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giovedì 4 agosto 2016

IL VERO STATO DELLE ANIME


CAPITOLO V
 IL VERO STATO DELLE ANIME

L’umanità è passata per tre stati successivi, il primo dopo la caduta fino a Mosè e si chiama stato della legge di natura; il secondo da Mosè a nostro Signore ed è lo stato della legge scritta; il terzo da nostro Signore fino a noi, lo stato di grazia che durerà fino alla fine dei tempi.

Sant’Agostino li riassume in tre parole: «Ante legem, sub lege, sub gratia» e, andando più lontano, osserva che questi diversi stati della umanità s’incontrano facilmente nelle anime le quali possono stare «Ante legem», o «sub lege» o «sub gratia».

Un’anima sta «Ante legem» quando sta nell’ignoranza, sia perché non le fu data l’istruzione, sia perché l’ha trascurata, non conoscendone il valore.

Un’anima è «sub lege» quando conosce il bene che deve fare e il male che deve evitare; ma o perché non ha ancora ricevuto la fede, o perché ha trascurato il vivere secondo la fede, sta in peccato pur sapendo che cos’è il peccato.

Un anima è «sub gratia», quando, con conoscenza, ha ricevuto il dono della fede e la grazia di vivere secondo la fede che opera per mezzo della carità: «La fede che opera per mezzo della carità» (Gal. 5,6).

In questo felice stato d’anima cammina in pace nella via dei santi comandamenti: ama le leggi di Dio e soprattutto Dio; è libera nel bene che ama e avanza con fiducia verso la ricompensa che Dio le promette. Bisogna fare questa distinzione nelle anime per proporzionare le istruzioni alla loro necessità e per non esigere da esse ciò che sorpasserebbe le loro forze. Cosi un’anima che sta ancora «ante legem» ha maggior bisogno di ricevere di quanto non è capace di dare; in essa la buona volontà consiste nel ricevere la luce nella misura che le è data, e non le si deve chiedere di più.

L’anima, poi, che è «sub lege» ha bisogno di essere illuminata intorno alla natura della fede, ai misteri dell’Incarnazione, della redenzione, della grazia medicinale del Salvatore, e della natura della carità. Ha bisogno di essere portata alla preghiera e soprattutto al desiderio di una grazia maggiore e più abbondante.

L’anima che sta «sub gratia» chiede di essere ben istruita sulla natura della grazia, della sua gratuità, della sua necessità e sulle sue meravigliose operazioni, e così rimettendosi ad essa con amore, possa camminare nelle strade di tutte le buone opere.

Tale anima ha pur bisogno di essere istruita e affermata nell’umiltà onde non esporsi alle cadute: «Chi crede di stare in piedi guardi di non cadere» (I Cor. 10,12). «Tu resti li in ragione della fede. Non montare in superbia, ma temi» (Rm. 11,20). 

Da qui la necessità che l’istruzione sia proporzionata allo stato delle anime, e che da parte loro l’azione risponda all’istruzione: sarebbe grande sventura chiedere loro più di quanto possono davanti a Dio: per esempio se si volesse condurre alla comunione chi non è neppure «sub lege» o chi stesse «ante legem» in una deplorevole ignoranza Il male fatto alle anime, agendo in questo modo, è incalcolabile e tanto più deplorevole in quanto si sono usati i sacramenti che sono stati ricevuti senza conoscenza, senza preparazione, senza frutto e senza gusto: per cui i sacramenti ricevuti in tal maniera spesso sono gli ultimi sacramenti.