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venerdì 14 luglio 2017

NE LEGGANO SOLO UN CAPITOLO. CAPIRETE CHE SIGNIFICA : S O F F R I R E

Maria rifiuta di sposarsi - Persecuzioni - Martirio
Guarigione miracolosa - Visita ai Luoghi Santi - Lavoro come domestica
Quando Maria compì tredici anni, suo zio la fidanzò a un suo parente, ma la fanciulla aveva già da tempo promesso a Dio la sua verginità, e quando le si disse che il matrimonio stava per rapire quel suo fiore angelico, dichiarò con tutte le sue forze che voleva rimanere vergine. Prostrata a terra per tutta la notte, versando un torrente di lacrime, scongiurava la sua Mamma del Cielo di soccorrerla. Tutto ad un tratto, udì una voce che le disse: Maria, io sono sempre con te: segui l'ispirazione che ti dò, io ti aiuterò. Allora Maria si alzò piena di coraggio e tagliò i suoi lunghi capelli. Il velo, che soleva portare, nascose questo gesto ai suoi parenti. Una grande cena fu organizzata in occasione delle nozze che dovevano celebrarsi prossimamente; era d'uso in questa circostanza che la fidanzata, ornata dei suoi gioielli, offrisse il caffè agli invitati. Al posto del caffè Maria offrì allo zio, in un grande vassoio, i suoi capelli ornati di gioielli. Lo zio furioso la schiaffeggiò; tutti gli in-vitati non vedendo in questo gesto che un fervore passeggero, l'esortarono a mostrarsi docile alla volontà dei suoi parenti: ella rimase inflessibile.
Invano lo zio la confinò fra gli ultimi domestici della casa, e ordinò di maltrattarla; invano la tenne lontana dalla chiesa e dai sacramenti: l'eroica fanciulla resisté a tutto, e soffrì con gioia per il suo Gesù. «Trattata, ci raccontava, come l'ultima delle domestiche, sia nel vestire, che nel nutrimento; totalmente separata dai miei, occupata in lavori ai quali non ero mai stata abituata, privata della Messa e dei sacramenti, biasimata perfino dal mio confessore, che considerava la mia decisione solo testardaggine; abbandonata da tutti, condannata da tutti, la mia anima so-vrabbondava di gioia; il mio coraggio cresceva in misura delle dure prove, perché mi dicevo che le mie sofferenze non erano minimamente paragonabili a quelle di Gesù. Mi sembrava che un uccellino cantasse sempre nel mio cuore».
Dopo tre mesi di questa umiliante vita, il desiderio di rivedere suo fratello la spinse a scrivergli, affinché venisse a trovarla. Fece scrivere la lettera e la portò ad un Turco, antico domestico dello zio, il quale abitava poco lontano dalla casa e doveva recarsi nel paese di Paolo. Conoscendo bene la madre e la moglie di quest'uomo, Maria non temette di andare a trovarlo da sola. Dopo avere consegnato la sua lettera, la fanciulla avrebbe voluto andarsene; ma quelle persone la invitarono subito a condividere la loro cena, ed ella accettò solo per fare loro piacere. Era quasi notte. Naturalmente, si parlò della situazione ingiusta e crudele che Maria subiva a causa dello zio. Il Turco biasimò questa condotta con forza e con un fervore indomabile passò presto a biasimare anche la religione cristiana. Maria, le disse con calore, perché restare fedele ad una religione che ispira simili sentimenti? Abbraccia la nostra. «Mai, gridò Maria con un'energia sovrumana; io sono figlia della Chiesa cattolica, apostolica e romana, e spero, con la grazia di Dio, di perseverare fino alla morte nella mia religione che è la sola vera». Il Turco ferito nel suo fanatismo e divorato dalla rabbia, con un calcio rovesciò Maria a terra, e impugnando la sua scimitarra, le tagliò la gola. Aiutato dalla madre e dalla moglie, il bar-baro avvolse la ragazza nel suo grande velo, e portatala fuori, la gettò, favorito dalle tenebre, in un luogo abbandonato. Era il 7 settembre 1858.

Mentre questo crimine si consumava sul corpo di Maria, la sua anima fu rapita: 
«Mi sembrava, raccontava, di essere in Cielo: vedevo la santa Vergine, gli angeli e i santi che mi accoglievano con una grande bontà; vedevo anche i miei genitori in mezzo a loro. Contemplavo il trono fulgido della Santa Trinità, e Gesù Cristo nostro Signore nella sua umanità. Non vi erano né sole, né lampade, eppure tutto brillava di un chiarore indescrivibile. Gioivo di tutto quello che vedevo, quando, ad un tratto, qualcuno venne da me per dirmi: Tu sei vergine, è vero, ma il tuo libro non è ancora finito. 
Aveva appena finito di parlare, che la visione scomparve, e io rin-venni. 
Mi trovai, trasportata senza sapere né come né grazie a chi, in una piccola grotta solitaria. Coricata su un povero letto, vidi accanto a me una religiosa, che aveva avuto la carità di cucirmi la ferita del collo. Non l'ho mai vista né mangiare né dormire. Sempre accanto al mio capezzale, in silenzio mi curava con il più grande affetto. Era vestita di un bell'abito ceruleo, trasparente e come cangiante; il velo era dello stesso colore. Ho visto da allora molti vestiti religiosi diversi, ma nessuno che assomigliasse al suo. Quanto tempo trascorsi in quel luogo? non saprei dirlo con precisione; credo di esservi rimasta circa un mese. Non mangiai nulla durante quel periodo, a rari intervalli, la religiosa si limitava a inumidirmi le labbra con una spugna candida come la neve. Mi faceva dormire quasi continuamente.
L'ultimo giorno, questa religiosa mi servì una zuppa così buona, come non ne ho mai più mangiato. Terminata la porzione, gliene chiesi una seconda. Allora la religiosa, rompendo il silenzio, mi disse: Maria, è abbastanza per il momento; più tardi te la darò di nuovo. Ricordati di non essere come quelle persone che credono... 

' Maria non poteva rifiutare l'invito, essendo un rifiuto di tal genere contrario alle usanze della civiltà orientale.
Facciamo osservare a questo punto che Maria ha sempre chiamato l'estasi un sonno.

...di non avere mai abbastanza. Dici sempre: è abbastanza, e il buon Dio, che vede tutto, veglierà su tutti i tuoi bisogni. Sii sempre contenta, malgrado tutto ciò che dovrai soffrire, e Dio, che è così buono, ti farà avere il necessario. Non ascoltare mai il demonio, diffida sempre di lui, poiché è troppo furbo. Quando chiederai qualche cosa a Dio, non te la darà sempre subito, allo scopo di metterti alla prova e di vedere se lo ami ugualmente; e poi, un po' più tardi, te l'accorderà, basta che tu sia sempre contenta e che lo ami. Maria, Maria, non dimenticare mai le grazie che il Signore ti ha fatto. Allorquando ti capiterà qualcosa di spiacevole, pensa che è Dio che lo vuole. Sii sempre piena di carità verso il prossimo; dovrai amarlo più di te stessa.
Non rivedrai mai più la tua famiglia; andrai in Francia, dove ti farai religiosa; sarai figlia di san Giuseppe prima di diventare figlia di santa Teresa. Prenderai l'a-bito del Carmelo in una casa, farai la professione in una seconda, e morirai in urta terza, a Betlemme.
1 tuoi parenti ti cercheranno; tu stessa sarai tentata di farti riconoscere. Guar-datene bene, perché altrimenti non avrai più la tua zuppa.
Soffrirai molto durante la tua vita, sarai un segno di contraddizione.
Sì, ci diceva Maria sul battello che la trasportava a Betlemme con le sue compagne, la religiosa che mi aveva curato dopo il mio martirio e che, adesso so essere la santissima Vergine, mi aveva predetto tutto quello che mi è accaduto fino ad oggi. Un solo punto non si è realizzato; mi aveva assicurato che sarei morta tre anni dopo la mia professione. I tre anni sono trascorsi, ed eccomi ancora, ahimè! in questo esilio».

Il lettore immagina senza dubbio che la vita di questa suora è stata misericordiosamente prolungata, come vedremo in seguito.
Maria era guarita, ma la traccia della profonda ferita rimase sempre visibile sul collo, così come testimoni degni di fede poterono osservare alla sua morte, sopraggiunta venti anni dopo. La cicatrice misurava circa dieci centimetri di lunghezza e un centimetro di larghezza. La pelle era completamente bianca e più delicata che nelle parti circostanti.

La religiosa condusse allora Maria in una chiesa di Alessandria per farla con-fessare: «Attendimi, le disse la bambina; per carità, non mi abbandonare». Ella sor-rise senza rispondere. «La mia confessione durò poco, ci raccontava Maria. Non avevo niente che mi pesasse sulla coscienza. Come avrei mai potuto commettere peccati in compagnia di una religiosa così santa? Dopo la confessione, corsi nel po-sto dove l'avevo lasciata, ma non la trovai. Uscì per cercarla, tuttavia i miei occhi non la videro da nessuna parte; ma il suo viso e le sue parole sono sempre rimaste impresse nella mia anima. Ero sola sulla terra, sola, come una goccia d'acqua. Il mio cuore non resisté più e scoppiai in singhiozzi. Il confessore venne per chieder-mi la causa delle mie lacrime. Presa dal mio grande dolore, non potei che rispondergli: Se n'è andata, e mi ha lasciata. Chi ti ha lasciata? La religiosa che mi ha accompagnato qui. Ma da dove vieni? Chi sei? Mi ha proibito di dirlo. Ahimè, bambina mia, mi disse il sacerdote sospirando, non sei la sola infelice. Conosco in questa città una famiglia immersa nella più grande desolazione. Questa famiglia aveva accolto una nipote, chiamata Maria, e l'aveva trattata come una figlia. Era stata offerta a questa fanciulla una proposta di matrimonio onorevole; il giorno delle nozze era fissato, fra la grande gioia di tutti, quando la fidanzata scomparve. Era uscita sul far della notte e non è più tornata. Tutte le ricerche per rintracciarla si sono rivelate infruttuose. Si teme una seduzione d'amore. La famiglia ha appena lasciato Alessandria, per nascondere tale vergogna».
Più il sacerdote parlava, più mi rendevo conto che la fanciulla di cui parlava, ero io. Mi accontentai di rispondere, dopo avere implorato l'aiuto della santa Vergine per non tradire il mio segreto: «La persona di cui parla non mi è del tutto sconosciuta; ma ho promesso di non rivelare mai il luogo dove si rifugia. Debbo ciò nonostante dirle che Maria non è stata sedotta: è consacrata a Dio». Bambina mia, gridò il sacerdote, dimmi dov'è Maria. Ti dico che non sei per niente tenuta a custodire questo segreto. Tu mi sembri molto povera, sii sicura che, se acconsentirai a parlare, sarai largamente ricompensata. «Sono povera, è vero, e per di più, orfana, ma il buon Dio non mi ha lasciato mai mancare il necessario. Non desidero le ricchezze terrene; i beni del Cielo mi bastano. Quanto a rivelare il segreto, non lo farò mai; Dio e la santa Vergine mi punirebbero». Il sacerdote parlò di Maria a un vescovo arabo di passaggio ad Alessandria. Maria raccontò a questo vescovo tutta la storia sotto il sigillo del segreto confessionale. Questi l'ascoltò con il più vivo in-teresse, la vesti in maniera conveniente, fece fare il suo ritratto e la portò in pellegrinaggio a Gerusalemme. Terminato il pellegrinaggio, il vescovo propose a Maria di condurla a Roma, promettendole di farla entrare in qualche casa religiosa. Il desiderio di rivedere suo fratello fu la causa per la quale rifiutò una proposta che tanto le sorrideva, e s'imbarcò per San Giovanni d'Acri. Ma avendo una tempesta furiosa impedito al battello d'arrivare a destinazione, la giovane fu costretta a ritornare ad Alessandria.
Per non essere riconosciuta, Maria prese allora un altro vestito e si fece domestica. Cambiava spesso casa, appena i suoi padroni le mostravano più stima. Le ca-se dove aveva sofferto di più erano quelle in cui rimaneva più a lungo. Le accadde di entrare al servizio di un parente che non la conosceva. Ella se ne accorse dai primi giorni; i suoi padroni non ebbero mai il minimo sospetto a riguardo. Come avrebbero potuto riconoscere la loro cugina in quella povera ragazza vestita alla maniera turca? La si incaricò della cucina e della cura dei bambini. Questi le si af-fezionarono ben presto, in maniera tale che l'impegno della cucina le fu tolto perché potesse dedicare loro tutto il suo tempo. Il cuore di Maria ne era a volte con-solato a volte addolorato; consolato dal fatto di poter curare i suoi cuginetti, addolorato per il fatto che non poteva rivelare loro il suo vero nome. Ogni giorno, udiva raccontare la storia della sua scomparsa. 1 suoi parenti, che si credevano disonorati a causa sua, non cessavano di lanciare su di lei ogni specie di maledizione. «Mai, ci diceva Maria, ho tanto sofferto. Provavo il più vivo affetto per quella famiglia, e non potevo rivelare il mio nome. I discorsi che udivo ferivano il mio animo ma dovevo tacere, per paura di dare l'allarme. Quanto mi è costato quel silenzio! Lo confesso per mia confusione, ero spinta alla confessione, mille volte fui tentata di farmi riconoscere. Pregavo la santa Vergine di sostenermi. Un giorno, durante il pa-sto, vedendo che la desolazione dei miei parenti era diventata più grande, scoppiai in lacrime. Stupiti di vedermi piangere (era la prima volta che mi capitava davanti a loro), mi chiesero la causa del mio dispiacere, poiché mi volevano molto bene. Ero sul punto di soccombere e di gridare, gettandomi nelle loro braccia: Sono Maria. La santa Vergine m'assistette in maniera visibile. Mi accontentai di rispondere: Piango al vedervi piangere. E siccome era stata letta a tavola una lettera che annunziava il prossimo arrivo di una mia zia che di certo mi avrebbe riconosciuto, li avvertii che dovevo lasciarli il giorno stesso. Malgrado le loro suppliche e le loro lacrime, raccolsi in fretta ciò che mi apparteneva, ed uscii coperta dal mio grande velo. Incrociai davanti alla porta questa zia, e la sentii che diceva a mio cugino: Chi è questa ragazza? Una spada ha trapassato la mia anima passando vicino a lei. Avrei voluto parlarle. Affrettai il passo e corsi a nascondermi da una mendicante. Dio permise che non sapessero trovarmi. Questo martirio durò tre mesi».

Maria fece per la seconda volta il pellegrinaggio in Terra Santa. Il Signore le inviò, durante questo viaggio, un essere soprannaturale sotto sembianza umana per accompagnarla e proteggerla. Questi, che ella non vide mai mangiare, le predisse come la religiosa tutto quello che le sarebbe successo fino alla morte, e le assicurò che sarebbe ritornata per morire a Betlemme. 
Un sacerdote che la conosceva, la sistemò in una eccellente famiglia di Gerusalemme. Durante il tempo che vi era a servizio, un bambino di diciotto mesi cadde dall'alto di una terrazza, sotto gli occhi della madre e di Maria. Lo si credette morto. Maria corse a rialzarlo, implorando su di lui la potente protezione della Vergine. Quando lo rimise nelle braccia della madre, questa si accorse che aveva solo una leggera contusione, e attribuì questa preservazione miracolosa alla santità della domestica. Ce n'era abbastanza per fare fuggire l'umile Maria. Riprese dunque il cammino per Giaffa, senza ascoltare le suppliche della sua padrona.
Appena uscita da Gerusalemme, vide due uomini che la seguivano. La fermarono: era accusata d'aver rubato alla sua padrona un diamante di grande valore. Trascinata con ignominia attraverso le vie della città santa, gettata in una prigione infetta in mezzo a molte donne di malaffare, ringraziò Gesù di umiliarla così come lui era stato umiliato nella sua Passione. Ma il Signore non tardò a prendere le sue difese. Due giorni dopo, la cameriera negra autrice del furto, che aveva accusato Maria, divenne folle, e nel suo delirio, confessò la sua colpa. Fu così che Maria venne provvidenzialmente riconosciuta innocente e rimessa in libertà.

Si imbarcò di nuovo per San Giovanni d'Acri, allo scopo di rivedere il fratello. Ancora una volta, una spaventosa tempesta costrinse il battello a spingersi a Beirut. Maria sembrava avere dimenticato le parole della religiosa che le aveva predetto che non avrebbe mai più rivisto il fratello; ma Dio si serviva di questi tentativi per compiere i suoi progetti. A Beirut, Maria entrò al servizio della famiglia Attala. Dopo sei mesi, divenne completamente cieca. La cecità durava da quaranta giorni, quando fece ricorso alla santa Vergine: «Vedi, Madre mia, disse Maria, quanta pena si prendono per me. Mi si cura come se fossi una figlia di casa, ma in conclusione, sono solo un carico per questa famiglia. Ah! se piacesse a te e al tuo divin Figlio di restituirmi la vista!». Quando concluse la preghiera, sentì qualcosa caderle dagli occhi e recuperò subito la vista, con grande stupore dei medici, i quali, tutti, avevano dichiarato il suo male incurabile. Cadendo, poco tempo dopo, dall'alto di una terrazza, tutto il suo corpo fu orribilmente martoriato. La signora Attala, la quale aveva constatato con ammirazione che un profumo delizioso emanava da tutta la sua persona, la curava da un mese come se fosse stata sua figlia, ma senza constatare miglioramenti del suo stato. La santissima Vergine apparve a Maria durante la notte: «Madre mia, gridò subito la fanciulla, per carità, prendimi con te». Maria, rispose la Vergine, non posso prenderti con me, perché il tuo libro non è ancora finito. Ti raccomando nel frattempo tre cose: un'ubbidienza cieca, una carità perfetta e un'immensa fiducia in Dio, senza alcuna preoccupazione per il domani o per tutto quello che può capitarti. La presenza della Madre di Dio aveva riempito la casa di una luce così abbagliante e di un profumo così soave che tutti accorsero al capezzale della malata e la trovarono guarita. Chiese di mangiare, lei che non aveva assunto alcuna sostanza dopo l'incidente. Tuttavia rimase ancora molto debole, ma questa debolezza, che la santissima Vergine le aveva lasciato come ricordo del suo stato disperato, scomparve presto. La notizia di questo miracolo si diffuse in tutto il paese, e se ne parlò a lungo con ammirazione.

Prima di proseguire il nostro racconto e di narrare come Maria arrivò in Francia, raccogliamo ancora alcuni fatti meravigliosi che riguardano quel periodo della sua vita.

Un giorno, nostro Signore la inviò da una signora per dirle di disfarsi di un vestito da ballo che le costava mille franchi. Avendo la signora messo in ridicolo questa comunicazione, Maria, spinta da una forte ispirazione, le disse: «Eh! sì, Signora, vi annuncio che la prossima volta che indosserete quest'abito morirete voi e il vostro bambino, bruciati».
Accadde proprio come Maria aveva predetto: il fuoco si attaccò al vestito della donna, poi all'appartamento dove abitava, infine fu bruciata lei ed anche il suo bambino che dormiva nella culla.

Un'altra volta, ad Alessandria, mentre Maria era sistemata presso una ricca signora, sentì raccontare della squallida, estrema miseria di una famiglia i cui membri erano malati e che nessuno aiutava. Subito, la generosa fanciulla chiese di potersi congedare. La donna, molto urtata, la seguì fino alle scale e la colpì di bastonate con una tale violenza, che Maria ne soffrì a lungo. Senza provare risentimento per questa violenza, Maria corse a stabilirsi nella sudicia camera occupata dalla povera famiglia. Il padre, la madre e i bambini giacevano nei letti infetti, che do-vette rinnovare. Notte e giorno, curò quegli infermi sfortunati con grande carità. Arrivò persino a mendicare per nutrirli e per vestirli. Infine, dopo quaranta giorni di questa eroica dedizione, ebbe la consolazione di vedere tutti i membri della famiglia completamente ristabiliti.

Durante uno dei suoi viaggi, Maria incontrò una fanciulla, chiamata Rosalia, che aveva furtivamente lasciato la sua ricca famiglia per rimanere vergine e vivere povera per Gesù Cristo. Benché non si fossero mai viste prima d'allora, Maria e Rosalia si chiamarono per nome, e trascorsero una notte deliziosa a parlare di Gesù, il loro unico amore. Si raccontarono tutta la loro vita, promettendosi mutuamente di custodire il segreto, per non essere scoperte e poter conservare il tesoro della verginità.
Fu nello stesso periodo che nostro Signore chiese a Maria di digiunare per un anno intero a pane ed acqua. La giovane non poteva decidersi a ciò finché non avesse ottenuto il permesso del suo confessore, perché molto debole e obbligata a lavorare per guadagnarsi da vivere. Alcuni giorni passarono in queste esitazioni. Allo scopo di vincere la sua resistenza, Dio permise che il suo stomaco non ritenesse alcun nutrimento; fece allora un tentativo di digiuno forzato, e siccome non trovò alcun ostacolo nel farlo, si decise a sottomettere il caso a un venerabile sacerdote, che l'autorizzò a proseguire la sua penitenza. Così fece, durante tutto il corso dell'anno, e la sua salute si mantenne florida.

Ascoltiamo ancora la serva di Dio riferire ciò che segue:
«Per mostrarvi la mia ignoranza vi racconto di orribili pensieri che mi assalirono, durante uno dei miei viaggi per mare. Mi credevo colpevole di tutti questi pensieri, considerandoli veri crimini. Così quando sbarcai, il mio primo pensiero fu di correre presso un confessore. Mi accusai, come se davvero avessi commesso tutti i peccati il cui pensiero si era presentato mio malgrado nel mio spirito. Il sacerdote mi fece una lunga e pressante esortazione per incitarmi al pentimento. Prima di assolvermi, mi chiese di promettere a Dio di correggermi. Gli risposi: Padre mio, mi è impossibile prometterglielo; volevo dire che non dipendeva da me il non avere più di questi pensieri. Convinto a causa della mia risposta, non solo dei miei crimini, ma anche della mia ostinazione, il ministro di Dio mi rimandò senza assolvermi, dopo avermi fatto le più terribili minacce. Io non sapevo più cosa fare; ero quasi disperata. 
Come sempre, implorai allora la mia buona Madre del Cielo. Sentii una voce dirmi: Va in tale via, entra in tale casa, sarai illuminata e consolata. Mi alzai, e arrivai nel luogo indicatomi. Bussai, e una voce dolce come se venisse dal Cielo, mi rispose: Entra. lo entrai, e mi trovai davanti una donna che mi disse: avvicinati, Maria. Sei inconsolabile, ma ti sbagli, poiché tu non sei colpevole. Maria, avere i più orribili pensieri non è peccato; il peccato non esiste fino a quando l'anima non vi acconsente. Tu ti sei dunque espressa male. Va di nuovo da quel confessore, e digli le cose nel modo che ti dirò adesso. Passai la notte con quella persona che mi conosceva molto bene e parlammo tutto il tempo di Gesù e del Cielo. L'indomani, di buon mattino, ero già ai piedi dello stesso sacerdote. Gli spiegai le cose così come la persona sconosciuta mi aveva insegnato a fare, e il confessore, invece di rimproverarmi, mi incoraggiò. 
Ascoltate ancora cosa mi è successo quand'ero in mare e ammirate la potenza della fede, persino in una peccatrice. Una tempesta furiosa si era levata; dopo inutili sforzi per resistere ai venti e ai flutti, il capitano ave-va dichiarato che tutte le speranze erano perdute. I passeggeri si gettarono nelle barche di salvataggio, in mezzo ad una confusione indescrivibile. Il capitano li contò, mancava all'appello una persona. Scese subito nelle cabine, e arrivò alla mia. Ero coricata e dormivo profondamente. Mi svegliò gridando: Alzati, vestiti, e sali su di una barca, siamo perduti. Mi vestii alla meglio e salii sul ponte. Mi sentii ispirata a pregare, dopo avere rimproverato a tutti la loro mancanza di fede. In ginocchio con gli occhi rivolti al cielo, dissi, stendendo le braccia: Signore Gesù, tu che sei potente, calma il mare. O potenza della fede! Lo credereste? La tempesta cessò, le onde si calmarono, e noi fummo salvi. Ecco ciò che Dio ha fatto attraverso una peccatrice come me, con un solo grido di fede. Ah! se noi avessimo la fede, una grande fede, otterremmo tutto da Dio».


Chissà quanti altri simili episodi la sua umiltà ha dovuto farle tacere. Quelli che noi abbiamo citato basteranno a convincere il lettore dell'ammirevole virtù di Maria.

AMDG et BVM
Sanguis Christi, in flagellatione profluens, 
salva nos

lunedì 2 maggio 2016

LA FEDE EROICA DI UNA FANCIULLA CILENA... che difende la santità del Matrimonio

Beata Laura del Carmen


Laura del Carmen Vicuna, questo il suo nome completo, nacque nella capitale cilena, Santiago, il 5 aprile 1891,primogenita di José Domingo e di Mercedes Pino. La città era attraversata da tensioni politiche e militari ed a causa di ciò fu necessario atendere quasi due mesi per procedere alla celebrazione del suo battesimo, che ebbe luogo il 24 maggio successivo. Tra gli antenati di Laura figuravano parecchi personaggi illustri e per tal motivo la rivoluzione imperante si scagliò anche sulla famiglia di Laura. Il padre fu forzatamente costretto all’esilio e dovette trasferirsi verso sud, alla frontiera con l’Argentina sulle Ande. L’intera famiglia traslocò dunque a Temuco. La famiglia si ritrovò repentinamente in una triste situazione di precarietà a seguito della morte del padre avvenuta nel 1893. Alcuni mesi dopo, l’anno successivo, nacque una seconda bambina, Giulia Amanda. La madre si ritrovò così sola con due figlie a dover vincere la fame e la disperazione.

Nel 1899 il residuo nucleo familiare si trasferì nella vicina regione argentina del Neuquén. La madre potè così trovare lavoro nella tenuta agricola di Manuel Mora, uno dei tanti colonizzatori che avevano intrapreso lo sfruttamento dei terreni incolti della Patagonia. In seguito a pressioni subite dal datore di lavoro, ne divenne la compagna. Ciò conseguentemente influì purtroppo negativamente sull’educazione delle due bambine. Laura, seppur ancora piccola, si rese conto della precarietà e dell’irregolarità dal punto di vista religiosa della mamma, che in tal modo non poteva essere ammessa ai sacramenti.

Nonostante ciò la mamma non abbandonò mai completamente le figlie e tentò nei limiti del possibile di educarle anche religiosamente. Al fine di assicurare loro un’istruzione adeguata e continua, le affidò nel gennaio 1900 ad un piccolo collegio missionario tenuto dalle Figlie di Maria Ausiliatrice, situato a Junin de los Andes ai confini con il Cile, patria natia di Laura.

Di quest’ultima, nel consegnarla alla superiora, la madre assicurò: “Non mi ha mai dato dispiaceri. Fin dall’infanzia è stata sempre obbediente e sottomessa”.
Repentinamente catapultata in questo nuovo ambiente, Laura si trovò comunque subito a proprio agio. Il suo animo fu tempestivamente conquistato dalle verità evangeliche infusele mediante la catechesi e ciò la portò a rendersi maggiormente conto della contrarietà della situazione di convivenza della madre rispetto alla legge divina. Il 2 giugno 1901 potè ricevere la prima Comunione, ma in tal giorno divenne ancor più profonda la sua sofferenza nel vedere la mamma non accostarsi ai sacramenti. Non potè dunque astenersi dal pregare intensamente per la pacifica conclusione di tale relazione. Purtroppo la sua speranza non ebbe compimento, ma ciò non toglie che questa esperienza fu decisiva nel provocare una grande svolta nella sua vita, che fu così descritta: “Notammo in lei da quel giorno un vero e solido progresso”.

Il giorno della prima Comunione scrisse alcuni propositi, molto simili a quelli del santo allievo di don Bosco, Domenico Savio: “O mio Dio, voglio amarti e servirti per tutta la vita; perciò ti dono la mia anima, il mio cuore, tutto il mio essere. Voglio morire piuttosto che offenderti col peccato; perciò intendo mortificarmi in tutto ciò che mi allontanerebbe da te. Propongo di fare quanto so e posso perché tu sia conosciuto e amato, e per riparare le offese che ricevi ogni giorno dagli uomini, specialmente dalle persone della mia famiglia. Mio Dio, dammi una vita di amore, di mortificazione, di sacrificio”.


Con questi propositi Laura si abbandonò totalmente al Signore pur di ottenere la conversione di sua madre e le Figlie di Maria Ausiliatrice non tardarono a comprendere di trovarsi dinnanzi ad una bambina eccezionale.
Sin dal suo primo anno di permanenza nel collegio si distinse per la volenterosa applicazione nello studio e per l’intensità della sua vita interiore. Dall’8 dicembre 1900 si iscrisse alla Pia Unione delle Figlie di Maria.
Nel secondo anno le sorelle Vicuna furono mandate in vacanza dalla madre, ma Laura restò negativamente scossa dall’impatto con il suo convivente. Era sofferente fin nel più profondo della sua intimità, ma ciò non traspariva se non nei momenti di maggiore amarezza. Una di queste occasioni fu per esempio la mancata partecipazione della mamma alla missione popolare che fu predicata a Junin de los Andes. L’anno successivo le due sorelle raggiunsero nuovamente la mamma a Quilquihué nel periodo delle vacanze. Mora esternò un eccessivo interesse nei confronti di Laura, la quale se ne accorse prontamente e si cinse come di una corazza di ferro per combatterne i malvagi propositi. Questi reagì crudelmente e si vendicò rifiutandosi di pagare la retta del collegio. Mossa da pietà e comprensione la direttrice accolse ugualmente le due bambine.

Il 29 marzo 1902 le due sorelline ricevettero la cresima, presente la madre che però perseverò nell’astensione dai sacramenti. In tale occasione Laura fece richiesta di poter essere ammessa tra le postulanti delle Figlie di Maria Ausiliatrice, ma ottenne una risposta negativa a causa della situazione familiare. Dovette dunque rassegnarsi, senza però desistere dal suo intento.


Il mese successivo, infatti, emise privatamente i voti di castità, povertà ed obbedienza, consacrandosi così a Gesù ed offrendogli la propria vita. Verso fine anno iniziò a manifestarsi in Laura un leggero deperimento fisico.
Trascorse l’intero anno successivo rinchiusa nel collegio e nel settembre 1903 non riuscì neppure a prendere parte agli esercizi spirituali, tanto era diventata cagionevole la sua salute. Tentò un cambiamento climatico, tornando dalla madre, ma ciò non si rivelò alquanto salutare. Allora tornò a Junin e vi si trasferì anche la madre, alloggiando però privatamente.

Nel gennaio 1904 giunse in visita il Mora, con il proposito di trascorrere la notte nella medesima abitazione. “Se egli si ferma qui, io me ne vado in collegio dalle suore” minacciò Laura scandalizzata, e così dovette fare seppur stravolta dal male. Mora la inseguì e, raggiuntala, la percosse violentemente lasciandola traumatizzata. Giunta poi in collegio si confessò dal suo direttore spirituale, rinnovando l’offerta della propria vita per la conversione della madre.

Il 22 gennaio ricevette il Viatico e quella sera fece chiamare la madre per trasmetterle il suo grande sogno: “Mamma, io muoio! Io stessa l’ho chiesto a Gesù. Sono quasi due anni che gli ho offerto la vita per te, per ottenere la grazia del tuo ritorno alla fede. Mamma, prima della morte non avrò la gioia di vederti pentita?”. Questa le promise allora di cambiare completamente vita. Laura potè allora spirare serenamente dopo aver pronunciato queste ultime gioiose parole: “Grazie, Gesù! Grazie, Maria! Ora muoio contenta!”


In occasione del funerale la mamma tornò ad accostarsi ai sacramenti della Riconciliazione e dell’Eucaristia.
La tomba di Laura è collocata nella cappella del Collegio Maria Ausiliatrice di Bahia Blanca, in Argentina, dove è metà di pellegrinaggi in particolare per le popolazioni cilena ed argentina.


Venerata fin dalla sua morte, l’apertura della sua causa di canonizzazione avvenne solo il 19 settembre 1955, portando al riconoscimento delle virtù eroiche ed al conferimento del titolo di “venerabile” il 5 giugno 1986.
A seguito del riconoscimento ufficiale di un miracolo avvenuto per sua intercessione, Laura del Carmen Vicuna, poema di candore, di amore filiale e di sacrificio, fu beatificata dal Sommo Pontefice Giovanni Paolo II il 3 settembre 1988 sul Colle delle beatitudini giovanili, presso Castelnuovo Don Bosco. Il nuovo Martyrologium Romanum la commemora dunque il giorno della sua morte, nel quale è fissata anche la sua memoria liturgica per la Famiglia Salesiana.

Con il riconoscimento di un ulteriore miracolo, verificatosi dopo la beatificazione, Laura potrà essere la più giovane santa non martire della storia della Chiesa.


PREGHIERA PER LA CANONIZZAZIONE

Concedimi, Signore, nella tua immensa bontà e misericordia,
le grazie che fiduciosamente imploro per intercessione di Laura Vicuna,
eletto fiore di santità sbocciato sulle Ande Patagoniche.
Della sua tenera esistenza la Tua grazia fece un modello
di pietà, di obbedienza, di vittoriosa purezza; l’ideale della Figlia di Maria;
la vittima nascosta e gradita dell’amor filiale più sollecito e fecondo.
Degnati, pertanto, di esaltare anche in terra l’emula di Agnese, Cecilia e Maria Goretti:
e fa che alla luce dei suoi esempi si accresca il numero
delle giovani forti nel combattimento spirituale e pronte al sacrificio,
per la Tua gloria, la gloria dell’Immacolata e i trionfi della chiesa.


PREGHIERE PER OTTENERE GRAZIE

*Ci rivolgiamo a te, Laura Vicuna, che la Chiesa ci propone
come modello di adolescente, coraggiosa testimone di Cristo.
Tu che sei stata docile allo Spirito Santo e ti sei nutrita di Eucaristia,
concedici la grazia che con fiducia ti domandiamo…
Ottienici fede coerente, purezza coraggiosa, fedeltà al dovere quotidiano,
fortezza nel vincere le insidie dell’egoismo e del male.
Fa che anche la nostra vita, come la tua, sia totalmente aperta alla presenza di Dio,
alla fiducia in Maria e all’amore forte e generoso verso gli altri. Amen.

*O beata Laura Vicuna,
tu che hai vissuto fino all’eroismo la configurazione a Cristo
accogli la nostra fiduciosa preghiera.
Ottienici grazie di cui abbiamo bisogno…
E aiutaciad aderire con cuore puro e docile alla volontà del Padre.
Dona alle nostre famiglie pace e fedeltà.
Fa che anche nella nostra vita, come nella tua,
risplendano fede coerente, purezza coraggiosa,
carità attenta e sollecita per il bene dei fratelli. Amen.

PREGHIERA

Signore nostro Dio,
ti lodiamo per i doni di grazia che hai effuso
nell’anima dell’adolescente Laura Vicuna.
Glorifica questa tua fedele serva
E fa che il suo cammino di fede coerente,
di purezza coraggiosa, di eroismo nella carità filiale
sia per le giovani di oggi richiamo efficace
all’impegno di vita cristiana.
Concedi a noi le grazie che per sua intercessione ti domandiamo
e dona alle famiglie la pace e l’unione,
frutto del vero amore. Amen.

COLLETTA

Padre d'immensa tenerezza,
che nell'adolescente Laura Vicuña
hai unito in modo mirabile
la fortezza d'animo e il candore dell'innocenza,
per sua intercessione
donaci il coraggio di superare le prove della vita
e di testimoniare al mondo la beatitudine dei puri di cuore.
Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio,
e vive e regna con te, nell'unità dello Spirito Santo,
per tutti i secoli dei secoli. Amen.

Autore: 
Fabio Arduino
Dal  santiebeati.it >

LAUDETUR   JESUS  CHRISTUS!

LAUDETUR  CUM  MARIA!

SEMPER  LAUDENTUR!

lunedì 7 marzo 2016

Pecados opuestos a la fe: infidelidad, herejía, apostasía y blasfemia (infieles-impíos-herejes-apóstatas)


CATECISMO DE LA SUMA TEOLOGICA

Sección Segunda (II – II, q. I – CLXXXIX) Estudio concreto de los medios que debe emplear el hombre para volver a Dios


De los actos buenos y malos en particular. Virtudes teologales

— ¿Cuáles son las más notables entre las virtudes y aquellas cuyos actos tienen mayor trascendencia? 
— Las teologales. 

— ¿Por qué? 
— Porque mediante ellas se encamina el hombre al fin sobrenatural en la medida que puede y debe pro-curárselo en este mundo. 

— Luego sin las virtudes teologales, ¿no puede el hombre ejecutar actos meritorios de premio sobrenatural? — No señor. 

— ¿Cuántas y cuáles son? 
— Tres: Fe, Esperanza y Caridad.


II

 De la naturaleza de la fe. Fórmula y cualidades de su acto. El Credo. Pecados opuestos a la fe: infidelidad, herejía, apostasía y blasfemia.


— ¿Qué cosa es fe
— Una virtud sobrenatural por cuyo influjo el entendimiento adhiere inquebrantablemente y sin temor de errar a Dios corno fin y objeto de la eterna bienaventuranza, y a las verdades por El reveladas, aunque no las comprenda (I, II, IV). 

— ¿Cómo puede el entendimiento admitir de modo tan absoluto verdades que no entiende? 
— Basándose en la autoridad de Dios que ni puede engañarse ni engañarnos (I, 1). 

— ¿Por qué Dios no puede engañarse ni engañarnos? 
— Porque es la verdad por esencia (I, 1; IV, 8). 

— ¿Cómo podemos cerciorarnos de cuáles sean las verdades reveladas por Dios? 
— Mediante el testimonio de aquellos a quienes se las reveló, o confió el depósito de la revelación (I, 6-10). 

— ¿A quiénes las reveló? 
— Primeramente, a Adán en el Paraíso; más tarde, a los Profetas del Antiguo Testamento; por último, a los Apóstoles en tiempo de Jesucristo (I, 7). 

— ¿Cómo lo sabemos? 
— Por las aseveraciones bien comprobadas de la historia que refiere el hecho de la revelación sobrenatural, y los milagros realizados por Dios en testimonio de su autenticidad. 

— ¿Es el milagro prueba concluyente de la intervención sobrenatural divina? 
— Sí señor; puesto que es acto propio de Dios y ninguna criatura puede realizarlo con sus propios medios. 

— ¿En dónde se halla escrita la historia de la revelación y de otros hechos sobrenaturales de Dios? 
— En la Sagrada Escritura, llamada también la Biblia. 

— ¿Qué entendéis por Sagrada Escritura? 
— Una colección de libros divididos en dos grupos, llamados Antiguo y Nuevo Testamento. 

— ¿Son acaso estos libros resumen y compendio de todo lo que se ha escrito? 
— No señor; porque los demás libros fueron escritos por los hombres, y éstos por el mismo Dios. 

— ¿Qué significa que fueron escritos por el mismo Dios?
— Que Dios es su Autor principal, y para escribirlos utilizó, a manera de instrumentos, a algunos hombres por El elegidos.

— Luego, ¿es divino el contenido de los Libros Santos? 
— Atendiendo al primer original autógrafo de los escritores sagrados, Sí señor; las copias lo son en la medida en que se conformen con el original.

 — Luego la lectura de estos libros, ¿equivale a escuchar la palabra divina? 
— Sí señor. 

— ¿Podemos equivocar y torcer el sentido de la divina palabra? 
— Sí señor; porque si bien en la Sagrada Escritura hay pasajes clarísimos, también abundan los difíciles y oscuros. 

— ¿De dónde proviene la dificultad de entender la palabra divina? 
— En primer lugar, de los misterios que encierra, puesto que en ocasiones enuncia verdades superiores al alcance de las inteligencias creadas, y que solamente Dios puede comprenderlo; proviene además de lo difícil que se hace interpretar libros antiquísimos, escritos primeramente para pueblos que tenían idioma y costumbres muy diferentes de los nuestros; finalmente, de las equivocaciones que hayan podido deslizarse, bien en las copias de los originales, bien en las traducciones sobre ellas calcadas, y en sus copias. 

— ¿Hay alguien que esté seguro de no equivocarse al interpretar el sentido de la palabra de Dios consignada en la Santa Biblia? 
— Sí señor; el Romano Pontífice, y con él la Iglesia Católica en el magisterio universal (I, 10). 

— ¿Por qué? 
— Porque Dios ha querido que fuesen infalibles. 

— ¿Y por qué lo quiso? 
— Porque, si no lo fuesen, carecerían los hombres de medios seguros para alcanzar el fin sobrenatural a que están llamados (Ibíd.). 

— Por consiguiente, ¿qué entendemos al decir que el Papa y la Iglesia son infalibles en materia de fe y costumbres? 
— Que cuando enuncian e interpretan la palabra divina, ni pueden engañarse ni engañarnos en lo referente a lo que estamos obligados a creer y practicar para conseguir la bienaventuranza eterna. 

— ¿Existe algún compendio de las verdades esenciales de fe? 
— Sí señor; el Credo, o Símbolo de los Apóstoles (I, 6). Helo aquí conforme lo reza diariamente la Iglesia: 


"Creo en Dios Padre todopoderoso, Creador del cielo y de la tierra; y en Jesucristo su único Hijo, nuestro Señor, que fue concebido del Espíritu Santo; nació de la Virgen María; padeció debajo del poder de Poncio Pilatos, fue crucificado, muerto y sepultado; descendió a los infiernos; al tercer día resucitó de entre los muertos;
subió a los cielos y está sentado a la diestra de Dios Padre Todopoderoso;
desde allí ha de venir a juzgar a los vivos y a los muertos. Creo en el Espíritu Santo, la santa Iglesia católica, la comunión de los santos, el perdón de los pecados, la resurrección de la carne, la vida eterna. Amén"

— ¿Es la recitación del Credo o Símbolo de los Apóstoles el acto de fe por excelencia? 
— Sí señor; y nunca debemos cesar de recomendar a los fieles su práctica diaria. 

— ¿Podréis indicarme alguna otra fórmula breve, exacta y suficiente para practicar la virtud de la fe sobrenatural? 
— Sí señor; he aquí una en forma de plegaria: "Dios y Señor mío; fiado en vuestra divina palabra, creo todo lo que habéis revelado para que los hombres, conociéndoos, os glorifiquen en la tierra y gocen algún día de vuestra presencia en el cielo". 

¿Quiénes pueden hacer actos de fe? 
Solamente los que poseen la correspondiente virtud sobrenatural (IV, V). 

— Luego, ¿no pueden hacerlos los infieles
— No señor; porque no creen en la Revelación, bien sea porque, ignorándola, no se entregan confiados en las manos de Dios ni se someten a lo que de ellos exige, o porque, habiéndola conocido, rehusaron prestarle asentimiento (X). 

— ¿Pueden hacerlos los impíos
— Tampoco, porque si bien tienen por ciertas las verdades reveladas fundados en la absoluta veracidad divina, su fe no es efecto de acatamiento y sumisión a Dios, a quien detestan, aunque a pesar suyo se vean obligados a confesarlo (V, 2, ad 2). 

— ¿Es posible que haya hombres sin fe sobrenatural que crean en esta forma? 
— Sí señor; y en ello imitan la fe de los demonios (V, 2). 

— ¿Pueden creer los herejes con fe sobrenatural? 
— No señor; porque, aunque admiten algunas verdades reveladas, no fundan el asentimiento en la autoridad divina, sino en el propio juicio (V, 3). 

— Luego los herejes, ¿están más alejados de la verdadera fe que los impíos, y que los mismos demonios? 
— Sí señor; porque no se apoyan en la autoridad de Dios. 

— ¿Pueden creer con fe sobrenatural los apóstatas
— No señor; porque rechazan lo que habían creído bajo la palabra divina (XII). 

— ¿Pueden creer los pecadores con fe sobrenatural? 
— Pueden, con tal que conserven la fe como virtud sobrenatural; y pueden tenerla, si bien en estado imperfecto, aun cuando, por efecto del pecado mortal, estén privados de la caridad (IV, 1-4).

— ¿Luego no todos los pecados mortales destruyen la fe? 
— No señor (X, 1, 4). 

— ¿En qué consiste el pecado contra la fe llamado infidelidad? 
— En rehusar someter el entendimiento, por respeto y amor de Dios, a las virtudes sobrenaturales reveladas (X, 1-3). 

— Y siempre que esto sucede, ¿es por culpa del hombre? 
— Sí señor; porque resiste a la gracia actual con que Dios le invita e impulsa a someterse (VI, 1, 2). 

— ¿Concede Dios esta gracia actual a todos los hombres? 
— Con mayor o menor intensidad, y en la medida prefijada en los decretos de su providencia, sí señor. 

— ¿Es grande y muy estimable la merced que Dios nos hace al infundirnos la virtud de la fe? 
— Es en cierto modo la mayor de todas. 

— ¿Por qué? 
— Porque sin fe sobrenatural nada podemos intentar en orden a nuestra salvación, y estamos perpetua-mente excluidos de la gloria, si Dios no se digna concedérnosla antes de la muerte (II, 5-8, IV, 7). 

— Luego cuando tenemos la dicha de poseerla, ¿qué pecado será frecuentar compañías, mantener conversaciones o dedicarse a lecturas capaces de hacerla perder?
 — Pecado gravísimo haciéndolo espontánea y conscientemente, y de cualquier modo acto reprobable, puesto que siempre lo es exponerse a semejante peligro. 

— Luego, ¿nos importa sobremanera elegir con acierto nuestras amistades y lecturas para encontrar en ellas, no rémoras, sino estímulos para arraigar la fe? 
— Sí señor; y especialmente en esta época en que el desenfreno, llamado libertad de imprenta, ofrece tantas ocasiones y medios de perderla. 

— ¿Existe algún otro pecado contra la fe? 
— Sí señor; el pecado de blasfemia (XIII). 

— ¿Por qué la blasfemia es pecado contra la fe? 
— Por ser directamente opuesto al acto exterior de fe, que consiste en confesarla de palabra, y la blasfemia consiste en proferir palabras injuriosas contra Dios y sus santos (XIII, 1). 

— ¿Es siempre pecado grave la blasfemia? 
— Sí señor (XIII, 2-3). 

— La costumbre de proferirlas, ¿excusa o atenúa su gravedad? 
— En vez de atenuarla la agrava, pues la costumbre demuestra que se dejó arraigar el mal en lugar de ponerle remedio (XIII, 2, ad 3).

http://www.statveritas.com.ar/Doctrina/Doctrina-INDICE.htm


LAUDETUR   JESUS  CHRISTUS!
LAUDETUR  CUM  MARIA!
SEMPER  LAUDENTUR!


sabato 23 gennaio 2016

La giustificazione è gratuitamente data per la fede (VIVA) in Cristo

Capo III.

La giustificazione 
è 
gratuitamente data per la fede in Cristo

[21]Ma, ora, senza la legge, si è manifestata la giustizia di Dio, comprovata dalla legge e dai profeti, 22la giustizia di Dio per la fede di Gesù Cristo, in tutti e sopra tutti quelli che credono in lui. Non v’è alcuna distinzione, 23perché tutti hanno peccato ed hanno bisogno della gloria di Dio, 24e son giustificati gratuitamente per la grazia di lui mediante la redenzione che è in Cristo Gesù, 25da Dio preordinato vittima propiziatoria mediante la fede nel suo sangue, per dimostrare la propria giustizia nella remissione dei precedenti delitti, 26sopportati da Dio per far conoscere la sua giustizia nel tempo presente, in modo che sia giusto e giustifichi colui che crede in Gesù Cristo.

27Dov’è dunque il tuo vanto? È tolto. Per qual legge? Per quella delle opere? No: per la legge della fede. 28Noi riteniamo che l’uomo è giustificato per mezzo della fede, senza le opere della legge. 29È forse Dio dei soli Giudei? E non è anche Dio dei Gentili? 30Certamente anche dei Gentili, perché v’è un Dio solo che giustifica i circoncisi per mezzo della fede e gl’incirconcisi per mezzo della fede.

31Distruggiamo dunque la legge per mezzo della fede? No, certamente; anzi noi confermiamo la legge.




domenica 1 novembre 2015

«VOLETE ANDARVENE ANCHE VOI?» FEDE FEDE FEDE

«VOLETE ANDARVENE ANCHE VOI?»
       Augustin Guillerand *


Nato nel 1877 nel Nivernese (Francia), A. Guillerand diventò sacerdote nel 1900. Era cappellano in una piccola parrocchia di campagna, quando, nel 1916, il fascino che provava per la solitudine e la preghiera lo condusse alla Certosa della Valsainte.      Nel 1935, viene nominato priore di Vedana, in Italia. Allo scoppio della seconda guerra mondiale, fece parte del piccolo gruppo di certosini francesi che, non potendo restare in Italia, trovò rifugio nella Grande Certosa i cui edifici erano in completo abbandono. Fu là che scrisse, per sostenere la propria meditazione, degli appunti che furono pubblicati dopo la sua morte avvenuta nel 1945.

Tutto il discorso di Gesù sul pane della vita s'impernia sulla fede, la esige, ne fa la condizione di salvezza e di unione a lui. Ottenere la nostra fede è la ragione della sua venuta e della sua parola. Chiunque gliela concede, fosse pure una Samaritana, lo raggiunge e gli appartiene. Invece, un abisso si scava fra lui e chiunque tale fede gli rifiuti, foss'anche un Giudeo o un seguace assiduo del suo ministero; e la separazione è definitiva.

Gesù resta solo con i Dodici. La folla si è ritirata, incapace di una fede siffatta e del sacrificio ch'essa comporta. Non una parola per trattenerla. Al contrario, s'impone sempre di più l'esigenza divina fino al momento in cui tutti lo abbandonano, circondato soltanto da quel piccolo gruppo scelto nel quale egli già intravvede una defezione. Giovanni non cerca di parlare della sofferenza del suo Maestro di fronte a tale abbandono; egli racconta i fatti, annota le parole. Non descrive gli stati d'animo; li lascia indovinare; e la sua discrezione nel narrare ci permette di andare più in là in quell'immensità di cui egli non parla.

Tuttavia Gesù non vuoi diminuire la portata di questa esigenza che gli causa, in un sol giorno, la perdita completa del frutto del suo ministero e del beneficio dei miracoli più grandi. Non solo; egli addirittura è pronto a vedere scomparire quei pochi che gli restano, piuttosto che ripiegare: Allora Gesù disse ai Dodici: Volete andarvene anche voi?Il Padre, però, non gli chiede questo sacrificio totale. San Pietro, a nome dei Dodici, fa una professione di fede che lo consola nell'abbandono della folla: Simon Pietro Gli rispose: Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna, noi abbiamo creduto conosciuto che Tu sei il Santo di Dio (Gv. 6, 68-69).

Gli apostoli non comprendevano il linguaggio di nostro Signore più degli altri; anche per loro esso era molto enigmatico. 
Non credevano all'evidenza di ciò che veniva loro detto, ma all'autorità di colui che parlava. 
Credevano al Maestro nel quale avevano riconosciuto il Figlio di Dio, il Verbo eterno, la Luce e la Vita. 
Credevano che le parole del Verbo erano parole di vita e che, sebbene sgradevoli al loro spirito, meritavano e dovevano ottenere la loro adesione. 
Essi non aderivano dunque alla luce della loro ragione, ma alla luce che procedeva dal Verbo, riconosciuto tale dalla loro ragione. 
Essi aderivano, perché il Padre generava in loro questa luce, la luce del suo Spirito d'amore, mediante la quale li attirava a vedere nel divino Maestro e nelle sue parole, la verità. 
Era lui, in definitiva, che li metteva in movimento. Era da lui che quel movimento partiva, ed era a lui, mediante il Verbo incarnato, che questo movimento li riconduceva. Ed era per questo che tale movimento era la vita.

Il miracolo e le parole ottenevano il loro effetto: la fedeQuesta è l'opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato (Gv. 6, 29). L'opera di Dio si compiva in quel ristretto numero di cuori. Essi si nutrivano delle parole vivificatrici che il Verbo aveva sparso in loro e che, tramite loro, avrebbe sparso nel mondo.


 Au seuil de l'abîme de Dieu, Benedettine di Priscilla, Roma 1961 - pp. 273-276.

sabato 4 luglio 2015

"Fede, verità tolleranza. Il cristianesimo e le religioni nel mondo"

Fede, verità, tolleranza. Un'intervista di Ratzinger sul suo ultimo libro

Intervista a cura di Antonio Socci. Il libro: Joseph Ratzinger, "Fede, verità tolleranza. Il cristianesimo e le religioni nel mondo", Cantagalli, Siena, 2003, pagine 298, euro 17,50 


Eminenza, c¿è un¿idea che si è affermata nella cultura alta e nel pensiero comune secondo cui le religioni sono tutte vie che portano verso lo stesso Dio, quindi l¿una vale l¿altra. Cosa ne pensa, dal punto di vista teologico? 

Direi che anche sul piano empirico, storico, non è vera questa concezione molto comoda per il pensiero di oggi. È un riflesso del relativismo diffuso, ma la realtà non è questa perché le religioni non stanno in un modo statico una accanto all¿altra, ma si trovano in un dinamismo storico nel quale diventano anche sfide l¿una per l¿altra. Alla fine la Verità è una, Dio è uno, perciò tutte queste espressioni, così diverse, nate in vari momenti storici, non sono equivalenti, ma sono un cammino nel quale si pone la domanda: dove andare? Non si può dire che sono vie equivalenti perché sono in un dialogo interiore e naturalmente mi sembra evidente che non possono essere mezzi della salvezza cose contraddittorie: la verità e la menzogna non possono essere allo stesso modo vie della salvezza. Perciò questa idea semplicemente non risponde alla realtà delle religioni e non risponde alla necessità dell¿uomo di trovare una risposta coerente alle sue grandi domande.


In diverse religioni si riconosce la straordinarietà della figura di Gesù. Sembra non sia necessario essere cristiani per venerarlo. Dunque non c¿è bisogno della Chiesa?

Già nel Vangelo troviamo due posizioni possibili in riferimento a Cristo. Il Signore stesso distingue: che cosa dice la gente e che cosa dite voi. Chiede cosa dicono quelli che Lo conoscono di seconda mano, o in modo storico, letterario, e poi cosa dicono quelli che Lo conoscono da vicino e sono entrati realmente in un incontro vero, hanno esperienza della Sua vera identità. Questa distinzione rimane presente in tutta la storia: c¿è una impressione da fuori che ha elementi di verità. Nel Vangelo si vede che alcuni dicono: "è un profeta". Così come oggi si dice che Gesù è una grossa personalità religiosa o che va annoverato fra gli avataras (le molteplici manifestazioni del divino). Ma quelli che sono entrati in comunione con Gesù riconoscono che è un¿altra realtà, è Dio presente in un uomo. 

Non è confrontabile con le altre grandi personalità delle religioni?

Sono molto diverse l¿una dall¿altra. Buddha in sostanza dice: "Dimenticatemi, andate solo sulla strada che ho mostrato". Maometto afferma: "Il signore Dio mi ha dato queste parole che verbalmente vi trasmetto nel Corano". E così via. Ma Gesù non rientra in questa categoria di personalità già visibilmente e storicamente diverse. Ancora meno è uno degli avataras, nel senso dei miti della religione induista.

Perché?

È una realtà del tutto diversa. Appartiene ad una storia, che comincia da Abramo, nella quale Dio mostra il suo volto, Dio si rivela come una persona che sa parlare e rispondere, entra nella storia. E questo volto di Dio, di un Dio che è persona e agisce nella storia, trova il suo compimento in quell¿istante nel quale Dio stesso, facendosi uomo Lui stesso, entra nel tempo. Quindi, anche storicamente, non si può assimilare Gesù Cristo alle varie personalità religiose o alle visioni mitologiche orientali.

Per la mentalità comune questa "pretesa" della Chiesa - che proclama "Cristo, unica salvezza" - è arroganza dottrinale.

Posso capire i motivi di questa moderna visione la quale si oppone all¿unicità di Cristo e comprendo anche una certa modestia di alcuni cattolici per i quali "noi non possiamo dire che abbiamo una cosa migliore che gli altri". Inoltre c¿è anche la ferita del colonialismo, periodo durante il quale alcuni poteri europei hanno strumentalizzato il cristianesimo in funzione del loro potere mondiale. Queste ferite sono rimaste nella coscienza cristiana, ma non devono impedirci di vedere l¿essenziale. Perché l¿abuso del passato non deve impedire la comprensione retta. Il colonialismo - e il cristianesimo come strumento del potere - è un abuso. Ma il fatto che se ne sia abusato non deve rendere i nostri occhi chiusi di fronte alla realtà dell¿unicità di Cristo. Soprattutto dobbiamo riconoscere che il Cristianesimo non è un¿invenzione nostra europea, non è un prodotto nostro. E¿ sempre una sfida che viene da fuori dell¿Europa: all¿origine venne dall¿Asia, come sappiamo bene. E si trovò subito in contrasto con la sensibilità dominante. Anche se poi l¿Europa è stata cristianizzata è rimasta sempre questa lotta tra le proprie pretese particolari, fra le tendenze europee, e la novità sempre nuova della Parola di Dio che si oppone a questi esclusivismi e apre alla vera universalità. In questo senso, mi sembra dobbiamo riscoprire che il cristianesimo non è una proprietà europea. 

Il cristianesimo contrasta anche oggi la tendenza alla chiusura che c¿è in Europa?

Il cristianesimo è sempre qualcosa che viene realmente da fuori, da un avvenimento divino che ci trasforma e contesta anche le nostre pretese e i nostri valori. Il Signore cambia sempre le nostre pretese e apre i nostri cuori per la Sua universalità. Mi sembra molto significativo che al momento l¿Occidente europeo sia la parte del mondo più opposta al cristianesimo, proprio perché lo spirito europeo si è autonomizzato e non vuole accettare che ci sia una Parola divina che gli mostra una strada che non è sempre comoda.

Riecheggiando Dostoevskij mi chiedo se un uomo moderno può credere, credere veramente che Gesù di Nazaret è Dio fatto uomo. E¿ percepito come assurdo.

Certo, per un uomo moderno è una cosa quasi impensabile, un po¿ assurda e facilmente si attribuisce ad un pensiero mitologico di un tempo passato che non è più accettabile. La distanza storica rende tanto più difficile pensare che un individuo vissuto in un tempo lontano possa essere adesso presente, per me, e sia la risposta alle mie domande. Mi sembra importante allora osservare che Cristo non è un individuo del passato lontano da me, ma ha creato una strada di luce che pervade la storia cominciando con i primi martiri, con questi testimoni che trasformano il pensiero umano, vedono la dignità umana dello schiavo, si occupano dei poveri, dei sofferenti e portano così una novità nel mondo anche con la propria sofferenza. Con quei grandi dottori che trasformano la saggezza dei greci, dei latini, in una nuova visione del mondo ispirata proprio da Cristo, che trova in Cristo la luce per interpretare il mondo, con figure come San Francesco d¿Assisi, che ha creato il nuovo umanesimo. O figure anche del nostro tempo: pensiamo a Madre Teresa, Massimiliano Kolbe... È un¿ininterrotta strada di luce che si fa cammino della storia e una ininterrotta presenza di Cristo e mi sembra che questo fatto - che Cristo non è rimasto nel passato ma è stato sempre contemporaneo con tutte le generazioni ed ha creato una nuova storia, una nuova luce nella storia, nella quale è presente e sempre contemporaneo, fa capire che non si tratta di un qualunque grande della storia, ma di una realtà davvero Altra, che porta sempre luce. Così, associandosi a questa storia, uno entra in un contesto di luce, non si mette in rapporto con una persona lontana, ma con una realtà presente.

Perché, secondo lei, un uomo del 2003 ha bisogno di Cristo?

E¿ facile accorgersi che le cose rese disponibili solo da un mondo materiale o anche intellettuale, non rispondono al bisogno più profondo, più radicale che esiste in ogni uomo: perché l¿uomo ha il desiderio - come dicono già i Padri - dell¿infinito. Mi sembra che proprio il nostro tempo con le sue contraddizioni, le sue disperazioni, il suo massiccio rifugiarsi in scorciatoie come la droga, manifesti visibilmente questa sete dell¿infinito e solo un amore infinito che tuttavia entra nella finitudine, e diventa addirittura un uomo come me, è la risposta. E¿ certo un paradosso che Dio, l¿immenso, sia entrato nel mondo finito come una persona umana. Ma è proprio la risposta della quale abbiamo bisogno: una risposta infinita che tuttavia si rende accettabile e accessibile, per me, "finendosi" in una persona umana che tuttavia è l¿infinito. È la risposta della quale si ha bisogno: si dovrebbe quasi inventare se non esistesseÉ 

C¿è una novità nel suo libro a proposito del tema del relativismo. Lei sostiene che nella pratica politica, il relativismo è il benvenuto perché ci vaccina, diciamo, dalla tentazione utopica. E¿ il giudizio che la Chiesa ha sempre dato sulla politica?

Direi proprio di sì. E¿ questa una delle novità essenziali del cristianesimo per la storia. Perché fino a Cristo l¿identificazione di religione e stato, divinità e stato, era quasi necessaria per dare stabilità allo stato. Poi l¿islam ritorna a questa identificazione tra mondo politico e religioso, col pensiero che solo con il potere politico si può anche moralizzare l¿umanità. In realtà, da Cristo stesso troviamo subito la posizione contraria: Dio non è di questo mondo, non ha legioni, così dice Cristo, Stalin dice non ha divisioni. Non ha un potere mondano, attira l¿umanità a sé non con un potere esterno, politico, militare ma solo col potere della verità che convince, dell¿amore che attrae. Egli dice: "attirerò tutti a me". Ma lo dice proprio dalla croce. E così crea questa distinzione tra imperatore e Dio, tra il mondo dell¿imperatore al quale conviene lealtà, ma una lealtà critica, e il mondo di Dio, che è assoluto. Mentre non è assoluto lo stato.

Quindi non c¿è potere o politica o ideologia che possa rivendicare per sé l¿assoluto, la definitività, la perfezioneÉ

Questo è molto importante. Perciò sono stato contrario alla teologia della liberazione, che di nuovo ha trasformato il Vangelo in ricetta politica con l¿assolutizzazione di una posizione, per cui solo questa sarebbe la ricetta per liberare e dare progressoÉ In realtà, il mondo politico è il mondo della nostra ragione pratica dove, con i mezzi della nostra ragione, dobbiamo trovare le strade. Bisogna lasciare proprio alla ragione umana di trovare i mezzi più adatti e non assolutizzare lo stato. I padri hanno pregato per lo stato riconoscendone la necessità, il suo valore, ma non hanno adorato lo stato: mi sembra proprio questa la distinzione decisiva. Ma questo è uno straordinario punto d¿incontro tra pensiero cristiano e cultura liberal-democratica. Io penso che la visione liberal-democratica non potesse nascere senza questo avvenimento cristiano che ha diviso i due mondi, così creando pure una nuova libertà. Lo stato è importante, si deve ubbidire alle leggi, ma non è l¿ultimo potere. La distinzione tra lo stato e la realtà divina crea lo spazio di una libertà in cui una persona può anche opporsi allo stato. I martiri sono una testimonianza per questa limitazione del potere assoluto dello stato. Così è nata una storia di libertà. Anche se poi il pensiero liberal democratico ha preso le sue strade, l¿origine è proprio questa.

I sistemi comunisti europei sono crollati. Ma lei, nel suo libro, non esclude che il pensiero marxista possa comunque ripresentarsi in altre forme nei prossimi tempi.

E¿ una mia ipotesi, ma mi sembra cominci già a verificarsi perché il puro relativismo che non conosce valori etici fondanti e quindi non conosce realmente neanche un perché della vita umana, anche della vita politica, non è sufficiente. Perciò per un non credente che non riconosce la trascendenza, resta questo grande desiderio di trovare qualcosa di assoluto ed un senso morale del suo agire.

I sommovimenti noglobal di questi anni sono di nuovo una trasposizione della sete d¿assoluto in un obiettivo politico?

Direi di sì. È sempre questa sete, perché l¿uomo ha bisogno dell¿assoluto e se non lo trova in Dio lo crea nella storia.

Sempre a proposito del tema del relativismo. Tutti gli usi e i costumi e le civiltà debbono comunque essere sempre rispettate a priori oppure c¿è un canone minimo di diritti e doveri che deve valere per tutti?

Ecco, questo è l¿ altro aspetto della medaglia. Prima abbiamo constatato che la politica è il mondo dell¿opinabile, del perfettibile, dove si devono cercare con le forze della ragione le strade migliori, senza assolutizzare un partito o una ricetta. Tuttavia è anche un campo etico, la politica, perciò non può alla fine comportare un relativismo totale dove, per esempio, uccidere e creare pace hanno la stessa legittimità. Abbiamo in diversi documenti della nostra Congregazione sottolineato questo fatto, pur riconoscendo totalmente l¿autonomia politica. 

Dunque non tutto è permessoÉ

Abbiamo sempre detto che neanche la maggioranza è l¿ultima istanza, la legittimazione assoluta di tutto, in quanto la dittatura della maggioranza sarebbe ugualmente pericolosa come le altre dittature. Perché potrebbe un giorno decidere, per esempio, che vi sia una "razza" da escludere per il progresso della storia, aberrazione purtroppo già vista. Quindi, ci sono limiti anche al relativismo politico. Il limite è delineato da alcuni valori etici fondamentali che sono proprio la condizione di questo pluralismo. E sono quindi obbligatori anche per le maggioranze.

Qualche esempio?

Sostanzialmente il Decalogo offre in sintesi queste grandi costanti.

Torno a un altro aspetto del "relativismo culturale". Anche fra i cattolici c¿è chi considera la missione quasi una violenza psicologica nei confronti di popoli che hanno un¿altra civiltà.

Se uno pensa che il cristianesimo sia solo il suo proprio mondo tradizionale evidentemente sente così la missione. Ma si vede che non ha capito la grandezza di questa perla, come dice il Signore, che gli si dona nella fede. Naturalmente, se fossero solo tradizioni nostre, non si potrebbero portare ad altri. Se invece abbiamo scoperto, come dice San Giovanni, l¿Amore, se abbiamo scoperto il volto di Dio, abbiamo il dovere di raccontare agli altri. Non posso mantenere solo per me una cosa grande, un amore grande, devo comunicare la Verità. Naturalmente nel pieno rispetto della loro libertà, perché la verità non s¿impone con altri mezzi che con la propria evidenza e solo offrendo questa scoperta agli altri - mostrando cosa abbiamo trovato, che dono abbiamo in mano, che è destinato a tutti - possiamo annunciare bene il cristianesimo, sapendo che suppone l¿altissimo rispetto della libertà dell¿altro, perché una conversione che non fosse basata sulla convinzione interiore - "ho trovato quanto desideravo" - non sarebbe una vera conversione.

Di recente è venuto alla luce sulla stampa un fenomeno doloroso: la conversione di tanti immigrati che provengono dall¿islam, e che - oltre a trovarsi in pericolo - si ritrovano soli, non accompagnati dalla comunità cristiana.

Sì, ho letto e mi addolora molto. E¿ sempre lo stesso sintomo, il dramma della nostra coscienza cristiana che è ferita, che è insicura di sè. Naturalmente dobbiamo rispettare gli stati islamici, la loro religione, ma tuttavia anche chiedere la libertà di coscienza di quanti vogliono farsi cristiani e con coraggio dobbiamo anche assistere queste persone, proprio se siamo convinti che hanno trovato qualcosa che è la risposta vera. Non dobbiamo lasciarli soli. Si deve fare tutto il possibile perché possano in libertà e con pace vivere quanto hanno trovato nella religione cristiana.


[Parti di questa intervista sono state trasmesse in "Excalibur" del 20 novembre 2003 e pubblicate in "Il Giornale" del 26 novembre 2003)


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