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sabato 4 luglio 2015

"Fede, verità tolleranza. Il cristianesimo e le religioni nel mondo"

Fede, verità, tolleranza. Un'intervista di Ratzinger sul suo ultimo libro

Intervista a cura di Antonio Socci. Il libro: Joseph Ratzinger, "Fede, verità tolleranza. Il cristianesimo e le religioni nel mondo", Cantagalli, Siena, 2003, pagine 298, euro 17,50 


Eminenza, c¿è un¿idea che si è affermata nella cultura alta e nel pensiero comune secondo cui le religioni sono tutte vie che portano verso lo stesso Dio, quindi l¿una vale l¿altra. Cosa ne pensa, dal punto di vista teologico? 

Direi che anche sul piano empirico, storico, non è vera questa concezione molto comoda per il pensiero di oggi. È un riflesso del relativismo diffuso, ma la realtà non è questa perché le religioni non stanno in un modo statico una accanto all¿altra, ma si trovano in un dinamismo storico nel quale diventano anche sfide l¿una per l¿altra. Alla fine la Verità è una, Dio è uno, perciò tutte queste espressioni, così diverse, nate in vari momenti storici, non sono equivalenti, ma sono un cammino nel quale si pone la domanda: dove andare? Non si può dire che sono vie equivalenti perché sono in un dialogo interiore e naturalmente mi sembra evidente che non possono essere mezzi della salvezza cose contraddittorie: la verità e la menzogna non possono essere allo stesso modo vie della salvezza. Perciò questa idea semplicemente non risponde alla realtà delle religioni e non risponde alla necessità dell¿uomo di trovare una risposta coerente alle sue grandi domande.


In diverse religioni si riconosce la straordinarietà della figura di Gesù. Sembra non sia necessario essere cristiani per venerarlo. Dunque non c¿è bisogno della Chiesa?

Già nel Vangelo troviamo due posizioni possibili in riferimento a Cristo. Il Signore stesso distingue: che cosa dice la gente e che cosa dite voi. Chiede cosa dicono quelli che Lo conoscono di seconda mano, o in modo storico, letterario, e poi cosa dicono quelli che Lo conoscono da vicino e sono entrati realmente in un incontro vero, hanno esperienza della Sua vera identità. Questa distinzione rimane presente in tutta la storia: c¿è una impressione da fuori che ha elementi di verità. Nel Vangelo si vede che alcuni dicono: "è un profeta". Così come oggi si dice che Gesù è una grossa personalità religiosa o che va annoverato fra gli avataras (le molteplici manifestazioni del divino). Ma quelli che sono entrati in comunione con Gesù riconoscono che è un¿altra realtà, è Dio presente in un uomo. 

Non è confrontabile con le altre grandi personalità delle religioni?

Sono molto diverse l¿una dall¿altra. Buddha in sostanza dice: "Dimenticatemi, andate solo sulla strada che ho mostrato". Maometto afferma: "Il signore Dio mi ha dato queste parole che verbalmente vi trasmetto nel Corano". E così via. Ma Gesù non rientra in questa categoria di personalità già visibilmente e storicamente diverse. Ancora meno è uno degli avataras, nel senso dei miti della religione induista.

Perché?

È una realtà del tutto diversa. Appartiene ad una storia, che comincia da Abramo, nella quale Dio mostra il suo volto, Dio si rivela come una persona che sa parlare e rispondere, entra nella storia. E questo volto di Dio, di un Dio che è persona e agisce nella storia, trova il suo compimento in quell¿istante nel quale Dio stesso, facendosi uomo Lui stesso, entra nel tempo. Quindi, anche storicamente, non si può assimilare Gesù Cristo alle varie personalità religiose o alle visioni mitologiche orientali.

Per la mentalità comune questa "pretesa" della Chiesa - che proclama "Cristo, unica salvezza" - è arroganza dottrinale.

Posso capire i motivi di questa moderna visione la quale si oppone all¿unicità di Cristo e comprendo anche una certa modestia di alcuni cattolici per i quali "noi non possiamo dire che abbiamo una cosa migliore che gli altri". Inoltre c¿è anche la ferita del colonialismo, periodo durante il quale alcuni poteri europei hanno strumentalizzato il cristianesimo in funzione del loro potere mondiale. Queste ferite sono rimaste nella coscienza cristiana, ma non devono impedirci di vedere l¿essenziale. Perché l¿abuso del passato non deve impedire la comprensione retta. Il colonialismo - e il cristianesimo come strumento del potere - è un abuso. Ma il fatto che se ne sia abusato non deve rendere i nostri occhi chiusi di fronte alla realtà dell¿unicità di Cristo. Soprattutto dobbiamo riconoscere che il Cristianesimo non è un¿invenzione nostra europea, non è un prodotto nostro. E¿ sempre una sfida che viene da fuori dell¿Europa: all¿origine venne dall¿Asia, come sappiamo bene. E si trovò subito in contrasto con la sensibilità dominante. Anche se poi l¿Europa è stata cristianizzata è rimasta sempre questa lotta tra le proprie pretese particolari, fra le tendenze europee, e la novità sempre nuova della Parola di Dio che si oppone a questi esclusivismi e apre alla vera universalità. In questo senso, mi sembra dobbiamo riscoprire che il cristianesimo non è una proprietà europea. 

Il cristianesimo contrasta anche oggi la tendenza alla chiusura che c¿è in Europa?

Il cristianesimo è sempre qualcosa che viene realmente da fuori, da un avvenimento divino che ci trasforma e contesta anche le nostre pretese e i nostri valori. Il Signore cambia sempre le nostre pretese e apre i nostri cuori per la Sua universalità. Mi sembra molto significativo che al momento l¿Occidente europeo sia la parte del mondo più opposta al cristianesimo, proprio perché lo spirito europeo si è autonomizzato e non vuole accettare che ci sia una Parola divina che gli mostra una strada che non è sempre comoda.

Riecheggiando Dostoevskij mi chiedo se un uomo moderno può credere, credere veramente che Gesù di Nazaret è Dio fatto uomo. E¿ percepito come assurdo.

Certo, per un uomo moderno è una cosa quasi impensabile, un po¿ assurda e facilmente si attribuisce ad un pensiero mitologico di un tempo passato che non è più accettabile. La distanza storica rende tanto più difficile pensare che un individuo vissuto in un tempo lontano possa essere adesso presente, per me, e sia la risposta alle mie domande. Mi sembra importante allora osservare che Cristo non è un individuo del passato lontano da me, ma ha creato una strada di luce che pervade la storia cominciando con i primi martiri, con questi testimoni che trasformano il pensiero umano, vedono la dignità umana dello schiavo, si occupano dei poveri, dei sofferenti e portano così una novità nel mondo anche con la propria sofferenza. Con quei grandi dottori che trasformano la saggezza dei greci, dei latini, in una nuova visione del mondo ispirata proprio da Cristo, che trova in Cristo la luce per interpretare il mondo, con figure come San Francesco d¿Assisi, che ha creato il nuovo umanesimo. O figure anche del nostro tempo: pensiamo a Madre Teresa, Massimiliano Kolbe... È un¿ininterrotta strada di luce che si fa cammino della storia e una ininterrotta presenza di Cristo e mi sembra che questo fatto - che Cristo non è rimasto nel passato ma è stato sempre contemporaneo con tutte le generazioni ed ha creato una nuova storia, una nuova luce nella storia, nella quale è presente e sempre contemporaneo, fa capire che non si tratta di un qualunque grande della storia, ma di una realtà davvero Altra, che porta sempre luce. Così, associandosi a questa storia, uno entra in un contesto di luce, non si mette in rapporto con una persona lontana, ma con una realtà presente.

Perché, secondo lei, un uomo del 2003 ha bisogno di Cristo?

E¿ facile accorgersi che le cose rese disponibili solo da un mondo materiale o anche intellettuale, non rispondono al bisogno più profondo, più radicale che esiste in ogni uomo: perché l¿uomo ha il desiderio - come dicono già i Padri - dell¿infinito. Mi sembra che proprio il nostro tempo con le sue contraddizioni, le sue disperazioni, il suo massiccio rifugiarsi in scorciatoie come la droga, manifesti visibilmente questa sete dell¿infinito e solo un amore infinito che tuttavia entra nella finitudine, e diventa addirittura un uomo come me, è la risposta. E¿ certo un paradosso che Dio, l¿immenso, sia entrato nel mondo finito come una persona umana. Ma è proprio la risposta della quale abbiamo bisogno: una risposta infinita che tuttavia si rende accettabile e accessibile, per me, "finendosi" in una persona umana che tuttavia è l¿infinito. È la risposta della quale si ha bisogno: si dovrebbe quasi inventare se non esistesseÉ 

C¿è una novità nel suo libro a proposito del tema del relativismo. Lei sostiene che nella pratica politica, il relativismo è il benvenuto perché ci vaccina, diciamo, dalla tentazione utopica. E¿ il giudizio che la Chiesa ha sempre dato sulla politica?

Direi proprio di sì. E¿ questa una delle novità essenziali del cristianesimo per la storia. Perché fino a Cristo l¿identificazione di religione e stato, divinità e stato, era quasi necessaria per dare stabilità allo stato. Poi l¿islam ritorna a questa identificazione tra mondo politico e religioso, col pensiero che solo con il potere politico si può anche moralizzare l¿umanità. In realtà, da Cristo stesso troviamo subito la posizione contraria: Dio non è di questo mondo, non ha legioni, così dice Cristo, Stalin dice non ha divisioni. Non ha un potere mondano, attira l¿umanità a sé non con un potere esterno, politico, militare ma solo col potere della verità che convince, dell¿amore che attrae. Egli dice: "attirerò tutti a me". Ma lo dice proprio dalla croce. E così crea questa distinzione tra imperatore e Dio, tra il mondo dell¿imperatore al quale conviene lealtà, ma una lealtà critica, e il mondo di Dio, che è assoluto. Mentre non è assoluto lo stato.

Quindi non c¿è potere o politica o ideologia che possa rivendicare per sé l¿assoluto, la definitività, la perfezioneÉ

Questo è molto importante. Perciò sono stato contrario alla teologia della liberazione, che di nuovo ha trasformato il Vangelo in ricetta politica con l¿assolutizzazione di una posizione, per cui solo questa sarebbe la ricetta per liberare e dare progressoÉ In realtà, il mondo politico è il mondo della nostra ragione pratica dove, con i mezzi della nostra ragione, dobbiamo trovare le strade. Bisogna lasciare proprio alla ragione umana di trovare i mezzi più adatti e non assolutizzare lo stato. I padri hanno pregato per lo stato riconoscendone la necessità, il suo valore, ma non hanno adorato lo stato: mi sembra proprio questa la distinzione decisiva. Ma questo è uno straordinario punto d¿incontro tra pensiero cristiano e cultura liberal-democratica. Io penso che la visione liberal-democratica non potesse nascere senza questo avvenimento cristiano che ha diviso i due mondi, così creando pure una nuova libertà. Lo stato è importante, si deve ubbidire alle leggi, ma non è l¿ultimo potere. La distinzione tra lo stato e la realtà divina crea lo spazio di una libertà in cui una persona può anche opporsi allo stato. I martiri sono una testimonianza per questa limitazione del potere assoluto dello stato. Così è nata una storia di libertà. Anche se poi il pensiero liberal democratico ha preso le sue strade, l¿origine è proprio questa.

I sistemi comunisti europei sono crollati. Ma lei, nel suo libro, non esclude che il pensiero marxista possa comunque ripresentarsi in altre forme nei prossimi tempi.

E¿ una mia ipotesi, ma mi sembra cominci già a verificarsi perché il puro relativismo che non conosce valori etici fondanti e quindi non conosce realmente neanche un perché della vita umana, anche della vita politica, non è sufficiente. Perciò per un non credente che non riconosce la trascendenza, resta questo grande desiderio di trovare qualcosa di assoluto ed un senso morale del suo agire.

I sommovimenti noglobal di questi anni sono di nuovo una trasposizione della sete d¿assoluto in un obiettivo politico?

Direi di sì. È sempre questa sete, perché l¿uomo ha bisogno dell¿assoluto e se non lo trova in Dio lo crea nella storia.

Sempre a proposito del tema del relativismo. Tutti gli usi e i costumi e le civiltà debbono comunque essere sempre rispettate a priori oppure c¿è un canone minimo di diritti e doveri che deve valere per tutti?

Ecco, questo è l¿ altro aspetto della medaglia. Prima abbiamo constatato che la politica è il mondo dell¿opinabile, del perfettibile, dove si devono cercare con le forze della ragione le strade migliori, senza assolutizzare un partito o una ricetta. Tuttavia è anche un campo etico, la politica, perciò non può alla fine comportare un relativismo totale dove, per esempio, uccidere e creare pace hanno la stessa legittimità. Abbiamo in diversi documenti della nostra Congregazione sottolineato questo fatto, pur riconoscendo totalmente l¿autonomia politica. 

Dunque non tutto è permessoÉ

Abbiamo sempre detto che neanche la maggioranza è l¿ultima istanza, la legittimazione assoluta di tutto, in quanto la dittatura della maggioranza sarebbe ugualmente pericolosa come le altre dittature. Perché potrebbe un giorno decidere, per esempio, che vi sia una "razza" da escludere per il progresso della storia, aberrazione purtroppo già vista. Quindi, ci sono limiti anche al relativismo politico. Il limite è delineato da alcuni valori etici fondamentali che sono proprio la condizione di questo pluralismo. E sono quindi obbligatori anche per le maggioranze.

Qualche esempio?

Sostanzialmente il Decalogo offre in sintesi queste grandi costanti.

Torno a un altro aspetto del "relativismo culturale". Anche fra i cattolici c¿è chi considera la missione quasi una violenza psicologica nei confronti di popoli che hanno un¿altra civiltà.

Se uno pensa che il cristianesimo sia solo il suo proprio mondo tradizionale evidentemente sente così la missione. Ma si vede che non ha capito la grandezza di questa perla, come dice il Signore, che gli si dona nella fede. Naturalmente, se fossero solo tradizioni nostre, non si potrebbero portare ad altri. Se invece abbiamo scoperto, come dice San Giovanni, l¿Amore, se abbiamo scoperto il volto di Dio, abbiamo il dovere di raccontare agli altri. Non posso mantenere solo per me una cosa grande, un amore grande, devo comunicare la Verità. Naturalmente nel pieno rispetto della loro libertà, perché la verità non s¿impone con altri mezzi che con la propria evidenza e solo offrendo questa scoperta agli altri - mostrando cosa abbiamo trovato, che dono abbiamo in mano, che è destinato a tutti - possiamo annunciare bene il cristianesimo, sapendo che suppone l¿altissimo rispetto della libertà dell¿altro, perché una conversione che non fosse basata sulla convinzione interiore - "ho trovato quanto desideravo" - non sarebbe una vera conversione.

Di recente è venuto alla luce sulla stampa un fenomeno doloroso: la conversione di tanti immigrati che provengono dall¿islam, e che - oltre a trovarsi in pericolo - si ritrovano soli, non accompagnati dalla comunità cristiana.

Sì, ho letto e mi addolora molto. E¿ sempre lo stesso sintomo, il dramma della nostra coscienza cristiana che è ferita, che è insicura di sè. Naturalmente dobbiamo rispettare gli stati islamici, la loro religione, ma tuttavia anche chiedere la libertà di coscienza di quanti vogliono farsi cristiani e con coraggio dobbiamo anche assistere queste persone, proprio se siamo convinti che hanno trovato qualcosa che è la risposta vera. Non dobbiamo lasciarli soli. Si deve fare tutto il possibile perché possano in libertà e con pace vivere quanto hanno trovato nella religione cristiana.


[Parti di questa intervista sono state trasmesse in "Excalibur" del 20 novembre 2003 e pubblicate in "Il Giornale" del 26 novembre 2003)


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lunedì 2 febbraio 2015

Mediazione salvifica unica e universale di Gesù Cristo


CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE

NOTIFICAZIONE
a proposito del libro del
P. JACQUES DUPUIS, S.J.,
«Verso una teologia del pluralismo religioso»
(Ed. Queriniana, Brescia 1997)

Preambolo 
In seguito ad uno studio condotto sull’opera di P. Jacques Dupuis S.I., Verso una teologia cristiana del pluralismo religioso (Brescia 1997), la Congregazione per la Dottrina della Fede decise di approfondire l’esame della suddetta opera con procedura ordinaria, secondo quanto stabilito dal cap. III del Regolamento per l’esame delle dottrine.

Si deve anzitutto sottolineare che in questo libro l’Autore propone una riflessione introduttiva a una teologia cristiana del pluralismo religioso. Non si tratta semplicemente di una teologia delle religioni, ma di una teologia del pluralismo religioso, che intende ricercare, alla luce della fede cristiana, il significato che la pluralità delle tradizioni religiose riveste all’interno del disegno di Dio per l’umanità. Conscio della problematicità della sua prospettiva, l’Autore stesso non si nasconde la possibilità che la sua ipotesi potrebbe sollevare un numero di interrogativi pari a quelli per cui proporrà delle soluzioni.

A seguito dell’esame compiuto e dei risultati del dialogo con l’Autore, gli Em.mi Padri, valutati le analisi e i pareri espressi dai Consultori in merito alle Risposte date dall’Autore stesso, nella Sessione Ordinaria del 30 giugno 1999, hanno riconosciuto il suo tentativo di voler rimanere nei limiti dell’ortodossia, impegnandosi nella trattazione di problematiche finora inesplorate. Nello stesso tempo, pur considerando la buona disposizione dell’Autore, manifestata nelle sue Risposte, a fornire i chiarimenti giudicati necessari, nonché la sua volontà di rimanere fedele alla dottrina della Chiesa e all’insegnamento del Magistero, hanno constatato che nel libro sono contenute notevoli ambiguità e difficoltà su punti dottrinali di rilevante portata, che possono condurre il lettore a opinioni erronee o pericolose. Tali punti concernono l’interpretazione della mediazione salvifica unica e universale di Cristo, l’unicità e pienezza della rivelazione di Cristo, l’azione salvifica universale dello Spirito Santo, l’ordinazione di tutti gli uomini alla Chiesa, il valore e il significato della funzione salvifica delle religioni.

La Congregazione per la Dottrina della Fede, adempiuta la procedura ordinaria dell’esame in tutte le sue fasi, ha deciso di redigere una Notificazione[1] con l’intento di salvaguardare la dottrina della fede cattolica da errori, ambiguità o interpretazioni pericolose. Tale Notificazione, approvata dal Santo Padre nella Udienza del 24 novembre 2000, è stata presentata al P. Jacques Dupuis, e da lui è stata accettata. Con la firma del testo l’Autore si è impegnato ad assentire alle tesi enunciate e ad attenersi in futuro nella sua attività teologica e nelle sue pubblicazioni ai contenuti dottrinali indicati nella Notificazione, il cui testo dovrà comparire anche nelle eventuali ristampe o riedizioni del libro in questione, e nelle relative traduzioni.

La presente Notificazione non intende esprimere un giudizio sul pensiero soggettivo dell’Autore; ma si propone piuttosto di enunciare la dottrina della Chiesa a riguardo di alcuni aspetti delle suddette verità dottrinali, e nello stesso tempo di confutare opinioni erronee o pericolose, a cui, indipendentemente dalle intenzioni dell’Autore, il lettore può pervenire a motivo di formulazioni ambigue o spiegazioni insufficienti contenute in diversi passi del libro. In tal modo si ritiene di offrire ai lettori cattolici un sicuro criterio di valutazione, consono con la dottrina della Chiesa, al fine di evitare che la lettura del volume possa indurre a gravi equivoci e fraintendimenti.
 

I. A proposito della mediazione salvifica unica e universale di Gesù Cristo

1. Deve essere fermamente creduto che Gesù Cristo, Figlio di Dio fatto uomo, crocifisso e risorto, è l’unico e universale mediatore della salvezza di tutta l’umanità.[2]

2. Deve essere pure fermamente creduto che Gesù di Nazareth, Figlio di Maria e unico Salvatore del mondo, è il Figlio e il Verbo del Padre.[3] Per l’unità del piano divino di salvezza incentrato in Gesù Cristo, va inoltre ritenuto che l’azione salvifica del Verbo sia attuata in e per Gesù Cristo, Figlio incarnato del Padre, quale mediatore della salvezza di tutta l’umanità.[4] È quindi contrario alla fede cattolica non soltanto affermare una separazione tra il Verbo e Gesù o una separazione tra l’azione salvifica del Verbo e quella di Gesù, ma anche sostenere la tesi di un’azione salvifica del Verbo come tale nella sua divinità, indipendente dall’umanità del Verbo incarnato.[5]
 
II. A proposito dell’unicità e pienezza della rivelazione di Gesù Cristo 

3. Deve essere fermamente creduto che Gesù Cristo è il mediatore, il compimento e la pienezza della rivelazione.[6] È quindi contrario alla fede della Chiesa sostenere che la rivelazione di/in Gesù Cristo sia limitata, incompleta e imperfetta. Inoltre, benché la piena conoscenza della rivelazione divina si avrà soltanto nel giorno della venuta gloriosa del Signore, tuttavia la rivelazione storica di Gesù Cristo offre tutto ciò che è necessario per la salvezza dell’uomo e non ha bisogno di essere completata da altre religioni.[7]

4. È conforme alla dottrina cattolica affermare che i semi di verità e di bontà che esistono nelle altre religioni sono una certa partecipazione alle verità contenute nella rivelazione di/in Gesù Cristo.[8] È invece opinione erronea ritenere che tali elementi di verità e di bontà, o alcuni di essi, non derivino ultimamente dalla mediazione fontale di Gesù Cristo.[9]
 
III. A proposito dell’azione salvifica universale dello Spirito Santo 

5. La fede della Chiesa insegna che lo Spirito Santo operante dopo la risurrezione di Gesù Cristo è sempre lo Spirito di Cristo inviato dal Padre, che opera in modo salvifico sia nei cristiani sia nei non cristiani.[10] È quindi contrario alla fede cattolica ritenere che l’azione salvifica dello Spirito Santo si possa estendere oltre l’unica economia salvifica universale del Verbo incarnato.[11]
 
IV. A proposito dell’ordinazione di tutti gli uomini alla Chiesa 

6. Deve essere fermamente creduto che la Chiesa è segno e strumento di salvezza per tutti gli uomini.[12]È contrario alla fede cattolica considerare le varie religioni del mondo come vie complementari alla Chiesa in ordine alla salvezza.[13]

7. Secondo la dottrina cattolica anche i seguaci delle altre religioni sono ordinati alla Chiesa e sono tutti chiamati a far parte di essa.[14]
 
V. A proposito del valore e della funzione salvifica delle tradizioni religiose 

8. Secondo la dottrina cattolica si deve ritenere che «quanto lo Spirito opera nel cuore degli uomini e nella storia dei popoli, nelle culture e religioni, assume un ruolo di preparazione evangelica (cf. Cost. dogm. Lumen gentium, 16)».[15] È dunque legittimo sostenere che lo Spirito Santo opera la salvezza nei non cristiani anche mediante quegli elementi di verità e di bontà presenti nelle varie religioni; ma non ha alcun fondamento nella teologia cattolica ritenere queste religioni, considerate come tali, vie di salvezza, anche perché in esse sono presenti lacune, insufficienze ed errori,[16] che riguardano le verità fondamentali su Dio, l’uomo e il mondo.
     Inoltre, il fatto che gli elementi di verità e di bontà presenti nelle varie religioni possano preparare i popoli e le culture ad accogliere l’evento salvifico di Gesù Cristo, non comporta che i testi sacri delle altre religioni possano considerarsi complementari all’Antico Testamento, che è la preparazione immediata allo stesso evento di Cristo.[17]
 
Il Sommo Pontefice Giovanni Paolo II, nel corso dell’Udienza del 19 gennaio 2001, alla luce degli ulteriori sviluppi, ha confermato la sua approvazione della presente Notificazione, decisa nella Sessione Ordinaria di questa Congregazione, e ne ha ordinato la pubblicazione.
     Roma, dalla sede della Congregazione per la Dottrina della Fede, il 24 gennaio 2001, nella memoria di San Francesco di Sales.
 
+ Joseph Card. Ratzinger

Prefetto



+ Tarcisio Bertone, SDB
Arcivescovo emerito di Vercelli
Segretario






[1] La Congregazione per la Dottrina della Fede, a motivo di tendenze manifestate in diversi ambienti e sempre più recepite anche nel pensiero dei fedeli, ha pubblicato la Dichiarazione “Dominus Iesus” circa l’unicità e l’universalità salvifica di Gesù Cristo e della Chiesa (AAS, 92 [2000] 742-765), per tutelare i dati essenziali della fede cattolica. La Notificazione si ispira ai principi indicati nella suddetta Dichiarazione per la valutazione dell’opera di J. Dupuis.
[2] Cf. CONC. DI TRENTO, Decr. De peccato originali: Denz n. 1513; Decr. De iustificatione: Denz. nn. 1522; 1523; 1529; 1530. Cf. anche CONC. VATICANO II, Cost. past. Gaudium et spes, n. 10; Cost. dogm. Lumen gentium, nn. 8; 14; 28; 49; 60. GIOVANNI PAOLO II, Lett. Enc. Redemptoris missio, n. 5: AAS 83 (1991) 249-340; Es. Apost. Ecclesia in Asia, n. 14: AAS 92 (2000) 449-528; CONGR. PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Dich. Dominus Iesus, n. 13-15.
[3] Cf. CONC. DI NICEA I: Denz. n. 125; CONC. DI CALCEDONIA: Denz. n. 301.
[4] Cf. CONC. DI TRENTO, Decr. De iustificatione: Denz. nn. 1529; 1530; CONC. VATICANO II, Cost. lit. Sacrosanctum Concilium, n. 5; Cost. past. Gaudium et spes, n. 22.
[5] Cf. GIOVANNI PAOLO II, Lett. Enc. Redemptoris missio, n. 6. CONGR. PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Dich. Dominus Iesus, n. 10.
[6] Cf. CONC. VATICANO II, Cost. dogm. Dei verbum, nn. 2; 4; GIOVANNI PAOLO II, Lett. Enc. Fides et ratio, nn. 14-15; 92, AAS 91 (1999) 5-88; CONGR. PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Dich. Dominus Iesus, n. 5.
[7] Cf. CONGR. PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Dich. Dominus Iesus, n. 6; Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 65-66.
[8] Cf. CONC. VATICANO II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 17; Decr. Ad gentes, n. 11; Dich. Nostra Aetate, n. 2.
[9] Cf. CONC. VATICANO II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 16; GIOVANNI PAOLO II, Lett. Enc. Redemptoris missio, n. 10.
[10] Cf. CONC. VATICANO II, Cost. past. Gaudium et spes, n. 22; GIOVANNI PAOLO II, Lett. Enc. Redemptoris missio, nn. 28-29.
[11] Cf. GIOVANNI PAOLO II, Lett. Enc. Redemptoris missio, n. 5; Es. Apost. Ecclesia in Asia, nn. 15-16; CONGR. PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Dich. Dominus Iesus, n. 12.
[12] Cf. CONC. VATICANO II, Cost. dogm. Lumen gentium, nn. 9; 14; 17; 48. GIOVANNI PAOLO II, Redemptoris missio, n. 11; CONGR. PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Dich. Dominus Iesus, n. 16.
[13] Cf. GIOVANNI PAOLO II, Lett. Enc. Redemptoris missio, n. 36; CONGR. PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Dich. Dominus Iesus, nn. 21-22.
[14] Cf. CONC. VATICANO II, Cost. dogm. Lumen gentium, n.13 e n. 16; Decr. Ad gentes, n. 7; Dich. Dignitatis humanae, n. 1; GIOVANNI PAOLO II, Lett. Enc. Redemptoris missio, n. 10; CONGR. PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Dich. Dominus Iesus, nn. 20-22; Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 845.
[15]GIOVANNI PAOLO II, Lett. Enc. Redemptoris missio, n. 29.
[16]Cf. CONC. VATICANO II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 16; Dich. Nostra aetate, n. 2; Decr. Ad gentes, n. 9; cf. anche PAOLO VI, Es. Apost. Evangelii nuntiandi, n. 53: AAS 68 (1976) 5-76; GIOVANNI PAOLO II, Lett. Enc. Redemptoris missio, n. 55; CONGR. PER LA DOTTRINA DELLA FEDE Dich. Dominus Iesus, n.8.
[17] Cf. CONC. DI TRENTO, Decr. de libris sacris et de traditionibus recipiendis: Denz n. 1501; CONC. VATICANO I, Cost. dogm. Dei Filius, cap. 2: Denz n. 3006; CONGR. PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Dich. Dominus Iesus, n. 8.



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