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venerdì 23 dicembre 2022

GRANDE INSEGNAMENTO

 

23 dicembre 1943



   Dice Gesù:
   «Grande insegnamento e troppo trascurato quello che si legge nel cap. 4° di Nehemia.
   Vigilanza, costanza e orazione. Ecco le tre armi più potenti delle frecce, delle lance e delle spade. Ed ecco anche la necessità che fra il popolo di Dio vi siano coloro che sono specialmente votati ad orare per coloro che lavorano e che non sanno usare contemporaneamente le mani alle occupazioni e il cuore alla preghiera.


   I giovani, dice[731] il libro dell’Esdra, che lavoravano, anche quelli che erano occupati al lavoro e non alle difese, lavoravano con la spada cinta al fianco e pronta alla lotta. Né vi erano ribellioni al comando che li designava ora per il lavoro e ora per le difese. I superiori sono sempre ispirati da Dio e quando assegnano un compito vanno ubbiditi con prontezza e senza mormorare.


   Tutti hanno questo dovere. E specialmente lo avete verso Dio, Superiore eccelso, il quale nella sua provvidenza predispone le missioni e le mutazioni nelle missioni. Guai a quei cuori attaccati alle cose che periscono, che si ribellano all’ubbidienza dicendo: “Io mi sento meglio in questo stato e non voglio questo altro stato”.


   Non voglio! Come potete dire che non volete? Dove è l’ubbidienza, la sommissione, l’amore alla Volontà di Dio che vi traspare da dietro ai comandi dell’uomo? Solo in una cosa vi è lecito non volere. Quando l’uomo vi impone di compiere il male. Allora dovete resistere e dire: “No” anche se ciò fa di voi dei martiri.


   E voi che avete potestà di comando, nel piccolo o nel grande che sia, udite ciò che vi dice il Signore, che ha parlato prima ai soggetti attraverso il Libro ed or parla a voi.
   Ricordate che dirigere è doppio onere che non l’esser diretti. Sta a voi non rendervi responsabili delle altrui rovine. I soggetti rispondono a Dio per se stessi. Voi, per voi e per loro. Alla dignità della carica corrisponde severità di condotta verso voi stessi. Dovete essere di esempio poiché l’esempio trascina, tanto nel bene che nel male. E da superiori malvagi o semplicemente accidiosi non si possono avere che soggetti malvagi e accidiosi.


   Così in una comunità e così in uno stato. I piccoli guardano i grandi e sono lo specchio dei grandi. Ricordatevelo.
   Altra dote dopo l’intemeratezza è la bontà. La bontà frena gli istinti più delle carceri e delle prescrizioni. Fatevi amare e sarete ubbiditi. Trascinerete alla bontà essendo buoni. Ma guai se sarete avidi, ingiusti, malvagi. Sarete odiati, scherniti, disubbiditi anche e soprattutto nei comandi buoni che darete, e ubbiditi, anche più di quanto non vorreste, nel copiare la vostra avidità, la vostra ingiustizia, la vostra malvagità.


   Non inebriatevi talmente del vostro onore da essere incapaci di intendere i soggetti nei loro giusti bisogni e nei loro lamenti. Esser capi vuol dire esser “padri”. Per questo Dio vi ha dato un’autorità. Non perché ne facciate sferza sui minori. Non siete onnipresenti come Dio. Ciò è vero. Ma quando si vuole si può, per quanto si vuole. E chi vuole sapere la verità, la sa.


   Vigilanza, dunque, su tutto e tutti. Non stolta e cieca fiducia e accidiosa noncuranza riguardo ai vostri aiutanti. Non tutti sono dei giusti e molti Giuda sono sparsi fra le file degli aiutanti dei capi. Non fatevi schiavi di essi mendicando il loro consenso pur di imperare. Siate giusti e basta. E quando vedete che in vostro nome si esercita un dispotismo colpevole, fate di esser sempre in condizione di libertà di obblighi verso i vostri rappresentanti, in modo da poterli riprendere senza tema che da accusati si facciano accusatori.


   Siate onesti e giusti. Onesti nel non approfittare della sorte a danno dei minori. Giusti nel saper punire coloro che per essere qualcosa si sono creduto lecito ogni sistema.
   Se così farete sempre potrete dire a Dio: “Ricordati di me in bene, perché ho fatto del bene a coloro che Tu mi hai dato»


[731] dice, in Neemia 4, 9-17, secondo la neo-volgata. (Nella volgata, il libro di Nehemia era chiamato anche secondo libro di Esdra).

martedì 15 novembre 2022

TRE gioielli



LEZIONI SULL'EPISTOLA DI PAOLO AI ROMANI LEZIONE I


RM-1 3-4

2 gennaio 1948


Introduzione  

   Agli inizi del 1943, Maria Valtorta, da nove anni inferma, fu invitata dal Padre Migliorini, suo direttore spirituale, a scrivere le memorie della propria vita. Dopo un’esitazione, ella acconsentì. Seduta nel letto e con il quaderno sulle ginocchia (era paralizzata dalla cintola in giù) riempì di getto 761 pagine in meno di due mesi, dando prova di un notevole talento letterario e aprendo l’anima con una confidenza senza veli.
    Si era come liberata del passato, affidato ai sette quaderni manoscritti consegnati al confessore, quando una voce già nota al suo spirito le dettò una pagina di sapienza divina, che fu il segnale di una svolta impensata. Era il 23 aprile 1943, venerdì santo.
    Maria si confidò con la fedele Marta e la spedì dal Padre Migliorini, che venne subito e la rassicurò sull’origine soprannaturale del “dettato”, avviandola con quell’approvazione ad una sorprendente attività di scrittrice mistica.
    Ella scrisse ogni giorno per anni, fino a riempire 122 quaderni, che si aggiunsero ai sette dell’Autobiografia.

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    I suoi scritti su svariati argomenti li abbiamo raccolti in successione cronologica e pubblicati in tre volumi:
    I quaderni del 1943,
    I quaderni del 1944,
    I quaderni del 1945-1950.
    Altri scritti sparsi, rimasti inediti per lunghi anni, sono stati raccolti e pubblicati sotto il titolo Quadernetti. Abbiamo anche iniziato la pubblicazione dell’epistolario con il volumetto delle Lettere a Mons. Carinci.

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    Negli stessi anni, e dopo l’Autobiografia – che è pubblicata in un volume a sé – Maria Valtorta scrisse le sue opere organiche, pubblicate con i seguenti titoli:
    L’Evangelo come mi è stato rivelato. Opera in 10 volumi sulla vita di Gesù.
    Libro di Azaria. Commento teologico e spirituale a 58 Messe festive.
    Lezioni sull’Epistola di Paolo ai Romani. Sono le 48 lezioni raccolte nel presente volume.

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    Nata a Caserta da genitori lombardi il 14 marzo 1897, Maria Valtorta si spense a Viareggio il 12 ottobre 1961, dopo 27 anni e mezzo d’infermità. Le sue opere sono tradotte in molte lingue e si diffondono senza interruzione.

L’Editore

 

[1]Dice l’Autore Ss.:
   «“Dichiarato Figliuolo di Dio per propria virtù”. Quale? Una? Molte? Di che natura? Io te le dirò.
   Primo. Di natura divina.
   Il Figlio del Padre è Dio come il Padre, e l’aver preso carne umana non ha distrutto, né messo una pausa nell’unione fra il Padre dal quale il Figlio si genera e nel quale Figlio il Padre si compiace. Non solo. Il Figlio di Dio non cessa d’essere Dio per aver assunto natura d’uomo. Generato dal Padre Dio, per naturale espandersi dell’Amore perfetto, che per sua natura ha necessità di amare e che per sua dignità ha necessità di amare una Perfezione pari alla sua infinita - ogni altro amore di Dio, eccettuato quello per la Beatissima, nostro amore, è benignità di Dio - Egli solo, coll’amore di Figlio e di Figlio di Dio, soddisfa Dio con un amore degno di Lui.
   Prevengo la tua obbiezione dicendoti: Amando Maria, Dio ancor ama Se stesso, perché Egli l’ha formata piena di Grazia, per un pensiero di Grazia, perché partorisse la Grazia al mondo. Maria può dirsi: il seno di Dio, perché ha partorito il Figlio di Dio, la Grazia di cui era piena, e ha dato un Uomo, sulla Terra, degno del paterno Amore.
   Come circolare peschiera nella quale le acque defluiscono senza mai andare alla foce, così Maria, acqua purissima di fontana sigillata, uscì dall’incandescente fervore del Pensiero eterno e scorse per rive di pace, seco portando pace e purezza, e in Dio rientrò per accogliere Dio e generare il Figlio di Dio, e tornò fra le selvagge arene per dare ai deserti dei cuori la Luce, la Verità, la Vita, e nuovamente, compiuta la sua missione, come acqua aspirata dal sole assunse al grembo mistico che l’ha partorita a voi perché vi partorisse la Salvezza. E là è: inviolata Fonte di purezza, unico degno specchio alla Perfezione che tutto dimentica di ciò che è offesa guardando l’Immacolata.
   Non cessa il Verbo di essere Dio perché fattosi Uomo. Non è, l’Umanità presa, avvilimento della Divinità, sua eterna Natura. Ma è l’Umanità elevata, pur senza perdere la sua natura, a perfezione di unione con la Divinità, cosa attestata dai prodigi fatti dal Cristo. Il Padre sempre col Figlio. Il Figlio sempre Dio come il Padre. Perché la Divinità non può esser scissa o mutare natura per divisione apparente e annichilimento in natura inferiore a quella divina.
   Gesù Cristo è dunque Figliolo di Dio per la Natura divina del Verbo generato dal Padre, incarnatosi per opera di Spirito Santo per la salute dell’umanità.
   Ma - secondo modo - ma si è dichiarato Figlio di Dio anche per natura umana, virtuosa in maniera perfetta.
   
Gesù Cristo, il Figlio fatto al Padre dal seme di Davide, aveva volontà libera. E come Dio e come uomo. Questa libertà della sua volontà la mostrano le sue azioni, fatte a seconda che Egli voleva, quando voleva, su chi voleva. Né elementi né creature potevano opporsi alla sua volontà che era perfetta della libertà propria di Dio.
   Non potevano. Una sol volta poterono. Ma allora fu perché il Figlio di Dio non prevaricò. Non abusò di questa sua libera volontà potente per sfuggire alla morte di croce. Se lo avesse fatto, avrebbe fatto rapina, abuso, prevaricazione dei suoi infiniti poteri di Figlio di Dio. E Lucifero ribelle, più ancora che Lucifero, sarebbe divenuto.
   Ma il Cristo non fu mai ribelle. Nessuna cosa, neppure la naturale ripugnanza umana al supplizio, lo fece tale. Perché sopra la sua volontà libera era la Volontà del Padre. E il perfet­tissimo Figlio divino, della sua Natura uguale al Padre non se ne fece profitto, ma con riverenziale amore sempre disse a Colui che l’aveva generato: “Sia fatta la tua volontà”, e mite e ubbi­diente porse i polsi alle ritorte per essere trascinato al sacrificio.
   Ebbe dunque volontà libera. Ma la usò per essere perfetto come uomo, così come era perfetto come Dio.
   Si dice: “Non poteva peccare”. Questa parola sarebbe giusta qualora il Cristo fosse stato solo Dio. Dio non può peccare essendo perfezione. Ma la sua seconda natura è soggetta a tentazioni. E tentazioni sono mezzo al peccare, se non sono respinte. E dure tentazioni furono sferrate contro l’Uomo. Tutto l’odio contro di Lui. Tutto il rancore, la paura, l’invidia dell’Inferno e degli uomini, contro di Lui. Contro il Forte che sentivano Vincitore, anche se aveva mitezza d’agnello.
   Ma Gesù non volle peccare. Date al Forte il giusto riconoscimento della sua fortezza. Non peccò perché non volle peccare. E anche per questa sua perfezione di giustizia, contro tutte le insidie e gli eventi, Egli ha dichiarato d’esser Figlio di Dio.
   Non vi è detto, anche a voi: “Siate dèi e figli dell’Altissimo”?
   Egli lo fu perché nella sua umanità, pari alla vostra, fu dio e figlio dell’Altissimo per la giustizia di ogni suo atto.
   La Sapienza vi dice, o uomini, che la dichiarazione della figliolanza divina nel Gesù nato da Maria della stirpe di Davide, oltreché dalla parola del Padre, dai miracoli, dalla parola del Maestro e dalla sua risurrezione, è data da questa sua signoria sulle passioni dell’uomo e sulle tentazioni date all’Uomo. Santo per natura divina, volle esser santo anche secondo natura umana, Primogenito vero della famiglia eterna dei figli di Dio coeredi del Regno dei Cieli.
   Si è dichiarato infine Figliuolo di Dio per la sua risurrezione spontanea. Dio: Egli, a Se stesso: Dio-Uomo, ucciso dagli uomini per salute degli stessi, consumato il sacrificio, data la prova sicura di esser stato morto, si infuse nuovamente la vita, e da Se stesso, senza attese e giudizio, glorificò anche il suo Corpo vincitore su tutte le miserie conseguenti al primo originale peccato.»

[1]I rimandi ai brani della lettera paolina, che mettiamo in forma abbreviata, sono gli stessi che Maria Valtorta mette, per esteso, dopo le date e prima di iniziare a scrivere i “dettati” delle lezioni. Solo nelle lezioni 1ª e 3ª aggiunge al rimando il testo del brano, che noi omettiamo, sia per uniformità con le altre lezioni, sia perché abbiamo riportato all’inizio l’intero testo della Lettera ai Romani. 

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LEZIONI SULL'EPISTOLA DI PAOLO AI ROMANI LEZIONE II


RM-1 17-17

4 gennaio 1948


   Dice l’Autore Ss.:
 «“Il giusto vive di fede”. Riportando queste parole l’Apostolo, un tempo orgoglioso della propria scienza rabbinica, si fa “fanciullo”, ossia umile e semplice, e confessa, anzi professa: “Io non mi vergogno del Vangelo, virtù di Dio a salvezza d’ogni credente... In esso infatti si manifesta la giustizia di Dio che vien dalla fede e tende alla fede”.
   Un tempo ci fu, per Paolo, in cui, ancor più che vergognarsi di credere in proprio nel Vangelo, si vergognava del Vangelo come di un obbrobrio gettato fra le ispirate parole, o le dotte parole della sapienza di Israele. E per cancellare quell’obbrobrio, scritto nelle menti dei seguaci del Nazareno, perseguitava gli stessi spegnendo, in uno, parole evangeliche e vita, credendo di vincere. Ma la Parola eterna, quella che nessuna forza umana o diabolica può far tacere, lo atterrò sulla via di Damasco, chiedendogli: “Perché mi perseguiti?”.
   Coloro che opprimono le piccole voci, coloro che opprimono quelli che parlano in nome di Dio, e che essi, i dotti di ora, sanno come erano chiamati nell’Antico Testamento, e sanno quale sia la loro missione - perché essi sono, e sempre saranno, fino alla fine del tempo, come araldi di Dio fra le turbe cieche - molto dovrebbero meditare e imparare da quel “mi perseguiti”, e temere di perseguitare il Verbo, e tremare di farlo.
   Nello strumento di Dio vive Dio. Vive non nella maniera comune, ma in maniera straordinaria. La personalità umana non è più che il velo che custodisce il Santo dei Santi operante, poiché Dio non è mai inerte sul suo trono, oltre il velo.
   Quando le feroci schiere dei Caldei, vinti gli Israeliti nella città capitale, non paghe ancora, arsero la casa di Dio e asportarono le ricchezze e le santità del Tempio; quando le potenti legioni romane distrussero per sempre, secondo la profezia di Gesù Cristo, il Tempio sul Moria, contro chi, veramente, si avventarono? Contro l’edificio, il sacerdozio, gli utensili del Tempio, o contro l’immateriale Ente che, nella mente degli Israeliti, lo empiva di Sé ?
   Dico “nella mente degli Israeliti” perché dall’ora di nona di quel Parasceve, che è abisso di Misericordia e abisso di Delitto, lo Spirito di Dio aveva abbandonato il Santo dei Santi, e vuota era, anche nelle ore dell’incenso, la gloria del Tabernacolo. Ma l’Idea era ancora. Ed era tutto per Israele quell’Idea.
   Contro chi perseguitò il nemico? Contro uomini e pietre, o contro l’Idea? Contro l’Idea. Per colpire il popolo, colpì l’Idea. Distrusse. Disperse.
   Oh! miseri, miseri uomini superficiali che, anche se cattolici praticanti, così tiepidi siete per l’Idea, per il Cristianesimo, per la Chiesa, che sono l’Idea che è forza, potenza, coesione, vittoria, salvezza contro le armate umane ed extraumane dei servi del Dragone, meditate questa grande lezione che viene dagli èvi: quando l’inerzia, il peccato, o il consentimento a dottrine sataniche, permettono che i nemici di Dio e degli spiriti assalgano, distruggano, disperdano l’Idea unica, santa, vera, eterna - Dio - in ciò che lo predica e lo rappresenta, tutto, dico tutto viene disperso e distrutto, anche ciò che non vorreste lo fosse: il vostro personale egoistico bene, la fortuna familiare, la quiete, la famiglia stessa talora.
   Sorgete, o cristiani. Un giorno, a Gesù che dormiva, fu gridato: “Svegliati, o Maestro, ché noi periamo”. Ma ora è Dio che vi grida: “Svegliatevi, o cristiani, perché se non vi svegliate voi perirete. La burrasca vi è sopra”. Al vecchio Israele era detto: “Alle tue tende, o Israele” per radunarlo a difesa della religione e della patria. A voi Io grido: “Ai tuoi tabernacoli, o popolo cristiano. Alla tua fede! Al tuo Signore Gesù Cristo! Alla Vincitrice che vince Satana! Sorgi! Riaccendi il lume e il fuoco della fede e della carità, svesti le vesti troppo carnali che ti fanno ottuso e pigro, e rivestiti di giustizia”.
   Tu, tu solo ti devi salvare. Nella tua volontà è la tua vittoria. Dio ti osserva, ma non ti salva più, per sua propria volontà. Tante volte lo ha fatto, e tu, della vittoria della salvezza, ti sei fatto gradino per scendere nelle tenebre, nel
   gelo, nel vizio. L’ho detto all’inizio del lavoro del piccolo Giovanni[2]. Avete riso, deriso o imprecato alla piccola voce che vi ripeteva le mie parole. Ma molte, perché divine, hanno già avuto compimento.
   Non ridete, non deridete, non imprecate per queste. Accoglietele. Difendete voi stessi, le vostre famiglie, la vostra quiete, il vostro benessere, difendendo l’Idea divina, la Chiesa, la Fede. Satana e i suoi servi cercano colpire l’Idea: la Chiesa, la Fede, ossia il cuore, il sangue, il respiro che mantengono viva la stessa vita vostra. Dolorosa, sì. Faticosa, sì. Ma se trionfasse Satana in un mondo senza più Dio, tre volte guai a voi.
   Non sapete! Non alzo il velo su quell’orrore che già è in atto e rinserra le file per sferrare l’attacco. Vi addito l’alto: il Cielo, Dio; vi addito il cuore della Cristianità: Roma vaticana; vi addito il tabernacolo. Difendeteli per essere difesi. E meditate bene le mie parole.
   E non siate, singolarmente, simili a coloro che si accingono a perseguitare Dio nell’Idea di Lui, nella Chiesa Romana, nella Fede, col perseguitare Gesù Cristo nelle sue piccole voci. Non perseguitate Gesù Cristo, dico. Perché Lui, a voi che opprimete i suoi strumenti, dice, con la sua divina, giusta sincerità: “Perché mi perseguiti?”.
   Sì. Voi, Lui perseguitate in questi ai quali non date pace. Sì. Voi, Lui perseguitate in questi, perché negate che in essi il Verbo parli, parli lo Spirito Santo che sempre è autore di ogni insegnamento divino.
   Imitate Paolo nel suo secondo tempo di vita mortale, posto che lo sapete imitare quando è ancor Saulo di Tarso, della tribù di Beniamino, fariseo e persecutore dei cristiani. E non vergognatevi di apprendere, voi, i novelli rabbi, cose di fede e sapienza sinora da voi ignorate, di apprenderle da una piccola voce.
   Rispetto al ricco, potente e imponente Gamaliele, simile a un re per fasto e per cortigiani, vivente libro della sapienza di Israele, il mite Maestro di Nazaret doveva apparire ben spregevole a Saulo di Tarso che ne conosceva la condizione sociale, il metodo di insegnamento e la maniera di vita... Ma quando gli caddero le scaglie del fariseismo, non dalle pupille degli occhi ma dello spirito, e con decenne applicazione penetrò nella sapienza del Vangelo “virtù di Dio a salvezza di ogni credente”, Paolo riconobbe che nel Vangelo “si manifesta la giustizia che vien dalla fede e tende alla fede”.
   Questa giustizia, resa luminosa, comprensibile dalla bontà della stessa Parola di Dio, che ha pietà di voi, si manifesta nel dono che la piccola voce vi ha dato in nostro Nome.
   I giusti amano. L’amore è luce. La luce permette di riconoscere. I giusti credono. Hanno una viva sete di sempre più credere. Comprendono che la conoscenza è grandissimo aiuto a credere. Sentono che il credere è vita perché è carità. E la carità è vita perché è Dio, il Vivente, accolto in loro, e loro accolti in Dio.
   Ed ecco che, per lunga via, abbiamo raggiunto la prima proposizione del dettato d’oggi: “Il giusto vive di fede”. E più il giusto ha cuor di fanciullo, più sa vivere di fede. Per questo il Maestro divino ha detto: “Se non divenite simili a fanciulli non entrerete nel Regno dei Cieli”. Il fanciullo sa credere. E per questo suo saper credere conosce Dio e merita di possederlo e goderlo eternamente, anche se muore prima di esser dotto quale voi siete.
   Veramente il molto sapere difficilmente è salvezza. Non fosse che perché “a chi più è stato dato più viene richiesto”, e “a chi si è impadronito di tesori difficilmente non viene assalto di ladroni”. Ma questo antico proverbio non lo conoscevate ancora né sapete di quali ladroni Io parlo. Voi, che dotti siete, cercate di conoscerli. Conoscendoli potrete difendervi dalla morte che essi sono armati a darvi.
   Ma i “piccoli fanciulli” non hanno questi pericoli. Essi sanno “vivere di fede”. Semplicemente. Essi confidano nel Signore, ed è detto che chi confida nel Signore comprende la verità. Perciò essi comprendono, anche senza scientificamente sapere. Comprendono: per la carità viva in loro, e perché hanno a mae­stri la Carità e il loro angelico custode.»

[2] piccolo Giovanni è il più frequente dei nomi dati a Maria Valtorta, che per spiritualità e missione viene accostata al

grande Giovanni, apostolo ed evangelista. L’inizio del lavoro del piccolo Giovanni può essere considerato il “dettato” del 23 aprile 1943, venerdì santo, riportato nel volume I quaderni del 1943.


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RM-1 18-18

6 gennaio 1948


   Dice l’Autore Ss.:
   «Nella lezione avanti questa ho invitato a difendere l’Idea religiosa per avere salvezza e pace, perché quando un popolo cade in “empietà e ingiustizia” - e la più grande empietà, la più grande ingiustizia, è offendere Dio, deridere la Religione, attaccarla, spegnerla nelle menti, disubbidirla scientemente, premeditatamente, in tutti i suoi comandi - allora l’ira di Dio si manifesta dal Cielo.
   Non occorrono folgori perché sia manifesta. Non cataclismi. Non diluvi. Ma basta che Dio vi abbandoni a voi stessi perché vi diate da voi stessi la morte, l’angoscia, la disperazione. L’ira di Dio, più che manifestarsi con castighi, la vera, immutabile ira, si manifesterà coll’abbandonarvi a voi stessi. Quelle che voi chiamate ira di Dio - le guerre, i mezzi atroci di distruzione, i cataclismi, le pestilenze - ancora non sono ira senza mutazione, ira assoluta. Sono rimproveri e richiami di Padre, offeso, ma ancora premuroso di dare soccorso e perdono ai figli colpevoli.
   Ma quando ogni “empietà e ingiustizia” sarà nel cuore dei 99/100 dell’umanità, quando empietà e ingiustizia mentale o ma­teriale avrà invaso ogni classe sociale, e financo l’abominio sarà penetrato nella casa di Dio - l’abominio della desolazione di cui parla il profeta, e lo conferma il Verbo, né ancora avete dato il giusto significato alla parola “desolazione” di cui è detto che sarà segno della fine, e lo sarà - allora Dio non vi riprenderà più con paterni castighi - che purtroppo, è vero, salvano pochi, ma perché i più già sono servi di Satana - ma vi lascerà a voi stessi. Si ritirerà. Non farà più atto. Sino al momento in cui un baleno del suo Volere ordinerà ai suoi angeli di aprire i sette si­gilli, di suonare le quattro trombe, di liberare l’aquila dei tre guai, e poi - orrore - sarà dato fiato alla quinta tromba, e il Giuda dei tempi ultimi aprirà il pozzo d’abisso per farne uscire ciò che l’uomo avrà desiderato più di Dio.
   Quando? Quando? Già siete in quest’ora o state per entrarvi? Temete. Ve lo chiedete... Ma non vi pentite. Non vi sarà detto il quando. Esso è scritto nel cuore dei presenti profeti, “ma è sigillato quel che hanno detto i sette tuoni ad essi, ed essi non lo diranno”.
   E allora, come astro pacifico sull’orrore e terrore delle onde in tempesta - tutta la Terra sommossa come mare in tempesta e tutti gli uomini naufraganti come in mare in tempesta, meno i servi di Dio raccolti sulla barca di Pietro, fedeli al Nauta santo - e allora verrà l’aurora della Stella del Mare, precorritrice al sorgere, all’apparire ultimo della Stella del Mattino.
   Nella sua seconda, ultima venuta, l’Agnello di Dio, il Redentore, il Santo dei santi, avrà per precursore non il penitente del deserto, salato dalle macerazioni, e salante i peccatori per guarirli dalle pesantezze e farli agili ad accogliere il Signore, ma avrà per precursore l’Angelo nostro, Colei che, pur avendo carne, fu Serafino, Colei in cui abbiamo fatto Dimora - né più dolce e più degna non potevamo averla - l’Arca dilettissima[3] di puro oro che ancor ci contiene così come è da Noi contenuta, e che trasvolerà nei cieli, raggiando il suo amore per preparare al Re dei re la strada profumata e regale e per preparare - per generare e partorire, in un’ultima maternità - quanti più germi di viventi sono, e vorranno essere, partoriti al Signore.
   Guardate là, all’oriente dei tempi... Già sulle tenebre che coprono, sempre più folte e maledette, la Terra, si delinea un albore che più dolce non v’è. Esso è il tempo di Maria che sorge. L’estrema misericordia che il nostro Amore ha pensata per voi.
   Grande sarà la lunghezza del suo cammino. Contrastata dal suo eterno nemico, che, per essere vinto, non è meno ostinato a crucciarla e combatterla. Egli ottunde gli intelletti degli uomini per non far loro conoscere Maria. Spegne le fedi in Lei. Crea nebbie. Getta fango. Ma la Stella del Mare è troppo alta sulle onde inquinate. Trascorrerà, né il fango sporcherà l’orlo della sua veste. Scenderà solo, ratta come un Arcangelo, a scrivere, presso il segno del Tau, la sua sigla sulla fronte dei fedeli, dei salvati al Regno eterno. E fortezza e pace entrerà nei loro spiriti sotto il tocco della mano di Lei, Madre della Vita, Sorgente della Salute.
   Benedite Iddio che ha concesso alla Stella purissima di iniziare il suo cammino per attrarvi a Dio con la dolcezza del suo amore, Salvatrice pietosa, estrema, compensante gli spiriti buoni del sempre più profondo allontanarsi di Dio, disgustato dalle colpe degli uomini.
   Non vi sembri ingiusto questo ritiro di Dio. Si legge nei Maccabei che, quando con Antioco Epifane la corruzione entrò in Israele, ed Israele si allontanò dalla Legge per essersi asserviti molti capi d’Israele, “figli di iniquità”, alle “nazioni vicine”, sino al punto da far loro i perversi costumi delle stesse “vendendosi per fare il male”, il santuario restò desolato come un deserto, le feste solenni si cambiarono in lutti, i sabati in obbrobrio e la sua gloria fu annientata. Non solo, ma fu accettato “il culto degli idoli”. E ciò provocò la persecuzione dei pochi rimasti fedeli, e morte, rovina, violenza, dolore, divennero retaggio del popolo che aveva suscitato l’ira del Signore. Fate i confronti. Meditate. Scegliete.
   Una nuova volta Gesù vi dice ciò che disse agli ultimi Tabernacoli: “Ancora per poco sono con voi... e poi me ne andrò. E allora mi cercherete ma non mi troverete”.
   Sì, o dormienti. Parlo a voi più che ai nemici aperti. A voi che, se vi svegliaste, potreste far difesa all’Idea e al vostro bene. A voi che dormite mentre gli altri lavorano, e vi cullate nella illusione che Dio vi sia servo, che Gesù vi sia servo, e servo stolto, che dopo esser stato trascurato, non cercato, non seguito, sino a farlo persuaso di andarsene, data l’inutilità del suo rimanere fra voi, possa esser pronto e prono al vostro bisogno quando sarete per essere sommersi e finalmente, ma non per tutti in tempo, vi desterete.
   Cercate il Salvatore mentre ancora è fra voi, prima che l’odio lo mandi fuor dai vostri confini... in Efraim, fra popoli sorgenti alla luce mentre voi sprofondate fra le tenebre. Fra le tenebre che “soffocano la verità, non facendola vedere, alzando il muro delle tiepidezze, dei quietismi là dove non alzano quello delle empietà e ingiustizie”[4]

[3] l’Arca dilettissima… La frase sarà chiarita nella 14ª lezione.


[4] La citazione tra virgolette è un ampliamento di Romani 1,18, che è il tema della lezione. Vi sono compresi i quietismi,

 che sono gli atteggiamenti di indifferenza e di apatia, dovuti al concetto che l’infinita misericordia di Dio perdona anche senza la volontà di pentimento da parte dell’uomo. Più volte condannati nelle lezioni, i “quietisti” sono delineati particolarmente nelle lezioni 11ª e 18ª.



AVE MARIA PURISSIMA!



martedì 12 luglio 2022

QUADERNETTI, Maria Valtorta

 


QUADERNETTI CAPITOLO 728


9 giugno 1948

   Ieri ebbi sempre sensibile al mio spirito la vicinanza del soprannaturale. 
   Sentivo in me quel precipitare delle onde dell'amore che ormai così bene conosco sin dal primo lambire di esse. 
   Sentivo che tutto l'amore, tutto il Cielo perciò, perché per noi viventi il Cielo che possiamo gustare mentre siamo ancora nel purgatorio della separazione è l'amore, è la venuta, l'unione, la fusione, l'annullarsi di noi nell'amore che ci possiede, l'elevarci ad altezze non misurabili, l'arderci in ardori che se non venissero da Dio, e perciò venienti in un con un dono di forza che ci permette di sopportarli, che l'Amore fa a noi. [sic] 
   È una sensazione così difficile a dirsi, e dirsi bene. 
   Siamo come attirati da un grido che ci chiama, da una forza che ci aspira, ed è già gioia indicibile questo preliminare, questo prologo dell'incontro della creatura col soprannaturale. 
   Ci sentiamo già sulle soglie di quel misterioso, dolcissimo mondo ultraterreno che ci smemora di questo quando ci accoglie. 
   Lucido, cosciente prologo dell'abbraccio della creatura terrena con la Creatura celeste o con la Divinità Ss. che ci vuole dare un'ora di Cielo. 
   Si fanno le ordinarie occupazioni, e agli astanti nulla dimostra che noi si sia già così lontani dalla sfera umana, già circondati e raccolti da atmosfera non terrena, e raccolti sotto la tenda dell'amore che ci fa intorno un cerchio di fiamme che isola da rumori e distrazioni il nostro spirito adorante. 
   Io sentivo tutto questo. 
   Presentivo quella gioia del vedere e gustare il soprannaturale che conosce così bene, ormai, l'anima mia e ne trasale di gioia preliminare, raccogliendosi in un'attesa non forzata da Dio e non forzante Dio, soprattutto, perché l'anima è già quieta, paga, sarebbe paga già di questa gioia preliminare e non chiederebbe di più. È come la Madonna quando attendeva la nascita di Gesù: era quieta, paga, senza fretta egoista di stringerselo fra le braccia... sapeva che sarebbe venuto quel momento e non c'era che da attendere, e amare, durante l'attesa, attendere, abbandonandosi a Dio nell'attesa, sicura che all'ora segnata da Dio, nel luogo e nelle circostanze che Dio aveva volute, Gesù sarebbe venuto alla luce e tutto sarebbe stato gaudio senza limite. 
   È proprio così! Non sappiamo quando sarà l'incontro. Ma sappiamo che sarà. 
   E con una grande letizia in cuore si fanno tutte le cosette materiali della giornata, si scrive, si lavora, si legge, si parla coi visitatori, si mangia... ma sembra che sia un corpo preso a prestito quello che fa tutte queste cose, tanto il nostro io morale e spirituale sono estranei al fare del corpo, già in ginocchio sotto le onde d'amore sempre più forti che ci sommergono. 
   Come tutto il sensibile è lontano! Il soprasensibile invece è su noi, ci circonda, naufraghiamo in esso. Dolce naufragio che non è morte, ma vitalità potenziata a forze sovraumane, virilità - mi si perdoni il vocabolo se detto da me, donna - virilità dello spirito che raggiunge in quei momenti una maturità sapiente, un accrescimento di spiritualità e di capacità d'amare, e di gioia, oh! quanta gioia!... 
   Tutto questo ieri per ore e ore. 
   Poi all'improvviso non fu più "chiamata", ma "incontro" col soprannaturale.    
   E il soprannaturale era ancora una volta Maria Ss. La mia Madonna di Fatima. 
   Ma così bella, così bella, così vicina, così... come dire? così concedentesi al mio amore, e così concedente il suo amore che non ho saputo,potuto padroneggiare me stessa, e felici lacrime tratte dal gaudio sovrabbondante di ieri sera sono sgorgate a temperare l'ardore e a dare sollievo alla dolce sofferenza dell'amore. 
   E non sono state capite da Marta che, uscita poco prima per un'incombenza, rientrando mi trovò col volto lavato di pianto, per lei inspiegabile. 
   Dopo... ha capito. Ha capito perché ha visto che io diventavo più bianca del marmo, sin nelle labbra, disse poi Marta, gelata e lontana da tutto e da tutti, disse sempre Marta. 
   Ma io non ero lontana da tutti, pur essendo separata da tutti, presa come ero nel vortice dell'amore contemplativo. E avrei voluto, per tre volte, chiamare Marta, stringere le sue mani come per un ultimo addio, perché proprio sentivo, e non spiritualmente soltanto, il mio cuore sulle soglie della sua fine di cuore. Avevo, ad ogni più vivo concedersi di Maria, di comunicarsi di Maria Ss. a me, la sensazione materiale del mio cuore che mi si sollevasse nel petto per uscirne fuori dilatato, non da sofferenza o per alterazione di battito, ma perché troppo forte era il comunicarsi a me dell'amor di Maria e della mia rispondenza d'amore. 
   Avrei voluto chiedere alla Madonna se questo era la comunione d'amore con Lei che una grande anima mia testimone desidera che io le spieghi. Ma non si può chiedere in quei momenti. Non si sa che amare... 
   Ho avuto proprio la sensazione che la mia anima lasciasse il mio corpo e si gettasse fra le braccia di Maria. Per tre volte. Quante Ella si donò a me invitandomi ad andare a Lei senza misura di venerabondo ritegno. 
   La Madonna era in fondo al mio letto, a destra, alta da terra non più di mezzo metro, separata dal suolo dalla sua nuvola luminosa che fa sempre da appoggio ai suoi piedi piccoli, bellissimi, di giovinetta eterna. 
   La sua veste semplice e regale splendeva come petalo di giglio appena sbocciato e asperso di rugiada che il sole percuota, e il manto, di stoffa più rigida e pesante, e anche più tendente al color latteo, mentre la veste era come perlacea nel suo candore purissimo, era solenne più di un manto ponteficale. 
   Il volto era serenamente pensoso, fuorché quando splendeva nell'invito d'amore, o si faceva dolcemente mesto mentre un profondo sospiro le gonfiava il petto. 
   Come era bella! 
   Quando furono calmate le più ardenti effusioni d'amore, pensai di ringraziarla e onorarla con un nuovo rosario. Il secondo della giornata. Ed essendo ormai prossima la mezzanotte di martedì pensai di dire i misteri gloriosi. Era così gloriosa nella sua amorosa e dolce bellezza! 
   Ma Maria Ss., alzando verso il cielo lo sguardo e aprendo le mani prima congiunte e poi riunendole come avesse abbracciato, raccolto qualcosa e indi alzandole verso il cielo come per offrire, poi abbassando lo sguardo di nuovo, guardandomi con un lucore di pianto negli occhi e un gran sospiro d'affanno nel petto, mi disse: «No. Non i gloriosi. I dolorosi ancora. Perché hanno colpito oggi il sepolcro di mio Figlio. Lo uccidono ancora una volta colpendo i suoi fratelli». E il suo volto divenne tristissimo. 
   Dissi i misteri dolorosi. E rividi mistero per mistero, meno che per il primo, le scene atroci della flagellazione, coronazione, via dolorosa, crocefissione e morte... 
   Era troppo per la creatura già spossata dall'amore, e dalla quale cominciava a ritirarsi la forza soprannaturale concessa da Dio per l'ora d'estasi. 
   Mi abbandonai sui guanciali esausta finendo così le litanie lauretane. 
   E l'incontro finì così... preceduto e seguito da onde di profumi meravigliosi. 
   Quando tornai nei miei... panni di creatura umana e mi vidi e sentii, mi accorsi di essere di neve, di gelo, col volto scavato come se l'amore mi avesse mangiato la carne. Ma ero così felice! 
   Lo era molto meno Marta che aveva preso una bella paura: quella che io morissi. Perché così, e per tanto tempo, non mi aveva ancora mai vista. 
   Solo oggi le ho potuto dire cosa mi era accaduto... ma in conciso. Perché certe cose si dicono male. E anche perché sono ancora spossata. No, dico male. Come cuore e dolori ho una buona giornata, come ne ho ben raramente. Ma ho un gran desiderio di tacere per ricordare. 
   Ho saputo oggi che ieri è stata colpita la cupola del S. Sepolcro, proprio sopra la pietra dell'unzione... 
   Cosa avrà voluto dire la Madonna dicendo: «Lo uccidono ancora una volta, colpendo i suoi fratelli»? Fratelli chi? Gli ebrei o gli uomini in generale? Non lo so. La Madonna non ha detto altro. 
   Ho tanto desiderato di avere con me un sacerdote. Era troppo l'amore ieri sera... 
   Veramente da quando i miei incontri col soprannaturale si fanno così forti, ossia dal dicembre 1947, ho un gran desiderio che un sacerdote mi sia vicino in quei momenti. Perché in tal modo, qualunque cosa avvenga, avrei una difesa, un aiuto e un testimonio. 
   Anche difesa, sì. Perché Satana mi odia sempre più. 

domenica 10 luglio 2022

In principio era il Verbo

 

QUADERNETTI CAPITOLO 732


25 luglio 1948

   In principio era il Verbo e il Verbo era in Dio e il Verbo era Dio. Egli era in principio con Dio1.    Tutto quanto fu fatto, per mezzo di Lui è stato fatto, e senza di Lui nulla di ciò che fu fatto è stato creato. 
   In Lui era la Vita, e la Vita è la Luce degli uomini. E la Luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l'hanno compresa. 
   Ci fu un uomo mandato da Dio il cui nome era Giovanni. Egli venne come testimone per dare testimonianza alla Luce perché tutti credessero in Essa per mezzo di lui. Egli non era la Luce, ma era stato mandato per rendere testimonianza alla Luce. Alla vera Luce, quella che illumina ogni uomo che viene in questo mondo. 
   Il Verbo era ormai nel mondo, ma il mondo che era stato fatto per mezzo di Lui non lo conobbe. Venne alla sua Casa e i suoi non lo ricevettero. Ma a quelli che l'accolsero credendo al suo vero Nome diede il diritto di diventare figli di Dio. Costoro non sono generati da sangue e carne né da volere d'uomo, ma (per Gesù Cristo) in Dio sono nati. 
   E il Verbo si fece carne ed abitò fra noi e noi ne abbiamo contemplata la gloria che questo Unigenito Figlio del Padre riceve, piena di Grazia e verità. 
   E Giovanni testimoniò di Lui proclamando: "Questo è Colui che vi ho annunziato dicendo: Colui    che verrà dopo di me in verità mi ha preceduto, perché è da prima di me". 
   Dalla pienezza della sua Perfezione noi tutti abbiamo ricevuto e grazia sopra Grazia. Perché da Mosè abbiamo avuto soltanto la Legge, ma la Grazia e la Verità sono state diffuse da Gesù Cristo. Perché nessun uomo ha mai veduto Iddio, ma è l'Unigenito Figlio che sta nel seno del Padre che lo ha rivelato. 

   Non Due Nature, ma Una sola. Non Una sola Persona, ma Due. Uguali per Natura. Diverse per rapporti personali di generazione. Un solo Essere, pur essendo due Persone distinte. 
   Perciò Dio il Padre, come Dio il Figlio, e formanti Un solo Dio. Eterno il Padre come eterno il Figlio.
   Onnipotente, infinito, perfettissimo il Generato come il Generante. 
   Un solo volere, sapere, potere dei Due, pur essendo reciprocamente indipendenti nell'azione; volendo, sapendo, potendo il Verbo come vuole, sa e può il Pensiero che lo ha generato contemplandosi nelle sue perfettissime Perfezioni, e comprendendosi, poiché solo Dio può comprendere Dio, ed esultare nel vedersi. 
   Ed in questa esultazione generare la Luce, la Vita, perché fossero e creassero, moltiplicando la gioia amorosa di Dio che sfavilla nel poter effondere il suo amore su infinite creature, dando a tutte provvidenze, dando alla creatura fatta a sua immagine e somiglianza Sé stesso e il suo Regno, per poter circondarsi di un popolo di figli, illuminati, durante il tempo, dalla Luce perché possano conoscere, servire, amare il Signore, letificati dal godimento eterno della visione beatifica di Dio oltre il tempo. 
   Né il Verbo Generato è soggetto per inferiorità di relazioni al Pensiero Generante, ma è soltanto spontaneamente ubbidiente per amore santissimo di Figlio Divino al Padre suo che lo ha divinamente generato. 
   Perché è l'Amore quello che fa delle Persone distinte "Una sol cosa". La Unità della Trinità è per lo Spirito Santo di Dio, ossia per la Carità che è lo Spirito del Signore. Spirito Ss. di Dio Ss. 
   Il Figlio, esultando nel seno del Padre, che esulta contemplando il suo Verbo e vedendo ogni creatura nella Luce da Lui generata, alla quale ha comunicato la Sua Vita ed ogni altra sua proprietà, meno quella sua propria di Padre; così come ogni creatura, dotata di spirito e di ragione, può conoscere sufficientemente Dio suo Creatore per la generazione eterna del Verbo e per la sua Incarnazione nel tempo, essendo nel Verbo Increato e nel Verbo Incarnato visibili tutte le mirabili perfezioni del Padre Iddio. 
   Nel Verbo Ss. tutto è presente della inconoscibile verità dei Cicli e della meravigliosa storia dei destini dell'uomo, e per il Verbo l'uomo può conoscere, essere reso atto ad amare e predestinato a possedere Dio, Colui che è l'Incomprensibile, ma che la Luce rivela in maniera conveniente perché l'uomo lo conosca e si salvi amandolo, avendo per questo amore la Vita. 
   Il Padre, compiacendosi dell'esultanza volonterosa del Figlio, immagine della Sua sostanza e splendore della Sua gloria, Fattore di ogni cosa fatta, Autore della rigenerazione dell'uomo alla vita soprannaturale. 
   E per questo reciproco esultare e compiacersi l'Uno dell'Altro, l'Uno nell'Altro, essendo dal principio senza principio Dio con Dio, Dio in Dio, ecco procedere l'Amore, Colui che darà, al tempo giusto, una Carne al Verbo Eterno, facendo del Figlio di Dio il Cristo, sempre Una sol cosa col Padre, ma non più una sola Natura in Due Persone, come era al principio, sibbene due nature nella sola persona dell'Uomo Dio, vero Dio nella sostanza del Padre dal quale mai si disunì, e vero Uomo per la sostanza presa dalla Madre. 
   Tutte le cose sono state fatte per mezzo del Verbo, volendo il Padre che tutte le cose che per mezzo del Verbo hanno avuto vita, tutte gli fossero sottoposte, e i cieli cantassero le sue lodi, i firmamenti lo incoronassero di astri, la terra fosse sgabello ed incensiere posto ai suoi piedi, le acque facessero un lavoro di zaffiri pari a quello visto da Mosè ed Ezechiele2 sotto il trono di Dio, e le creature dotate di anima spirituale e ragionevole lo benedicessero con riconoscenza, per la duplice vita avuta per mezzo di Lui. 
   Egli in verità ha dato ad esse non soltanto l'esistenza temporanea, ma anche la Vita eterna, essendo Egli il Vivente e il Redentore che ha dato la sua vita nel tempo perché ogni uomo avesse diritto alla vita nell'eternità. E di comunicare questa vita Egli si compiace. E la comunica a seconda della natura e del fine della cosa creata per il volere onnipotente del Padre. 
   Infinitamente si compiace di poter comunicare la Vita soprannaturale agli uomini, e comunicarla nella misura giusta, perché non sia vilipesa e dispersa questa Gemma divina, né sia scarsa là dove la buona volontà porta un uomo sulla via della perfezione, e la da con infinita e perfetta Sapienza perché ogni creatura che tende istintivamente al suo Creatore abbia nel tempo una conoscenza intuitiva di Lui e della Legge che a Lui conduce; e abbia nell'eternità il premio assegnato a coloro che vissero nell'amore e nella giustizia. 
   E, Figlio del Padre delle Luci, e Luce Divinissima Egli stesso, avendo ricevuto dal principio senza principio della sua generazione la proprietà di essere la Luce per ogni uomo che viene in questo mondo, Egli ogni uomo illumina perché veda il Signore, presente nelle molteplici meraviglie del Creato, e lo riconosca nella Voce risuonante nell'interno dell'uomo, nella misteriosa legge incisa dal dito di Dio sulle spirituali pagine dell'anima, nella coscienza, maestra che insegna, sprona, rattiene o rampogna. Misericordioso vestigio lasciato da Dio del dono di scienza perfetta dato ad Adamo perché sapesse distinguere il Bene dal Male, e freno messo all'io, non più fortificato dal dono dell'integrità, perduta come la scienza ai piedi dell'albero fatale, perché l'uomo, vedendo il Supremo Bene nel raggio dell'amorosa Luce Divina, sappia Quello volere e non altro, ed abbia così la gloria dei figli di Dio. 
   Il Verbo è Vita, il Verbo è Luce, essendo il Verbo Grazia. 
   E la Grazia è vita divina che si innesta alla vita umana, vita soprannaturale infusa a quella naturale per fare gli uomini capaci da vivere da figli di Dio e perciò partecipi della vita divina. 
   E la Grazia è raggio transeunte della divina Luce che penetra e inonda, venendo direttamente da Dio, e illumina l'uomo, perché possa conoscerlo intuitivamente, e lo accende, perché lo possa amare. Senza la deificazione ottenuta per mezzo della Grazia l'uomo non potrebbe comprendere ciò che tanto eccede le cose naturali e le capacità di comprensione della creatura naturale da essere l'Incomprensibile. Ma la Grazia, elevando l'uomo all'ordine soprannaturale, lo fa capace di comprendere l'Incomprensibile, di conoscere intuitivamente Dio, di amare Quegli che vuole essere chiamato "Padre" e vuole chiamare "figli" quelli ai quali ha dato per fine ultimo il godimento della visione beatifica di Lui e l'eredità del pacifico Regno dei Cieli. 
   Senza la misericordiosa ed inesauribile effusione della Luce della Vita, gli uomini vissuti nei millenni che vanno dalla Colpa alla Redenzione si sarebbero smarriti, ignorando l'esistenza certa di Dio, e sarebbero periti non essendo più mossi da amore. 
   Ma la vitale Luce misericordiosa, tenendo desto e illuminato nelle anime il ricordo di Dio, suscitò in esse l'anelito al Bene perduto, lo aiutò nel crescere, tanto più lo aiutò quanto più l'anima era istintivamente sitibonda di riunirsi alla Sorgente divina dalla quale era venuta, di modo che condusse e conduce sui sentieri della Vita i giusti, amanti di Dio, fosse Esso il Dio noto del Popolo ebreo, o l'ignoto Dio dei Gentili, o la divinità intuita essere dagli idolatri che adoravano, e adorano, come possono, ma ai quali non è mancato, e non manca per questo loro adorare, che è fede in un Dio esistente, ed è amore per esso, ed è pentimento per le violazioni alla legge morale naturale, l'aiuto misterioso di Dio. 
   Le misteriose operazioni di Dio nell'intimo delle anime solo Dio e quelli che le ricevono le conoscono. Ispirazioni, impulsi al bene, adorazioni ardenti, contrizioni perfette, creano, durante la vita terrena e sulle soglie dell'altra, per la misericordia di Dio e la buona volontà dell'uomo, prodigi di filiazione divina per i quali coloro che furono giusti e amanti, pur non essendo stati del Popolo eletto prima, del Popolo santo poi (i fedeli cattolici) possono far parte della moltitudine del Popolo di Dio, essendo, prima e dopo dell'avvento di Cristo in Terra, vissuti "dacristiani", parte perciò dell'anima della Chiesa di Cristo, e quindi "salvati" per i meriti di Lui.
   Né paia eresia. Come il Battista fu presantificato3 prima che nato fosse, ed ebbe la gloria prima dell'effusione del sangue di Cristo, ma sempre in vista di questa effusione del Sangue divino, del Sacrificio perfetto, della santità del Dio Uomo, altrettanto può darsi che uscendo dall'oscurità della vita terrena, dal seno della terra per nascere alla vita ultraterrena, per passare dalle tenebre del mondo materiale alla luce del mondo spirituale, coloro che mossi da buona volontà seguirono la legge del dovere morale, non per paura dei castighi umani, ma per impulso d'amore spirituale verso l'Immenso Spirito che il raggio di Dio ricordava all'anima ragionevole, abbiano diritto alla vita eterna e ne entrino in possesso, non potendosi pensare che Dio: il Giusto, il Misericordioso, la Carità infinita, il Padre di tutti gli uomini, possa lasciare senza premio coloro che se lo sono meritato. 
   Ma la Luce, splendente, con misericordia, durante i millenni dell'attesa, fu accolta da pochi giusti, mentre incompresa da troppi che erano "abissi informi e vuoti avvolti nelle tenebre"4, ossia sepolcri di spiriti uccisi dalla sfrenatezza dell'uomo carnale nel quale la concupiscenza triplice ha spento ogni luce, non solo divina ma anche ragionevole. 
   E come agli inizi della Creazione le tenebre che coprivano l'abisso informe e vuoto della Terra non compresero la bellezza, potenza e grandezza dell'elemento luce, principio indispensabile al formarsi del Creato, così altrettanto agli inizi della Redenzione e inizio s'ebbe dal principio dell'esistenza umana dell'uomo decaduto, pur essendo vero e reale inizio l'avvento del Cristo sulla Terra, e inizio più completo il tempo della sua predicazione, e inizio perfetto il dì di Parasceve le tenebre: gli uomini oscurati dalle concupiscenze, non compresero la Luce. 
   Non vollero comprenderla i libidinosi del censo e del potere. Non potevano comprenderla i sopraffatti dal senso. 
   Ma più per questi che per quelli Dio mandò un uomo senza peccato, il profetizzato dai Profeti come "angelo precorrente l'Angelo del Testamento", come "voce gridante nel deserto" dei cuori aridi di Grazia, come il Precursore inviato "a preparare le vie del Signore", ad invitare gli uomini a penitenza, perché si aprissero le orecchie del loro spirito ad intendere la Parola, e le pupille del loro spirito a vedere la vera Natura di Gesù di Nazaret: il Cristo. 
   Giovanni non era la Luce. Ma per la Grazia avuta mentre ancora era nel seno materno, e conservata con l'innocenza e penitenza perfette della vita, era in grado di vedere la Luce chiusa nella Carne dell'Uomo, e di testimoniare perciò che quell'Uomo era la Luce Vera discesa dal Cielo, mandata dal Padre ad illuminare ogni uomo, e che andava seguito credendo alla sua Verità per avere salvezza, accogliendo la sua Parola per essere accolti da Lui come suoi discepoli, ed essere così rigenerati figli di Dio. 
   Ma nonostante la testimonianza data da Giovanni al mondo d'Israele e al resto del mondo rappresentato dai Gentili presenti fortuitamente in Palestina nell'anno decimoquinto dell'Impero di Tiberio Cesare, le genti, che erano state fatte per mezzo del Verbo, non lo conobbero per ciò che Egli era. 
   Pochi, sui moltissimi, accettarono la testimonianza di Giovanni, la testimonianza degli avvenimenti connessi alla vita del Cristo, la testimonianza della sua vita e dei suoi miracoli, la testimonianza del Padre e dello Spirito Santo. I più non lo vollero conoscere. E quando Egli si volse particolarmente a quelli della sua Casa sua secondo il Sacerdozio, essendo Egli stato costituito dal Padre Sommo Sacerdote in eterno secondo l'ordine di Melchisedec, e sua secondo la nascita in Betlem Efrata non fu accolto. Ma anzi fu trattato come uno straniero, odiato come un nemico, accusato come un colpevole, proscritto come un ribelle, maledetto come un indemoniato, e infine imprigionato e consegnato al Proconsole perché fosse giudicato reo di morte come sovvertitore del popolo e bestemmiatore sacrilego, e trascinato a morire, mediante il supplizio infamante della croce, fuori delle mura della Città non più santa, come un ladrone omicida. 
   Ma a quelli che lo accolsero, allora e nei secoli, ai poveri di spirito, ai mansueti, a quelli che piangono, ai desiderosi di giustizia, ai misericordiosi, ai puri di cuore, ai pacifici, ai perseguitati, ai piccoli, ai pentiti, a quelli che lo amarono credendo nel suo vero Nome e accolsero in cuore la sua Parola e la sua Legge, Egli rivelò il Padre e il Regno, e quanto è da farsi per possederli, insegnò la Verità, comunicò la Vita, infuse la Grazia e le Virtù, instaurò in essi il regno luminoso di Dio, onde figli di Dio tornassero ad essere e con pieno diritto potessero essere così chiamati. 
   Di questi il Verbo, dopo essersi fatto loro Fratello nell'Umanità, si è fatto seno fecondo, accogliendoli nella sua amorosa e feconda immensità, incorporandoli a Sé perché essendo in Lui fossero nel Padre. 
   E dopo averli così ricreati da alla luce questi nuovi figli di Dio, li da con grida, lacrime e dolore della sua Umanità, con esultanza della sua Divinità, dicendo al Padre le perfette parole della sua orante e perpetua offerta: "Ecco, o Padre mio, questa tua nuova famiglia, il tuo popolo santo. Essi sono miei, perché Tu me li hai affidati, ma Io te li dono perché ogni cosa mia è tua, ed ogni cosa tua è mia. Te li dono perché ti glorifichino così come mi hanno glorificato riconoscendomi per quello che sono, accogliendo la tua Parola, credendo che Io vengo da Te e che Tu mi hai mandato. Ma in Me ancora li tengo perché Tu in Me: Gesù Cristo, li veda, così come già li vedesti dal principio in Me, Verbo Increato, ed essendo in Me, ancora una sol cosa con Te siano, così come Io sono in Te, e come Noi Due siamo una sola cosa"5
   Questa è la generazione dei figli di Dio. 
   Essi non sono figli per essere stati concepiti, formati e dati alla luce per voglia di carne e sangue d'uomo, ma vengono generati dallo Spirito, e spiritualmente, per la fede, la carità, la vita nel CristoVita. 
   Il Verbo Incarnato, Gesù, Luce del mondo, li da alla luce. Perciò da Dio sono nati essendo il Verbo un'Unica Cosa col Padre che genera per potenza d'amore infinito. 
   Ecco dunque che così come nell'eterna generazione del Verbo e nella sua Incarnazione nel tempo, il Fattore generativo fu l'Amore: prima di tutte le sue Perfezioni, la sua Perfezione di Natura dopo la quale tutte le altre poi vengono, anche nella rigenerazione dell'uomo è ancora l'amore la potenza che crea la ricreazione dell'uomo a figlio di Dio, la vita dell'uomo in Dio e il Regno di Dio nell'uomo, perché senza il divino amore non ci sarebbe stata la redenzione, e senza l'amore dell'uomo a Dio e alla sua Legge di carità non ci può essere unione con Dio, Dio nell'uomo e l'uomo in Dio. 
   Prima della venuta del Verbo il mistero di Dio era così nascosto che l'uomo aveva, da esso, ostacolo all'amare. Ma da quando l'eterno Verbo del Padre lasciò il Cielo per abitare, Uomo fra gli uomini, coi fratelli, l'ostacolo venne rimosso, perché lo splendore di Dio, la verità del suo Essere, la sua potenza, le sue perfezioni infinite, la sua misericordia e il suo amore, rifulsero agli occhi degli uomini essendo tutto gloriosamente manifesto nell'Unigenito Figlio del Padre, che dal Padre tutto aveva ricevuto, e manifestato con pienezza di Grazia e di Verità. 
   E non bastando ancora, ad abbattere totalmente l'ostacolo dell'incertezza sulle verità di Dio, la Parola Ss., il suo esempio, le sue opere, quelle opere che Egli compiva perché il Padre gli aveva commesso di compierle, non bastando la testimonianza del Padre data con la Voce e con il benedire del suo consenso ogni atto o richiesta del Figlio, ecco la parola dell'uomo venerato da Israele come Profeta grande tanto da essere creduto il Cristo: "Questi è Colui che, pur essendo venuto dopo di me, mi ha preceduto, perché è da prima di me". 
   E veramente "da prima" di ogni creatura è il Verbo, essendo stato generato avanti d'ogni creazione ed avendo il primato, anche come Figlio dell'Uomo, in ogni perfezione naturale e soprannaturale, Lui perfetto come Dio e perfetto come Uomo, superiore agli Angeli, uguale solo al Padre suo. 
   E per questa sua duplice perfezione di Dio e di Uomo tutti gli uomini hanno ricevuto, e riceveranno sino alla fine dei secoli, grazie d'ogni genere, oltre che la Grazia, necessaria per conseguire la gloria alla quale l'amoroso desiderio di Dio ha predestinato l'uomo. 
   Quanto la Luce Santissima: il Verbo, ha donato agli uomini, supera infinitamente quanto Mosè ottenne per gli uomini. Perché per Mosè l'uomo ottenne la Legge, ma dal Cristo gli uomini ottengono di potere praticare la Legge non per timore ma per amore, adorando così Iddio in spirito e verità. 
   Sono la Grazia e la Verità diffuse da Gesù Cristo che hanno fatto gli uomini sapienti di Dio, e perciò di Lui filialmente amorosi. 
   Perché tanto più si ama quanto più la cognizione è certa. Non si può amare chi non si sa di sicuro che esista e che accetti l'amore che gli è offerto. Tanto più si ama quando si è certi che colui che si ama ci ama, non il doppio né il centuplo, ma senza misura. 
   L'uomo d'Israele, per tradizione, l'uomo giusto d'ogni popolo per soprannaturale illuminazione, sentivano esservi una Divinità provvida, onnipotente, eterna, creatrice di tutte le cose naturali, e anche dell'anima immortale, e l'uomo d'Israele inoltre per fede attendeva anche il Messia promesso dall'inizio dei tempi. 
   Ma la carnalità dell'uomo decaduto dalla grazia aveva alterato l'idea messianica, e da spirituale quale era ne aveva fatto un'idea puramente umana. Per questo anche i migliori d'Israele avevano una cognizione molto parziale di Dio. Poco sapendo poco amavano. I migliori temendo eccessivamente il Dio terribile del Sinai. I peggiori irridendosi di Lui e della sua Legge, nonostante le pompose esibizioni di un culto tutto esterno. 
   E poco amando poco sentivano Dio nei loro cuori, credendosi perciò poco amati. E credendosi poco amati poco osavano tendere all'Amore che essi credevano soltanto Rigore di infinita Maestà. La loro mente non poteva concepire un amore divino grande sino ad immolarsi per l'amore dell'uomo e per il suo bene soprannaturale. 
   Ma Gesù Cristo, l'Unigenito Figlio di Dio, con la sua Parola e con le sue azioni, con tutto Sé stesso, ha rivelato il Signore nella sua Verità. 
   Egli, che lo conosce perfettamente perché è nel seno del Padre, ha svelato l'infinito amore di Dio che è giunto a dare il suo Unigenito perché fosse immolato per restituire la Grazia, ossia per dare Sé stesso agli uomini, per reintegrare gli uomini, discesi all'ordine naturale, nell'ordine soprannaturale. 
   Egli ancora, e per la Grazia e per la sua Parola, li ha tutti ammaestrati. Da Dio, come è detto dai profeti, perché tutti conoscessero il Tutto. E con tutta la sua vita di Figlio dell'Uomo, di Maestro e Redentore perché tutti conoscessero il Padre che è Dio ed è Padre universale. 
   A tutti quelli di buona volontà Gesù ha rivelato l'incomprensibile mistero di Dio. Tutto quanto è nascosto, dell'Incomprensibile Natura e delle sovraonnipotenti perfezioni divine, Gesù in Sé e per Sé lo rende visibile e cognito. 
   Solo quelli ostinati nell'impenitenza e nella superbia ribelle poterono e possono, dopo la manifestazione finale dell'Uomo-Dio, negare ancora di aver conosciuto Dio. Egli alla loro sarcastica domanda sempre risponde: "Sono il Principio che vi parlo" assicurando: "Per l'innalzamento del Figlio dell'Uomo voi conoscete chi sono" e questa assicurazione ha la sua conferma nei segni tremendi che accompagnarono la sua Morte e nella sua Risurrezione. 
   Né ha più scuse il perseverare dell'Umanità nella incredulità e ignoranza nate dall'odio. 
   Perché la Luce ha ormai balenato con tutta la sua potenza di Dio, rivelando il Dio Uno e Trino in tutta la sua onnipotenza, sapienza e bontà perfettissime, né quella Luce si offuscherà in eterno. 

   Dettato il 25 luglio 1948.


   
   
   1 Gv 1, 1-18

   2 Ez 1, 26

   3 Lc 1, 41

   4 Gen 1, 1-2

   5 Gv 17, 6-11

giovedì 9 giugno 2022

Ma è peggio ancora!


 

26 giugno 1953

   «Descrivi ciò che vedi. La spiegazione te la darò poi Io».
   Vedo come una grossa palla di un rosso acceso e splendente come un razzo che esplode. Essa cresce, cresce, cresce fino a diventare spaventosamente grande, poi, con un fragore assordante, esplode ricadendo in frammenti incandescenti su case, templi, persone e devastando tutto.
   Penso sia il preannunzio e la previsione dell'atomica e ne sono terrorizzata. Mi auguro di morire prima di un tale evento. Ma Gesù dice:
   «Non è l'atomica. Ma è peggio ancora. È il Comunismo che cresce, cresce, cresce e che finirà con l'esplodere su tutto il mondo devastando chiese, popoli, tutto. Non ti dico quando ciò avverrà. Ti dico solo che, per allontanare il più possibile questo flagello distruttore, occorre pregare e far pregare Me-Misericordia e Potenza e Maria, Madre mia e vostra, nonché Protettrice e Regina di tutti i cattolici e specie degli italiani.
   È la Donna che tiene da secoli il serpente sotto il piede. Io sono Colui che l'ho vinto. Pregateci, e fate pregare, perché l'ora è tremenda!
   Te la ricordi quella lontana visione di quegli stormi di neri aerei e della gente che fuggiva gridando"Sono russi, sono russi! Ci uccidono, ci devastano tutto e tutti!"Senza un prodigioso intervento del Cielo, ottenuto con le preghiere del 90% dei cattolici, ciò accadrà. Ma si prega troppo poco, e troppo male, sovente per cose da poco, e si trascura la preghiera per le necessità capitali».

lunedì 30 maggio 2022

"Preferisco una spiritualità imperfetta ad una umanità perfetta. "

 


24 agosto 1943

   (In merito alla signora Curie[293]). Dice Gesù:
   «Sono creature umanamente perfette. In loro tutto ha raggiunto la perfezione, eccetto il loro spirito, che è regredito sempre più sino a divenire un embrione di spirito. Hanno un genio perfetto, una serietà perfetta, un’onestà perfetta, un’umiltà perfetta. Ma tutto umanamente perfetto. La loro virtù è fiamma che non scalda. È fuoco freddo. Non ha valore per Me. Preferisco una spiritualità imperfetta ad una umanità perfetta.
   Tanto fulgore di perfezione umana è come la luminosità di cento, di mille lampade ad arco. Fanno luce; è innegabile. Ma è luce artificiale che, se un piccolo congegno si guasta, muore subito e di essa non resta nulla. Mentre lo spirito, anche se è imperfetto, è sempre un piccolo sole vivente della luce sua propria che scaturisce dalla Grazia che è in esso. Parlo dello spirito vivo, ossia vivente in Me, vivificato dalla Grazia.
   L’avere posseduto un’intelligenza superiore, che ha permesso loro di addentrarsi nei misteri della natura, avrebbe dovuto anche portarli a vedere la potenza di Dio e la sua esistenza il cui essere è scritto su tutte le cose create. Invece nulla di questo. Sono esseri pieni di scienza, ma mancanti del filo che porta alla conoscenza esatta di quanto è. Inventori del nuovo, ma negatori dell’eterno. Scopritori di forze segrete, ma indifferenti alla Forza delle forze: Dio. Questo non lo cercano, anzi volutamente lo negano. Al minimo lo trascurano.
   È per questo che la scienza umana, innegabilmente progredita, non dà frutti buoni, ma avvelenati. Manca nel cuore e nella mente degli scienziati il fuoco dell’amore che fa rispettare e amare Dio, che fa rispettare e amare il prossimo.
   Nel caso particolare, quella donna non nocque, anzi beneficò i fratelli. È già molto. Ma rifletti su quale impulso avrebbe impresso alla sua scuola, ai suoi discepoli e ai discepoli dei discepoli se al fascino del suo io avesse unito una religiosità profonda.
   Credi pure, anima mia, che all’ora del giudizio appariranno più grandi delle piccole creature illetterate che non dei luminari di scienza. Le prime, rese accese dall’amore, saranno vive stelle del mio cielo. Gli altri, se pur non li condannerò, per il bene che hanno compiuto umanamente, saranno semplicemente nebulose nel mio Paradiso. Saranno i salvati dalla mia Misericordia senza merito alcuno da parte loro, salvati più per le preghiere dei beneficati da loro che per se stessi.
   Ora dimmi: preferisci essere una piccola nullità nel campo del sapere ed esser mia, molto mia in questa e nell’altra vita, o ti sarebbe piaciuto esser astro quaggiù e opaca nebulosa lassù? So già la tua risposta e per questo ti dico: “Hai risposto saggiamente. Va’ in pace”.»

[293] signora Curie, cioè Marie Curie nata Sklodowska, fisica francese di origine polacca (1867-1934). Nel 1903 ottenne, insieme con il
 marito Pierre Curie, il premio Nobel per la fisica, e nel 1911 ebbe il premio Nobel per la chimica.