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lunedì 23 dicembre 2019

Compendio della perfezione del penitente. Sant'A. di Padova


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18. “E sarà chiamato ammirabile, consigliere, Dio, forte, Padre del secolo futuro, principe della pace”. In questi sei nomi è compendiata la perfezione del penitente, o del giusto.
Infatti è ammirabile nel diligente esame e nella frequente revisione di se stesso, e vede quindi cose meravigliose nel profondo del suo cuore. Per questo è mirabile anche Giobbe, la cui pazienza tutto il mondo ammira: “Io – diceva – non terrò chiusa la mia bocca: parlerò nell’angoscia del mio spirito, converserò nell’amarezza della mia anima” (Gb 7,11). L’angoscia dello spirito e l’amarezza dell’anima non lasciano nulla fuori discussione, quando tutto viene esaminato e vagliato con la massima diligenza.
È consigliere nelle necessità corporali e spirituali del prossimo, come dice Giobbe: “Fui occhio per il cieco, piede per lo zoppo” (Gb 29,15). Il cieco è colui che non vede nella sua coscienza; lo zoppo è colui che devia dal retto sentiero della giustizia. Ma il giusto è buon consigliere per entrambi, perché al primo è occhio nell’insegnargli a scoprire il guasto della sua coscienza; al secondo è piede, sostenendolo e guidandolo affinché compia i passi delle opere nella via della giustizia.
È Dio. Nel governare i sudditi, il giusto è chiamato “dio” solo di nome, in quanto fa le veci di Dio. Infatti il Signore dice a Mosè: “Ecco che io ti ho costituito “dio” del faraone” (Es 7,1). E anche: “Se non viene scoperto il ladro, il padrone di casa si accosterà a Dio”, cioè ai sacerdoti, e giurerà che non ha allungato la mano sulle cose del suo prossimo” (Es 22,8). E ancora: “Io ho detto: voi siete Dei” (Sal 81,6). In altro senso: Dio si dice in greco Theòs, vale a dire “che guarda” – in quanto deriva da theorèo, guardare – perché guarda tutte le cose; thèo vuol dire anche corro, perché Dio percorre, passa in rassegna tutte le cose. Il penitente è detto “dio”, cioè che guarda e che percorre: guarda infatti le cose superiori con la contemplazione, e perciò corre con la mente a quelle passate solo per impegnarsi alla penitenza.
È forte nel combattere le tentazioni. Si legge nel libro dei Giudici: “Comparve un giovane leone infuriato, che correva ruggendo verso Sansone. Ma lo Spirito del Signore investì Sansone, il quale squartò il leone come si fosse trattato di fare a pezzi un capretto” (Gdc 14,5-6). Il giovane leone raffigura lo spirito di superbia o di lussuria e simili: infuria con la sua insistenza, rugge con l’astuzia; compare all’improvviso e assale con violen­za. Ma quando lo spirito della contrizione, dell’amore e del timore di Dio investe il penitente, questi squarta lo spirito di superbia simboleggiato nel leone, e fa a pezzi lo spirito di lussuria, simboleggiato nel capretto, a motivo del suo fetore: distrugge meticolosamente quel peccato e le sue circostanze.
È padre del secolo futuro, nella predicazione della parola e in quella dell’esempio. Dice l’Apostolo: “Figlioli miei, che io di nuovo partorisco, finché in voi non sia formato Cristo” (Gal 4,19). E anche: “Io vi ho generato in Cristo, mediante il vangelo” (1Cor 4,15), per l’eterna vita.
È principe della pace nell’armoniosa coabitazione dello spirito e del corpo. Dice Giobbe: “Le fiere della terra”, cioè gli impulsi della tua carne, “ saranno in pace con te; e constaterai che anche la tua tenda gode della pace” (Gb 5,23-24). E anche: “Sepolto”, cioè nascosto al mondo per mezzo della contemplazione, “dormirai sicuro. Riposerai e non ci sarà chi ti spaventi” (Gb 11,18-19).
Si degni di concederci tutto questo, colui che è benedetto nei secoli. Amen.
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AMDG et DVM

domenica 11 ottobre 2015

SANSONE















Il popolo d'Israele da lungo tem­po ormai era oppresso dai ne­mici Filistei, e levava preghiere al Signore perché venisse in suo aiuto. Il Signore intervenne man­dando nel popolo d'Israele Sanso­ne, un uomo che Egli si era riserva­to prima ancora che nascesse. Il se­gno che egli era tutto di Dio era questo: fin dalla nascita non doveva mai tagliarsi i capelli. In cambio, il Signore gli dava una forza straordi­naria per combattere i Filistei. La sua forza era davvero grande: un giorno, in campagna, gli venne incontro ruggendo un leone, e San­sone senza armi afferrò il leone e lo squarciò. 




Qualche tempo dopo ripassò da quelle parti, e volle andare a vedere i resti del leone; vide che uno scia­me di api vi si era installato e aveva già cominciato a produrre miele, tanto che Sansone poté prenderne e cibarsene. Il fatto del leone e del miele gli diede spunto per proporre un indo­vinello a trenta giovani Filistei. Disse loro: «Se me lo spiegate entro sette giorni, vi darò trenta vesti con il loro cambio; altrimenti sarete voi a darle a me». Essi acconsentirono, ed egli pro­pose l'indovinello: «Dal divoratore è uscito il cibo; dal forte è uscito il dolce». Risolsero l'enigma, e vi riuscirono soltanto con un imbroglio, allo sca­dere del settimo giorno. Gli rispose­ro: «Che cosa è più dolce del miele? Che cosa è più forte del leone?» Sansone doveva dunque dare a ciascuno di loro una veste con il suo cambio: se le procurò ucciden­do altri trenta Filistei. Così cominciò a combattere contro i nemici. 

Un'altra volta, al tempo della mietitura del grano, catturò trecento volpi, le legò a due a due per la coda con una fiaccola accesa nel mezzo e le lasciò andare nei campi di grano dei Filistei, distruggendo il raccolto, le vigne e gli oliveti. I Filistei, furenti, marciarono in gran numero contro il popolo di Israele, che si impaurì. Ma Sansone disse: «Non preoccupatevi: conse­gnate me stesso, legato, ai Filistei, ed essi se ne andranno». Così fu fatto; ma appena fu in mezzo ai Fili­stei, Sansone fece forza e spezzò le funi con cui era stato legato, poi trovò una mascella d'asino e con essa si mise a colpire i nemici, ucci­dendone un migliaio. 

Un'altra volta Sansone si trovava nascostamente a Gaza, una città fili­stea; i soldati di Gaza lo vennero a sapere, e si misero in guardia per sorprenderlo e ucciderlo. Ma San­sone li prevenne: a mezzanotte si alzò per andarsene e, poiché le por­te della città erano sbarrate, con la sua forza afferrò i due battenti di una porta, li divelse con anche gli stipiti, se li pose sulle spalle e li por­tò fin sulla cima di un colle vicino. 
Poiché non riuscivano a catturar­lo in altro modo, i Filistei decisero di ricorrere all'inganno. A Sansone piaceva una donna filistea di nome Dalila, ed ella, d'accordo nascosta­mente con i capi del suo popolo, chiese a Sansone da dove provenis­se la sua forza prodigiosa. Egli non voleva rivelarglielo, ma Dalila tanto insistette che alla fine Sansone le disse: «La forza mi viene dal Signo­re mio Dio; io mi sono consacrato a lui, come dimostrano i miei capel­li che non sono mai stati tagliati». Allora, una notte, mentre Sanso­ne dormiva, Dalila gli fece tagliare i capelli e lo fece legare con salde funi. Sansone pensò di potersi facil­mente liberare dalle funi, ma si ac­corse che non aveva più i lunghi ca­pelli, e con essi era svanita tutta la sua forza. Così i Filistei lo catturarono; gli cavarono gli occhi e lo chiusero in una prigione dove lo misero a gira­re la macina. Lentamente, però, i suoi capelli ripresero a crescere, e con essi la forza. 
Dopo qualche tempo, nella ricorrenza di una festa di Dagon, la divinità che essi adoravano, i Filistei si radunarono numerosi nel loro tempio, e con grande giubilo si ral­legravano di non avere più da te­mere il pericolo di Sansone. «Il no­stro dio ci ha dato nelle mani il no­stro nemico» si dissero, e decisero di far venire Sansone al tempio, per divertirsi vedendolo ormai vinto. Lo mandarono a prendere nella prigione, e Sansone venne nel tem­pio, accompagnato per mano da un ragazzo, perché era cieco. Nel tem­pio e sul terrazzo c'erano tutti i capi dei Filistei e una grande folla, circa tremila tra uomini e donne, che guardavano incuriositi quell'uomo di cui avevano avuto tanta paura. Sansone, senza dar nell'occhio, chiese al ragazzo che lo accompagnava: «Fammi toccare le due colonne che reggono questo edificio, perché possa appoggiarmi ad esse». Poi ri­volse una preghiera al Signore: «Si­gnore, ricordati di me! Dammi forza per questa volta soltanto, o Dio!» Subito dopo toccò le due colon­ne per rendersi ben conto di dov'e­rano; poi, facendo forza con le braccia contro di esse, gridò: «Che io muoia insieme con i Filistei!» Sansone riuscì a spostare le co­lonne; l'edificio allora crollò rovi­nando addosso a tutti i presenti. Fu­rono più i nemici che Sansone ucci­se con la sua morte, di quanti ne aveva uccisi durante la sua vita. Giudici 13-16.