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lunedì 26 novembre 2018

Medaglia Miracolosa





Conversione di un anticlericale: 

Tobia de Ratisbonne.

Come avete visto, spesso i Blog Cattolici sono visitati dagli anticlericali, a volte carichi di odio verso la Chiesa. A loro dedico la storia di una conversione operata dalla Madonna nel XIX secolo di un acerrimo anticlericale: Tobia de Ratisbonne:

L'otto dicembre 1841 una nave carica di pas­seggeri, partita da Marsiglia, toccava il porto di Civitavecchia. Sul ponte, pronta a scendere, c'era una piccola folla di stranieri: francesi, inglesi, bel­gi, alsaziani. In quel momento, i cannoni del porto tuonarono a salve.

«Che cosa sta accadendo? - domandò un ebreo ad un suo compagno di viaggio.
«Non si spaventi, signor Ratisbonne. Sono spari di festa. Oggi è la festa dell'Immacolata Con­cezione di Maria e le batterie del porto «sparano» in onore della loro celeste Patrona».
«Al diavolo! » - proruppe Tobia Ratisbonne. E afferrando con rabbia i suoi bagagli, rientrò nel­la sua cabina.
Il capitano della nave gli si fece incontro, gentile:
«Qualcosa che non va, signor Ratisbonne?». «Sicuro. Avevo una mezza intenzione di sbar­care a Roma, ma queste sciocche superstizioni di Madonne e cannonate me ne hanno tolta la voglia. Sbarcherò a Napoli. Questa stupida città del Papa mi dà la nausea».
Il capitano della nave non si stupì di queste parole rabbiose. Tobia Ratisbonne era un giovane ebreo nato in Alsazia, ed era diventato con la sua intelligenza fuor del comune un banchiere ricchis­simo. Egli odiava il cattolicesimo a tal punto che quando suo fratello Teodoro si era convertito a Cristo e si era fatto sacerdote, lui l'aveva ripudia­to come fratello.

Nonostante la, sua rabbia contro il cattolicesi­mo, il desiderio di vedere la Roma dei Cesari lo vinse. Da Napoli, dove era sbarcato in un primo tempo, vi si recò il 15 gennaio 1842.

La famiglia De Bussière, nobili e ricchi patri­zi, lo ospitò trattandolo splendidamente. Tobia vi­de i Fori imperiali, il Colosseo, le Terme di Cara­calla, le antiche vie sulle quali gli imperatori avevano celebrato i loro superbi trionfi. «Peccato che quella città regina del mondo antico ora fosse dominata dal Papa, rappresentante di quel Gali­leo, che gli ebrei avevano mandato alla forca come bestemmiatore e 
guerrigliero! ».

Alla vigilia della sua partenza, Tobia Rati­sbonne domandò a Teodoro De Bussière come avrebbe potuto contraccambiare tanta squisita cortesia verso di lui. Teodoro, sorridendo, rispose: «Dovresti farmi un piccolo favore, Tobia. Tu sai che io ero protestante, ma che da qualche tem­po sono entrato nella Chiesa cattolica. Ora vorrei donarti una medaglia di Maria Immacolata. Vuoi accettarla come segno della mia amicizia?.».

L'ebreo provò un'enorme ripugnanza. Tutta­via, da gentiluomo qual era, non poteva rifiutarsi. Abbassò la testa e si lasciò porre al collo la meda­glia, come un bambino. Poi, guardando Teodoro, con ironia, sbottò:
«Ed eccomi ora cattolico, apostolico, romano».
Il giorno 20 gennaio era segnato per la parten­za. Teodoro accompagnò in carrozza l'amico per le vie di Roma. Si fermarono alla chiesa di S. An­drea delle Fratte.
«È una chiesa bella e antica. Dovresti visitar­la, - disse Teodoro a Tobia - scendi e prova a darle una sguardo».
Entrarono. La chiesa era piccola e deserta, ma un piccolo tesoro d'arte. Teodoro si recò con indif­ferenza, quando il suo sguardo fu attratto verso l'altare di san Michele.

Era un vero miscredente. Un autentico nega­tore del Cristianesimo. Nessuna emozione mistica lo turbava. Non desiderava credere, murato nella sua indifferenza. 
Ecco come lo stesso Ratisbonne racconta la sua esperienza:

«Nessun oggetto d'arte attirava la mia atten­zione. Lasciai scorrere lo sguardo all'intorno, sen­za soffermarmi in alcun pensiero; mi ricordo solo di un cane nero che saltellava davanti a me... Ma ben presto il cane scomparve, la chiesa intera scomparve e non vidi più niente, o piuttosto, mio Dio, vidi una cosa sola!
Ero là, prostrato in lacrime, il cuore come strappato da me stesso, allorché De Bussière mi richiamò alla vita.

Non potevo rispondere alle sue domande af­fannose; poi afferrai la medaglia che portavo sul petto; baciai con effusione la Vergine dispensatri­ce di grazia... Oh, era proprio lei, la Vergine Maria apparsa davanti a me, in piedi, sull'altare, piena di maestà e di dolcezza, con le mani - aperte da cui scaturivano fasci di luce intensissima.

Una forza irresistibile mi spinse verso di Lei. La Vergine mi aveva fatto segno con la mano di in­ginocchiarmi e mi sembrò che mi dicesse: «Va be­ne». Non parlò più a lungo, ma io capii tutto. Quando mi inginocchiai, investito dalla luce delle sue mani, mi parve che una benda cadesse dai miei occhi...
Non una sola benda, bensì l'intera moltitudi­ne di bende che mi avevano avvolto, disparvero l'una dopo l'altra, come la neve, il fango e il ghiac­cio sotto l'azione di un sole cocente.
Quel che so, è che al momento di entrare in chiesa, ignoravo tutto; uscendone, vedevo chiaro...»:
Teodoro De Bussière lo scosse due o tre volte. Finalmente Ratisbonne si volse. Aveva il volto inondato di lacrime e balbettava felice: «Era Lei, era proprio Lei, Maria, la Madre del Cristo!».

Lo accompagnarono da un prete cattolico: To­bia De Ratisbonne gli raccontò la straordinaria esperienza nella Chiesa di Sant'Andrea delle Frat­te. Ormai nel suo cuore era diventato cattolico.

«Se quella mattina del 20 gennaio 1842 - scri­verà più tardi - qualcuno mi avesse detto: Ti sei alzato ebreo e ti coricherai cristiano, se qualcuno mi avesse detto una cosa simile, l'avrei guardato come il più pazzo degli uomini... Se in quel mo­mento in cui entrai a Sant'Andrea - era mezzo­giorno - qualcuno mi avesse detto: Tra un quarto d'ora tu adorerai Gesù Cristo, tuo Dio e tuo Signo­re, e sarai prosternato in una povera chiesa e ti picchierai il petto ai piedi di un sacerdote, in un convento di Gesuiti dove passerai il carnevale per prepararti al Battesimo, pronto ad immolarti per la fede cattolica, e rinuncerai al mondo, ai suoi piaceri, alla tua fortuna, alle tue speranze, al tuo avvenire, e se necessario, anche alla fidanzata, al­l'affetto della famiglia, alla stima degli amici, al­l'affezione degli ebrei... e non aspirerai più che a servire Gesù Cristo e a portare la sua croce fino al­la morte... io dico che se qualche profeta mi avesse fatto una simile predizione, avrei giudicato un so­lo altro uomo più insensato di lui: l'uomo che avesse creduto alla possibilità di una tale follia! Eppure è proprio questa follia che fa oggi la mia saggezza e la mia felicità».

Il sacerdote cattolico, incontrato quel giorno, lo invitò a prepararsi al Battesimo. Era chiaro: Maria stessa lo voleva fratello del Figlio suo, il Cristo Gesù, nella Chiesa cattolica, apostolica, romana.

Per le vie di Roma si festeggiava il carnevale. All'interno di un Istituto dei Padri Gesuiti, Tobia De Ratisbonne, il banchiere ebreo, giovane ambi­zioso, che giudicava Roma «una stupida città» perché vi abitava il Papa, e l'Immacolata solo una superstizione dei preti, si preparò con fervore di neofita al Battesimo.

Compiuta la preparazione, il Cardinal Patrizi battezzò Tobia De Ratisbonne. Volle chiamarsi Al­fonso Maria.
Maria, l'Immacolata, l'aveva vinto e condotto con mano di mamma al suo divin Figlio.
Una commissione incaricata dal Papa, nel giu­gno dello stesso anno, riconobbe la verità dell'ap­parizione.
Tornato in Francia, Alfonso De Ratisbonne la­sciò tutto: la casa, la banca, la fidanzata, la vita brillante che aveva davanti, per cominciare gli studi teologici in preparazione al sacerdozio.

Dopo l'ordinazione sacerdotale, don Alfonso si recò in Oriente, dove dedicò tutta la sua vita alla conversione degli ebrei, fondando la Congregazio­ne di Nostra Signora di Sion.

Oggi, chi va in Palestina e cerca la sua tomba, la trova nel piccolo cimitero di S. Giovanni in Montana, all'ombra di una bianca statua di Maria Immacolata.
Per tutta la sua vita, guidato da Maria, l'amo­re del suo Dio aveva preso il posto di ogni altro amore.


Contemplare Et mirare Eius celsitudinem,
Dic felicem Genitricem, Dic beatam Virginem!



venerdì 6 marzo 2015

MEDAGLIA MIRACOLOSA

LA MEDAGLIA MIRACOLOSA


San Massimiliano Maria Kolbe, l'apostolo mariano del  xx.mo secolo, nella sua ammirabile vita francescana trasse ogni amore, forza e saggezza dalla devozione mariana, ricapitolata ed esercitata attraverso la Medaglia Miracolosa, da cui sempre scaturì innumerevole serie di grazie e miracoli.

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“Tutte le persone che porteranno questa Medaglia riceveranno grandi grazie, specialmente portandola al collo”      

“Le grazie saranno più abbondanti per le persone che la porteranno con fiducia”.

Queste sono state le straordinarie parole pronunciate dalla Madonna in occasione delle Apparizioni a Santa Caterina Labouré, nel 1830.

Da allora e fino ad oggi, questo torrente di grazie che fluisce dall’eternità verso di noi, non si è mai fermato specialmente per quanti portano con fede la Medaglia Miracolosa.
La straordinaria successione delle Apparizioni mariane, volute dal Padre Celeste in preparazione provvidenziale agli ultimi tempi malvagi, è cominciata a Parigi nel 1830, in Rue du Bac, dove la Madre di Dio ordinò di far coniare la Medaglia Miracolosa, è continuata a La Salette sempre in Francia, poi a Sant'Andrea delle Fratte in Roma, poi a Lourdes, ed ha trovato un'impressionante conferma a Fatima in Portogallo. 
Ivi la Madonna trasmise ai tre santi pastorelli Lucia, Giacinta e Francesco il gran Messaggio (detto "segreto" di Fatima) che ora stiamo vivendo e che ci prepara al Trionfo del Cuore Immacolato, ossia al riconoscimento ufficiale mondiale della  missione che, per la nostra Redenzione, fu affidata alla Vergine Divina fin dall'eternità, come ci insegna la Liturgia nelle Sante Messe mariane:  Ab initio et ante sæcula creata sum, et usque ad futurum sæculum non desinam : et in habitatione sancta coram ipso ministravi. (Sir. 24, 14). Lungi da noi ogni minimalismo, perché in verità Maria di Nazareth, la Madre di Dio, L'IMMACOLATA CONCEZIONE, è la Madre della Salvezza, Divina Mediatrice, Redentrice (cum Christo) e Avvocata nostra: "AD JESUM PER MARIAM" o meglio: PER MARIAM AD JESUM.
"Amate l'Immacolata senza porre nessun limite perché sempre sarà meno di quanto a Lei si deve". E' la parola dei Santi, la parola e il testamento di San Massimiliano Maria Kolbe.
Immaculata Mariae Virginis conceptio,
Sit nobis semper salus et protectio.

AMDG et BVM

sabato 16 marzo 2013

"Vi dirò qual è il segreto ... Come posso allora essere triste? ...



 Giovinezza di Alfonso Ratisbonne

Alfonso Ratisbonne nasce a Strasburgo il 1 maggio 1814 da una ricca famiglia di banchieri, penultimo di otto figli. Dopo aver perso all’età di quattro anni la madre, trascorre la fanciullezza in due istituti elitari della città. A 16 anni perde anche il padre. A prendere in sua tutela Alfonso è lo zio materno Luigi che, dopo il completamento degli studi universitari alla Sorbona di Parigi dove si laurea in Giurisprudenza, lo impiega nella sua banca e lo fa socio negli affari. In questo periodo Alfonso si fa notare per il suo ateismo e il disprezzo totale della religione cattolica di cui, in modo particolare, critica le forme “paganeggianti” della devozione popolare. Rompe ogni legame con il fratello Teodoro che, convertitosi al cattolicesimo, il 18 dicembre 1830 viene ordinato anche sacerdote. Nel 1840, a 27 anni, Alfonso s’innamora perdutamente di sua cugina Flora molto più giovane di lui. I genitori di lei si oppongono al matrimonio e Alfonso decide di intraprendere un lungo viaggio in Europa e in Medio Oriente. Salpa da Marsiglia il 9 dicembre 1841 per giungere a Napoli qualche settimana dopo. A causa di un’avaria, la nave non può continuare il suo viaggio verso Palermo e Alfonso, nell’attesa, decide di recarsi alcuni giorni a Roma.

Apparizione dell’Immacolata e conversione di Alfonso

Girovagando per le strade della capitale, incontra il barone Gustavo de Bussière, suo vecchio compagno di studi alla Sorbona che lo invita ripetutamente a casa sua. Gustavo era stato convertito al cattolicesimo proprio dal fratello di Alfonso ed era devotissimo della Vergine. Rischiando la violenta reazione di Alfonso, una sera gli offre una “Medaglia miracolosa” raffigurante la Vergine Immacolata così come si era rivelata nel 1830 nella cappella della Rue du bac a Parigi, a Caterina Labourè, professa delle suore della carità di S. Vincenzo. Alfonso prende la medaglia e, per non dispiacere l’amico, la mette al collo. Nella tarda mattinata del 21 gennaio Alfonso, ormai vicino alla partenza per Napoli, fa l’ultimo giro per le vie della capitale e incontra nuovamente il barone nei pressi di Piazza di Spagna. Gustavo ferma la sua carrozza davanti alla Basilica di S. Andrea delle Fratte, perché deve organizzare in quella chiesa il funerale di un diplomatico. Nell’attesa del ritorno dell’amico, Alfonso decide di entrare nella basilica per ammirarne le opere d’arte. Sono esattamente le 12,45. All’improvviso gli sembra che una luce misteriosa si concentri nella cappella di sinistra, dedicata a S. Michele. In mezzo a questa luce vede grande, maestosa e bellissima la Vergine Maria, qual è raffigurata nella Medaglia miracolosa. La Vergine, senza dire parola, gli fa segno di inginocchiarsi e Alfonso comprende, in un istante, l’errore dello stato in cui si trova e la bruttura del peccato e vede risplendergli tutta la bellezza, la ricchezza e la profondità della fede cristiana fino allora combattuta. Il desiderio di cambiare vita, di farsi cattolico lo invade profondamente. Finita l’apparizione Alfonso si fa accompagnare dal barone, stupito nel vederlo profondamente cambiato, nella Chiesa del Gesù, dove racconta l’apparizione e si confessa tra le lacrime. Dopo un intenso catecumenato, il 31 gennaio 1842, riceve il Battesimo e la Cresima, per mano del Cardinale Patrizi, vicario di Roma. 



Dopo l’apparizione
Il Vicariato dell’Urbe istituì il 17 febbraio dello stesso anno 1841 una commissione d’inchiesta e il 3 giugno 1842 papa Gregorio XVI riconobbe come straordinaria e miracolosa la conversione di Alfonso.Ritornato a Parigi, Alfonso si incontra con il fratello Teodoro ripacificandosi con lui e decide di farsi gesuita. Il 20 giugno 1842 entra in noviziato a Tolosa e il 24 settembre 1848 viene ordinato sacerdote. Con il passare del tempo Alfonso capì che la sua missione era quella di servire i suoi fratelli ebrei. Lasciato l’ordine dei gesuiti con l’autorizzazione di Papa Pio IX, si reca in Terra Santa dove fonda il ramo maschile della Congregazione di Nostra Signora di Sion insieme al Fratello che da tempo aveva già fondato quello femminile. Si dedica all’assistenza agli orfani fondando diverse case di accoglienza. Dopo un breve viaggio a Roma nel 1878, ritorna definitivamente in Terra Santa, dove muore il 6 maggio del 1884, pronunciando i nomi di Gesù e Maria, cirocndato dagli orfani a cui aveva dedicato la sua vita. Aveva 70 anni e ne erano trascorsi 42 dall’apparizione che aveva cambiato la sua vita. Le sue spoglie furono deposte in un’umile tomba nel giardino della Casa di Ain-Karim in San Giovanni in Montana, all’ombra di una statua della Vergine Immacolata.

Spiritualità mariana di Alfonso Ratisbonne

L’esperienza dell’apparizione legò in maniera indelebile Alfonso Ratisbonne a Maria. Maria era per lui causa di gioia perenne. Ad una suora che gli chiedeva come facesse ad essere sempre sereno e allegro anche in circostanze dolorose, P. Alfonso rispose: “Vi dirò qual è il segreto di tutto questo: dico tutto alla Santa Vergine, le confido tutto quello che mi può tormentare, addolorare e inquietare e poi la lascio fare. Come posso allora essere triste? Sapendo che così tutto andrà secondo la volontà divina e per il meglio, me ne rallegro in anticipo”. 

Alfonso ha in Maria una confidenza illimitata che, come lui stesso dirà, rasenta quasi la temerità. La sua è una fiducia straordinaria, continua, inesauribile, che non proviene da un’esaltazione del cuore o da uno sforzo della volontà, ma da un’esperienza vissuta e sempre presente, da un’evidenza che si impone da se stessa e che è motivo di gioia. Alfonso vede la sua vita come un costante Magnificat e un perenne Stabat Mater. Esalta e ringrazia Maria con illimitata riconoscenza e con altrettanta disponibilità si pone accanto alla Croce con Lei, fidandosi soltanto del suo materno amore e della sua sicura protezione. Ha la consapevolezza che senza Maria non sarebbe quello che è. Non è stata forse l’Immacolata ad avergli ottenuto il favore di Dio, gratuitamente, ad averlo illuminato nel suo cammino di fede? A chi si recava a Roma o gli scriveva dalla Città eterna diceva: “Ringraziate per me la Vergine Immacolata perché io non riuscirò mai a ringraziarla abbastanza”. Alfonso vive sempre sotto lo sguardo di Maria. Ne ha il cuore così pieno che gli è impossibile esprimere ciò che per lui è incomunicabile: l’intimità con sua Madre. L’aveva vista bella e piena di luce e di quella luce si sentiva sempre inondato. Maria è sempre presente nel suo cuore ed egli è anche impaziente di raggiungerla nel cielo. Diceva ad un amico di non sapere come mai, sebbene peccatore, non avesse paura della morte, anzi di desiderarla e di voler morire recitando il Memorare di S. Bernardo, sicuro di poter ritornare ad ammirare lo splendore della sua Madre dolcissima. Poco prima di morire diceva ai suoi: “ quando starò per morire non ditemi altro che: Maria! La pace scenderà allora nel mio cuore!”. Sentiva di essere chiamato dalla Vergine, di aver bisogno di Lei. “Desidero solo Maria! - diceva – Maria è per me tutto! Maria! Qui c’è tutto!”. Maria! Questo nome esprime tutta la sua vita, l’unico nome che riceve nel battesimo e il solo che sarà anche inciso sulla lapide della sua tomba. Maria fu il suo grande amore ed è il suo nome di ringraziamento a Dio per tutta l’eternità.

Conclusione
La vita di Alfonso Ratisbonne è tutto un canto a Maria che ha le note di una polifonia:
- è un canto di ringraziamento a Colei che, senza suo merito, si era degnata apparirgli;
- è un canto di dedizione a Colei che, mostrandosi amorevole, lo ha incitato ad essere padre di una sterminata schiera di orfani. Nell’amore di Maria egli ha trovato il segreto del suo amore per i fratelli e per i deboli, fatto di opere concrete e di servizio;
- è un canto di appartenenza spirituale a Colei che è la madre dei santi. Richiamandolo alla luce della fede da una vita senza significato, Maria ha delineato e segnato il suo cammino spirituale e Alfonso, seguendolo, è divenuto un autentico testimone di santità;
- è un canto di fiducia illimitata in Colei che non abbandona e che maternamente segue i suoi figli. Con Lei vicina, mano con mano, Alfonso ha trascorso la sua vita, mai staccando il suo sguardo da Lei, mai dimenticando di essere oggetto della sua materna sollecitudine.
Ancora oggi la vita di Alfonso Ratisbonne è un modello di spiritualità mariana, di quella spiritualità che vede nella Vergine la via autentica che conduce a Dio. Alfonso ha riposato sul cuore di Maria e si è ritrovato immerso nell’amore di Dio.

Dal libro di S. M. Carmelle, Alfonso Ratisbonne da Roma a Gerusalemme, Figlie di Sion, Roma 1991.





Regína cæli, lætáre, allelúia,
Quia quem meruísti portáre, allelúia,
Resurréxit, sicut dixit, allelúia.
Ora pro nobis Deum, allelúia.
AVE MARIA VIRGO POTENS!


venerdì 20 gennaio 2012

In quello splendore è apparsa, in piedi, sull’altare, grande, fulgida, piena di maestà e di dolcezza, la Vergine Maria, così come è nella Medaglia Miracolosa.



Ein Kerem, Nostra Signora di Sion,
tomba di 
Alphonse Marie Ratisbonne


a Roma per mezzo della Medaglia Miracolosa

Ratisbonne, un giovane intelligente e ricco ebreo di Strasburgo, era stato educato lontano dalla religione. “Non credevo neppure in Dio”, scrive di se stesso. “Non avevo mai aperto un libro di argomento religioso.
Con evidente riluttanza accetta dal barone Bussières la Medaglia Miracolosa.
Poco tempo dopo, il 20 gennaio 1842, il signor de Bussières entra insieme con lui nella chiesa di S. Andrea delle Fratte, per sbrigare in sacrestia alcuni particolari relativi ad una funzione in suffragio del defunto signor Laferronays: anzi è già stato preparato il catafalco al centro della chiesa. Qui gli appare l’Immacolata e lo converte all’istante.
Lo stesso signor de Bussières racconta così il fatto: “Ritornando in chiesa, non scorgo subito Ratisbonne. Poco dopo lo trovo inginocchiato davanti alla cappella di S. Michele Arcangelo. Mi avvicino a lui, lo tocco tre o quattro volte, prima che egli si renda conto della mia presenza. Finalmente si volge verso di me con il volto bagnato di lacrime, abbassa le mani e mi dice , con un’espressione che mi è impossibile descrivere: Oh, quanto ha pregato per me quel signore!”.
“Io stesso ero rimasto stupefatto; sentivo di trovarmi di fronte ad un miracolo. Rialzo Ratisbonne, lo accompagno, lo trascino quasi, per così dire, fuori dalla chiesa, gli chiedo di raccontarmi quel che gli è capitato, di dirmi dove vuole andare. Mi conduca dove vuole – esclamò – dopo quello che ho visto, farò quel che vuole lei”.
“Insisto perché mi spieghi; non riesce; la sua commozione è troppo forte. Estrae dal petto la medaglia miracolosa, la copre di baci e la bagna di lacrime. Lo accompagno a casa e, malgrado le mie insistenze, non riesco ad ottenere nulla da lui, ad eccezione di esclamazioni frammiste a singhiozzi. “ Ah, come sono contento! Quanto è buono Iddio! Quale pienezza di grazia e di bontà! Quanto son degni di compassione coloro che non lo sanno…”.
“Lo accompagnai subito alla chiesa del Gesù, da Padre de Villefort, che gli raccomandò di raccontare ogni cosa. Allora Ratisbonne trae fuori la medaglietta, la bacia, la mostra a noi ed esclama: “Io l’ho vista, io L’ho vista!” e la sua commozione si accresce ancor di più. Ma poco dopo, più calmo riesce a spiegarsi; ecco le sue precise parole: “Ero in chiesa da un po’ di tempo, quando improvvisamente provai un’emozione indicibile. Sollevai gli occhi: l’intero edificio era svanito al mio sguardo. Una sola cappella, per così dire, concentrava il mondo intero. E in mezzo a quella luce che si irradiava ovunque, è apparsa la Vergine Santissima, ritta sopra l’altare, grande, risplendente, piena di maestà e di amorevolezza, quale è rappresentata nella mia medaglia; una forza irresistibile mi spingeva verso di Lei. La Santissima Vergine mi fece segno con la mano di inginocchiarmi. Mi sembrò che dicesse: va bene! Ella non mi parlò affatto, ma io compresi tutto”.
“Durante il breve racconto Ratisbonne si interruppe più volte, come per frenare la commozione che si impadroniva di lui. Lo ascoltammo con gioia e riconoscenza, e contemporaneamente ammiravamo l’ ampiezza e la profondità delle vie di Dio e dei tesori ineffabili della Sua misericordia. In particolare ci colpì una sua espressione, per la sua misteriosa profondità: “Ella non mi parlò affatto; ma io compresi tutto”. In effetti, da quel momento è sufficiente ascoltare Ratisbonne: la fede cattolica sgorga dal suo cuore, come un profumo prezioso dal vaso che lo racchiude, ma non lo può mantenere inerte dentro di sé. Parla della presenza reale, come un uomo che crede in essa con tutte le forze della propria anima (ma dire questo è ancora poco), come un uomo che ne ha l’esperienza.
“Lasciato il Padre de Villefort, siamo andati a rendere gloria a Dio, innanzi tutto nella basilica della SS. Vergine Maria, quindi a S. Pietro.
“È impossibile descrivere il rapimento estatico di Ratisbonne mentre si trovava in queste chiese. “ Ah! - mi diceva stringendomi le mani – ora comprendo l’amore dei cattolici per le loro chiese e la devozione che impone loro di addobbarle e di abbellire!…Come si sta bene qui! Non si vorrebbe mai uscire da qui!… Questa non è più terra, è quasi il paradiso!”.
“Davanti all’altare del Santissimo Sacramento, la presenza reale della divinità lo soggiogava fin al punto tale che veniva meno, se non se ne allontanava subito: tanto gli sembrava tremendo rimanere alla presenza del Dio vivo, con la macchia del peccato originale! E andava a rifugiarsi in una cappella della Santissima Vergine.
“Qui – diceva rivolgendosi a me – non posso, non posso aver paura, sento di essere protetto da una misericordia sconfinata”. Pregava con il più grande fervore sulla tomba dei santi Apostoli. La storia della conversione di San Paolo, che gli avevo narrata, era causa di lacrime ancor più abbondanti.
“Gli chiesi nuovi particolari sulla visione che aveva avuto. Non riusciva a spiegarsi in qual modo fosse passato dal lato destro della chiesa alla cappella situata sul lato sinistro, pur essendo separato dal catafalco.Tutt’a un tratto si era trovato umilmente inginocchiato davanti alla cappella.In un primo momento era riuscito a scorgere la Regina del cielo in tutto lo splendore di una bellezza immacolata, ma i suoi occhi non erano in grado di sopportare quello splendore divino. Tentò per altre tre volte di volgere lo sguardo verso la Madre della misericordia e per tre volte i suoi tentativi furono inutili, perché qualcosa gli impediva di sollevare gli occhi più in alto delle mani benedette, dalle quali uscivano, sotto forma di raggi luminosi, torrenti di grazia.
“ “Oh, mio Dio! – esclamava – io che solo mezza settimana fa bestemmiavo ancora, io che provavo un odio violento verso la religione cattolica!…Tutti, però, mi conoscono, sanno bene che, umanamente parlando, avevo tutti i motivi per rimanere ebreo. La mia famiglia è ebrea, la mia fidanzata è ebrea, mio zio materno è ebreo”“.
Ma ascoltiamo la dichiarazione dello stesso convertito, contenuta in una lettera scritta al parroco della chiesa della Santissima Vergine Maria della Vittoria, a Parigi. Ecco alcuni brani di tale lettera:
“Mio fratello Teodoro, nel quale ponevo una grande speranza, era diventato cristiano e poco tempo dopo – malgrado le insistenti suppliche e lo sconforto che aveva provocato – era andato oltre, era divenuto sacerdote e svolgeva il proprio ministero sacerdotale nella stessa città e sotto gli occhi delle mia famiglia sconsolata. Questi gesti del mio fratello minire mi avevano disgustato enormemente e avevano provocato in me sentimenti di disprezzo nei confronti del suo abito e del suo stato.Educato tra giovani cristiani indifferenti come me, non provavo né simpatia né antipatia verso il cristianesimo. Tuttavia la conversione di mio fratello, che consideravo una pazzia inesplicabile, mi indusse a credere nel fanatismo dei cattolici e sentivo un’avversione nei loro riguardi…
“Terminai gli studi di diritto a Parigi, ottenni il diploma e indossai la toga di avvocato. In seguito,però, fui richiamato a Strasburgo da uno zio materno,che faceva di tutto per avermi accanto a sé. Non sono in grado di calcolare la sua generosità. Egli mi regalava cavalli, carrozze, viaggi, migliaia di gesti di munificenza, senza rifiutare di accontentare ogni mio capriccio…Lo zio mi rinfacciava unicamente i miei frequenti viaggi a Parigi. “Tu ami troppo i Campi Elisi”, mi diceva con amorevolezza. Aveva ragione. Io amavo soltanto i piaceri. Gli affari mi facevano perdere la pazienza, l’atmosfera di ufficio mi soffocava. E benché una specie di pudore innato mi tenesse lontano dai piaceri e dalle compagnie cattive, sognavo solamente divertirmi e piaceri e mi dedicavo ad essi con passione e frenesia…
“Ero ebreo solo di nome, poiché non credevo neppure in Dio. Non avevo mai aperto un libro di argomento religioso. Anzi, in casa di mio zio, come pure quando stavo con i miei fratelli e sorelle, non praticavo neppure le più piccole norme del giudaismo.
“Nel mio cuore vi era il vuoto e non ero per nulla felice in mezzo a tutta quell’abbondanza. Mi mancava qualcosa, tuttavia questo oggetto mi era già stato dato: così almeno io penso.
“[Infatti], avevo una nipote, figlia del maggiore dei miei fratelli,che mi era stata destinata fin dal tempo in cui eravamo ambedue fanciulli. Era cresciuta con il suo fascino davanti ai miei occhi e io vedevo in lei tutto il mio avvenire e tutta la speranza di felicità riservata a me…
“Debbo qui rilevare un certo cambiamento verificatosi nelle mie idee religiose all’epoca del mio fidanzamento. Come ho detto, io non credevo in niente; e in tutto questo nulla, in questa negazione di qualsiasi fede mi trovavo in piena armonia con i miei amici cattolici e protestanti. Tuttavia, la vista della mia fidanzata suscitava in me un sentimento della dignità umana. Incominciai a credere nell’immortalità dell’anima; più ancora incominciai istintivamente a pregare Dio, a ringraziarlo per la felicità; tuttavia non ero felice…Non sapevo rendermi conto dei miei sentimenti, guardavo alla mia fidanzata come al mio angelo buono; le parlavo spesso e, in realtà, il pensare a lei elevava il mio cuore verso Dio, che non conoscevo, che non avevo mai pregato e che non avevo mai implorato.
“Considerammo opportuno differire il matrimonio, a causa della troppo giovane età della mia fidanzata: aveva sedici anni. Dovetti, perciò, compiere un viaggio di piacere, in attesa dell’ora della nostra unione.
“Decisi di recarmi a Napoli, di trascorrere l’inverno a Malta, per rinforzare la mia debole salute, e far ritorno in seguito passando attraverso l’Oriente. Avevo con me delle lettere di raccomandazione perfino per Costantinopoli e mi misi in viaggio alla fine di novembre del 1841. Dovevo essere di ritorno all’inizio dell’anno seguente…
“Soggiornai un mese a Napoli, per vedere tutto e annotare tutto. In particolare scrissi contro la religione e contro i sacerdoti che in quelle fortunate località mi sembravano del tutto fuori posto. Oh, quante bestemmie nel mio diario!…”.
Contrariamente alle sue intenzioni, egli [Ratisbonne] capitò tuttavia a Roma, dove si incontrò con il barone Teodoro de Bussières, che dal protestantesimo era passato al cattolicesimo. Il suo odio verso il cattolicesimo si accrebbe maggiormente dopo la visita al ghetto degli ebrei di Roma. Così descrive più oltre le sue impressioni alla notizia che due ebrei si stavano preparando a ricevere il battesimo: “Non sono in grado di esprimere l’indignazione che mi ha afferrato nel sentire una simile cosa; e allorché la mia guida mi chiese se desideravo assistere al rito : “Io? – esclamai – io? Assistere ad una simile viltà? No, no! Non sarei capace di trattenermi dall’avventarmi contro i battezzandi e i battezzati!”.
“Debbo dire, senza paura di esagerare, che non sono sta mai così pieno di veleno contro il cristianesimo come durante la visita al ghetto. Non mi trattenevo dalle derisioni e dalle bestemmie”.
medaille_miraculeuse.jpgCon manifesta riluttanza accettò la medaglia miracolosa dal barone de Bussières; tuttavia poco dopo, il giovedì 20 gennaio, l’Immacolata si mosse a compassione di lui. Egli stesso continua a scrivere nella lettera: “Mi recai in un caffè di Piazza di Spagna, per dare un’occhiata ai quotidiani; mi trovavo lì da poco tempo, quando giunse il signor Edmondo Humann, figlio del ministro delle finanze, e si sedette accanto a me. Ci trattenemmo in conversazione parlando di Parigi, di arte e di politica. Poco dopo mi raggiunse un altro amico, un protestante, il signor Alfredo de Lotzbeck, con il quale ebbi una conversazione ancor più futile. Parlammo di caccia, di svaghi, di divertimenti carnevaleschi, di una splendida serata che il principe di Torlonia aveva organizzato. Non si potè lasciare da parte la cerimonia del mio matrimonio. Rivolsi l’invito al signor de Lotzbeck, il quale mi promise che vi avrebbe senz’altro partecipato. Se in quel momento (era mezzogiorno) un terzo interlocutore mi si fosse avvicinato e mi avesse detto: “Alfonso, tra un quarto d’ora tu adorerai Gesù Cristo quale tuo Dio, tuo Salvatore e ti umilierai in una povera chiesa e ti batterai il petto davanti ad un sacerdote in un convento di Gesuiti, dove passerai il carnevale preparandoti al battesimo , disposto a sacrificarti per la fede cattolica, e rinunzierai al mondo, alla superbia, ai suoi piaceri, alle tue ricchezze, alle tue speranze, al tuo avvenire e, se sarà necessario, rinunzierai alla tua fidanzata, all’affetto della famiglia, alla stima dei tuoi amici, ai legami con gli ebrei… e non desidererai altro che seguire Cristo e portare la sua croce fino alla morte…”, dico che se un simile profeta mi avesse predetto una cosa del genere, avrei pensato che una persona sola sarebbe stata più impazzita di quello, vale a dire colui che sarebbe stato capace di credere nella possibilità di una simile pazzia! E tuttavia, questa pazzia costituisce oggi la mia saggezza e la mia felicità.
“Uscendo dal caffè, mi imbattei nella vettura del signor Teodoro de Bussières, il quale mi chiese se potevo trattenermi alcuni minuti davanti alla chiesa di Sant’Andrea delle Fratte, che si trovava proprio in quei paraggi, in attesa che egli potesse fare una certa commissione. Mi propose di attendere in vettura; io preferii scendere per dare un’occhiatina alla chiesa.Si stavano facendo dei preparativi per una cerimonia funebre. Chiesi il nome del defunto per il quale erano destinate quelle estreme onoranze. Il signor de Bussières mi rispose: “Si tratta di un mio buon amico, il conte de Laferronays’; non l’avevo mai visto e non provai alcun sentimento all’infuori di un lieve dispiacere, quale si prova alla notizia di una morte improvvisa. Il signor de Bussières mi lasciò perché doveva andare a far preparare una tribuna riservata per la famiglia del defunto. “La prego di non perder la pazienza – mi disse mentre entrava in convento – sarà questione di due minuti”.
“La chiesa di S. Andrea è piccola, povera e deserta… Mi sembrava di essere solo… nessun oggetto d’arte richiamava l’attenzione. Dirigevo meccanicamente lo sguardo attorno senza fermare il pensiero su nessuna cosa. Ricordo che un cane nero si aggirava davanti a me e salterellava qua e là…Poco dopo il cane scomparve. Tutta la chiesa scomparve, non vedevo più nulla, o piuttosto – o mio Dio – vedevo una cosa sola!!!
“Come si fa a parlarne? Oh, no! la parola umana non deve neppure tentare di esprimere ciò che non è possibile esprimere! Qualunque descrizione, per quanto mirabile possa essere, sarebbe soltanto una profanazione di una verità ineffabile.
“Ero lì umiliato, inondato di lacrime, con il cuore che mi scoppiava, allorché il signor de Bussières mi richiamò alla realtà.
“Non fui capace di rispondere alle sue pressanti domande, ma alla fine afferrai la medaglietta che tenevo al petto, baciai con effusione l’effigie della SS. Vergine che spargeva le Grazie. Ah, era proprio LEI!
“Non sapevo dove mi trovavo, non sapevo se ero Alfonso o un altro, mi accorgevo di essere totalmente trasformato, mi sentivo interiormente un altro…Volevo ritornare in me stesso e non riuscivo a farlo…una gioia intensissima esplodeva nel mondo della mia anima; non riuscivo a parlare, non volevo rivelare nulla, sentivo in me qualcosa di grandioso e di santo che mi indusse a chiedere di un sacerdote… Mi condussero da lui e solo dopo aver ricevuto un ordine categorico feci la mia narrazione, per quanto mi fu possibile, in ginocchio con il cuore tremante.
“Le mie prime parole furono espressioni di riconoscenza verso il signor de Laferronays e per la confraternita della Santissima Vergine Maria della Vittoria. Sapevo con sicurezza che il signor de Laferronays aveva pregato per me, ma non sarei stato in grado di dire in qual modo l’avevo saputo e in qual modo dovevo rendermi conto della verità che avevo acquisito: con la fede e la conoscenza. Tutto ciò che posso dire è che in quel momento il velo che mi copriva cadde dai miei occhi. Non uno solo, ma tutti i veli che mi avvolgevano scomparvero l’uno dopo l’altro e rapidamente, come la neve, il fango e il ghiaccio sotto l’azione del sole cocente. Uscivo da una tomba, da un abisso di tenebre ed ero vivo, perfettamente vivo…ma piangevo! Vedevo nel fondo dell’abisso le miserie estreme dalle quali ero stato estratto da una misericordia sconfinata; un brivido mi pervadeva alla vista di tutte le mie scelleratezze ed ero stupito, commosso, tutto preso dall’estasi e dalla riconoscenza. Pensavo a mio fratello con una gioia indicibile, ma alle mie lacrime d’amore si mescolavano lacrime di commiserazione. Purtroppo, tante persone scendono tranquillamente, senza preoccuparsene, verso questo abisso con gli occhi velati dalla superbia…scendono, inghiottiti vivi, in tenebre spaventose…e la mia famiglia, la mia fidanzata, le mie povere sorelle!!! Ah, quale inquietudine straziante! Io pensavo a voi, a voi che amo, per voi ho offerto le mie prime preghiere… Non eleverete voi gli occhi verso il Salvatore del mondo, il cui sangue ha lavato il peccato originale? Ah, quanto è detestabile il marchio di questa sozzura! quale trasformazione radicale esso provoca nella creatura, fatta ad immagine e somiglianza divina! “Mi chiedono come abbia fatto a conoscere queste verità, dato che è accertato che non ho mai aperto un libro di contenuto religioso, non ho mai letto una sola pagina della Bibbia e che il dogma del peccato originale, completamente dimenticato o negato dagli ebrei dei nostri tempi, non ha mai occupato la mia mente neppure per un istante; dubito perfino di averne conosciuto la denominazione. Come ero giunto, quindi, alla conoscenza di esso? Non lo saprei dire. Tutto quel che so è che entrando in chiesa non sapevo nulla, mentre uscendo vedevo con chiarezza. Non so spiegare tale cambiamento in altro modo che paragonarmi ad una persona che viene bruscamente svegliata da un sonno profondo, oppure servendosi dell’analogia di colui che, cieco fin dalla nascita, all’improvviso scorge la luce del giorno: egli vede, ma non è capace di definire la luce che lo illumina e chi gli offre la possibilità di vedere gli oggetti della sua meraviglia.
“Se non si riesce a dare una spiegazione della luce fisica, come si potrebbe spiegare quella luce che, in ultima analisi, è la verità stessa? È vero quando dico che non conoscevo la Scrittura, tuttavia io penetravo con lo sguardo il significato e lo spirito dei dogmi. Io sentivo queste cose molto di più che se le avessi viste, e provavo anche le conseguenze ineffabili che esse producevano in me. Tutto ciò avveniva all’interno di me stesso e queste impressioni, mille volte più rapide del pensiero, mille volte più profonde delle riflessioni, non solo toccavano la mia anima, ma in certo modo le facevano cambiar senso di marcia e la indirizzavano in un’altra direzione, verso un altro scopo e lungo un’altra via…
“Il mondo non era più nulla ormai per me. Le mie prevenzioni contro il cristianesimo non esistevano più; dei pregiudizi acquisiti fin dall’età infantile non vi era più nemmeno la traccia; l’amore verso il mio Dio prese talmente il posto di qualsiasi altro amore che perfino la mia fidanzata mi appariva sotto un altro angolo di visuale: l’amavo come si ama un oggetto che Dio tiene tra le proprie mani, come un dono prezioso che impone di amare ancor di più il donatore…
“Mi sentivo disposto a tutto e bramavo ardentemente il battesimo. Si voleva tramandarlo. “Ma – esclamai – quegli ebrei che avevano ascoltato la predicazione degli apostoli furono battezzati immediatamente, mentre voi vorreste procrastinare il mio battesimo? Dopo che ho ascoltato la Regina degli Apostoli?. La mia commozione, i miei ardenti desideri, le mie implorazioni hanno toccato quelle persone compassionevoli, le quali mi hanno accolto tra di loro e mi hanno fatto la promessa – sorgente di benedizioni in eterno ! – del battesimo.
“Non riuscivo a trattenere l’impazienza dell’attesa del giorno stabilito per l’attuazione di quella promessa. Riconoscevo di essere tanto abominevole davanti a Dio, tuttavia quanta bontà, quanta misericordia mi si manifestava durante tutti i giorni della mia preparazione…D’ora in poi la riconoscenza sarà la mia legge e la mia vita. Non son capace di esprimerla a parole, ma farò il possibile per dimostrarla con le opere…”.


 

AMDG