Gregorio: la tentazione dunque fu superata. Libero da quella, l'uomo di Dio, sempre con più abbondanza dava frutti vigorosi di virtù, proprio come avviene in un terreno mondato dalle spine e ben coltivato. Conduceva vita veramente santa, e per questo la sua fama si andava divulgando dovunque. Non molto lontano dallo speco viveva una piccola comunità di religiosi, il cui superiore era morto di recente. Tutti insieme questi uomini si presentarono al venerabile Benedetto e lo pregarono insistentemente perché assumesse il loro governo. Il santo uomo si rifiutò a lungo, con fermezza, soprattutto perché era convinto che i loro costumi non si sarebbero potuti mai conciliare con le sue convinzioni. Ma alla fine, quando proprio non poté più resistere alla loro insistenza, acconsentì.
Li seguì dunque nel loro monastero. Cominciò subito a vigilare attentamente sulla vita regolare e nessuno si poteva permettere, come prima, di flettere a destra o a sinistra dal diritto sentiero dell'osservanza monastica. Questo li fece stancare e indispettire, e, stolti com'erano, si accusavano a vicenda di essere andati proprio loro a sceglierlo per loro abate; la loro stortura cozzava troppo contro la norma della sua rettitudine.
Si resero conto che sotto la sua direzione le cose illecite non erano assolutamente permesse e d'altra parte le inveterate abitudini non se la sentivano davvero di abbandonarle: è tanto difficile voler impegnare per forza a nuovi sistemi anime di incallita mentalità!
E cosa purtroppo notoria che chi si comporta male trova sempre fastidio nella vita dei buoni; e così quei malvagi si accordarono di cercar qualche mezzo per togliergli addirittura la vita. Ci furono vari pareri e infine decisero di mescolare veleno nel vino, e a mensa, secondo una loro usanza, presentarono all'abate per la benedizione il recipiente di vetro che conteneva la mortale bevanda.
Benedetto alzò la mano e tracciò il segno della croce.
Il recipiente era sorretto in mano ad una certa distanza: il santo segno ridusse in frantumi quel vaso di morte, come se al posto di una benedizione vi fosse stata scagliata una pietra. Comprese subito l'uomo di Dio che quel vaso non poteva contenere che una bevanda di morte, perché non aveva potuto resistere al segno che dona la vita.
Si alzò sull'istante, senza alterare minimamente la mitezza del volto e la tranquillità della mente, fece radunare i fratelli e disse semplicemente così: "Io chiedo al Signore che voglia perdonarvi, fratelli cari: ma come mai vi è venuto in mente di macchinare questa trama contro di me? Vi avevo detto che i nostri costumi non si potevano accordare: vedete se è vero? Adesso dunque basta così; cercatevi pure un superiore che stia bene con la vostra mentalità, perché io, dopo questo fatto, non me la sento più di rimanere con voi".
E se ne tornò alla grotta solitaria che tanto amava, ed abitava lì, solo solo con se stesso, sotto gli occhi di Colui che dall'alto vede ogni cosa.
Pietro: non capisco bene l'espressione che hai detto: "abitava solo solo con se stesso".
Gregorio: ti spiego meglio. Se il santo uomo avesse voluto tenere per forza lungo tempo sotto il suo governo quei monaci che erano unanimi contro di lui ed avevano abitudini tanto diverse dalle sue, forse sarebbe stato spinto a sospendere la sua austerità e a perdere la sua costante tranquillità, distogliendo l'occhio della mente dalla radiosa contemplazione. Forse, esaurito dalle quotidiane riprensioni e castighi che era necessario dare, avrebbe atteso con minore slancio al suo perfezionamento, e forse avrebbe finito col perdere di vista la propria anima, senza riuscire a guadagnare quella degli altri.
Certo, ogni volta che siamo fuori di noi stessi a causa di ansiose preoccupazioni, siamo con noi e non siamo con noi, perché non vedendo più bene noi stessi, ci andiamo svagando in altre vanità.
Si può dire, per esempio, che era in se stesso quel tale che emigrò in lontana regione, sciupò l'eredità ricevuta, si mise a servizio di un cittadino, fu relegato a pascere porci e mentre questi mangiavano le ghiande, lui disgraziato soffriva di fame? In seguito, però, quando lo invase il ricordo dei beni perduti, di lui è scritto così: "Tornato in sé, disse: quanti mercenari in casa di mio padre abbondano di pane!". Vuol dire che prima era uscito da sé, altrimenti da dove avrebbe fatto ritorno a sé?
Mi è piaciuto dunque, parlando di questo venerabile uomo, usare l'espressione "abitò con se stesso", perché sempre vigilante nel custodirsi, sempre sotto gli occhi del Creatore, esaminando e considerando unicamente se stesso, non divagò mai fuori di sé l'occhio dell'anima sua.
Pietro: e allora come si spiega quello che è scritto di Pietro Apostolo che, liberato dal carcere, "tornò in sé e disse: ora capisco che il Signore ha mandato il suo angelo e mi ha salvato dalle mani di Erode e di tutta la gente giudaica che era in attesa"?
Gregorio: Caro Pietro, in due maniere noi possiamo uscire da noi stessi: o precipitando sotto di noi per il peccato di pensiero o innalzandoci al di sopra di noi per la grazia della contemplazione. Colui, per esempio, che invidiò i porci, cadde al di sotto di sé, a causa della sua mente svagata ed immonda. Pietro invece che dall'angelo fu sciolto dalle catene, e fu rapito nell'estasi, anche lui, certo, uscì da se stesso, ma fu innalzato al di sopra di sé. Ambedue poi ritornarono in se stessi, l'uno quando dalla sua condotta colpevole riprese padronanza del suo cuore, l'altro quando dalla sublimità della contemplazione riacquistò la comune coscienza come l'aveva prima.
E' dunque esatto dire che il venerabile Benedetto in quella solitudine abitò con se stesso, perché tenne in custodia se stesso entro i limiti della propria coscienza. Quando invece lo slancio della contemplazione lo rapì in alto, allora certamente lasciò se stesso, ma al di sotto di sé.
Pietro: è proprio interessante quello che dici. Ora però vorrei forti un'altra domanda. Vorrei che mi dicessi se ha fatto bene a lasciare i fratelli, dopo aver accettato di governarli.
Gregorio: senti, Pietro: io ritengo che se in un gruppo di persone cattive ve ne sia qualcuna cui si possa portar dell'aiuto, allora è bene che si sopportino con serena pazienza. Ma quando non si vede neanche l'ombra di un buono da cui sperare un po' di frutto, allora è proprio tempo e lavoro sprecato tutto quello che si fa per i cattivi, specialmente poi se vi siano a portata vicina altre attività che giovino maggiormente alla gloria di Dio.
Su chi sarebbe rimasto a vigilare il santo, quando vedeva che tutti senza eccezione eran d'accordo a perseguitarlo? E poi dobbiamo anche tener presente questo: che spesso i santi, quando si accorgono che ove sono lavorano inutilmente, maturano nell'anima la deliberazione di andarsene altrove, in luogo più fecondo alle fatiche dell'apostolato. Persino Paolo, quel nobilissimo predicatore che bramò di morire per vivere con Cristo, per il quale la vita era Cristo e la morte un guadagno, il quale non solo bramò la sofferenza e la lotta per sé, ma ne infervorò anche gli altri, ebbene anche lui, perseguitato in Damasco, per poter evadere dalle mura cercò una fune e una sporta e di nascosto volle esser calato fuori. Avremmo il coraggio di sostenere che Paolo abbia avuto paura della morte, mentre lo sentiamo affermare di desiderarla per amore di Cristo? Certamente no. Fu invece così, che, prevedendo in quel luogo ben poco frutto con grandi fatiche, volle conservare la vita per altro luogo con fatiche più fruttuose. Quel forte campione di Dio sdegnò rimanere chiuso di dentro le mura e andò in cerca del campo di battaglia all'aperto.
Ti accorgerai presto, se avrai piacere di ascoltarmi ancora, che anche il venerabile Benedetto lasciò per conto loro quei pochi indocili vivi, ma risuscitò altrove moltissimi cuori dalla morte dell'anima.
Pietro: vedo bene che è proprio così come dici: hai fatto dei ragionamenti molto logici e li hai anche convalidati con appropriata testimonianza biblica.
Adesso allora riprendiamo, ti prego, il racconto della vita di così grande Padre.
Gregorio: Nella sua solitudine Benedetto progrediva senza interruzione sulla via della virtù e compiva miracoli. Attorno a sé aveva radunati molti al servizio di Dio onnipotente, in sì gran numero, che, con l'aiuto del Signore Gesù Cristo vi poté costruire dodici monasteri, a ciascuno dei quali prepose un Abate e destinò un gruppetto di dodici monaci. Trattenne con sé alcuni pochi ai quali credette opportuno dare personalmente una formazione più completa.
Anche alcuni nobili e religiosi romani cominciarono ad accorrere a lui per affidargli i propri figli, perché li educasse al servizio di Dio onnipotente. Tra questi Eutichio gli affidò il suo Mauro e il patrizio Tertullo il suo Placido: due figlioli veramente di belle speranze.
Mauro, essendo già adolescente e dotato di sante abitudini, divenne subito l'aiutante del maestro. Placido invece era ancora un bambino, con tutte le caratteristiche proprie di quell'età.