi non si salvano. Egli è dunque anche più prudente l'entrar nella Chiesa, e evitare così il pericolo, anzi la certezza, di perdersi standone fuori.
Ap. È troppo giusto quello che voi dite; ma i Cattolici debbono rinunziare ai piaceri, ai divertimenti, menar una vita mortificata, penosa, molesta ...
Am. Appunto da questo voi dovreste dedurre, che la religione che noi cattolici {26 [206]} professiamo, è la sola vera; perchè tendendo continuamente la natura nostra corrotta alle cose illecite e dannose all'anima nostra, e pregiudicevoli all'eterna salvezza, la religione col raffrenare i nostri appetiti scorretti, ci mette in grado di mantenerci saldi e forti nella virtù, e così di piacere a Dio, che ci dà la forza di farlo. Il motivo adunque, per cui vi siete fatto protestante si è di potervi dare più liberamente al bel tempo, sollazzarvi, e godervela insomma allegramente? Ebbene, questo è anche il motivo, per cui i pretesi Riformatori voltarono le spalle alla dottrina della Chiesa, ne scossero il giogo, e vi fabbricarono una Religione a lor capriccio, e secondo le loro passioni, onde soddisfarsi liberamente senza rimorso di coscienza, se l'avessero potuto ottenere. Leggete la vita e la morte di Lutero, Calvino, Valdo, Svinglio, e simili corifei della Riforma, e mi saprete dar contezza della verità.
Ap. Ne ho già cognizione sufficiente per doverli dichiarare tutti viziosi e solenni impostori, che fingevano anche miracoli per accalappiare le persone semplici ed ignoranti, per trarle nella loro rete.
Am. E non sapete anzi, che presentemente col danaro si cerca di trarre ai {27 [207]} loro errori quanti possono Cattolici, col pretesto di sollevarne le loro miserie?
Ap. Io stesso ne fui alla prova; ne ebbi una buona mancia, che la conservo tuttora gelosamente.
Am. Vergogna a colui che per pochi soldi vende l'anima al demonio! Povero voi, io compiango la vostra sorte, e temo, che per soprappiù già il vostro cuore sia anzi allacciato da qualche sozza catena ...
Ap. A che serve il dissimularlo: con voi, come già dissi, ho niente di secreto: questa catena appunto è quella che mi tiene schiavo, e non mi permette di uscire dalla fossa, in cui sono caduto.
Am. Mi cava amare lagrime dagli occhi la confidenza che mi fate. Io ne sono dolentissimo. Ma non perdetevi d'animo, siamo ancora in tempo di aggiustare ogni cosa. Mettetevi solamente con buona volontà ed il Signore ci aiuterà. Debbo però avvertirvi che se non vi fate animo ad uscirne bentosto, mentre siete giovine, non ne uscirete mai più; come appunto avvenne a quel famoso apostata Teodoro Beza, che, stimolato da S. Francesco di Sales con sodi ragionamenti a ritornar nella Chiesa, rispose, che conosceva i suoi errori, e voleva uscirne, ma non poteva, perchè l'amicizia {28 [208]} d'una giovane avvenente, che gli fe'perfìn vedere, glielo impediva. Vedete, o caro, se bisogna fidarsi di andar avanti colla speranza di poter col tempo ritornare addietro. Ve ne avverte lo stesso gran padre S. Agostino, che era pur caduto nell'eresia de'Manichei, e a cui per ritornare sul buon sentiero furono necessarii sforzi magnanimi, e una grazia straordinaria di Dio per rompere catene simili che l'avevano avvinto. Ora questa grazia tanto singolare chi mai può assicurarvi, che voi possiate ottenerla aspettando ancora? Per altra parte voi stesso confessate, che in questo vostro vivere non godete più pace; e perchè dunque?
Ap. Ripeto, che mi rincresce assoggettarmi alle penitenze, umiliazioni e malinconie dei cattolici; la lor vita è troppo aliena dal mondo; non godono veruna allegrezza; ad essi la Chiesa prescrive troppe cose; io non ho più il coraggio di far una vita così miserabile.
Am. Che dite voi mai? vita miserabile quella dei buoni cattolici cristiani? Fu ella veramente tale la vostra, quando voi eravate buon cattolico?
Ap. A questa vostra dimanda bisogna, che mio malgrado risponda diversamente; {29 [209]} notate però, che io era allora assai giovine, e quindi non conosceva ancora le mondane allegrezze e soddisfazioni. Del resto in quel tempo io godeva veramente una gran pace. Amava gli esercizi divoti; mi consolavano le sante funzioni ecclesiastiche, al cui servizio anzi mi dedicava con piacere; la presenza dei sacri ministri mi era gratissima; ascoltava volentieri le prediche, le istruzioni, i catechismi, e passava le ore di libertà ed i giorni di vacanza scolastica nel gradito divertimento del canto e della musica, con qualche lieta passeggiata e partita con buoni compagni nella stessa casa de'miei o dei loro genitori. Ora all'opposto tutte queste cose le ho come in abborrimento; vedo con occhio torvo gli ecclesiastici; alle loro funzioni di rado intervengo, o, se mi vi trovo, è per vagheggiare qualche bellezza lusinghiera; amo le gozzoviglie, i discorsi liberi, e mi pascolo principalmente di libri che voi potete facilmente comprendere quali siano. Insomma ho cambiato totalmente sistema di vita, la quale, se non è contenta, è però tale, che non mi posso indurre a cambiarla per ritornare a certe pratiche religiose, le quali non fanno più per me. {30 [210]}
Am. Ma ditemi di grazia; e quei compagni, co'quali voi vi divertivate così onestamente allora, hanno forse fatto tutti il passo, che faceste voi da una vita così lodevole e virtuosa ad una sì irreligiosa e viziosa?
Ap. Oibò; appena alcuni di essi hanno seguito il mio buon esempio, o per dir meglio, il mio scandalo.
Am. E quando ne incontrate qualcuno di quelli, che stettero saldi nel loro proposito di mantenersi sempre buoni cristiani e cattolici zelanti quali sono i sentimenti, che vi si desiano in cuore?
Ap. Vedo proprio, che voi volete sapere tutti i più secreti nascondigli del mio cuore; ma via, voglio soddisfarvi: in tali incontri io invidio sempre la loro sorte; e dico fra me medesimo: oh! se potessi riacquistare la vera gioia e contentezza, che come essi godeva già anch'io!
Am. Il credereste? Tutti questi pensieri, che vi si destano in tali circostanze, sono tanti lumi, inspirazioni ed inviti, che vi fa Iddio, onde a lui ritorniate, e guai a voi se continuate a disprezzarli, a resistervi!
Ap. Io invece li considero come pensieri {31 [211]} molesti, li caccio via, cercando tosto altri compagni di mio conio, e cosi alla malinconia faccio seguire il giuoco, l'osteria, le geniali conversazioni, per liberarmi da quella noia.
Am. Quante contraddizioni proferite voi mai stasera! Un momento dite, che la vita degli antichi vostri buoni amici era da voi invidiata; ed un altro momento dite, che il loro è un vivere malinconico e tristo. Ora soggiugnete, che il vostro cuore è sempre turbato, e poi affermate, che nei vostri disordini trovate ogni vostra soddisfazione. Con un ragionare
cosi contraddittorio come volete mai voi, che possiamo intenderci? Conchiuderò dunque questo nostro secondo trattenimento con rapportarvi la famosa sentenza del già lodatovi S. Agostino. Questo gran Padre di S. Chiesa, che già aveva gustato il mondo ed i suoi piaceri prima di entrare nel seno della Chiesa, sapete che cosa diceva, rivolto a Dio stesso? Noi, gli diceva, siamo creati per voi, epperciò il nostro cuore non potrà mai riposare, finché sta da voi lontano; e perchè ciò? Perchè tutte le cose di questo mondo non possono punto appagare i desiderii del nostro cuore, mentre esso {32 [212]} tende ad un bene vero ed infinito, e i piaceri, onori e ricchezze di quaggiù non sono che beni falsi e fugaci, non sono che vanità e afflizione di spirito, come li chiama la Santa Scrittura istessa; e poi alla fin fine bisogna lasciar tutto agli altri in punto di morte. E guai a chi aspetta a quel terribile momento a pensare all'eternità.
Ap. Da quel che mi sembra voi volete ora farmi una predica. Io però da voi prendo sempre in buona parte ogni cosa; quindi, se mei permettete, ritornerò nuovamente da voi domani, giorno che mi resta ancor libero, per esporvi ancora l'ultimo mio dubbio ed afflizione che provo, dacché m'allontanai dalla cattolica religione.
Am. Mi farete anzi gran piacere; ma ricordatevi, che tutti abbiamo da morire, e andando a dormire, vera immagine della morte, pensate che quanto è certa la morte, altrettanto ne è incerta l'ora in qualunque stato, età e circostanze noi ci troviamo.
Ap. È pur vero, che a quel punto si vedono le cose nel loro vero aspetto e diversamente da quel che sembrano nel corso degli anni giovanili. Io ho fatto, tre anni or sono, una malattia assai pericolosa, e vi accerto che vicino alla morte {33 [213]} non m'inquietava, quand'anche avessi dovuto morire, perchè la mia coscienza nulla di grave mi rimproverava. Ma adesso ... basta ... dimani vi dirò il resto. Addio.
Am. Riposate bene, mio caro amico.
CONVERSAZIONE TERZA ED ULTIMA.
Perdita della buona riputazione.
Ap. Eccomi fedele alla fattavi promessa di ritornare stasera a ripigliare le nostre conferenze. Non vorrei però disturbarvi dalle occupazioni, che voi ora avete.
Am. Niente affatto; venite pure, già vi aspettava; e come avete passato la notte? Pranzaste poi anche con buon appetito? E ora come state?
Ap. Mediocremente in tutto, perchè il pensiero, fittomisi nella mente ieri sera, della morte mi ha alquanto disturbato il riposo, come anche il pranzo.
Am. Me ne rincresce di tutto cuore, se mai la vostra sanità ne avesse sofferto; per altra parte poi, che questo pensiero della morte vi abbia alquanto contristato, quasi ne godo, non già perchè siate stato contristato, ma perchè spero, che ciò vi sarà principio di conversione. {34 [214]}
Ap. A dirvi il vero, mi fu di qualche utilità l'essermi internato alquanto in questa
gran verità, cioè che avrò da morire, e forse più presto di quel che penso.
Am. Tale meditazione sicuramente è utile a chicchessia, e ancor più a chi si è allontanato dalla cattolica religione come faceste pur troppo voi.
Ap. Appunto tale riflesso mi fece quasi determinare di abiurare la dottrina che abbracciai del protestantesimo, e ritornare al cattolicismo, da cui mi sono sgraziatamente allontanato.
Am. Lode a Dio! Questa nuova mi fa tripudiare di gioia. Ma e quando ciò farete? Certo domani; non è cosi?
Ap. Ho ancora una difficoltà, una pena, un dubbio.
Am. E qual è? Ditelo subito, che io voglio sciogliervela immantinente; poiché io son nemico del ritardare.
Ap. Io temo le dicerie del mondo, le fischiate de'miei compagni, i rimproveri de'miei correligionarii.
Am. Voi dunque temete i rispetti umani; temete di perdere l'onore presso le persone mondane, presso i libertini; ma e che riputazione, godeste voi mai, dacché voltaste le spalle al caltolicismo? {35 [215]}
Ap. Per verità l'aveva anzi perduta del tutto la buona riputazione, poiché è vero che io ora sono accollo con gentilezza dai miei nuovi compagni, ma gli altri mi hanno tutti abbandonato. Quelle famiglie distinte che dapprima frequentava, mi hanno bruscamente licenziato. Altri appena mi restituiscono il saluto. Un giorno trovandomi con alcuni miei simili a discorrere in sulla piazza, vidi personaggi distinti, che guardandomi da lungi sembrava che compiangessero il mio stato. Il mio zio sacerdote non vuol più che me gli presenti; persino i miei buoni fratelli e sorelle, i quali mi amavano teneramente, non vogliono più quasi neppure trattenersi meco. Voi sapete che io dapprima era sì amato dal cappellano, che sempre mi voleva seco alla passeggiata; ebbene adesso non mi guarda più nemmeno, il perchè io faccio lo stesso verso di lui. In una parola: tutte le persone onorale mi abbandonarono, siccome io ho abbandonato loro medesime. E che riputazione godo io mai presentemente? 0 per dir meglio, non l'ho io perduta intieramente? È come dunque potrò avere il coraggio di cambiare sentimenti e vita, e così farmi molleggiare dai compagni che ancor mi restano? {36 [216]}
Am. Buon figlio! Quegli stessi riflessi, che vi trattengono, sono quelli medesimi, che secondo me devono farvi piu presto risolvere di ritornar alla Chiesa. Voi non ignorate certamente che il buon nome, la buona fama, e, come si chiama comunemente, la vera onoratezza è un bene, al dir della Scrittura stessa, più prezioso, che non tutto l'oro del mondo. Mentre dunque questo prezioso tesoro lo perdeste allontanandovi dal Cattolicismo, voi potete affrettarvi a ritornarvi anche per ricuperarlo, sicuro qual dovete essere, che quelli, i quali or vi compiangono perduto, si rallegreranno nel vedervi riacquistato. Non sapete, che per sentenza di Gesù Cristo stesso il ravvedimento di un peccatore rallegra tutto il Cielo, come il ritrovamento d'una pecora perduta cagiona una gran gioia al buon pastore, che nel riportarla all'amato suo ovile ne fa una gran festa co'suoi amici? Lo stesso accadrà al vostro ritorno alla Chiesa. Questa nostra tenerissima Madre vi accogliera colle braccia aperte; il suo ministro riceverà, consolatissimo, a suo nome la vostra abiura, assolvendovi dalle censure, in cui incorreste, e dai vostri peccati. E voi così ricupererete {37 [217]} la primiera vostra quiete di spirito, la pace del cuore e della coscienza, e con tali beni riacquisterete pur anco la buona riputazione presso tutti i vostri veri amici, conoscenti e parenti, i quali non cesseranno di darne lode a Dio, e secovoi rallegrarsi.
Ap. Ma non potete negarmi, che molti altri mi taccieranno di traditore e sleale, e me ne faranno le fischiate.
Am. Molti? No; pochi, anzi pochissimi, e per poco tempo, e questi tutti indegni di esser considerati; e per queste teste leggiere volete voi tralasciare di rimettervi sulla buona strada? E continuando voi sulla strada della perdizione sino alla morte, forse che essi andranno poi a liberarvi dall'inferno? E poi non sapete, che chi arrossisce di comparir cristiano, e confessar Gesù Cristo avanti gli uomini, sarà da lui rigettato, e arrossirà di riconoscerlo dinanzi al suo celeste Padre? Eh! che le dicerie del mondo guasto e corrotto sono uno spauracchio da non farne caso più che dei latrati di un cane, il quale, stanco di abbaiare, tace. Lasciate dunque, che chiunque vuol dileggiarvi, vi dileggi finché vuole, che poi alla finfine cesserà, pensando {38 [218]} per altra parte, che chi è perseguitato per la giustizia, è veramente felice e beato, al dir del Vangelo, e che prima di tutti, e più di tutti fu perseguitato lo stesso Gesù C.
Ap. Ditemi ora ciò, che pensate del giuramento, cui mi obbligarono i ministri protestanti nell'atto, che mi ricevettero nella lor setta. Forsechè esso non è obbligatorio in coscienza? tanto più, che ne ricevetti un pegno? E se è così, come posso io mai violarlo senza mancar ad un si grave atto religioso?
Am. Tenete per fermo, o mio caro, essere massima inconcussa presso i Teologi moralisti, che il giuramento non può mai essere un vincolo d'iniquità, onde è, che non obbliga, quando porta all'offesa di Dio. Ora, come può tenere il giuramento di non più rientrare nella vera religione Cattolica? Fareste dunque male, assai male, se voleste osservarlo. Quanto al pegno, che ne riceveste, se vi siete obbligato a restituirlo, in caso che abiuraste la setta, in cui vi ascriveste, restituitelo, se potete senza incorrere danni gravi; altrimenti, essendo un prezzo d'iniquità, io vi consiglierei ad impiegarlo in opere pie a pro dei poveri. Avete ancor altro? {39 [219]}
Ap. Mi resterebbe la difficoltà delle penitenze, a cui forse la Chiesa mi assoggetterebbe per l'affronto e grave ingiuria, che le recai abbandonandola; massimamente se queste dovessero farsi in pubblico; oh! allora che vergogna per me, ove lo sapessero, e mi vedessero gli stessi miei compagni, che sto per lasciar per sempre!
Am. Eh! non temete, poiché la Chiesa è una madre benignissima, la quale, se punisce, come è giusto, la diserzione de'suoi figli, lo fa sempre con tutta quella moderazione, che ne suggeriscono le circostanze. Quindi il prelato, che avrà la consolazione di ricevere la vostra abiura, e darvi l'assoluzione delle vostre colpe non vi prescriverà cose, che vi apportino eccessiva confusione, e ciò che v'imporrà, sarà priucipalmente diretto a riparare lo scandalo, di cui foste sgraziatamente cagione. E non è ciò più che giusto, e conveniente?
Ap. In appresso non potrò più né frequentare i protestanti, né leggere i loro scritti, e libri?
Am. Anzi fin d'ora dovete protestare di tenervi lontano mai sempre da tali compagnie, e letture, altrimenti quella buona {40 [220]} volontà, che concepiste per grazia di Dio di ravvedervi, svanirà, e voi sarete da principio.
Ap. Per ora è impossibile, poiché, come ben sapete, io sono aggiustato da garzone in quel negozio mercantile, in cui vari vi sono che professano la setta dei Valdesi, e questo aggiustamento è ancora durevole per un anno intiero, dopo il quale appunto intendo di ritirarmene, e recarmi altrove, ove non siano tali compagnie, ed allora potrò liberamente rinunziare a tutto, e pensare a me ...
Am. E per questi terreni motivi volete voi differire la vostra conversione a Dio?
Ap. E che cosa dovrò dunque faro, se è dapprima necessario allontanarsi dai pericoli?
Am. Se non potete assolutamente subito disimpegnarvi da quell'impiego; pazienza: ma quello che dovete praticare senza indugio si è, che tosto eseguiate il proponimento di ritornare alla Cattolica Chiesa, e poi trattenetevi quanto meno potete in quelle occasioni, e Dio vi aiuterà. Io però vi consiglierei di dar un taglio a tutto ciò a qualunque costo per assicurarvi di non ricadere.
Ap. È presto detto il dar un taglio a {41 [221]} tutto; ma ahi! quanto dee riuscire doloroso! V'assicuro, che non avendo mai ancora confidato questa mia determinazione a nessun altro, che a voi, mi fa tremare al solo pensar di dovermi presentare a mio zio per significargliela, avendomi esso sgridato tanto, quando intese la mia diserzione. Per altra parte dove troverò nuovamente un impiego così lucroso, come quello, che or dovrei abbandonare?
Am. Lo stesso vostro signor zio, che è un ecclesiastico stimato ed amato da tutti, dopo d'avervi ascoltato colla solita sua bontà, e d'essersi secovoi rallegrato vivamente della vostra conversione, vi suggerirà che cosa dovete fare, per eseguire prontamente e bene la vostra santa risoluzione, ed in appresso son certo che, avendo esso molte conoscenze anche in altri paesi e città, vi troverà facilmente altra forse più onorata occupazione. Coraggio, mio caro; andate a ritrovarlo fin di domani; palesategli ingenuamente la vostra intenzione, e volontà, e fate tutto quello, che esso vi dirà, che poi ne sarete contentissimo. Voi stesso confessate che in tale vostro stato non godete né quiete di spirito {42 [222]} né pace di cuore né verun principio di buona riputazione; io vi dimostrai come meglio seppi in tre distinte conferenze, che rientrando nella Chiesa Cattolica, da cui vi allontanaste, e risolvendo poi di vivere sempre da buon Cristiano, avreste riacquistato tali beni, e voi ne foste convinto per quanto mi sembra. Che altro vi resta, se non che metter mano all'opera? andate, vi ripeto, sin di domani per questo dal vostro buon zio, mettetevi nelle sue mani, e tutto si aggiusterà.
Ap. Via; voglio ascoltarvi, troppo chiaro ne scorgo il mio vantaggio; non voglio più ritardare a procurarmelo. Frattanto nel congedarmi da voi vi rendo i ben dovuti miei ringraziamenti per le salutari lezioni, ed istruzioni, che mi favoriste in questi nostri confidenziali trattenimenti, pregandovi di raccomandarmi al Signore, da cui vi desidero ogni felicità. Amatemi, e riposate bene.
Am. Abbracciamoci, o caro; e ricordatevi anche voi di me; io vi amerò sempre caramente nel Signore. Buona notte. Addio.
FINE {43 [223]}
*
Esempio di un apostata della città di Nizza,
ritornato alla Cattolica religione,
per lo zelo di s. Vincenzo de' Paoli
Le azioni e le virtù straordinarie praticale da S. Vincenzo de'Paoli il fecero con ragione nominare l'Apostolo della Francia. Non ci fu grado di persone, non qualità di miseria, non opera di carità, in cui quest'uomo maraviglioso non siasi segnalato.
Noi qui vogliamo solamente riferire una delle molte conversioni da lui operate.
Nelle incessanti occupazioni del sacro ministero, Vincenzo dovette recarsi a Marsiglia, donde s'imbarcò alla volta di Narbona, antica città di Francia. In questo cammino fu preso dai corsari, ossia ladri di mare, i quali lo vendettero schiavo a diversi padroni, e finalmente cadde nelle mani di un Nizzardo, dimorante a Tunisi, il quale aveva sgraziatamente abbandonato il caltolicismo per farsi maomettano. {44 [224]}
Questo padrone impiegava Vincenzo ai lavori della terra, ed il Santo doveva naturalmente credersi assai lontano dal riacquistare la sua libertà; ciò nulladimeno era questo più vicino che noi pensasse; vale a dire per mezzo della conversione del suo padrone e della sua padrona. La moglie di questo era maomettana; ma scorgendo nella modestia e nella pazienza dello schiavo qualche cosa di grande, a cui non era assuefatta, andava frequentemente a vederlo alla campagna ove lavorava, e gli faceva mille dimande sulla religione de'cristiani, sui loro usi e sulle loro cerimonie. Un giorno gli comandò di cantare le lodi del Dio che adorava. Un uomo colmo dello spirilo de'salmi si rammentò senza pena di quelle commoventi parole dal dolore dettate a'figli d'Israele, allorché erano prigionieri in Babilonia, come era egli schiavo in Africa. Cantò il salmo Super flumina Babilonis, e poscia la Salve Regina e simili, di cui la maomettana fu estremamente penetrata. Quindi le parlò dell'eccellenza della religione cristiana.
Quella donna, sorpresa ed incantata di quanto aveva ascoltato, disse a suo marito, che aveva gran torto di aver abbandonata {45 [225]} la sua religione, la quale, sul racconto che Vincenzo le aveva fatto, le sembrava estremamente buona, e perciò il Dio de'cristiani non meritava di essere abbandonato. Un tale discorso nulla aveva di lusinghiero per un apostata; poiché se uno è padrone di abbandonare la sua prima vocazione, non è per altro padrone di soffocare i gridi della propria coscienza, ed il peccatore il più ostinato sente nel suo interno una voce importuna, la quale parla più forte di quella, che ferisce l'orecchio. Il nizzardo confuso nulla replicò, ma il dì seguente si manifestò a Vincenzo, e l'assicurò essere pronto a salvarsi con lui. Il momento della partenza non giunse che dieci mesi dopo; il padrone e lo schiavo salirono ambidue sopra un piccolo battello, incapace egualmente o di resistere al furor del mare, o difendersi contro a'corsari. Per poco fossero stati inseguiti o scoperti non potevano evitar la morte. In que' tempi il processo di due uomini, di cui uno fa abiurare il maomettismo all'altro, è ben presto fatto: sono impalati ambidue senz'altra formalità. Tutti questi pericoli non arrestarono i nostri viaggiatori; posero la loro sorte nelle mani di Dio: invocarono quella a {46 [226]} cui la Chiesa dà il nome di Stella del mare; la loro speranza non fu delusa, e il dì 28 di giugno arrivarono in Francia e andarono in Avignone.
Colà il rinegato diede tutti i contrassegni della più sincera conversione, e fu riconciliato pubblicamente dal vice legato Pietro Monlorio. Quel prelato lo fece ricevere nell'ospedale di S. Gioanni d'Iddio, ove avea fatto voto d'entrare, onde far penitenza; ei si dedicò infatti al servizio degli ammalati per sempre.
Fortunato quel Nizzardo, che seguì i santi consigli di un sacerdote pieno di zelo quale era S. Vincenzo de'Paoli; ma non meno fortunati saranno tutti coloro, i quali, trovandosi fuori della Cattolica Religione, seguiranno sì bello esempio, facendo ritorno a questa Cattolica Religione, unica santa, unica Religione di Gesù Cristo, fuori di cui niuno può salvarsi. {47 [227]}
(Con approv. della Rev. Eccles.) {48 [228]} {49 [229]} {50 [230]}
[1]Liturgie Vaudoise, Lausanne, 1842.
[2]V. quanto dicesi a riguardo del digiuno nel fasc. 45, tratt. 4.
[3]V. Liturgie Vaudoise, maniera di ricevere alla pace della Chiesa quelli, che sono stati proibiti di partecipare alla sacra cena, pag. 100.
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