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mercoledì 27 settembre 2023

SAN VINCENZO de' Paoli

 

San Vincenzo de' Paoli Sacerdote e fondatore

27 settembre

Pouy, Guascogna, Francia, 1581 - Parigi, Francia, 27 settembre 1660

Nato a Pouy in Guascogna il 24 aprile 1581, fu ordinato sacerdote a 19 anni. Nel 1605 mentre viaggiava da Marsiglia a Narbona fu fatto prigioniero dai pirati turchi e venduto come schiavo a Tunisi. Venne liberato dal suo stesso «padrone», che convertì. Da questa esperienza nacque in lui il desiderio di recare sollievo materiale e spirituale ai galeotti. Nel 1612 diventò parroco nei pressi di Parigi. Alla sua scuola si formarono sacerdoti, religiosi e laici che furono gli animatori della Chiesa di Francia, e la sua voce si rese interprete dei diritti degli umili presso i potenti. Promosse una forma semplice e popolare di evangelizzazione. Fondò i Preti della Missione (Lazzaristi) e insieme a santa Luisa de Marillac, le Figlie della Carità (1633). Diceva ai sacerdoti di S. Lazzaro: «Amiamo Dio, fratelli miei, ma amiamolo a nostre spese, con la fatica delle nostre braccia, col sudore del nostro volto». Per lui la regina di Francia inventò il Ministero della Carità. E da insolito «ministro» organizzò gli aiuti ai poveri su scala nazionale. Morì a Parigi il 27 settembre 1660 e fu canonizzato nel 1737.

Patronato: Società caritatevoli

Etimologia: Vincenzo = vittorioso, dal latino

Martirologio Romano: Memoria di san Vincenzo de’ Paoli, sacerdote, che, pieno di spirito sacerdotale, a Parigi si dedicò alla cura dei poveri, riconoscendo nel volto di ogni sofferente quello del suo Signore e fondò la Congregazione della Missione, nonché, con la collaborazione di santa Luisa de Marillac, la Congregazione delle Figlie della Carità, per provvedere al ripristino dello stile di vita proprio della Chiesa delle origini, per formare santamente il clero e per assistere i poveri.

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Nella storia della cristianità, fra le innumerevoli schiere di martiri e santi, spiccano in ogni periodo storico delle figure particolari, che nel proprio campo di apostolato, sono diventate dei colossi, su cui si fonda e si perpetua la struttura evangelica, caritatevole, sociale, mistica, educativa, missionaria, della Chiesa.

E fra questi suscitatori di Opere, fondatori e fondatrici di Congregazioni religiose, pastori zelanti di ogni grado, ecc., si annovera la luminosa figura di san Vincenzo de’ Paoli, che fra i suoi connazionali francesi era chiamato “Monsieur Vincent”.

Gli anni giovanili
Vincenzo Depaul, in italiano De’ Paoli, nacque il 24 aprile del 1581 a Pouy in Guascogna (oggi Saint-Vincent-de-Paul); benché dotato di acuta intelligenza, fino ai 15 anni non fece altro che lavorare nei campi e badare ai porci, per aiutare la modestissima famiglia contadina.
Nel 1595 lasciò Pouy per andare a studiare nel collegio francescano di Dax, sostenuto finanziariamente da un avvocato della regione, che colpito dal suo acume, convinse i genitori a lasciarlo studiare; che allora equivaleva avviarsi alla carriera ecclesiastica.
Dopo un breve tempo in collegio, visto l’ottimo risultato negli studi, il suo mecenate, giudice e avvocato de Comet senior, lo accolse in casa sua affidandogli l’educazione dei figli.
Vincenzo ricevette la tonsura e gli Ordini minori il 20 dicembre 1596, poi con l’aiuto del suo patrono, poté iscriversi all’Università di Tolosa per i corsi di teologia; il 23 settembre 1600 a soli 19 anni, riuscì a farsi ordinare sacerdote dall’anziano vescovo di Périgueux (in Francia non erano ancora attive le disposizioni in materia del Concilio di Trento), poi continuò gli studi di teologia a Tolosa, laureandosi nell’ottobre 1604.
Sperò inutilmente di ottenere una rendita come parroco, nel frattempo perse il padre e la famiglia finì ancora di più in ristrettezze economiche; per aiutarla Vincent aprì una scuola privata senza grande successo, anzi si ritrovò carico di debiti.
Fu di questo periodo la strabiliante e controversa avventura che gli capitò; verso la fine di luglio 1605, mentre viaggiava per mare da Marsiglia a Narbona, la nave fu attaccata da pirati turchi ed i passeggeri, compreso Vincenzo de’ Paoli, furono fatti prigionieri e venduti a Tunisi come schiavi.
Vincenzo fu venduto successivamente a tre diversi padroni, dei quali l’ultimo, era un frate rinnegato che per amore del denaro si era fatto musulmano.
La schiavitù durò due anni, finché riacquistò la libertà fuggendo su una barca insieme al suo ultimo padrone da lui convertito; attraversando avventurosamente il Mediterraneo, giunsero il 28 giugno 1607 ad Aigues-Mortes in Provenza.
Ad Avignone il rinnegato si riconciliò con la Chiesa, nelle mani del vicedelegato pontificio Pietro Montorio, il quale ritornando a Roma, condusse con sé i due uomini.
Vincenzo rimase a Roma per un intero anno, poi ritornò a Parigi a cercare una sistemazione; certamente negli anni giovanili Vincenzo de’ Paoli non fu uno stinco di santo, tanto che alcuni studiosi affermano, che i due anni di schiavitù da lui narrati, in realtà servirono a nascondere una sua fuga dai debitori, per la sua fallimentare conduzione della scuola e pensionato privati.
Riuscì a farsi assumere tra i cappellani di corte, ma con uno stipendio di fame, che a stento gli permetteva di sopravvivere, senza poter aiutare la sua mamma rimasta vedova.

Parroco e precettore
Finalmente nel 1612 fu nominato parroco di Clichy, alla periferia di Parigi; in questo periodo della sua vita, avvenne l’incontro decisivo con Pierre de Bérulle, che accogliendolo nel suo Oratorio, lo formò a una profonda spiritualità; nel contempo, colpito dalla vita di preghiera di alcuni parrocchiani, padre Vincenzo ormai di 31 anni, lasciò da parte le preoccupazioni materiali e di carriera e prese ad insegnare il catechismo, visitare gli infermi ed aiutare i poveri.
Lo stesso de Brulle, gli consigliò di accettare l’incarico di precettore del primogenito di Filippo Emanuele Gondi, governatore generale delle galere.
Nei quattro anni di permanenza nel castello dei signori Gondi, Vincenzo poté constatare le condizioni di vita che caratterizzavano le due componenti della società francese dell’epoca, i ricchi ed i poveri.
I ricchi a cui non mancava niente, erano altresì speranzosi di godere nell’altra vita dei beni celesti, ed i poveri che dopo una vita stentata e disgraziata, credevano di trovare la porta del cielo chiusa, a causa della loro ignoranza e dei vizi in cui la miseria li condannava.
Anche la signora Gondi condivideva le preoccupazioni del suo cappellano, pertanto mise a disposizione una somma di denaro, per quei religiosi che avessero voluto predicare una missione ogni cinque anni, alla massa di contadini delle sue terre; ma nessuna Congregazione si presentò e il cappellano de’ Paoli, intimorito da un compito così grande per un solo prete, abbandonò il castello senza avvisare nessuno.

Gli inizi delle sue fondazioni – Le “Serve dei poveri”
Le fondazioni di Vincenzo de’ Paoli, non scaturirono mai da piani prestabiliti o da considerazioni, ma bensì da necessità contingenti, in un clima di perfetta aderenza alla realtà.
Lasciato momentaneamente il castello della famiglia Gondi, Vincenzo fu invitato dagli oratoriani di de Bérulle, ad esercitare il suo ministero in una parrocchia di campagna a Chatillon-le-Dombez; il contatto con la realtà povera dei contadini, che specie se ammalati erano lasciati nell’abbandono e nella miseria, scosse il nuovo parroco.
Dopo appena un mese dal suo arrivo, fu informato che un’intera famiglia del vicinato, era ammalata e senza un minimo di assistenza, allora lui fece un appello ai parrocchiani che si attivassero per aiutarli, appello che fu accolto subito e ampiamente.
Allora don Vincenzo fece questa considerazione: “Oggi questi poveretti avranno più del necessario, tra qualche giorno essi saranno di nuovo nel bisogno!”. Da ciò scaturì l’idea di una confraternita di pie persone, impegnate a turno ad assistere tutti gli ammalati bisognosi della parrocchia; così il 20 agosto 1617 nasceva la prima ‘Carità’, le cui associate presero il nome di “Serve dei poveri”; in tre mesi l’Istituzione ebbe un suo regolamento approvato dal vescovo di Lione.
La Carità organizzata, si basava sul concetto che tutto deve partire da quell’amore, che in ogni povero fa vedere la viva presenza di Gesù e dall’organizzazione, perché i cristiani sono tali solo se si muovono coscienti di essere un sol corpo, come già avvenne nella prima comunità di Gerusalemme.
La signora Gondi riuscì a convincerlo a tornare nelle sue terre e così dopo la parentesi di sei mesi come parroco a Chatillon-les-Dombes, Vincenzo tornò, non più come precettore, ma come cappellano della massa di contadini, circa 8.000, delle numerose terre dei Gondi.
Prese così a predicare le Missioni nelle zone rurali, fondando le ‘Carità’ nei numerosi villaggi; s. Vincenzo avrebbe voluto che anche gli uomini, collaborassero insieme alle donne nelle ‘Carità’, ma la cosa non funzionò per la mentalità dell’epoca, quindi in seguito si occupò solo di ‘Carità’ femminili.
Quelle maschili verranno riprese un paio di secoli dopo, nel 1833, da Emanuele Bailly a Parigi, con un gruppo di sette giovani universitari, tra cui la vera anima fu il beato Federico Ozanam (1813-1853); esse presero il nome di “Conferenze di S. Vincenzo de’ Paoli”.
Intanto nel 1623 Vincenzo de’ Paoli, si laureò in diritto canonico a Parigi e restò con i Gondi fino al 1625.

Le “Dame della Carità”
Vincenzo de’ Paoli, vivendo a Parigi si rese conto che la povertà era presente, in forma ancora più dolorosa, anche nelle città e quindi fondò anche a Parigi le ‘Carità’; qui nel 1629 le “Suore dei poveri” presero il nome di “Dame della Carità”.
Nell’associazione confluirono anche le nobildonne, che poterono dare un valore aggiunto alla loro vita spesso piena di vanità; ciò permise alla nobiltà parigina di contribuire economicamente alle iniziative fondate da “monsieur Vincent”.
L’istituzione cittadina più importante fu quella detta dell’”Hotel Dieu” (Ospedale), che s. Vincenzo organizzò nel 1634, essa fu il più concreto aiuto al santo nelle molteplici attività caritative, che man mano lo vedevano impegnato; trovatelli, galeotti, schiavi, popolazioni affamate per la guerra e nelle Missioni rurali.
Fra le centinaia di associate a questa meravigliosa ‘Carità’, vi furono la futura regina di Polonia Luisa Maria Gonzaga e la duchessa d’Auguillon, nipote del Primo Ministro, cardinale Richelieu.
Le prime ‘Carità’ vincenziane sorsero in Italia a Roma (1652), Genova (1654), Torino (1656).

I “Preti della Missione” o “Lazzaristi”
Anche in questa fondazione ci fu l’intervento munifico dei signori Gondi; la sua origine si fa risalire alla fortunata predicazione che il fondatore tenne a Folleville il 25 gennaio 1617; le sue parole furono tanto efficaci che non bastarono i confessori.
Il bene ottenuto in quel villaggio, indusse la signora Gondi ad offrire una somma di denaro a quella comunità che si fosse impegnata a predicare periodicamente ai contadini; come già detto non si presentò nessuno, per cui dopo il suo ritorno a Parigi, Vincenzo de’ Paoli prese su di sé l’impegno, aggregandosi con alcuni zelanti sacerdoti e cominciò dal 1618 a predicare nei villaggi.
Il risultato fu ottimo, ed altri sacerdoti si unirono a lui, i signori Gondi aumentarono il finanziamento e anche l’arcivescovo di Parigi diede il suo appoggio, assegnando a Vincenzo ed ai suoi missionari rurali, una casa nell’antico Collegio dei Bons-Enfants in via S. Vittore; il contratto fra Vincenzo de’ Paoli ed i signori Gondi porta la data del 17 aprile 1625.
La nuova comunità, si legge nel contratto, doveva fare vita comune, rinunziare alle cariche ecclesiastiche, e predicare nei villaggi di campagna; inoltre occuparsi dell’assistenza spirituale dei forzati e insegnare il catechismo nelle parrocchie nei mesi estivi.
La “Congregazione della Missione” come si chiamò, fu approvata il 24 aprile 1626 dall’arcivescovo di Parigi, dal re di Francia nel maggio 1627 e da papa Urbano VIII il 12 gennaio 1632.
Intanto i missionari si erano spostati nel priorato di San Lazzaro, da cui prenderanno anche il nome di “Lazzaristi”.
In seguito Vincenzo accettò che i suoi Preti della Missione o Lazzaristi, riuniti in una Congregazione senza voti, si dedicassero alla formazione dei sacerdoti, con Esercizi Spirituali, dirigendo Seminari e impegnandosi nelle Missioni all’estero come in Madagascar, nell’assistenza agli schiavi d’Africa.
Quando morì nel 1660, la sola Casa di San Lazzaro, aveva già dato 840 missioni e un migliaio di persone si erano avvicendate in essa, per turni di Esercizi Spirituali.

Le “Figlie della Carità”
La feconda predicazione nei villaggi, suscitò la vocazione all’apostolato attivo, prima nelle numerose ragazze delle campagne poi in quelle della città; desiderose di lavorare nelle ‘Carità’ a servizio dei bisognosi, ma anche consacrandosi totalmente.
Vincenzo de’ Paoli intuì la grande opportunità di estendere la sua opera assistenziale, lì dove le “Dame della Carità” per la loro posizione sociale, non potevano arrivare personalmente.
Affidò il primo gruppo per la loro formazione, ad una donna eccezionale s. Luisa de Marillac (1591-1660) vedova Le Gras, era il 29 novembre 1633; Luisa de Marillac le accolse in casa sua e nel luglio dell’anno successivo le postulanti erano già dodici.
La nuova Congregazione prese il nome di “Figlie della Carità”; i voti erano permessi ma solo privati ed annuali, perché tutte svolgessero la loro missione nella più piena libertà e per puro amore; l’approvazione fu data nel 1646 dall’arcivescovo di Parigi e nel 1668 dalla Santa Sede.
Nel 1660, anno della morte del fondatore e della stessa cofondatrice, le “Figlie della Carità” avevano già una cinquantina di Case.
Con il loro caratteristico copricapo, che le faceva assomigliare a degli angeli, e a cui le suore hanno dovuto rinunciare nel 1964 per un velo più pratico, esse allargarono la loro benefica attività d’assistenza ai malati negli ospedali, ai trovatelli, agli orfani, ai forzati, ai vecchi, ai feriti di guerra, agli invalidi e ad ogni sorta di miseria umana.
Ancora oggi le Figlie della Carità, costituiscono la Famiglia religiosa femminile più numerosa della Chiesa.

La formazione del clero
Attraverso l’Opera degli Esercizi Spirituali, i Preti della Missione divennero di fatto, i più prestigiosi e qualificati formatori dei futuri sacerdoti, al punto che l’arcivescovo di Parigi dispose che i nuovi ordinandi, trascorressero quindici giorni di preparazione nelle Case dei Lazzaristi, in particolare nel Collegio dei Bons-Enfants di cui Vincenzo de’ Paoli era superiore.
Più tardi, nel priorato di San Lazzaro, l’Opera degli Esercizi Spirituali si estese a tutti gli ecclesiastici che avessero voluto fare un ritiro annuale e anche a folti gruppi di laici.
Da ciò scaturì nei sacerdoti il desiderio di riunirsi settimanalmente, per esortarsi a vicenda nel cammino di una santa vita sacerdotale; così a partire dal 1633, un folto gruppo di ecclesiastici, con la guida di Vincenzo de’ Paoli, prese a riunirsi il martedì, dando vita appunto alle “Conferenze del martedì”.
Tale meritoria opera di formazione non sfuggì al potente cardinale Richelieu, il quale volle essere informato sulla loro attività e chiese pure al fondatore, una lista di nomi degni di essere elevati all’episcopato.
Lo stesso re Luigi XIII, chiese a ‘monsieur Vincent’, una seconda lista di degni ecclesiastici adatti a reggere diocesi francesi; il sovrano poi lo volle accanto al suo letto di morte, per ricevere gli ultimi conforti spirituali.
Anche la direzione dei costituendi Seminari delle diocesi francesi, voluti dal Concilio di Trento, vide sempre nel 1660, ben dodici rettori appartenenti ai Preti della Missione

Alla corte di Francia
Nel 1643, Vincenzo de’ Paoli fu chiamato a far parte del Consiglio della Coscienza o Congregazione degli Affari Ecclesiastici, dalla reggente Anna d’Austria; presieduto dal card. Giulio Mazzarino, il compito del Consiglio era la scelta dei vescovi ed il rilascio di benefici ecclesiastici.
Il potente Primo Ministro faceva scelte di opportunità politica, soprassedendo sulle qualità morali e religiose; era inevitabile lo scontro fra i due, Vincenzo gli si oppose apertamente, anche criticandolo nelle sue scelte di politica interna, specie nei giorni oscuri della Fronda, quando Mazzarino tentò di mettere alla fame Parigi in rivolta, Vincenzo allora organizzò una mensa popolare a San Lazzaro, dando da mangiare a 2000 affamati al giorno.
Nel 1649 giunse a chiedere alla regina, l’allontanamento del Mazzarino per il bene della Francia; la richiesta non poté aver seguito e quindi Vincenzo de’ Paoli cadde in disgrazia e fu definitivamente allontanato dal Consiglio di Coscienza nel 1652.
La reggente Anna d’Austria gli concesse l’incarico di Ministro della Carità, per organizzare su scala nazionale gli aiuti ai poveri; si disse che dalle sue mani passasse più denaro che in quelle del ministro delle Finanze.

Altri aspetti della sua opera
Vincenzo de’ Paoli divenne il maggiore oppositore alle idee gianseniste propugnate in Francia dal suo amico Giovanni du Vergier, detto San Cirano († 1642) e poi da Antonio Arnauld; dopo la condanna del giansenismo da parte dei papi Innocenzo X nel 1653 e Alessandro VIII nel 1656, Vincenzo si adoperò, affinché la decisione pontificia fosse accettata con sottomissione da tutti gli aderenti alle idee del vescovo olandese Giansenio (1585-1638).
Il movimento eterodosso del giansenismo affermava, che per la salvezza dell’uomo, a causa della profonda corruzione scaturita dal peccato originale, occorreva l’assoluta necessità della Grazia, la quale sarebbe stata concessa solo ad alcuni, per imperscrutabile disegno di Dio.
Fu riformatore della predicazione, fino allora barocca, introducendo una semplice tecnica oratoria: della virtù scelta per argomento, ricercare la natura, i motivi di praticarla, ed i mezzi più opportuni
Per lui apostolo della carità fra i prigionieri ed i forzati, re Luigi XIII, su suggerimento di Filippo Emanuele Gondi, istituì la carica di Cappellano capo delle galere (8 febbraio 1619), questo gli facilitò il compito e l’accesso nei luoghi di pena e di partenza dei galeotti rematori; dal 1640 il compito passò anche ai suoi Missionari e alle Dame e Figlie della Carità.
Inoltre si calcola che tra il 1645 e il 1661, Vincenzo de’ Paoli e i suoi Missionari, liberarono non meno di 1200 schiavi cristiani in mano ai Turchi musulmani.
Monsieur Vincent fu fin dai primi anni, membro attivo della potente “Compagnia del SS. Sacramento”, sorta a Parigi nel 1630, composta da ecclesiastici e laici insigni e dedita ad “ogni forma di bene”.
Vincenzo de’ Paoli fu spesso ispiratore della benefica attività della Compagnia e da essa ricevé aiuto e collaborazione, per le sue tante opere assistenziali.

Il pensiero spirituale
Nei dodici capitoli delle “Regulae”, Vincenzo ha condensato lo spirito che deve distinguere i suoi figli come religiosi: la spiritualità contemplativa del pensiero del card. de Bérulle, sotto la cui direzione egli rimase per oltre un decennio; l’umanesimo devoto di s. Francesco di Sales, suo grande amico, del quale lesse più volte le opere spirituali e l’ascetismo di s. Ignazio di Loyola, del quale assimilò il temperamento pratico; elaborando da queste tre fonti una nuova dottrina spirituale.
Le virtù caratteristiche dello spirito vincenziano, secondo la Regola dei Missionari, sono le “cinque pietre di Davide”, cioè la semplicità, l’umiltà, la mansuetudine, la mortificazione e lo zelo per la salvezza delle anime.

La morte, patronati
Il grande apostolo della Carità, si spense a Parigi la mattina del 27 settembre 1660 a 79 anni; ai suoi funerali partecipò una folla immensa di tutti i ceti sociali; fu proclamato Beato da papa Benedetto XIII il 13 agosto 1729 e canonizzato da Clemente XII il 16 giugno 1737.
I suoi resti mortali, rivestiti dai paramenti sacerdotali, sono venerati nella Cappella della Casa Madre dei Vincenziani a Parigi.
È patrono del Madagascar, dei bambini abbandonati, degli orfani, degli infermieri, degli schiavi, dei forzati, dei prigionieri. Leone XIII il 12 maggio 1885 lo proclamò patrono delle Associazioni cattoliche di carità.
In San Pietro in Vaticano, una gigantesca statua, opera dello scultore Pietro Bracci, è collocata nella basilica dal 1754, rappresentante il “padre dei poveri”.
La sua celebrazione liturgica è il 27 settembre.

Autore: Antonio Borrelli
 


 

Da guardiano di maiali diventa ministro di una nazione. Il suo nome è Vincent de Paul, in italiano Vincenzo de’ Paoli. Nasce a Pouy in Guascogna, Sud Ovest della Francia, il 24 aprile 1581, in una famiglia di poveri contadini. Vincenzo sogna di vivere nell’agiatezza. Un giorno la fortuna bussa alla porta del piccolo Vincenzo mentre è intento, scalzo e con poco cibo, a governare i maiali. Un ricco avvocato nota la sua intelligenza e gli paga gli studi perché diventi prete. Vincenzo corona il suo sogno, il suo tenore di vita migliora e desidera seguire la carriera ecclesiastica.
Nel 1600 diventa sacerdote. Tuttavia un giorno qualcosa accade dentro il suo cuore: sconvolto dalle guerre, dalle carestie e, soprattutto, dalle sofferenze patite dalla povera gente, Vincenzo non pensa più a se stesso. Si dedica anima e corpo a diseredati, vecchi, ammalati, affamati, ex carcerati; anche ai pazzi che all’epoca venivano messi alle catene: nel loro volto vede Gesù. Troppe partorienti e troppi neonati muoiono per la mancanza di igiene e cibo. I bambini chiedono l’elemosina, vengono abbandonati, venduti, sfruttati. I ricchi marchesi Gondi lo aiutano. Vincenzo ha contatti pure con importanti personaggi come i ministri Richelieu e Mazzarino ai quali chiede di porre fine alle battaglie interminabili del Seicento.
Il prete, grazie alla “Divina Provvidenza”, moltiplica le sue attività di carità. Nel 1625 organizza gruppi di laici per servire i poveri, dando vita alla Congregazione della Missione (lazzaristi) e nel 1633 fonda le Figlie della Carità con Luisa de Marillac (futura santa), per dare dignità alla donna relegata dentro le mura domestiche e per offrire assistenza a domicilio presso le famiglie più povere. Nel 1634 istituisce l’Hotel Dieu (un ospedale), per assicurare assistenza agli orfani e agli ex carcerati.
Vincenzo de’ Paoli viene, poi, nominato “Ministro della Carità” della Francia e si impegna per aiutare i poveri di tutta la nazione. Le sue confraternite o “Conferenze” come vengono chiamate, si diffondono in ogni Paese del mondo, anche in Italia. Ancora oggi, in ogni nostra città, esiste una sede della “San Vincenzo” che dona ai poveri pacchi di cibo e vestiti. Vincenzo si spegne all’età di 80 anni a Parigi il 27 settembre 1660. Protegge carcerati, diseredati, orfani, Enti di carità.


Autore: 
Mariella Lentini

AMDG et D.V.MARIAE

lunedì 7 ottobre 2019

NON DIMENTICHIAMOLI

Da alcune «Lettere e conferenze spirituali» di san Vincenzo de' Paoli, sacerdote
(Cfr. lett. 2546, ecc.; Correspondance, entretiens, documents, Paris 1922-1925, passim)


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Servire Cristo nei poveri

Non dobbiamo regolare il nostro atteggiamento verso i poveri da ciò che appare esternamente in essi e neppure in base alle loro qualità interiori. Dobbiamo piuttosto considerarli al lume della fede. Il Figlio di Dio ha voluto essere povero, ed essere rappresentato dai poveri. Nella sua passione non aveva quasi la figura di uomo; appariva un folle davanti ai gentili, una pietra di scandalo per i Giudei; eppure egli si qualifica l'evangelizzatore dei poveri: «Mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio» (Lc 4, 18).



Dobbiamo entrare in questi sentimenti e fare ciò che Gesù ha fatto: curare i poveri, consolarli, soccorrerli, raccomandarli.



Egli stesso volle nascere povero, ricevere nella sua compagnia i poveri, servire i poveri, mettersi al posto dei poveri, fino a dire che il bene o il male che noi faremo ai poveri lo terrà come fatto alla sua persona divina. Dio ama i poveri, e, per conseguenza, ama quelli che amano i poveri. In realtà quando si ama molto qualcuno, si porta affetto ai suoi amici e ai suoi servitori. Così abbiamo ragione di sperare che, per amore di essi, Dio amerà anche noi.



Quando andiamo a visitarli, cerchiamo di capirli per soffrire con loro, e di metterci nella disposizione interiore dell'Apostolo che diceva: «Mi sono fatto tutto a tutti» (1 Cor 9, 22). Sforziamoci perciò di diventare sensibili alle sofferenze e alle miserie del prossimo. Preghiamo Dio, per questo, che ci doni lo spirito di misericordia e di amore, che ce ne riempia e che ce lo conservi.



Il servizio dei poveri deve essere preferito a tutto. Non ci devono essere ritardi. Se nell'ora dell'orazione avete da portare una medicina o un soccorso a un povero, andatevi tranquillamente.



Offrite a Dio la vostra azione, unendovi l'intenzione dell'orazione. Non dovete preoccuparvi e credere di aver mancato, se per il servizio dei poveri avete lasciato l'orazione. Non è lasciare Dio, quando si lascia Dio per Iddio, ossia un'opera di Dio per farne un'altra. Se lasciate l'orazione per assistere un povero, sappiate che far questo è servire Dio. La carità è superiore a tutte le regole, e tutto deve riferirsi ad essa. È una grande signora: bisogna fare ciò che comanda.



Tutti quelli che ameranno i poveri in vita non avranno alcun timore della morte. Serviamo dunque con rinnovato amore i poveri e cerchiamo i più abbandonati. Essi sono i nostri signori e padroni.

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AMDG et DVM

giovedì 19 luglio 2018

Preghiera e accoglienza...



Vincenzo de' Paoli, nato a Pony, nella Guascogna, fin da fanciullo mostrò una grande carità verso i poveri. Passato dal pascolo delle pecore del padre allo studio delle lettere, e in seguito ordinato sacerdote, cadde nelle mani dei Turchi, che lo condussero schiavo in Africa. 
Ma avendo ivi convertito a Cristo lo stesso suo padrone, fuggì e ritornò in Francia. Nelle parrocchie affidategli e in seguito nelle galere si dedicò indefessamente alla salvezza delle anime. 

Resse con la massima prudenza per circa quarant'anni le religiose della Visitazione. Istruire i poveri, specie della campagna, fu la sua incessante preoccupazione fino alla vecchiaia e obbligò con un voto perpetuo confermato dalla santa Sede particolarmente a quest'opera apostolica sia se stesso e sia i membri della congregazione, che aveva istituito sotto il titolo di Preti secolari della Missione. 

Fondò molte congregazioni per la ricerca e il sollievo dei diseredati e per l'educazione delle giovani. 
Finalmente, consunto dalle fatiche e dalla vecchiaia, nell'anno 1660 placidamente si addormentò nel Signore. 
Per la popolarità dei miracoli Clemente XII lo iscrisse tra i santi, e Leone XIII lo dichiarò e stabilì speciale patrono presso Dio di tutte le congregazioni di carità esistenti nel mondo cattolico e da lui in qualsiasi modo derivate.

V. E tu, o Signore, abbi pietà di noi.
R. Grazie a Dio.



Onore… lode e gloria a te… o beato Vincenzo
che della Carità sei baluardo e stendardo prezioso.
O Vincenzo amatissimo…
prega per gli uomini tutti che non hanno più Carità.
E’ la Carità la virtù più apprezzata dal Padre Celeste.
Non si dimentichi mai l’operato tuo santo.
Che sia d’esempio continuo il tuo fare nel Mondo
ove purtroppo manca Carità.
O Vincenzo… patrono amoroso dei bisognosi tutti
istruisci i tuoi figli alla preghiera concreta
che si attualizza con le opere pie.
Preghiera e accoglienza da sempre sono…
il lasciapassare per il Paradiso.
Beato Vincenzo… prega per noi. Amen”
3.3.2001-hs 3.30-G







AMDG et DVM

venerdì 27 ottobre 2017

VIVA LA FEDE !

VITA INFELICE DI UN NOVELLO APOSTATA


Contritio et infelicitas in viis eorum.
Nelle loro vie è afflizione e calamità.
SALMO 13, v. 3.

TORINO, 1853
TIPOGRAFIA DIR. DA P. DE-AGOSTINI
Via della Zecca, N. 23, casa Birago. {1 [181]} {2 [182]}
 [è premesso alle opere dubbie]

INDEX
Prefazione
CONVERSAZIONE I. Perdita della tranquillità della mente.
CONVERSAZIONE SECONDA. Perdita della pace del cuore.
CONVERSAZIONE TERZA ED ULTIMA. Perdita della buona riputazione.
Esempio di un apostata della città di Nizza, ritornato alla Cattolica religione, per lo zelo di s. Vincenzo de' Paoli


Prefazione


                Quest'operetta ha per oggetto il disingannare quei Cristiani Cattolici, che in questi sgraziati tempi si lasciano strascinare al protestantismo; e siccome la maggior parte di essi saranno forse pur troppo giovani sconsigliati, ed inesperti, così di questi particolarmente si fa qui il ritratto con un ragionamento al tutto semplice e famigliare.
                Vi si parla poi di un Apostata novello, di chi cioè rinunziò alla Chiesa Cattolica Romana da poco tempo, perchè chi ne è vecchio protestante, per la cecità della mente, e durezza del cuore, è difficile, che conosca, e senta lo stato infelice in cui si trova. {3 [183]}
                Voglia Dio far discendere la sua benedizione su queste poche linee, onde qualche frutto producano in quelli fra i giovani, che avranno la pazienza di leggerle, e leggerle con intenzione di conoscere l'errore, in cui caddero; affinché se ne allontanino, e stiamo fermi nella fede della loro Madre Santa Chiesa, fuori di cui non v'è salvezza, e la quale colle braccia aperte ansiosamente li attende. Così sia. {4 [184]}


CONVERSAZIONE I. Perdita della tranquillità della mente.


                Apostata. Non sono ancora che pochi mesi dacché non vi ho più veduto, o mio buon amico, eppure sembrami già scorso un secolo; tanto cara mi è sempre stata la vostra amicizia.
                Amico. Vi ringrazio di cuore di sì gentili vostre espressioni, o dilettissimo mio; ed anche a me, credete pure, diede non poca pena. Ma e qual è mai il motivo, per cui ora venite nuovamente a ritrovarmi, dopo di avermi lasciato per abbracciare dottrine e massime sì contrarie alle mie, perche empie ed anticattoliche? Vi assicuro, che l'essere voi stato per tutto questo tempo lontano da me mi diede molta pena, ma molto più mi crucia il vedervi in braccio all'errore e alla falsità.
                Ap. Nulla a voi voglio celare; vengo anzi, vi dirò candidamente, appunto per esternarvi le pene che provo nell'avere fatto tal passo, e ricevere quindi da voi, più provetto di me, sollievo ed aiuto.
                Am. Oh! Se la cosa e così, veniteci {5 [185]} pure volentieri, che io vi accolgo colla massima consolazione e gioia; e non temete, che sarà mio impegno di apportarvi tutto quel conforto, di cui io posso esser capace. Sedetevi qui; e parlate pure liberamente.
                Ap. Comincio a dirvi, che la mia mente e così conturbata per insulsi principii e dottrine a me insegnate, che non posso più trovare riposo nè giorno nè notte. Immaginatevi! mi si vuol far credere primieramente, che la Chiesa Cattolica non ha mai ricevuto da Gesù Cristo l'autorità d'interpretare la Sacra Scrittura, ma che la parola di Dio scritta può ognuno spiegarla secondo il privato suo sentimento, e giudicarne secondo che gli pare; ond'è che tra i protestanti, chi insegna una cosa, e chi un'altra; la stessa dottrina da uno è creduta vera, dall'altro falsa; lo stesso testo della Sacra Scrittura questi l'intende in un senso, e quegli in un altro affatto contrario. Ma se è così, io dico, essendo una sola la verità, e d'altronde tanto diversa la maniera di pensare degli uomini, come mai potrà quella riconoscersi ed abbracciarsi? Vi assicuro, che da tale labirinto non so come cavarmene; e quindi l'animo mio non gode più la primiera tranquillità. {6 [186]}
                Am. Vi compatisco, fratello dilettissimo, in queste vostre angustie di spirito; ma se tali nuovi insegnamenti li trovate voi stesso falsi ed assurdi, e perche li abbracciaste, e perchè ora almeno non li rigettate?
                Ap. A dirvela col cuore sulle labbra, si è perchè nemmeno ancor posso intendere, come veramente la Chiesa, che è pur composta d'uomini miserabili come gli altri, e capaci d'ingannarsi, abbia ricevuto da Dio l'incarico di spiegare ai fedeli la Divina Scrittura e possa essere infallibile ne'suoi insegnamenti.
                Am. Voi dunque ignorate, che essa sia stata detta nella Sacra Scrittura colonna e firmamento della verità; che alla medesima Chiesa Gesù Cristo abbia promesso l'assistenza dello Spirito Santo, acciocchè non possa errare; e che egli abbia dato particolarmente a S. Pietro, e nella sua persona a tutti i Romani Pontefici, suoi successori, il potere, anzi il comando di rinfrancare gli altri nella fede, e quindi d'interpretare loro la Sacra Scrittur a, e loro far conoscere le verità, che in esse si contengono, e tenerli lontani dagli errori, in cui incorrono quelli, che, confidando ne'proprii lumi, con questi soli {7 [187]} di scorta si fanno a leggere e a interpretare la parola di Dio scritta.
                Ap. No; non ignoro punto tali cose, ma perchè nella stessa Chiesa Cattolica s'insinuano tante superfluità, che non vengono sicuramente da Dio, e non sono quindi che opera dell' uomo, da cui si conosce essersi introdotte? Io perciò non posso alla medesima aderire pienamente, e ne sono conturbato.
                Am. Superfluità? E quali sono elleno mai queste cose, che voi dite superflue, quasichè la Chiesa abbia dato luogo a cose inutili, non suggerite da Dio nelle Sacre Carte, o almeno non conformi al suo spirito, e non giovevoli all'uomo?
                Ap. Per esempio: il culto esteriore, la vigilia e il digiuno in certi giorni, il numero settenario dei Sacramenti, la venerazione delle statue ed immagini, e simili, non sono elleno cose tutte queste, su cui Gesù Cristo nulla pressoché dispose, e la Chiesa sola, i Papi, i Vescovi introdussero di proprio talento, e diressero con istruzioni, e leggi particolari? Ecco il perchè, sostengono i protestanti, doversi stare al puro Vangelo, e così troncarsi tutte queste superfluità indegne d'un Dio sì grande ... {8 [188]}
                Am. Sono dunque queste le cose, che voi chiamate superflue, ed opera solo dell' uomo? Dio buono! che abbaglio prendete voi mai!
                Orsù ditemi le ragioni, per cui ne portate questo giudizio, ed io ve ne mostrerò l'insussistenza, e vi caverò così d'inganno.
                Ap. Il culto esteriore si crede superfluo, perchè Dio è puro spirito, e, come dice lo stesso Vangelo, dee essere adorato soltanto in ispirito e verità. Della vigilia e del digiuno non se ne fa neppure parola nella Sacra Scrittura; tra i Sacramenti parimente ve ne sono di quelli, di cui in essa non vi e cenno; e così finalmente riguardo alla venerazione delle statue, pitture ed immagini divote. Che anzi questa pratica sembra proibita nell'Antico Testamento, siccome quella, che s'avvicina all'empio delitto dell'idolatria, onorandosi per essa il sasso, il legno, la carta, la tela, di cui sono quelle formale, o su cui sono dipinte.
                Am. Non avrei mai creduto, che cadeste in sì grossolani errori. Mi fate veramente compassione.
                Ap. Eh! di grazia non dite così, o mio caro amico, poiche, sin da principio vi {9 [189]} protestai, che voleva confidarvi tutte le interne pene, che mi cagionano tali dottrine, appunto per riceverne da voi lume e indirizzo.
                Am. Ebbene: sentite le mie risposte, e spero, che vi convinceranno di tante falsità. Cominciamo dal culto esteriore. Di che siamo noi composti? Forse solamente d'una sostanza spirituale, qual è l'anima, o non altresì d'una sostanza materiale, che è il corpo? Ma se Dio e Creatore e Padrone dell'anima nostra e del nostro corpo parimente, perchè mai l'una e l'altra di queste due nostre sostanze, la spirituale cioè, e la materiale, non dovrà onorarlo, prestando alla sua divina Maestà e grandezza infinita tutto quel culto interno ed esterno, di cui ciascuna di essa e capace? E non è la ragione stessa naturale, che ci detta esser ciò più che giusto e doveroso? Nè serve l'opporre, che Gesù Cristo ha detto doversi Dio onorare in ispirito e verità, poichè questo avviso riguarda quelli soltanto, i quali non uniscono al culto esteriore anche l'interno omaggio del cuore, essendo il primo da sè solo pressochè inutile; ond'è, che il Divin Redentore rimproverava di tal vizio gli stessi Ebrei. {10 [190]}
                Che se questa spiegazione non vi basta, riflettete alla circostanza, nella quale Gesù Cristo disse tal cosa. Voi già il sapete, che quelle parole furono indirizzate alla Samaritana, allorquando essa gli disse, che, secondo l'insegnamento dei suoi padri, Iddio dovevasi adorare soltanto in un certo monte e luogo determinato, ed egli rispose, che in appresso si sarebbe potuto adorare ovunque in ispirito e verità. Sicchè queste parole del Salvatore non sono punto contrarie al culto esterno. E tanto è vero, che, come ci racconta la stessa S. Scrittura, lo praticò S. Pietro, piegando, come dice egli stesso, avanti a Dio le sue ginocchia; lo praticò S. Giovanni, che con essolui entrò nel tempio di Gerusalemme a pregare; e per tacere degli altri Apostoli, lo praticò un S. Stefano Protomartire, che colle ginocchia piegate pregò per gli stessi suoi lapidatori, e così continuarono a praticare tutti i successori degli Apostoli e dei fedeli della primitiva Chiesa. Leggete la Storia Ecclesiastica, e ve ne persuaderete; che anzi leggete solamente la liturgia dei protestanti, e vedrete che mentre essi gridano contro al culto esteriore dei cattolici, {11 [191]} essi ne hanno grosse liturgie, colla differenza, che le cerimonie, i riti e il culto de'protestanti per lo più sono insignificanti e contraddittorii, e presso ai cattolici nulla si usa che non significhi e richiami a memoria del cristiano, qualche verità contenuta nella Bibbia[1].
                Ap. Benissimo; queste ragioni mi vanno veramente a sangue, e non so più che opporvi. Sentirò perciò ora con piacere le prove a sostegno della vigilia e del digiuno. Di quest'obbligo almeno credo che nulla se ne dica nelle sacre pagine; e poi, che importa mai a Dio, che noi mangiamo più o meno, e che usiamo più di questo o di quell'altro cibo; purchè non eccediamo contra la temperanza e sobrietà? E non è Dio stesso, che dichiarò l'uomo padrone di cibarsi anche delle carni degli animali a suo beneplacito? E il Vangelo non dice anzi, che quel che entra per la bocca, non macchia punto l'anima nostra? Non è dunque cosa giusta l'obbligare alla vigilia ed al digiuno.
                Am. Concedo, se così volete, che nella Sacra Scrittura non vi sia espresso l'obbligo del digiuno, ma dovreste sapere, {12 [192]} che in essa sta scritto, come il Divin Salvatore disse, che un tal genere di demoni non si può scacciare, se non per mezzo dell'orazione e del digiuno: che disse, non doversi far sembianza di tristezza, quando si digiuna, correggendo così un difetto del digiuno non proscrivendolo; che inoltre in tanti luoghi dell'antico testamento, il digiuno è prescritto, o raccomandato, e che il Divin Salvatore e gli Apostoli altamente inculcarono spesse volte la mortificazione. Oltracciò un'altra menzione del digiuno si riscontra in quelle parole, colle quali Gesù Cristo disse, che quando lo sposo della Chiesa, cioè egli stesso, non fosse più stato quaggiù, i fedeli avrebbero digiunato, ma non prima[2]. Dopo tutto ciò ditemi in vostra fede: e gli esempi di Gesù Cristo non si debbono da noi imitare? E non ha egli digiunato rigorosamente là nel deserto per 40 giorni e 40 notti? E prima di lui non ha anche digiunato il profeta Elia, ed altri ancora? Dunque nella Scrittura si fa più volte menzione del digiuno. Parlando poi particolarmente {13 [193]} del digiuno quaresimale sono gli stessi Apostoli che l'hanno instituito, come affermano i Ss. Padri, pel vero nostro bene e spirituale e anche corporale, come dice la Chiesa stessa, e lo confermano gli stessi Dottori di medicina. Se si tratta poi degli altri digiuni, che furono dalla Chiesa stabiliti, egli è certo che la Chiesa poteva ciò fare stante la facoltà, che ne ricevette da Gesù Cristo stesso, allorchè promise di reggere la società dei fedeli, come un principe governa la società civile. Ma voi dite specialmente riguardo all'astinenza delle carni, esser ciò opposto a quanto disse Gesù Cristo, cioè non macchiare l'anima qualunque cibo entri nella nostra bocca: falso, falsissimo. Il senso vero e genuino di queste parole dei Redentore si e che il cibo per se stesso e cosa indifferente, all'opposto delle parole che escono dalla nostra bocca, le quali, se buone, arricchiscono l'anima nostra, e se cattive la macchiano. Non dice dunque, che non sia male l'usare del cibo quando è vietato. E in verità, anche il frutto dell'albero della vita, che v'era in mezzo al paradiso terrestre, era per se stesso una cosa indifferente; eppure, perchè proibito, qual danno arrecò a'nostri progenitori {14 [194]} per averlo gustato, e dopo di essi anche a tutti noi? Ah! Riflettete di grazia, che colla vigilia e digiuno facciamo penitenza dei nostri peccati, come ce ne diedero esempio tutti i Santi ci prepariamo a ben celebrare le maggiori solennità, e poi con queste astinenze mortifichiamo le recalcitranti nostre passioni. Il motivo poi per cui Dio nella legge scritta dichiarò l'uomo padrone di cibarsi delle carni, sarà forse perchè da principio nella legge di natura questa sorta di cibo gli era vietato, essendo stato a que'tempi l'ordinario nutrimento, e bevanda dell'uomo il pane, le erbe, e l'acqua, come in essa medesima si legge; e questo, come vedete, fa piuttosto contro di voi. Non è così?
                Ap. Basta, basta; veniamo ora a parlare dei Sacramenti. Tra questi, i protestanti rigettano specialmente la Penitenza, ossia la confessione auricolare, perchè troppo umilia l'uomo il dover manifestare ad un altro uomo i suoi più secreti pensieri ed azioni; e quanto all'Eucaristia non possono credere alla real presenza di G. C. nell'ostia, quindi interpretano le parole di G. C. in modo mistico e figurativo. Prego or voi a sciogliermi {15 [195]} queste difficoltà, e così cavarmi da tali interne dubbiezze.
                Am. Che i Sacramenti siano sette ne più ne meno, è un articolo di fede definito dal Concilio di Trento; e dalla Sacra Scrittura stessa si traggono le prove dei medesimi, le quali abbiamo anche dalla Tradizione apostolica, che e altresì parola di Dio, e si trovano pure presso tutti gli eretici usciti dalla Chiesa prima del secolo decimosesto. Giacchè però voi mi parlate solo di due, io risponderò alle sole difficoltà risguardanti i medesimi. Riguardo all'istituzione del Sacramento della Penitenza ne sono chiare le parole, colle quali G. C. diede a S. Pietro, e quindi agli altri Apostoli, e nella loro persona a'suoi successori, ministri della Chiesa, la podestà sovrumana di rimettere e ritenere le colpe degli uomini; ora perchè essi possano conoscerle, e giudicare, se siano colpe da rimettersi o non rimettersi, uopo è che per mezzo della confessione lor siano manifestate. Di qui è, che la stessa Scrittura esorta espressamente ognuno di noi a confessare i nostri peccati; e ben si sa, che già sin dai primi tempi della Chiesa si facevano tali confessioni sacramentali benché {16 [196]} non sempre in secreto, ma spesso in pubblico, ricevendone poi, ed esigendone anche pubbliche le penitenze. Ora, posto ciò, a che serve mai il dire che è cosa umiliante il confessarsi? Se è G. C. che lo stabilì, se ciò e necessario per ottenere il perdono da Dio de'nostri peccati, quindi ricuperare il diritto perduto alla gloria di Dio, quand'anche costi alquanto, e vi ripugni l'amor proprio, uopo però è eseguirlo.
                Altronde mentre i protestanti gridano contro la confessione auricolare, vi fanno un mistero, e non vi lasciano facilmente conoscere le umilianti confessioni ch'essi fanno fare a coloro, che cadono in certi peccati: confessione non auricolare, non ad un solo, ma a molti, ma pubblica, coi più amari rimproveri, in faccia ad una moltitudine di gente[3].
                Sebbene è assolutamente falso, che debba considerarsi cosa tanto umiliante il confidare le proprie miserie ad uno, che in sostanza è della stessa nostra creta, può investirsi, e deve compatire alle {17 [197]} debolezze altrui, essendo egli stesso circondato da infermità; oltrechè in quel tribunale rappresenta Dio medesimo, cosicchè quanto ascolta, non lo sente come uomo, ma come Dio; onde può benissimo, anzi dee dire, che nulla sa delle cose a lui confessate, essendo queste coperte da tre gravissimi sigilli, naturale, cioè, divino ed ecclesiastico; per cui il confessore deve tacere quanto sente in confessione anche a costo della vita, come fece San Giovanni Nepomuceno martire. Al checoncorre la stessa Provvidenza di Dio, essendo certo che neppure in caso di demenza nel confessore, giammai si palesarono cose udite in questo gran tribunale. Del resto, volete che io ve la dica chiara: gli eretici osteggiano la confessione, non già perchè lor cagioni rossore il manifestare le proprie colpe, mentre anzi in pubblico si gloriano dei loro disordini e peccati anche più vergognosi; ma perchè questa si oppone allo stesso loro libertinaggio. Quanto alla SS. Eucaristia, che Gesù C. instituì nell'ultima Cena Pasquale fatta co'suoi Apostoli, a'quali (e per essi a tutti i sacerdoti ) diede l'altra sorprendente autorità di consacrare il suo corpo e sangue sacratissimo; un sol riflesso dee {18 [198]} bastare per convincervi della real sua presenza nel medesimo Sacramento; ed è, che quando lo insegnò agli altri suoi discepoli, essi ne restarono scandalizzati, non potendo capire come egli potesse dare a mangiare il suo corpo e a bere il suo sangue. Non per questo Gesù Cristo mutò linguaggio, ma confermò il già detto, e il senso in cui i discepoli l'avevano inteso, e piuttosto che secondarli nei loro pensamenti, li lasciò partire da sè. E non ne diede egli stesso delle prove facendosi talvolta vedere nell'ostia consacrata, come già ai tempi di S. Luigi, Re di Francia, oltre l'ardor di carità che dalla comunione ricevettero S. Filippo Neri, San Tommaso d'Aquino, Santa Teresa di Gesù, e tanti altri Santi?
                Ap. Pure non so capire, come con due sole parole d'un uomo contro a tutte le regole della natura si possa annientare totalmente la sostanza del pane conservandone le sole specie, ed esteriori apparenze del colore, gusto e forma, e sotto le medesime, vi sottentri l'umanità sacrosanta di G. C.
                Am. Ma e il modo con cui G. C. cambiò già l'acqua in vino nelle nozze di Cana Galilea, lo capite voi? Che più? {19 [199]}
                Potete voi comprendere, come Dio dapprincipio abbia creato, cioè, cavato dal niente, il sole, la luna, le stelle, la terra, il mare, gli animali e quanto vi è in tutto l'universo? E se ciò fece, volete dubitare, che possa operare il gran portento della transustanziazione del pane, e del vino nel Corpo, e Sangue suo preziosissimo? E ciò non volete credere, perchè non lo capite? Credete voi forse soltanto quel che potete intendere? Spiegatemi un po', se vi sentite, il modo, con cui l'anima vostra vi fa muovere la lingua, gli occhi, le mani, e spiegatemi come una piccola semente gettata sotto terra, poco tempo dopo, esce cambiata in una spiga, nella quale essa si moltiplica in tanti altri grani? Eppure negar questo, egli è negar l'evidenza. V'ingannate poi nel dire, che le parole della Consacrazione sono parole dell'uomo, poichè, sebbene siano propriamente da esso proferite, sono però proferite a nome di G. C. stesso, di cui il Sacerdote non è che un puro istrumento. Infatti in tutto il resto della celebrazione della Messa il Sacerdote parla sempre in nome proprio, ma giunto alla consacrazione parla a nome di Gesù, dicendo non {20 [200]} già questo e il Corpo di Gesù, ma bensì questo e il Corpo mio.
                Ap. Io non avrei più nulla ad opporre a questi vostri ragionamenti, ma perchè l'ora si fa tarda ditemi presto qualche cosa sulla venerazione delle Statue, ed immagini divote. Io ho sentito a dire, che Dio proibì tal cosa nel Levitico, o Deuteronomio, per essere ciò una vera idolatria.
                Am. Sappiate, che questo errore fu adottato già da certi eretici, che si chiamano Iconoclasti, perchè abborrivano l'uso dei quadri divoti sopra gli altari. Ma oh! quanto insulsamente. Imperocchè noi non veneriamo già il materiale del quadro, della pittura, della statua, come fanno gli idolatri, che così li adorano quali veri loro Dei, perchè allora sicuramente cadremmo anche noi nello stesso enorme peccato dell'idolatria, che è quello appunto, da cui Dio volle tener lontano il popolo Ebreo col proibirgli a tal fine di formarsi statue di legno, o di pietra per venerarle. Noi cattolici veneriamo in que'segni esterni Iddio, od i suoi servi, che in esse ci sono rappresentati e richiamati alla memoria, e così da esse prendiamo occasione di presentar loro l'omaggio del nostro {21 [201]} cuore. Non è dunque diretto il nostro culto alla cosa materiale, che abbiamo sotto gli occhi, ma bensì a Dio, a Maria SS.ma, ed ai Santi del Cielo. E che ciò possa riaccendere in noi la pietà, chi ne dubita? Chi vede una croce, come può non pensare a Gesù morto per noi, e quindi adorarlo in essa? Vedendo un'immagine di Maria, che accarezza il suo Gesù, si sente subito nel cuore un impulso a raccomandarsi a Lei, onde lo preghi per noi. Così vedendo dipinto il martirio di un Santo, d'una santa non è forse cosa naturale il prendere motivo d'imitarne il coraggio nel soffrir tutto per Dio, e quindi invocarlo, onde ce ne ottenga da Dio la grazia? Ed ecco in qual senso, e con quale spirito ed intenzione inculca il Catolicismo a'suoi seguaci di venerare le divote immagini e statue; la quale pratica lo stesso Concilio di Trento dichiarò utilissima alle anime. Ciò resta pur comprovato esser anzi di aggradimento a Dio, mentre da tante statue, e pitture specialmente di Maria SS. si operarono singolari prodigi a favore degli ammalati, che divoti ricorrevano con confidenza a quella gran vergine venerata in questo, o in quell'altro celebre {22 [202]} santuario, come ci narrano molte veridiche istorie.
            Ap. Sono veramente contento di sentire ragioni così sode in prova di questa verità. Io depongo ogni mio dubbio a questo proposito; siccome pure sono pienamente convinto di quanto più sopra mi spiegaste. Vi assicuro, amico mio carissimo, che tali vostre spiegazioni mettono assai bene in tranquillità il mio spirito; ve ne ringrazio di cuore, riservandomi però, se me lo permettete, di ritornar dimani a ricrearmi così utilmente secovoi, e palesarvi altri miei timori, e chi sa, che alla fin fine mi risolva di abiurare gli errori, che abbracciai!
            Am. Se voi siete contento, io lo sono doppiamente. Veniteci pure nuovamente a quest'ora medesima, che io vi attendo con gran piacere. Vi auguro intanto buona notte.
            Ap. Buon riposo anche a voi. A rivederci. {23 [203]}


CONVERSAZIONE SECONDA. Perdita della pace del cuore.


            Apostata. Voi ben sapete, amico mio dilettissimo, che chi non gode la quiete del suo spirito, nemmeno può godere la pace del suo cuore. Or ecco dunque l'altro danno che io ebbi dall'aver rinunziato al Cattolicismo: il mio cuore è sempre inquieto, oppresso da timori, da rimorsi di coscienza, da spaventi.
            Amico. E qual è la causa di tali inquietudini e pene del vostro cuore? Spiegatevi.
            Ap. Io penso giorno e notte: Chi sa se mi salverò? Egli è ben vero, che i miei nuovi maestri mi assicurano, che anche nel Protestantismo vi è salute; pure il mio interno, la mia coscienza pare non potersi persuadere, che tanto in una quanto in un'altra Religione sì opposte possa ottenersi lo stesso fine. A questo contraddice la ragione: vie opposte non possono condurre allo stesso termine.

            Am. È proprio così: perchè una è la verità, come una la fede, un solo battesimo, {24 [204]} un solo Dio. Or bene, Iddio essendo la verità stessa e infinitamente santo, come può mai ammettere due religioni, una diametralmente opposta all'altra, e nell'insegnamento e nella dottrina e nella morale? Certo una delle due deve essere falsa, epperò rigettata da Dio. Già voi siete pienamente convinto, che la protestante racchiude delle contraddizioni, mentre fu lecito ad ognuno di ammettere quella fede, dottrina e morale, che più pare e piace. Che anzi lo stesso individuo, che oggi crede una cosa, domani può rifiutarla. E potria dunque essere, che una religione così tra se stessa opposta sia la vera, e che nella medesima si possa piacere a Dio e ottenere salute? È proprio cosi: fuori della Chiesa Cattolica non vi è salute, come già fuori dell'arca di Noè, che, a detta dei Ss. PP., ne era il simbolo, la figura, nessuno potè scampare dal diluvio universale. Vedete: il peccato di Adamo fu come un diluvio, che privò del diritto alla gloria del Paradiso tutto l'uman genere. Iddio, mosso a compassione di noi, mandò il suo divin Figliuolo a riscattarci dalla schiavitù del demonio; e per quelli che vogliono goder di sua redenzione, fondò {25 [205]} Gesù Cristo la sua Chiesa, cui affidò i suoi Sacramenti, che sono i mezzi, coi quali ci sono applicati i suoi meriti, affinchè ricuperiamo il diritto perduto alla gloria. Nella stessa guisa adunque, che un ammalato non può guarire, se non gli sono applicati i rimedi, così nemmeno noi, stando fuori della Chiesa di Gesù Cristo, non ne riceviamo i suoi benefici influssi, i suoi Sacramenti, i doni di Dio. Tutto ciò lo insegna lo stesso Vangelo, ove Gesù Cristo dice, che chi non ascolta la sua Chiesa, non ascolta lui stesso, e che dee essere considerato come un un gentile e pubblicano. Fuori di essa pertanto non vi è certamente salute. Ora, che spensieratezza si è lo eleggere di starne fuori? I Protestanti stessi dicono, che anche i Cattolici si salvano, e noi diciamo che essi non si salvano. Egli è dunque anche più prudente l'entrar nella Chiesa, e evitare così il pericolo, anzi la certezza, di perdersi standone fuori.
            Ap. È troppo giusto quello che voi dite; ma i Cattolici debbono rinunziare ai piaceri, ai divertimenti, menar una vita mortificata, penosa, molesta ...

            Am. Appunto da questo voi dovreste dedurre, che la religione che noi cattolici {26 [206]} professiamo, è la sola vera; perchè tendendo continuamente la natura nostra corrotta alle cose illecite e dannose all'anima nostra, e pregiudicevoli all'eterna salvezza, la religione col raffrenare i nostri appetiti scorretti, ci mette in grado di mantenerci saldi e forti nella virtù, e così di piacere a Dio, che ci dà la forza di farlo. Il motivo adunque, per cui vi siete fatto protestante si è di potervi dare più liberamente al bel tempo, sollazzarvi, e godervela insomma allegramente? Ebbene, questo è anche il motivo, per cui i pretesi Riformatori voltarono le spalle alla dottrina della Chiesa, ne scossero il giogo, e vi fabbricarono una Religione a lor capriccio, e secondo le loro passioni, onde soddisfarsi liberamente senza rimorso di coscienza, se l'avessero potuto ottenere. Leggete la vita e la morte di Lutero, Calvino, Valdo, Svinglio, e simili corifei della Riforma, e mi saprete dar contezza della verità.
            Ap. Ne ho già cognizione sufficiente per doverli dichiarare tutti viziosi e solenni impostori, che fingevano anche miracoli per accalappiare le persone semplici ed ignoranti, per trarle nella loro rete.

            Am. E non sapete anzi, che presentemente col danaro si cerca di trarre ai {27 [207]} loro errori quanti possono Cattolici, col pretesto di sollevarne le loro miserie?
           Ap. Io stesso ne fui alla prova; ne ebbi una buona mancia, che la conservo tuttora gelosamente.
            Am. Vergogna a colui che per pochi soldi vende l'anima al demonio! Povero voi, io compiango la vostra sorte, e temo, che per soprappiù già il vostro cuore sia anzi allacciato da qualche sozza catena ...
            
              Ap. A che serve il dissimularlo: con voi, come già dissi, ho niente di secreto: questa catena appunto è quella che mi tiene schiavo, e non mi permette di uscire dalla fossa, in cui sono caduto.
            Am. Mi cava amare lagrime dagli occhi la confidenza che mi fate. Io ne sono dolentissimo. Ma non perdetevi d'animo, siamo ancora in tempo di aggiustare ogni cosa. Mettetevi solamente con buona volontà ed il Signore ci aiuterà. Debbo però avvertirvi che se non vi fate animo ad uscirne bentosto, mentre siete giovine, non ne uscirete mai più; come appunto avvenne a quel famoso apostata Teodoro Beza, che, stimolato da S. Francesco di Sales con sodi ragionamenti a ritornar nella Chiesa, rispose, che conosceva i suoi errori, e voleva uscirne, ma non poteva, perchè l'amicizia {28 [208]} d'una giovane avvenente, che gli fe'perfìn vedere, glielo impediva. Vedete, o caro, se bisogna fidarsi di andar avanti colla speranza di poter col tempo ritornare addietro. Ve ne avverte lo stesso gran padre S. Agostino, che era pur caduto nell'eresia de'Manichei, e a cui per ritornare sul buon sentiero furono necessarii sforzi magnanimi, e una grazia straordinaria di Dio per rompere catene simili che l'avevano avvinto. Ora questa grazia tanto singolare chi mai può assicurarvi, che voi possiate ottenerla aspettando ancora? Per altra parte voi stesso confessate, che in questo vostro vivere non godete più pace; e perchè dunque?

            Ap. Ripeto, che mi rincresce assoggettarmi alle penitenze, umiliazioni e malinconie dei cattolici; la lor vita è troppo aliena dal mondo; non godono veruna allegrezza; ad essi la Chiesa prescrive troppe cose; io non ho più il coraggio di far una vita così miserabile.
            Am. Che dite voi mai? vita miserabile quella dei buoni cattolici cristiani? Fu ella veramente tale la vostra, quando voi eravate buon cattolico?

            Ap. A questa vostra dimanda bisogna, che mio malgrado risponda diversamente; {29 [209]} notate però, che io era allora assai giovine, e quindi non conosceva ancora le mondane allegrezze e soddisfazioni. Del resto in quel tempo io godeva veramente una gran pace. Amava gli esercizi divoti; mi consolavano le sante funzioni ecclesiastiche, al cui servizio anzi mi dedicava con piacere; la presenza dei sacri ministri mi era gratissima; ascoltava volentieri le prediche, le istruzioni, i catechismi, e passava le ore di libertà ed i giorni di vacanza scolastica nel gradito divertimento del canto e della musica, con qualche lieta passeggiata e partita con buoni compagni nella stessa casa de'miei o dei loro genitori. Ora all'opposto tutte queste cose le ho come in abborrimento; vedo con occhio torvo gli ecclesiastici; alle loro funzioni di rado intervengo, o, se mi vi trovo, è per vagheggiare qualche bellezza lusinghiera; amo le gozzoviglie, i discorsi liberi, e mi pascolo principalmente di libri che voi potete facilmente comprendere quali siano. Insomma ho cambiato totalmente sistema di vita, la quale, se non è contenta, è però tale, che non mi posso indurre a cambiarla per ritornare a certe pratiche religiose, le quali non fanno più per me. {30 [210]}
            Am. Ma ditemi di grazia; e quei compagni, co'quali voi vi divertivate così onestamente allora, hanno forse fatto tutti il passo, che faceste voi da una vita così lodevole e virtuosa ad una sì irreligiosa e viziosa?
            Ap. Oibò; appena alcuni di essi hanno seguito il mio buon esempio, o per dir meglio, il mio scandalo.
            Am. E quando ne incontrate qualcuno di quelli, che stettero saldi nel loro proposito di mantenersi sempre buoni cristiani e cattolici zelanti quali sono i sentimenti, che vi si desiano in cuore?

            Ap. Vedo proprio, che voi volete sapere tutti i più secreti nascondigli del mio cuore; ma via, voglio soddisfarvi: in tali incontri io invidio sempre la loro sorte; e dico fra me medesimo: oh! se potessi riacquistare la vera gioia e contentezza, che come essi godeva già anch'io!
            Am. Il credereste? Tutti questi pensieri, che vi si destano in tali circostanze, sono tanti lumi, inspirazioni ed inviti, che vi fa Iddio, onde a lui ritorniate, e guai a voi se continuate a disprezzarli, a resistervi!

            Ap. Io invece li considero come pensieri {31 [211]} molesti, li caccio via, cercando tosto altri compagni di mio conio, e cosi alla malinconia faccio seguire il giuoco, l'osteria, le geniali conversazioni, per liberarmi da quella noia.
            Am. Quante contraddizioni proferite voi mai stasera! Un momento dite, che la vita degli antichi vostri buoni amici era da voi invidiata; ed un altro momento dite, che il loro è un vivere malinconico e tristo. Ora soggiugnete, che il vostro cuore è sempre turbato, e poi affermate, che nei vostri disordini trovate ogni vostra soddisfazione. Con un ragionare
cosi contraddittorio come volete mai voi, che possiamo intenderci? Conchiuderò dunque questo nostro secondo trattenimento con rapportarvi la famosa sentenza del già lodatovi S. Agostino. Questo gran Padre di S. Chiesa, che già aveva gustato il mondo ed i suoi piaceri prima di entrare nel seno della Chiesa, sapete che cosa diceva, rivolto a Dio stesso? Noi, gli diceva, siamo creati per voi, epperciò il nostro cuore non potrà mai riposare, finché sta da voi lontano; e perchè ciò? Perchè tutte le cose di questo mondo non possono punto appagare i desiderii del nostro cuore, mentre esso {32 [212]} tende ad un bene vero ed infinito, e i piaceri, onori e ricchezze di quaggiù non sono che beni falsi e fugaci, non sono che vanità e afflizione di spirito, come li chiama la Santa Scrittura istessa; e poi alla fin fine bisogna lasciar tutto agli altri in punto di morte. E guai a chi aspetta a quel terribile momento a pensare all'eternità.

            Ap. Da quel che mi sembra voi volete ora farmi una predica. Io però da voi prendo sempre in buona parte ogni cosa; quindi, se mei permettete, ritornerò nuovamente da voi domani, giorno che mi resta ancor libero, per esporvi ancora l'ultimo mio dubbio ed afflizione che provo, dacché m'allontanai dalla cattolica religione.
            Am. Mi farete anzi gran piacere; ma ricordatevi, che tutti abbiamo da morire, e andando a dormire, vera immagine della morte, pensate che quanto è certa la morte, altrettanto ne è incerta l'ora in qualunque stato, età e circostanze noi ci troviamo.

            Ap. È pur vero, che a quel punto si vedono le cose nel loro vero aspetto e diversamente da quel che sembrano nel corso degli anni giovanili. Io ho fatto, tre anni or sono, una malattia assai pericolosa, e vi accerto che vicino alla morte {33 [213]} non m'inquietava, quand'anche avessi dovuto morire, perchè la mia coscienza nulla di grave mi rimproverava. Ma adesso ... basta ... dimani vi dirò il resto. Addio.
            Am. Riposate bene, mio caro amico.


CONVERSAZIONE TERZA ED ULTIMA. 

Perdita della buona riputazione.


            Ap. Eccomi fedele alla fattavi promessa di ritornare stasera a ripigliare le nostre conferenze. Non vorrei però disturbarvi dalle occupazioni, che voi ora avete.
            Am. Niente affatto; venite pure, già vi aspettava; e come avete passato la notte? Pranzaste poi anche con buon appetito? E ora come state?
            Ap. Mediocremente in tutto, perchè il pensiero, fittomisi nella mente ieri sera, della morte mi ha alquanto disturbato il riposo, come anche il pranzo.
            Am. Me ne rincresce di tutto cuore, se mai la vostra sanità ne avesse sofferto; per altra parte poi, che questo pensiero della morte vi abbia alquanto contristato, quasi ne godo, non già perchè siate stato contristato, ma perchè spero, che ciò vi sarà principio di conversione. {34 [214]}
            Ap. A dirvi il vero, mi fu di qualche utilità l'essermi internato alquanto in questa
gran verità, cioè che avrò da morire, e forse più presto di quel che penso.
            Am. Tale meditazione sicuramente è utile a chicchessia, e ancor più a chi si è allontanato dalla cattolica religione come faceste pur troppo voi.
            Ap. Appunto tale riflesso mi fece quasi determinare di abiurare la dottrina che abbracciai del protestantesimo, e ritornare al cattolicismo, da cui mi sono sgraziatamente allontanato.
            Am. Lode a Dio! Questa nuova mi fa tripudiare di gioia. Ma e quando ciò farete? Certo domani; non è cosi?
            Ap. Ho ancora una difficoltà, una pena, un dubbio.
            Am. E qual è? Ditelo subito, che io voglio sciogliervela immantinente; poiché io son nemico del ritardare.
            Ap. Io temo le dicerie del mondo, le fischiate de'miei compagni, i rimproveri de'miei correligionarii.
            Am. Voi dunque temete i rispetti umani; temete di perdere l'onore presso le persone mondane, presso i libertini; ma e che riputazione, godeste voi mai, dacché voltaste le spalle al caltolicismo? {35 [215]}
            Ap. Per verità l'aveva anzi perduta del tutto la buona riputazione, poiché è vero che io ora sono accollo con gentilezza dai miei nuovi compagni, ma gli altri mi hanno tutti abbandonato. Quelle famiglie distinte che dapprima frequentava, mi hanno bruscamente licenziato. Altri appena mi restituiscono il saluto. Un giorno trovandomi con alcuni miei simili a discorrere in sulla piazza, vidi personaggi distinti, che guardandomi da lungi sembrava che compiangessero il mio stato. Il mio zio sacerdote non vuol più che me gli presenti; persino i miei buoni fratelli e sorelle, i quali mi amavano teneramente, non vogliono più quasi neppure trattenersi meco. Voi sapete che io dapprima era sì amato dal cappellano, che sempre mi voleva seco alla passeggiata; ebbene adesso non mi guarda più nemmeno, il perchè io faccio lo stesso verso di lui. In una parola: tutte le persone onorale mi abbandonarono, siccome io ho abbandonato loro medesime. E che riputazione godo io mai presentemente? 0 per dir meglio, non l'ho io perduta intieramente? È come dunque potrò avere il coraggio di cambiare sentimenti e vita, e così farmi molleggiare dai compagni che ancor mi restano? {36 [216]}
            Am. Buon figlio! Quegli stessi riflessi, che vi trattengono, sono quelli medesimi, che secondo me devono farvi piu presto risolvere di ritornar alla Chiesa. Voi non ignorate certamente che il buon nome, la buona fama, e, come si chiama comunemente, la vera onoratezza è un bene, al dir della Scrittura stessa, più prezioso, che non tutto l'oro del mondo. Mentre dunque questo prezioso tesoro lo perdeste allontanandovi dal Cattolicismo, voi potete affrettarvi a ritornarvi anche per ricuperarlo, sicuro qual dovete essere, che quelli, i quali or vi compiangono perduto, si rallegreranno nel vedervi riacquistato. Non sapete, che per sentenza di Gesù Cristo stesso il ravvedimento di un peccatore rallegra tutto il Cielo, come il ritrovamento d'una pecora perduta cagiona una gran gioia al buon pastore, che nel riportarla all'amato suo ovile ne fa una gran festa co'suoi amici? Lo stesso accadrà al vostro ritorno alla Chiesa. Questa nostra tenerissima Madre vi accogliera colle braccia aperte; il suo ministro riceverà, consolatissimo, a suo nome la vostra abiura, assolvendovi dalle censure, in cui incorreste, e dai vostri peccati. E voi così ricupererete {37 [217]} la primiera vostra quiete di spirito, la pace del cuore e della coscienza, e con tali beni riacquisterete pur anco la buona riputazione presso tutti i vostri veri amici, conoscenti e parenti, i quali non cesseranno di darne lode a Dio, e secovoi rallegrarsi.
            Ap. Ma non potete negarmi, che molti altri mi taccieranno di traditore e sleale, e me ne faranno le fischiate.
            Am. Molti? No; pochi, anzi pochissimi, e per poco tempo, e questi tutti indegni di esser considerati; e per queste teste leggiere volete voi tralasciare di rimettervi sulla buona strada? E continuando voi sulla strada della perdizione sino alla morte, forse che essi andranno poi a liberarvi dall'inferno? E poi non sapete, che chi arrossisce di comparir cristiano, e confessar Gesù Cristo avanti gli uomini, sarà da lui rigettato, e arrossirà di riconoscerlo dinanzi al suo celeste Padre? Eh! che le dicerie del mondo guasto e corrotto sono uno spauracchio da non farne caso più che dei latrati di un cane, il quale, stanco di abbaiare, tace. Lasciate dunque, che chiunque vuol dileggiarvi, vi dileggi finché vuole, che poi alla finfine cesserà, pensando {38 [218]} per altra parte, che chi è perseguitato per la giustizia, è veramente felice e beato, al dir del Vangelo, e che prima di tutti, e più di tutti fu perseguitato lo stesso Gesù C.
            Ap. Ditemi ora ciò, che pensate del giuramento, cui mi obbligarono i ministri protestanti nell'atto, che mi ricevettero nella lor setta. Forsechè esso non è obbligatorio in coscienza? tanto più, che ne ricevetti un pegno? E se è così, come posso io mai violarlo senza mancar ad un si grave atto religioso?
            Am. Tenete per fermo, o mio caro, essere massima inconcussa presso i Teologi moralisti, che il giuramento non può mai essere un vincolo d'iniquità, onde è, che non obbliga, quando porta all'offesa di Dio. Ora, come può tenere il giuramento di non più rientrare nella vera religione Cattolica? Fareste dunque male, assai male, se voleste osservarlo. Quanto al pegno, che ne riceveste, se vi siete obbligato a restituirlo, in caso che abiuraste la setta, in cui vi ascriveste, restituitelo, se potete senza incorrere danni gravi; altrimenti, essendo un prezzo d'iniquità, io vi consiglierei ad impiegarlo in opere pie a pro dei poveri. Avete ancor altro? {39 [219]}
            Ap. Mi resterebbe la difficoltà delle penitenze, a cui forse la Chiesa mi assoggetterebbe per l'affronto e grave ingiuria, che le recai abbandonandola; massimamente se queste dovessero farsi in pubblico; oh! allora che vergogna per me, ove lo sapessero, e mi vedessero gli stessi miei compagni, che sto per lasciar per sempre!
            Am. Eh! non temete, poiché la Chiesa è una madre benignissima, la quale, se punisce, come è giusto, la diserzione de'suoi figli, lo fa sempre con tutta quella moderazione, che ne suggeriscono le circostanze. Quindi il prelato, che avrà la consolazione di ricevere la vostra abiura, e darvi l'assoluzione delle vostre colpe non vi prescriverà cose, che vi apportino eccessiva confusione, e ciò che v'imporrà, sarà priucipalmente diretto a riparare lo scandalo, di cui foste sgraziatamente cagione. E non è ciò più che giusto, e conveniente?
            Ap. In appresso non potrò più né frequentare i protestanti, né leggere i loro scritti, e libri?
            Am. Anzi fin d'ora dovete protestare di tenervi lontano mai sempre da tali compagnie, e letture, altrimenti quella buona {40 [220]} volontà, che concepiste per grazia di Dio di ravvedervi, svanirà, e voi sarete da principio.
            Ap. Per ora è impossibile, poiché, come ben sapete, io sono aggiustato da garzone in quel negozio mercantile, in cui vari vi sono che professano la setta dei Valdesi, e questo aggiustamento è ancora durevole per un anno intiero, dopo il quale appunto intendo di ritirarmene, e recarmi altrove, ove non siano tali compagnie, ed allora potrò liberamente rinunziare a tutto, e pensare a me ...
            Am. E per questi terreni motivi volete voi differire la vostra conversione a Dio?
            Ap. E che cosa dovrò dunque faro, se è dapprima necessario allontanarsi dai pericoli?
            Am. Se non potete assolutamente subito disimpegnarvi da quell'impiego; pazienza: ma quello che dovete praticare senza indugio si è, che tosto eseguiate il proponimento di ritornare alla Cattolica Chiesa, e poi trattenetevi quanto meno potete in quelle occasioni, e Dio vi aiuterà. Io però vi consiglierei di dar un taglio a tutto ciò a qualunque costo per assicurarvi di non ricadere.
            Ap. È presto detto il dar un taglio a {41 [221]} tutto; ma ahi! quanto dee riuscire doloroso! V'assicuro, che non avendo mai ancora confidato questa mia determinazione a nessun altro, che a voi, mi fa tremare al solo pensar di dovermi presentare a mio zio per significargliela, avendomi esso sgridato tanto, quando intese la mia diserzione. Per altra parte dove troverò nuovamente un impiego così lucroso, come quello, che or dovrei abbandonare?
            Am. Lo stesso vostro signor zio, che è un ecclesiastico stimato ed amato da tutti, dopo d'avervi ascoltato colla solita sua bontà, e d'essersi secovoi rallegrato vivamente della vostra conversione, vi suggerirà che cosa dovete fare, per eseguire prontamente e bene la vostra santa risoluzione, ed in appresso son certo che, avendo esso molte conoscenze anche in altri paesi e città, vi troverà facilmente altra forse più onorata occupazione. Coraggio, mio caro; andate a ritrovarlo fin di domani; palesategli ingenuamente la vostra intenzione, e volontà, e fate tutto quello, che esso vi dirà, che poi ne sarete contentissimo. Voi stesso confessate che in tale vostro stato non godete né quiete di spirito {42 [222]} né pace di cuore né verun principio di buona riputazione; io vi dimostrai come meglio seppi in tre distinte conferenze, che rientrando nella Chiesa Cattolica, da cui vi allontanaste, e risolvendo poi di vivere sempre da buon Cristiano, avreste riacquistato tali beni, e voi ne foste convinto per quanto mi sembra. Che altro vi resta, se non che metter mano all'opera? andate, vi ripeto, sin di domani per questo dal vostro buon zio, mettetevi nelle sue mani, e tutto si aggiusterà.
            Ap. Via; voglio ascoltarvi, troppo chiaro ne scorgo il mio vantaggio; non voglio più ritardare a procurarmelo. Frattanto nel congedarmi da voi vi rendo i ben dovuti miei ringraziamenti per le salutari lezioni, ed istruzioni, che mi favoriste in questi nostri confidenziali trattenimenti, pregandovi di raccomandarmi al Signore, da cui vi desidero ogni felicità. Amatemi, e riposate bene.
            Am. Abbracciamoci, o caro; e ricordatevi anche voi di me; io vi amerò sempre caramente nel Signore. Buona notte. Addio.

FINE {43 [223]}
 *

Esempio di un apostata della città di Nizza, 

ritornato alla Cattolica religione, 

per lo zelo di s. Vincenzo de' Paoli


            Le azioni e le virtù straordinarie praticale da S. Vincenzo de'Paoli il fecero con ragione nominare l'Apostolo della Francia. Non ci fu grado di persone, non qualità di miseria, non opera di carità, in cui quest'uomo maraviglioso non siasi segnalato.
            Noi qui vogliamo solamente riferire una delle molte conversioni da lui operate.
            Nelle incessanti occupazioni del sacro ministero, Vincenzo dovette recarsi a Marsiglia, donde s'imbarcò alla volta di Narbona, antica città di Francia. In questo cammino fu preso dai corsari, ossia ladri di mare, i quali lo vendettero schiavo a diversi padroni, e finalmente cadde nelle mani di un Nizzardo, dimorante a Tunisi, il quale aveva sgraziatamente abbandonato il caltolicismo per farsi maomettano. {44 [224]}
            Questo padrone impiegava Vincenzo ai lavori della terra, ed il Santo doveva naturalmente credersi assai lontano dal riacquistare la sua libertà; ciò nulladimeno era questo più vicino che noi pensasse; vale a dire per mezzo della conversione del suo padrone e della sua padrona. La moglie di questo era maomettana; ma scorgendo nella modestia e nella pazienza dello schiavo qualche cosa di grande, a cui non era assuefatta, andava frequentemente a vederlo alla campagna ove lavorava, e gli faceva mille dimande sulla religione de'cristiani, sui loro usi e sulle loro cerimonie. Un giorno gli comandò di cantare le lodi del Dio che adorava. Un uomo colmo dello spirilo de'salmi si rammentò senza pena di quelle commoventi parole dal dolore dettate a'figli d'Israele, allorché erano prigionieri in Babilonia, come era egli schiavo in Africa. Cantò il salmo Super flumina Babilonis, e poscia la Salve Regina e simili, di cui la maomettana fu estremamente penetrata. Quindi le parlò dell'eccellenza della religione cristiana.
            Quella donna, sorpresa ed incantata di quanto aveva ascoltato, disse a suo marito, che aveva gran torto di aver abbandonata {45 [225]} la sua religione, la quale, sul racconto che Vincenzo le aveva fatto, le sembrava estremamente buona, e perciò il Dio de'cristiani non meritava di essere abbandonato. Un tale discorso nulla aveva di lusinghiero per un apostata; poiché se uno è padrone di abbandonare la sua prima vocazione, non è per altro padrone di soffocare i gridi della propria coscienza, ed il peccatore il più ostinato sente nel suo interno una voce importuna, la quale parla più forte di quella, che ferisce l'orecchio. Il nizzardo confuso nulla replicò, ma il dì seguente si manifestò a Vincenzo, e l'assicurò essere pronto a salvarsi con lui. Il momento della partenza non giunse che dieci mesi dopo; il padrone e lo schiavo salirono ambidue sopra un piccolo battello, incapace egualmente o di resistere al furor del mare, o difendersi contro a'corsari. Per poco fossero stati inseguiti o scoperti non potevano evitar la morte. In que' tempi il processo di due uomini, di cui uno fa abiurare il maomettismo all'altro, è ben presto fatto: sono impalati ambidue senz'altra formalità. Tutti questi pericoli non arrestarono i nostri viaggiatori; posero la loro sorte nelle mani di Dio: invocarono quella a {46 [226]} cui la Chiesa dà il nome di Stella del mare; la loro speranza non fu delusa, e il dì 28 di giugno arrivarono in Francia e andarono in Avignone.
            Colà il rinegato diede tutti i contrassegni della più sincera conversione, e fu riconciliato pubblicamente dal vice legato Pietro Monlorio. Quel prelato lo fece ricevere nell'ospedale di S. Gioanni d'Iddio, ove avea fatto voto d'entrare, onde far penitenza; ei si dedicò infatti al servizio degli ammalati per sempre.
            Fortunato quel Nizzardo, che seguì i santi consigli di un sacerdote pieno di zelo quale era S. Vincenzo de'Paoli; ma non meno fortunati saranno tutti coloro, i quali, trovandosi fuori della Cattolica Religione, seguiranno sì bello esempio, facendo ritorno a questa Cattolica Religione, unica santa, unica Religione di Gesù Cristo, fuori di cui niuno può salvarsi. {47 [227]}

            (Con approv. della Rev. Eccles.) {48 [228]} {49 [229]} {50 [230]}



[1]Liturgie Vaudoise, Lausanne, 1842.
[2]V. quanto dicesi a riguardo del digiuno nel fasc. 45, tratt. 4.
[3]V. Liturgie Vaudoise, maniera di ricevere alla pace della Chiesa quelli, che sono stati proibiti di partecipare alla sacra cena, pag. 100.

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