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domenica 11 ottobre 2020

LA STORIA DI DON ANDREA BELTRAMI

 Il venerabile Andrea Beltrami

Un vero mistico salesiano, morto a 27 anni, tre mesi dopo santa Teresina di Lisieux alla quale per molti aspetti assomiglia per il suo itinerario spirituale.

La storia di don Andrea Beltrami potrebbe incominciare come racconta un'antica favola: «In un magnifico giardino cresceva un bambù dal nobile aspetto. Il Signore del giardino lo amava più di tutti gli altri alberi. Anno dopo anno, il bambù cresceva e si faceva robusto e bello. Perché il bambù sapeva bene che il Signore lo amava e ne era felice».
Era un giovane in gamba, intelligente e sportivo, con uno splendido futuro. Lo ricorda lui stesso: «Ottenni la licenza ginnasiale al Liceo Gioberti in Torino, e il mio esame fu un vero trionfo: dei 33 candidati di scuole private, tre appena furono promossi. Di questi tre io fui il primo, avendo ottenuto 10 in italiano orale e 9 in componimento. Ebbi perciò la prima medaglia del collegio di Lanzo. Così splendidi successi mi aprivano una bella carriera nel mondo».
Andrea era nato a Omegna (Novara), sulle rive del lago d'Orta, il 24 giugno 1870. Suo padre Antonio era un conciatore di pelli, sua madre Caterina gestiva un negozio di alimentari. Erano buoni cristiani (come ricordava Andrea) e crescevano nell'amore del Signore i cinque figli e le cinque figlie che Dio aveva loro mandato.
Andrea, il primogenito, era amico delle acque del lago, dove nuotava e remava insieme ai fratelli. Era anche amico delle montagne che si elevavano poco lontano dal lago. Durante i mesi delle vacanze scolastiche vi si arrampicherà sempre con passione.


Andrea rivelò presto carattere ardente e vivace, con un fondo di tenacia che era proprio della stirpe. Apparvero sin dai primi anni anche il suo eletto ingegno e la sua passione per libri e quaderni. Dichiara il fratello Giuseppe: “Andrea manifestò sempre inclinazioni allo studio, e nei collegi Zanoia e Conti riportò sempre i primi premi”. La mamma aggiunge che aveva “dieci in condotta, nei collegi che frequentò ad Omegna”.
Ricordano tutti il suo carattere dolce, la sua obbedienza, il rispetto verso i superiori, l'animo caritatevole e gentile verso i poveri.
Non che gli mancassero i difetti dell'età e del temperamento impulsivo e in qualche misura dominatore e ribelle: ma nell'infanzia e nel corso elementare, a chi lo osservava attentamente, parvero splendere in lui più le belle qualità di natura e di grazia, che non le immancabili ombre, da cui prende rilievo ogni figura umana.
Nulla, è vero, di eccezionale che lasciasse fin d'allora intravedere il santo: ma neppure atteggiamenti o fatti in contrasto con il dovere scolastico, familiare, con una vita ordinata e semplice che poteva essere preludio di più alte virtù.
Purtroppo al Collegio Zanoia, mentre frequentava la terza e quarta elementare in qualità di semiconvittore, venne a trovarsi tra un mondo giovanile reso malsano dalla presenza di compagni guasti dal male, e ne fu scossa la sua sensibilità.
Ad aiutarlo e sostenerlo, in momenti per lui d'incertezza e d'angoscia, e qui si ammira la sua prontezza e fermezza di volontà, fu la frequenza ai sacramenti.


Don Bosco
Nell'ottobre 1883 approdò al collegio salesiano di Lanzo Torinese. Non sappiamo perché dalla scuola di Omegna passò a quella salesiana di Lanzo. Probabilmente perché in casa sua arrivava il Bollettino Salesiano. A Lanzo, nel 1884, Andrea fu letteralmente ipnotizzato da monsignor Giovanni Cagliero, il vescovo missionario salesiano che parlò ai giovani delle terre lontane della Patagonia e degli indios che lo aspettavano. Fu con ogni probabilità da quel momento che cominciò a sentire - come racconta nella lettera drammatica - l'invito potente di Dio: tu sarai salesiano.
Fu accompagnato al noviziato salesiano dalla mamma. Affidandolo a don Barberis, la signora Caterina disse: «Lo metto nelle sue mani. Ne faccia un santo». Il 2 ottobre 1887, nella casa salesiana di Valsalice, Andrea Beltrami si inginocchiò davanti al vecchio e malato don Bosco, e nella freschezza dei suoi 17 anni giurò a Dio di vivere per sempre casto, povero e obbediente nella Congregazione salesiana. Don Bosco era ormai al termine della sua vita terrena. Quattro mesi dopo, il 31 gennaio 1888, si spegneva nella pace di Dio. Il giorno prima, Andrea e tutti i giovani salesiani di Valsalice erano andati a salutarlo un'ultima volta. Lo narrò in una lettera a papà e mamma: «Siamo entrati a uno a uno nella sua camera, ci siamo fermati a contemplarlo un istante e gli abbiamo baciato la mano. Se aveste veduto che pace spirava in quella camera! che tranquillità!».


In aiuto al principe polacco
A Valsalice e poi a Foglizzo (1887-1891), Andrea Beltrami si impegnò negli studi superiori: liceo e poi Università di lettere e di filosofia frequentata come pendolare tra Foglizzo e Torino. A Valsalice, nell'autunno del 1887, Andrea divenne amico di Augusto Czartoryski, giovane principe polacco. Egli aveva voluto diventare salesiano. Don Bosco esitava, ma papa Leone XIII in persona aveva appoggiato la sua domanda. La madre di Augusto, la dolcissima principessa Maria Amparo, era figlia della regina di Spagna, ed era morta di tisi quando Augusto aveva sei anni, lasciandogli un'eredità regale, ma anche una salute fragile e incrinata dalla tisi, la malattia che in quel tempo spopolava inesorabilmente le case dei poveri e quelle dei re.


A 16 anni, Augusto aveva avuto come precettore un ex-prigioniero dei russi in Siberia, oggi venerato come santo: Giuseppe Kalinowski. Sua madre e il santo istitutore avevano alimentato in Augusto un atteggiamento raro: il distacco dalle cose terrene. Il principe le guardava come se vi vedesse dentro l'incapacità di farlo felice. Andrea e Augusto si scoprirono «gemelli nella fede».
A Valsalice, poi a Lanzo e ad Alassio, Andrea per ordine dei superiori segue il principe Augusto in cerca di salute (la tisi lo sta aggredendo). Andrea ha ogni attenzione per l'amico. Lo cura come un fratello. In quei giorni, spesso resi lunghi dall'inattività forzata, Andrea riceve dal principe Augusto silenziose lezioni di santità. Scrive: «So di avere in cura un santo, un angelo». E don Celestino Durando, uno dei superiori maggiori dei salesiani, testimonierà: «Mai infermo fu più bisognoso di cure materne, e mai vi fu un infermiere più vigilante e delicato». Alla fine del 1890, mentre il principe rimaneva ad Alassio (si sarebbe spento l'8 aprile 1893), Andrea Beltrami tornò a Foglizzo, assistente insegnante, iscritto all'Università di Torino.


Il sigillo del sangue
Qui incomincia la seconda parte della favola:
Un giorno, il Signore si avvicinò al suo amato albero e gli disse: «Caro bambù, ho bisogno di te».
Il magnifico albero sentì che era venuto il momento per cui era stato creato e disse, con grande gioia: «Signore, sono pronto. Fa' di me l'uso che vuoi».
La voce del Signore era grave: «Per usarti devo abbatterti!».
Il bambù si spaventò: «Abbattermi, Signore? Io, il più bello degli alberi del tuo giardino? No, per favore, no! Usami per la tua gioia, Signore, ma per favore, non abbattermi».
«Mio caro, bambù», continuò il Signore, «se non posso abbatterti, non posso usarti».
Il giardino piombò in un profondo silenzio. Anche il vento smise di soffiare. Lentamente il bambù chinò la sua magnifica chioma e sussurrò: «Signore, se non puoi usarmi senza abbattermi, abbattimi».
«Mio caro bambù», disse ancora il Signore, «non solo devo abbatterti, ma anche tagliarti i rami e le foglie».
«Mio Signore, abbi pietà. Distruggi la mia bellezza, ma lasciami i rami e le foglie!».
«Se non posso tagliarli, non posso usarti».
Il sole nascose il suo volto, una farfalla inorridita volò via. Tremando, il bambù disse fiocamente: «Signore, tagliali».
«Mio caro bambù, devo farti ancora di più. Devo spaccarti in due e strapparti il cuore. Se non posso fare questo, non posso usarti».
Il bambù si chinò fino a terra e mormorò: «Signore, spacca e strappa».

Mentre tornava dall'Università di Torino in una giornata siberiana (era il 20 febbraio 1891), Andrea ebbe un profondo colpo di tosse, e si trovò la bocca piena di sangue. Era una grave emottisi: rivelava che anche i suoi polmoni erano intaccati dalla tubercolosi. Non aveva ancora 21 anni. I medici, subito chiamati a visitarlo, dissero ai superiori che non si facessero illusioni: la malattia era mortale. Andrea non seppe nulla, e docilmente interruppe l'università e iniziò le cure per ricuperare la salute. Scrisse dopo alcuni mesi: «Vado sempre migliorando. Faccio qualche passeggiata adagio adagio... Da qualche tempo però la mia tosse si fa più forte e improvvisa, soprattutto di notte». Il suo più grande desiderio era diventare sacerdote, celebrare la s. Messa. Secondo le leggi della Chiesa, in quel tempo l'ordinazione sacerdotale non si poteva ricevere prima dei 24 anni. Nelle pause che la malattia gli concedeva (sempre fiducioso di guarire) Andrea cominciò ad aprire i libri di teologia, per prepararsi al grande giorno. Scriveva a don Barberis: «Io sto abbastanza bene... Ho studiato un po' di teologia...».
Scorrendo le sue lettere, si osserva che poco per volta nella sua vita si opera un cambiamento profondo. Pregando e pensando si abbandona sempre più alla volontà di Dio. Non desidera più guarire, ma unicamente fare ciò che a Dio piace. Il 2 luglio 1892 scrive: «II Signore continua ad aiutarmi, e io non ho che da ringraziarlo di questa malattia come di un favore specialissimo». Alcuni mesi dopo, all'amico Amilcare Bertolucci scrive: «Alla Congregazione sono necessari molti che soffrano, e che sappiano soffrire bene».


Sacerdote e vittima
I superiori vollero manifestare la loro riconoscenza a quel «meraviglioso sofferente» ottenendogli la dispensa di 18 mesi per l'ordinazione sacerdotale. LƎ gennaio 1893 monsignor Giovanni Cagliero, il vescovo missionario che l'aveva entusiasmato da ragazzo, lo ordinò sacerdote a Valdocco, nelle camerette dov'era vissuto don Bosco. Alla sua prima Messa assistette la carissima mamma. La cameretta dove viveva a Valsalice gli permetteva di vedere l'altare della cappella e il tabernacolo. Ogni giorno passava ore in adorazione fissando Gesù Eucaristia.
Don Paolo Albera, secondo successore di don Bosco, tracciando la figura di Andrea quando si pensò di iniziarne la Causa di Beatificazione, scrisse: «Col permesso del suo direttore scrisse, e sottoscrisse col suo sangue, una preghiera che portò sempre appesa al collo in un borsellino: “Converti, o Gesù, tutti i peccatori, consola con la tua grazia tutti gli agonizzanti, libera tutte le anime sante del purgatorio. Io mi offro pronto a soffrire tutte le agonie dei moribondi, tutti i tormenti di tutti i martiri, e ciò fino al giorno del giudizio universale. Mi offro vittima. Questa vittima venga offerta continuamente a te”».
Così il Signore del giardino abbatté il bambù, tagliò i rami e le foglie, lo spaccò in due e gli estirpò il cuore. Poi lo portò dove sgorgava una fonte di acqua fresca, vicino ai suoi campi che soffrivano per la siccità. Delicatamente collegò alla sorgente una estremità dell'amato bambù e diresse l'altra verso i campi inariditi.
La chiara, fresca, dolce acqua prese a scorrere nel corpo del bambù e raggiunse i campi. Fu piantato il riso e il raccolto fu ottimo.
Così il bambù divenne una grande benedizione, anche se era stato abbattuto e distrutto.
Quando era un albero stupendo, viveva solo per se stesso e si specchiava nella propria bellezza. Stroncato, ferito e sfigurato era diventato un canale, che il Signore usava per rendere fecondo il suo regno.

E dopo sei anni di tante sofferenze scriveva a don Rua: «È il sesto anno della mia malattia, e io ne faccio anniversario come di giorno festivo, pieno di letizia».
Nonostante fosse in pericolo di morire da un giorno all'altro - continua don Albera - pensò di rendersi utile alla Congregazione scrivendo libri, dopo averne chiesto il permesso. Uscirono dalla sua penna una ventina di opere che, pubblicate quasi tutte dopo la sua morte, ebbero larghissima diffusione, dalla Vita di S. Francesco d'Assisi e Il peccato veniale. Scrisse tutte queste opere tra gravi dolori, prendendo forza nel guardare il tabernacolo di Gesù Eucaristia.
Al mattino del 30 dicembre 1897, dopo una notte di violenta crisi cardiaca, rinnovò l'offerta di sé. Poi, quale sposo che si vede arrivato al giorno delle nozze, fece la pulizia alla sua persona, si cambiò da sé la biancheria e non pensò più ad altro che a comparire avanti a Dio.
Morì durante la Messa celebrata dal suo direttore. Aveva 27 anni.
Tre mesi prima, il 30 settembre si era spenta nel Carmelo di Lisieux, all'età di 24 anni, santa Teresina del Bambino Gesù, contemplando il Crocifisso e dicendo: “Oh... l'amo!... Dio mio... Vi amo!”.
Una singolare sintonia spirituale tra due anime giovani che avevano offerto la loro vita per la salvezza delle anime nella fedeltà alle rispettive vocazioni.

AMDG et DVM