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mercoledì 8 novembre 2017

Incertezza di Lutero e suoi sentimenti intorno alla Chiesa Cattolica - La gerarchia di M.Lutero

Trattenimento IX. 
Incertezza di Lutero e suoi sentimenti intorno alla Chiesa Cattolica. 

 P. La nostra Santa Cattolica Religione, miei cari figli, fa vedere tanto chiaramente i caratteri della sua divinità, che basta esserne istruiti per non poterla più sradicare dal cuore. Dalla storia appare in quali tremende ambascie siansi trovati quei Cattolici, che le voltarono le spalle. Allo stesso Lutero non fu mai dato di acquetare la voce della coscienza, che lo rimproverava d'aver abbandonato la Chiesa per seguire la sua Riforma. 

 F. Ma Lutero non era in buona fede? o per lo {238 [238]} meno non mostravasi persuaso di quello che predicava agli altri? 

P. No certamente. Lutero dopo la sua apostasia calpestò, come vi ho detto, i voti solenni, e non trovando più freno ai suoi vizi, si abbandonò alla ubbriachezza più ributtante, in cui sovente dava in collera così acuta da sembrare un demonio. Autorizzò lo spoglio e il derubamento delle Chiese, pena la morte a chi si opponeva ai suoi perfidi disegni. Eccitò principi e popoli alle guerre fratricide; e nel solo anno 1535, per opera dei forsennati Riformatori, più di cento mila persone furono trucidate; sette città smantellate, moltissime Chiese, e conventi, e castella derubati, demoliti o dati alle fiamme. Questo sangue, scriveva il brutale Lutero dopo un grande eccidio, sono io che l'ho versato per ordine di Dio. Tuttavia ne’ momenti di calma era costretto a proferire spesso verità importanti. Egli per esempio asseriva che il voto era una promessa fatta a Dio, da doversi mantenere inviolabile; e con una tale persuasione aveva fatto i voti di povertà, castità ed obbedienza. Ma questi voti egli violò nel modo più indegno. 

 F. In qual modo Lutero violò questi voti? 

 P. Li violò coll'uscire dal chiostro, abbandonare lo stato religioso, e sposare una monaca, legata pure da voti sacri. {239 [239]} 

 F. Oh scandaloso di un Lutero! dunque tutta la sua scienza e virtù si ridusse a questo di  deporre l'abito da frate per ammogliarsi! Bel dottore per farsi conoscere inviato a riformare la Santa Chiesa di Gesù Cristo!!! 

P. Debbo ancora farvi notare come lo stesso Lutero talvolta dimostrava di credere alle indulgenze, tale altra le rivocava in dubbio, o le negava affatto. Scrisse al Papa che sarebbesi sottomesso alle decisioni di lui, come a Gesù Cristo. Ma quando il Cardinal Gaetano a nome del Papa gli impose di ritrattare i suoi errori, egli si appellò alle università di Alemagna e di Parigi. Quando quelle università, cioè quelle grandi adunanze di dotti teologi, condannarono la sua dottrina come erronea ed eretica, egli si appellò di nuovo al Papa, mandandogli una lunga lettera, in cui, fra le altre cose, diceva, che avrebbe ricevute le decisioni di lui, come se fossero uscite di bocca del medesimo Gesù Cristo. Leone X esaminò e fece esaminare la dottrina di Lutero, e la condannò con una Bolla, cioè con uno scritto, dove erano notati 41 errori in cui era caduto, e gli concedeva sessanta giorni a condannarli; che ove in tale spazio di tempo non si fosse ravveduto sarebbe stato giudicato eretico. Ben lungi dal rientrare in se stesso Lutero abbruciò pubblicamente la Bolla del Papa, e vomitò {240 [240]} contro di lui tutte le esecrazioni di cui è capace un indemoniato. Il misero scriveva che toccava al Papa l'assolverlo o il condannarlo, il dargli la vita o la morte; e poi andava gridando qual forsennato, che bisognava prendere le armi contro del Papa, dei Vescovi, dei Cardinali, e lavarsi le mani nel loro sangue. Condannato così dal sommo Pontefice, Lutero si appellò ad un Concilio; ma invitato ad esso Concilio non vi volle intervenire. Se io qui volessi, o figli, continuare a ricordarvi le innumerevoli scelleratezze di Lutero, le indegne espressioni che adoperava verso le cose più venerande e riferirvi i titoli villani dati ai più illustri personaggi, ed ai più grandi dottori della Chiesa, ve lo dico schiettamente, non la finirei così presto, e mi farebbe stomaco. Egli stesso asseriva d'essere mandato dal diavolo a riformare la Chiesa, e davasi vanto di averlo avuto a suo maestro. Così nel libro che fece: De abroganda Missa privata. Qui egli narra un suo colloquio col demonio ed assicura che ad istigazione di lui lo ebbe scritto. 

 F. Un uomo, che si gloria d'aver avuto il demonio a maestro, è il fondatore della Chiesa Protestante? Ah! noi non sappiamo pensare altro se non che o il cervello gli dava volta, o che era veramente figlio del demonio. Sciagurato Lutero! Se egli visse con tale incertezza, in quale {241 [241]} strette si sarà poi trovato il suo cuore in punto di morte! 

 P. Lutero era vissuto nella più tremenda incertezza, perchè vedeva la verità, e accecato dai vizi e dall'orgoglio seguiva la menzogna. Esso, come già sopra vi ho detto più volte, si appellò ad un Concilio Ecumenico, protestando che si sarebbe sottomesso. Ma ciò egli fece perché era persuaso che un tale Concilio non avrebbe potuto aver luogo. Allora quando poi fu invitato al Concilio Ecumenico radunato in Trento, egli si trovò nel più brutto impaccio che uomo possa immaginare. Non voleva recarsi a Trento perchè non sentivasi lena di sostenere la sua eretica dottrina al cospetto di tanti dottori; ma neppure gli dava l'animo di rifiutar l'invito, perchè con siffatto rifiuto veniva a condannar se stesso alla presenza di tutti i suoi seguaci. Per questi motivi sentissi tutto rimescolare il sangue; e montato in furore grande, ribattendo coi piedi il suolo, e fremendo coi denti, verrò, disse, sì verrò al Concilio e voglio perdere la testa se non so difendere le mie opinioni contro di tutto il mondo: quanto esce di mia bocca, non est ira mei, sed est ira Dei. Ciò ripetuto andò a mangiare e bere coi suoi amici. Ma l'infelice doveva fare un viaggio assai più lungo che quello di Trento. Finita la cena mentre diffondevasi in arroganti {242 [242]} discorsi, fu colto da acutissime doglie interne. Lo si portò immediatamente a letto, ed in poco d'ora l'intensità del male aumentando gli tolse il respiro, e l'anima sua dovette comparire davanti al Giudice supremo per rendere conto sì delle tante malvagità commesse in vita e delle tante anime che per sua colpa si erano perdute, come delle molte altre, le quali ancora sarebbero andate all'eterna perdizione. Tal morte avvenne nel 1546, essendo egli in età d'anni 63. Raccontano che poco prima di spirare facesse aprire la finestra di sua camera, e in rimirando il cielo esclamasse: Oh Cielo quanto sei bello! ma tu non sei più per me! 

 F. Veramente, o padre, una così fatta morte ci riempie di terrore. Del resto poi ci pare che uno il quale pensi e parli in una maniera, e poi operi in un'altra, faccia, come Martin Lutero, chiaramente vedere, che non è punto persuaso di quanto propone agli altri. Ma io desidererei di udire alcune espressioni proferite da questo eresiarca in riguardo al Romano Pontefice; perciocchè io credo, che non sia sempre stato contro di lui infuriato. 

 P. E ben ti apponi: Lutero in mezzo alle sue stranezze, quando parlava colla calma del cuore, diceva che non poteva esservi ragione, la quale potesse dar diritto di rompere l'unione colla Chiesa Romana. 

 F. Scioccone! Se non vi può essere ragione al {243 [243]} mondo per cui si possa rompere l'unione colla Chiesa Romana, perchè tu l'hai rotta? Non v'ebbe mai alcuno che gli abbia fatto tale domanda? 

 P. La domanda gli fu fatta più volte; e appunto per questo, esso meditando il suo nuovo sistema di dottrina, era astretto di esclamare: 
«Dopo aver fatto tacere e vinto tutte le altre considerazioni, io non posso vincere, se non a gran pena, quella che mi si dice essere cosa necessaria di ascoltare la Chiesa. Quante volte la mia coscienza non fu colta da spavento! Quante volte ho detto a me stesso: Ti argomenti forse di essere solo il più saggio di tutti gli uomini? E pretendi che durante una sì lunga serie di anni, tutti gli uomini l'abbiano sbagliata? » Altra volta interrogato se egli credesse divina la sua dottrina, dopo molta riflessione rispondeva: « Io non sono abbastanza ardito da assicurare di aver dato principio a questa nel nome di Dio, nè vorrei su di ciò sostenere il giudizio di Gesù Cristo. » (Vit. Lut., tom. I.) 

 F. Povero Lutero! Se egli, fondatore e predicatore della riforma, non poteva persuadersi che la Chiesa Cattolica non fosse la vera Chiesa; se egli stesso non sentivasi abbastanza ardito di sostenere di aver dato principio alla Riforma a nome di Dio, che cosa mai avrebbero potuto asserire i suoi seguaci? {244 [244]} 

 P. La maggior parte de’ suoi seguaci gli tennero dietro per aver una religione più favorevole alle sregolate passioni; ma sempre colla tremenda incertezza che in lasciando la Chiesa Cattolica eglino lasciavano la vera religione. 
Potrei raccontarvi più fatti, ma starommi contento ad un solo. Fu tra i più dotti discepoli di Lutero, Filippo Melantone, uomo di molta erudizione e, diciamolo ad onor della verità, meno vizioso degli altri Luterani. Affezionatissimo al suo maestro non potè mai risolversi ad abbandonarlo, tuttochè fosse persuaso che la Chiesa Cattolica era migliore della Riforma. Esso morì nella città di Vittemberga nell'anno 1556 in età di anni 61. Gli autori di sua vita narrano come stando egli presso a morire, la madre gli volgesse queste parole: Figlio, io era Cattolica, e tu mi hai fatto mutar di religione; ora che stai per comparire al cospetto di Dio a rendergli conto della tua vita, dimmi, quale religione tu pensi migliore per salvarsi; forse la Cattolica ovvero la Luterana? E Filippo a lei ansiosa rispondesse: Mater, haec plausibilior; illa securior; Madre, la Luterana è più piacevole e soddisfa i sensi, ma la Cattolica è più sicura per conseguire la salute eterna. {245 [245]} 

Trattenimento X. 

La gerarchia di Martin Lutero. 

 P. Dovete ancora ricordarvi, o figliuoli miei, come nella Chiesa Cattolica esista un ordine maraviglioso, mediante il quale i sacri Ministri, eziandio sparsi nelle varie parti del mondo, gli uni dagli altri dipendendo, vanno tutti ad unirsi, come in un centro, ad un capo solo, che è il Romano Pontefice. In questa maniera conservasi la preziosa unità nelle cose di fede, e si forma quell'ordine che appelliamo gerarchia ecclesiastica. Lutero dopo che si ribellò alla Chiesa trovossi in grande impaccio per avere preti. Imperciocchè non essendo egli Vescovo, non poteva conferire le sacre ordinazioni, nè gli veniva fatto di trovare Vescovi, i quali gli volessero consacrare alcun Luterano. Scorgeva impertanto che morto lui e qualche altro frate o prete apostata, più non vi esisterebbero sacerdoti nella sua setta, la quale per questo da se medesima sarebbesi spenta. 

 F. Che fece adunque Lutero? 

 P. Negò il Sacramento dell'Ordine; e per giunta inventò una dottrina la più ridicola e stravagante che mai si possa pensare, secondo la {246 [246]} quale tutti gli uomini del mondo, purchè siano battezzati, sono in grado di esercitare gli uffizi di prete. 

 F. Oh questa è marchiana! uomini, donne, vecchi, fanciulli, dotti ed ignoranti, tutti preti? Sarebbe pur curioso che Battista nostro vignaiuolo, il quale appena sa compitare, saltasse su egli a dir messa, a confessare e far la predica! Deh che pazzo di Lutero! Ma esso fondava almeno queste stravaganze sopra una qualche ragione, o sopra questo o quel testo della Bibbia? 

 P. Lutero non fondava queste sue stravaganze sopra alcuna ragione. In fatto quelli, che hanno un miccino di ragione, asseriscono concordemente che la religione essendo la cosa più importante del mondo, vuole essere amministrata da persone, le quali, messa da parte ogni altra cura e sollecitudine degli affari temporali, si dánno di proposito allo studio di essa in ogni sua parte. Cosiffatte persone sono certamente le più dotte, le più prudenti, e più capaci di spiegarla agli altri. Su che dunque si fondava Lutero? Egli, al paro di tutti gli eretici cercava di fondare i suoi errori sopra la Sacra Scrittura, e pretendeva di fondarsi sulle parole di s. Pietro là dove dice ai fedeli: Voi siete gente santa, sacerdozio reale. S. Pietro, così ragionava Lutero, indirizzava queste parole a tutti i Cristiani, dunque tutti i Cristiani sono sacerdoti. {247 [247]} 

 F. E che rispondere a questo suo modo di ragionare? 
 P. Potrebbesi rispondere e dire egualmente così: S. Pietro rivolgeva le riferite parole a tutti i Cristiani, tutti i Cristiani adunque dovrebbero essere re. Ma in quella guisa che non tutti i cristiani sono re, così non tutti sono Sacerdoti. Dobbiamo perciò notare come san Pietro voleva asserire semplicemente nell'allegato testo, che tutti i fedeli cristiani dopo aver ricevuto il battesimo appartengono alla vera Chiesa, nella quale soltanto si conserva il vero sacerdozio di  Gesù Cristo; o che intese parlare del carattere battesimale, il quale dà a tutti i battezzati la podestà di ricevere le cose sacre, e segnatamente gli altri sacramenti; carattere che si può dir sacerdotale, perchè esso pure è una partecipazione del supremo sacerdozio di Cristo, come osserva l'angelico s. Tommaso. 
Da ultimo appellò Sacerdoti tutti i Cristiani, per questo che tutti sono chiamati, ed anzi obbligati ad offerire a Dio ostie spirituali, come spiega lo stesso s. Pietro, quali sono la preghiera, la mortificazione, il digiuno ed il cuor contrito ed umiliato, che dal Profeta David in senso largo è detto sacrifizio a Dio gradito (Ps. 50). 

 F. Non potrebbe darsi che s. Pietro avesse voluto realmente asserire che tutti i Cristiani possono essere Preti? {248 [248]} 

 P. No sicuramente: imperciocchè noi abbiamo dalla Sacra Scrittura e dalla costante tradizione, che solo i Vescovi possono ordinare preti, e sappiamo che i Vescovi non ordinano a preti tutti i fedeli indistintamente; ma solo quelli scelti tra i più esemplari e che fanno chiaramente conoscere aver la divina vocazione. 

 F. Che cosa dice la Sacra Scrittura a questo riguardo? 

 P. La S. Scrittura ci dimostra questa verità in modo chiarissimo senza paragone. Valga un fatto per tutti. S. Paolo aveva consacrato s. Tito a vescovo di Creta (ora Candia), isola del Mediterraneo, affinchè ordinasse altri preti. Passato qualche tempo lo stesso Apostolo così gli scrisse: Con questo fine io ti ho lasciato in Creta, perchè tu dia compimento a quello che rimane, ed ordini dei preti per la città secondo che ti ho prescritto (Lett.I.c.5.). Dalle quali parole scorgesi ad evidenza avere s. Paolo in nome di Dio dato a Tito la facoltà di ordinare preti, additandogli parimenti le cerimonie da usarsi nella sacra ordinazione, la quale soltanto da lui come Vescovo si poteva conferire. 

 F. Queste parole di s. Paolo furono sempre intese in questo senso dalla Chiesa Cattolica? E non è mai per avventura accaduto che qualche prete non fosse ordinato dai Vescovi? {249 [249]} 

 P. La Chiesa Cattolica ha sempre inteso le parole di s. Paolo nel senso sopra esposto. Nè dal principio del Cristianesimo insino al tempo di Lutero si può nominare un prete (almeno avuto come tale dalla Chiesa), il quale non sia stato ordinato da un Vescovo. 
S. Epifanio nel quarto secolo notava avervi differenza tra Vescovo e prete, perchè non i preti, ma i Vescovi possono fare preti per mezzo della Sacra Ordinazione. 
 Nel quinto secolo s. Girolamo scriveva ad Evagrio che i preti fanno quasi tutto quello che fassi dai Vescovi, eccettuata la Sacra Ordinazione. In un concilio di Alessandria poi furono dichiarate nulle tutte le ordinazioni fatte da un certo Collato, perchè esso non era Vescovo. La quale dottrina della Chiesa Cattolica, appoggiata sopra la S. Scrittura e sopra la pratica della Chiesa non mai interrotta, dovrebbe una buona volta far aprire gli occhi ai Protestanti e persuaderli, come eglino mancano di veri preti; perchè i loro pastori e ministri non essendo ordinati dai Vescovi, ne segue che nessuno di quei loro ministri e pastori assolutamente può nè ricevere, nè conferire le sacre ordinazioni, come nemmeno potrà mai consacrare il corpo di Gesù Cristo, nè dare l'assoluzione de’ peccati. {250 [250]}

Sancte Mìchaël Archàngele
defènde nos in proèlio,
contra nequìtiam et insìdias diàboli, esto præsìdium.
Ìmperet illi Deus, sùpplices deprecàmur.
Tùque, prìnceps milìtiæ cælèstis,
sàtanam aliòsque spìritus malìgnos
qui ad perditiònem animàrum pervagàntur in mundo,
divìna virtùte, in Infèrnum detrùde.
Amen.
AMDG et BVM

lunedì 6 novembre 2017

Un po' di storia ...vera. Checché dicano altri pulpiti

Trattenimento VIII. Lutero. 

 P. Ora, [è don Bosco che parla] miei cari figli, che vi veggo qui nuovamente radunati, e con voi parecchi dei vostri compagni, ripiglierò volentieri il filo de' nostri trattenimenti. 

 Uno de’ F. 
Ci diceste che avevate tante belle cose da raccontarci; per questo abbiamo anche condotto con noi questi Compagni, i quali pure desiderano grandemente di ascoltarvi. 

 P. Le cose, che io mi prendo a trattare, sono senza fallo della massima importanza. Siamo al secolo decimosesto, secolo famoso in cui un diluvio di eretici sotto il nome di Protestanti si ribellarono alla Chiesa e le fecero danno immenso. La setta Protestante si suole denominare Chiesa Riformata, perchè i fondatori di lei pretesero di riformare la Chiesa Cattolica. I seguaci di questa setta si appellano Riformati, e gli autori della Riforma vollero chiamarsi Riformatori. 

 F. Oh stravaganza! E quali furono mai gli uomini così arditi da assumersi l'incarico di riformare la Chiesa di Gesù Cristo? 

 P. Diversi furono questi uomini tanto stravaganti e tanto audaci. Capo di tutti fu Martino Lutero, {230 [230]} cui tenne dietro un altro eresiarca eziandio famoso, cioè Giovanni Calvino. 

 F. O caro padre; vi abbiamo già tante volte udito a nominare Calvino e Lutero; ora fateci il piacere di raccontarci la loro vita; desideriamo assai di conoscerla. 

 P. Io vi narrerò di buon grado la vita di questi due famosi eresiarchi, perchè vista la loro pessima condotta e conosciuta la perversa loro dottrina, possiate guardarvene e fuggirla. Ma voglio innanzi accennarvi alcune circostanze, le quali furono come a dire l'esca e le legna che servirono a fomentare il terribile incendio della pretesa Riforma. 

 F. Diteci quali siano state queste circostanze? 

 P. La circostanza ossia la ragione principale che nel secolo XVI trasse un grande numero di Cristiani a separarsi dalla Chiesa Cattolica fu il desiderio di una vita più libera e sciolta. Miei teneri figli, io vi ripeto una grande verità, procurate di non dimenticarla. Tra tutti quelli, che in vari tempi si allontanarono dalla Chiesa Cattolica, neppure uno ciò fece per desiderio di vita più virtuosa, ma solamente per menare vita sregolata, e seguire una morale che lasciasse il freno disciolto alle umane passioni. Oltre a questo vi furono tre altre circostanze, che servirono come di pretesto ai promotori della Riforma. 

 F. Qual è il primo di questi pretesti? 

 P. La prima circostanza, o meglio il primo pretesto di cui si valsero i novatori a promuovere la loro Riforma, fu la smania di essere indipendenti dal Romano Pontefice. Credo che ancora avrete a mente come i Greci siansi separati dalla Chiesa Romana. Da prima cominciarono dal sottrarsi alla ubbidienza del Capo della Chiesa; donde poscia come per inevitabile conseguenza caddero in una moltitudine di errori e disordini senza fine. Questo spirito di indipendenza nel fatto della religione dai Greci passò nella Germania, la quale perciò suole riguardarsi come culla della Riforma protestante. Voi lo vedete: è sempre la storia di Lucifero che si solleva e a Dio medesimo si ribella. 

 F. Dunque la prima cagione si riduce alla superbia e al desiderio di vivere capricciosamente. E la seconda cagione quale fu? 

 P. La seconda cagione ossia il secondo pretesto, di cui seppero approfittare i promotori della Riforma, fu il prurito che in parecchi Sovrani nacque di volersi appropriare i beni delle Chiese. Sia che il facessero per avarizia o per invidia verso il clero, la cui autorità era in grande venerazione, sia che sentissero astio maligno contro la Religione medesima, il fatto è questo che non pochi principi agognavano avidamente alla spogliazione delle Chiese. Dal che potete immaginare con quale gusto {232 [232]} essi accogliessero e spalleggiassero una setta, la quale mercè l'appropriazione dei beni delle Chiese, saziava la loro ingordigia. La storia ci ammaestra che quando si vuol combattere la Religione, prima di tutto si comincia dallo spogliare i sacri ministri dei beni che posseggono legalmente. 

 F. La terza di queste cagioni quale fu? 

 P. La terza cagione, ossia la terza cosa che favorì la strana Riforma, fu, (e in palesarvelo mi si stringe il cuore di dolore), oltre la generale ignoranza dei popoli fu, dico, la cattiva condotta di alcuni ecclesiastici. 

 F. Come! alcuni ecclesiastici colla loro cattiva condotta diedero motivo alla Riforma? 

 P. Voi avete ben ragione di farne le maraviglie. Gli ecclesiastici, i quali avrebbero dovuto essere i difensori della Religione, gli ecclesiastici non dico tutti, nè molti, ma certo non pochi di essi ne sono stati i disprezzatori. Ma voi dovete notare che fra i dodici Apostoli pur vi ebbe un Giuda; e perciò non dovete tanto maravigliarvi, se nel secolo decimosesto alcuni ecclesiastici, come altrettanti Giuda, abbiano fatto piaghe profondissime alla Santa Religione di Gesù Cristo. Capo di questi ecclesiastici ribelli alla Chiesa fu Martin Lutero. 

 F. Or finalmente siamo a Martin Lutero. Ci gusta grandemente di conoscere la vita di questo famoso eresiarca. {233 [233]} 

 P. Fu costui un uomo per ogni risguardo stravagante. Nacque di poveri genitori in Islebia, città della Sassonia; e fin da fanciullo diede a divedere natura e costumi sì perversi, che molti scrittori della sua vita non esitarono di credere che fosse figlio del diavolo. Aveva sortito ingegno svegliato, animo travagliativo, ma superbo, ambizioso, pronto alla ribellione, alla calunnia, rotto ad ogni vizio e specialmente all'impudicizia. Occupandosi con assiduità allo studio, riuscì ad acquistarsi nome di letterato, ed all’età di vent’anni fu nominato maestro di filosofia. Un uomo tanto scostumato, quale era Lutero, un uomo che non erasi mai posto alla pratica della virtù, nè tampoco a istruirsi delle cose di Chiesa, pareva non dovesse punto essere chiamato da Dio allo stato ecclesiastico. Ciò non ostante un improvviso accidente a ciò lo  risolse. 

 F. Raccontatecelo. 

 P. L'accidente che risolse Lutero ad abbracciare lo stato religioso fu la morte di un suo compagno di scuola, cadutogli ai piedi colpito dal fulmine. Lutero ne rimase spaventato in modo, che fece voto di farsi monaco, e di fatto entrò nell'Ordine degli Agostiniani. Mettendo in opera tutte le arti dell'ipocrisia riuscì a tenere per qualche tempo nascosta la malvagità del suo cuore, e farsi ordinare {234 [234]} sacerdote. Ma a corto andare i suoi superiori conobbero ch'egli era un orgoglioso, un arrogante, un disobbediente a tutti, e come pessimo il licenziarono dal chiostro. Lutero allora tolse giù la maschera, svestì l'abito religioso, e fuggito di convento posesi a predicare contro a quella Religione in cui era nato, su cui basava la sua prima educazione, e alla cui difesa aveva consacrati i suoi giorni con voto solenne. Ciò avveniva nel 1517. 

 F. Peccato! se non fosse stato un sacerdote, forse non sarebbe stato creduto, e non avrebbe fatto tanto male. Ma quale pretesto Lutero ebbe per rivoltarsi così alla chiesa? 

 P. Lutero tolse pretesto dal fatto seguente. Il sommo Pontefice Leone decimo desiderando di condurre a buon termine la stupenda basilica, a cui in Roma già da molto tempo erasi posto mano, ad onore del Principe degli Apostoli, invitò i fedeli di tutto il mondo ad aiutare il compimento della grande costruzione con volontarie limosine, concedendo particolari indulgenze agli oblatori. Credo che vi ricorderete ancora che cosa siano le indulgenze. Le indulgenze, come imparaste nel Catechismo, sono l'applicazione dei meriti di Gesù Cristo, di Maria Santissima e dei Santi, mediante la quale applicazione ci viene condonata in tutto od in parte la pena temporale dovuta ai peccati, già rimessi entro o fuori del Sacramento della Penitenza. {235 [235]} Io spero di potervi con acconci trattenimenti istruire come Gesù Cristo abbia dato al Capo visibile della Chiesa la facoltà di dispensare le indulgenze, e come tale dispensa siasi sempre praticata dal tempo degli Apostoli sino a noi. 

 F. Ebbene che cosa Lutero trovò da riprovare in questo fatto? 

 P. L'impetuoso Lutero trovò degli abusi in queste indulgenze, come di fatto ve ne ebbero; i quali abusi provenivano da parecchi di coloro, che raccoglievano siffatte elemosine. Egli pertanto diedesi a predicare vivamente contra tali abusi; di poi passò ad inveire contro alle stesse indulgenze. Da un disordine passando ad un altro, Lutero si pose sotto i piedi affatto i comandi dei suoi superiori e divenne tutto furore contro alla Chiesa. Come fondamento delle sue dottrine ponendo la libera interpretazione delle Sacre Carte, diessi a predicare che ciascuno era padrone di intendere la Bibbia a modo suo; e quindi farsi una religione quale meglio gli talentasse. A coloro che avevano fatto voto di castità assentì che contraessero matrimonio; e per guadagnarsi la protezione di Filippo sovrano d'Assia gli permise di sposare una seconda moglie, vivente la prima. Diede ampia facoltà ai principi di appropriarsi i beni delle Chiese; abolì la Confessione, la Messa, i digiuni e le astinenze, le opere penitenziali, e {236 [236]} soppresse le feste e tutte le cerimonie sacre. In questa guisa progredendo da errore ad errore Lutero giunse a negare la libertà nell'uomo, a contaminare tutte le cose sacre, e a fare Iddio autore medesimo e del male e del peccato. 

 F. Ohimè che brutta dottrina! Il Papa ed i Vescovi non si occuparono a confutarla? 

 P. I Papi, i Vescovi, le Università, ed i più dotti Cattolici gridarono all'empietà ed  all'eresia. Papa Leone X, che allora governava la Chiesa, usò tutte le possibili sollecitudini per farlo ravvedere. Scrisse a lui e ad altri diverse lettere piene di carità e di benevolenza; da Roma inviò legati in Germania, affinchè lo persuadessero a non allontanarsi da quella Religione, in cui era stato da Dio creato, istruito, e che egli aveva insegnato essere la sola vera, l'unica che presenti i caratteri della divinità. Ma nulla valse ad illuminare l'accecato eresiarca. Dandola a traverso dei vizi, e trasportato dalla superbia divenne ancor più ostinato. Pel che messosi a capo di una schiera di libertini si diede a disseminare i suoi errori per tutta la Germania. L'imperatore Carlo V volle tentare di porre un argine a quei perturbatori; e pubblicò un decreto dove ordinava che gli eretici si acquetassero, finchè le cose fossero bene esaminate dalla Chiesa. Ma quegli spiriti turbolenti non solo rifiutarono {237 [237]} di obbedire, ma protestarono contro gli ordini imperiali; e per sostenere la loro protesta presero le armi e portarono la strage e lo spavento in tutti i paesi, in cui fu loro dato di penetrare. Dalla Protesta fatta di non voler obbedire all'imperatore, questi eretici furono appellati Protestanti, e con siffatto nome sono ancora oggidì chiamati i seguaci di Lutero, di Calvino, di Pietro Valdo, e in generale tutti gli eretici che ne seguono gli errori.

AMDG et BVM

martedì 11 aprile 2017

Nel fondo di questa voragine c'era Lutero

Beata Maria Serafina Micheli
la visione di Lutero all'inferno

Suor Serafina Micheli e la visione di Lutero all'InfernoNel 1883 Suor Maria Serafina Micheli (1849-1911) che sarà beatificata a Faicchio in provincia di Benevento e diocesi di Cerreto Sannita il 28 maggio 2011, fondatrice dell’Istituto delle Suore degli Angeli, si trovava a passare per Eisleben, nella Sassonia, città natale di Lutero. 

Si festeggiava, in quel giorno, il quarto centenario della nascita del grande eretico ( 10 novembre 1483) che spaccò l’Europa e la Chiesa in due, perciò le strade erano affollate, i balconi imbandierati. Tra le numerose autorità presenti si aspettava, da un momento all’altro, anche l’arrivo dell’imperatore Guglielmo I, che avrebbe presieduto alle solenni celebrazioni. 
La futura beata, pur notando il grande trambusto non era interessata a sapere il perché di quell’insolita animazione, l’unico suo desiderio era quello di cercare una chiesa e pregare per poter fare una visita a Gesù Sacramentato. Dopo aver camminato per diverso tempo, finalmente, ne trovò una, ma le porte erano chiuse. Si inginocchiò ugualmente sui gradini ... 
...  d’accesso, per fare le sue orazioni. Essendo di sera, non s’era accorta che non era una chiesa cattolica, ma protestante. Mentre pregava le comparve l’angelo custode, che le disse: “ Alzati, perché questo è un tempio protestante”.
Poi  le soggiunse: “Ma io voglio farti vedere il luogo dove Martin Lutero è condannato e la pena che subisce in castigo del suo orgoglio”.
Dopo queste parole vide un’orribile voragine di fuoco, in cui venivano crudelmente tormentate un incalcolabile numero di anime. Nel fondo di questa voragine v’era un uomo, Martin Lutero, che si distingueva dagli altri: era circondato da demoni che lo costringevano a stare in ginocchio e tutti, muniti di martelli, si sforzavano, ma invano, di conficcargli nella testa un grosso chiodo.

La suora pensava: se il popolo in festa vedesse questa scena drammatica, certamente non tributerebbe onori, ricordi, commemorazioni e festeggiamenti per un tale personaggio.
In seguito, quando le si presentava l’occasione ricordava alle sue consorelle di vivere nell’umiltà e nel nascondimento. Era convinta che Martin Lutero fosse punito nell’Inferno soprattutto per il primo peccato capitale, la superbia.

L’orgoglio lo fece cadere nel peccato capitale, lo condusse all’aperta ribellione contro la Chiesa Cattolica Romana. La sua condotta, il suo atteggiamento nei riguardi della Chiesa e la sua predicazione furono determinanti per traviare e portare tante anime superficiali ed incaute all’eterna rovina.
Se vogliamo evitare l’Inferno viviamo nell’umiltà. Accettiamo di non essere considerati, valutati e stimati da quelli che ci conoscono. Non lamentiamoci, quando veniamo trascurati o siamo posposti ad altri che pensiamo siano meno degni di noi. Non critichiamo mai, per nessun motivo, l’operato di coloro che ci circondano. Se giudicheremo gli altri, non siamo neppure cristiani.

Se giudichiamo gli altri, non siamo neppure noi stessi. Confidiamo sempre nella grazia di Dio e non in noi stessi. Non preoccupiamoci eccessivamente della nostra fragilità, ma del nostro orgoglio e presunzione. Diciamo spesso col salmista: “Signore, non si inorgoglisce il mio cuore e non si leva con superbia il mio sguardo; non vado in cerca di cose grandi, superiori alle mie forze” (Salm. 130).
Offriamo a Dio il nostro “nulla”: le incapacità, le difficoltà, gli scoraggiamenti, le delusioni, le incomprensioni, le tentazioni, le cadute e le amarezze di ogni giorno. Riconosciamoci peccatori, bisognosi della sua misericordia. Gesù, proprio perché siamo peccatori ci chiede solo di aprire il nostro cuore e di lasciarsi amare da Lui. 
E’ questa l’esperienza di San paolo: “La mia potenza, infatti, si manifesta pienamente nella debolezza. Mi vanterò, quindi, ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo” (2 Cor. 12,9). Non ostacoliamo l’amore di Dio nei nostri riguardi col peccato o con l’indifferenza. Diamogli sempre più spazio nella nostra vita, a vivere in piena comunione con Lui nel tempo e nell’eternità.
Don Marcello Stanzione