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domenica 24 agosto 2014

NOVISSIMI


 I TESORI DI CORNELIO A LAPIDE: Novissimi

1. Grande disgrazia è dimenticare i novissimi. 

2. Quanto è utile ricordarsi dei novissimi. 
3. Come dobbiamo ricordare i novissimi.





1. GRANDE DISGRAZIA È DIMENTICARE I NOVISSIMI. - I novissimi, cioè gli ultimi fini, sono la morte, il giudizio, il paradiso, l'inferno, l'eternità. 

Dimenticare cose di tanta importanza, non prevederle, non prepararvisi, è la somma delle disgrazie che possa accadere ad un uomo. Infatti 

dimenticare la morte, vuol dire non pensare a prepararvisi, ed avventurarsi alla triste morte del peccatore: disgrazia irreparabile. 

Dimenticare il giudizio di Dio è un disprezzarlo; e allora sarà molto terribile questo giudizio. 

Dimenticare il cielo è grande sciagura, perché così facendo non si fa nulla per guadagnarlo, e si perde; e perduto il paradiso, tutto è perduto. 

Dimenticare l'inferno, è un andarvi incontro; e chi vi si incammina, facilmente vi precipita. 

Dimenticare l'eternità, è lo stesso che perdere il tempo e l'eternità; si può immaginare disgrazia più tremenda? Ciò non ostante, oh come è comune nel mondo la dimenticanza dei novissimi! Per ciò Gesù fulminò quello spaventevole anatema: «Guai al mondo»! (MATTH. XVIII, 7). 


A quanti si possono rivolgere quelle parole del Signore nel Deuteronomio: «Gente senza consiglio e senza prudenza, perché non aprire gli occhi e comprendere e provvedere ai loro novissimi?» (XXXII, 28-29). E quelle altre d'Isaia: «Tu non hai pensato a queste cose, e non ti sei ricordato dei tuoi novissimi» (XLVII, 7). 

Terribile imprudenza che ha conseguenze fatali è quella di dimenticare le cose future, di non considerare i novissimi per arrivarvi preparati. Che onta, che rabbia non sarà per i figli del mondo l'udirsi rinfacciare dai demoni nell'inferno: O sciagurati! voi sapevate che c'era un inferno, e potendolo schivare con poco costo, vi ci siete tuffati a capo fitto! Voi avete dimenticato i novissimi, e avete perduto tutto. 

Ci si parla dei nostri novissimi; noi li conosciamo, vi crediamo, e intanto operiamo come se non ci riguardassero affatto e non ne diventiamo migliori! O cecità fatale! O follia incredibile! O uomini stupidi e da compiangersi! Non pensare, non penetrare, non temere cose tanto gravi, non prepararvisi! 

2. QUANTO È UTILE RICORDARSI DEI NOVISSIMI. - «In tutte le tue opere, dice il Savio, proponiti sotto gli occhi i tuoi novissimi, e non cadrai mai in peccato» (Eccli. VII, 40). La ragione è chiara, poiché il fine che uno si propone, diventa il principio e la regola di tutte le azioni; ora il fine di tutte le cose sta compreso essenzialmente nei fini ultimi, ossia nei novissimi. Tutte le persone operano per un fine; perché dunque non operare guardando ai fini ultimi?... 

Chi dice a se stesso, quando si sente tentato a offendere Dio: Al punto di morte, vorrò io aver commesso questo peccato? - tosto si mette su l'avviso e resiste. - Quando sarò innanzi al tribunale di Dio, quando il giudice divino mi peserà nella bilancia della sua giustizia, vorrò che il peso dei miei misfatti vinca quello delle mie virtù? Ebbene, schiverò il peccato e praticherò la virtù. Mi sta a cuore di passare dal tribunale di Dio al cielo? dunque mi studierò di guadagnarmi  questo cielo. 

Forse che mi garberà udirmi al giudizio quella terribile sentenza: Partitevi da me, o maledetti, e andate al fuoco eterno? Dio me ne scampi! Dunque mi applicherò a chiudermi l'inferno per sempre, schivando soprattutto il peccato mortale. Quando entrerò nell'eternità, vorrò io aver perduto il tempo? Certo che no: conviene dunque che non ne perda un istante; - queste sono le salutari considerazioni che fa colui il quale non dimentica i suoi novissimi. 

Dunque chi non vede ch'egli diventa quasi impeccabile, compiendosi in lui il detto dello Spirito Santo: - Memorare novissima tua, et in aeternum non peccabis? - Il fine dell'uomo che è la beatitudine eterna, lo porta alla fuga del peccato e alla pratica della virtù, come a mezzi coi quali si ottiene la beatitudine. 

Per ciò S. Agostino dice: «La considerazione di questa sentenza: - Ricorda i tuoi novissimi e non peccherai in eterno - è la distruzione dell'orgoglio, dell'invidia, della malignità, della lussuria, della vanità e della superbia, il fondamento della disciplina e dell'ordine, la perfezione della santità, la preparazione alla salute eterna. Se ti preme non andare perduto, guarda in questo specchio dei tuoi novissimi ciò che sei e ciò che sarai tu la cui concezione è macchia vergognosa, l'origine è fango, il termine è putredine. Davanti a questo specchio, cioè in faccia ai novissimi, che cosa diventano le delicate imbandigioni, i vini squisiti, le splendide calzature, il lusso del vestire, la mollezza della carne, la ghiottoneria, la crapula, l'ubriachezza, la magnificenza dei palazzi, l'estensione dei poderi, l'accumulamento delle ricchezze? (Specul. CI)». 

Prendiamo dunque il consiglio di S. Bernardo e nel cominciare un'azione qualunque diciamo a noi medesimi: Farei io questo, se dovessi morire in questo momento? (In Speculo monach.). 
Simile a quella di S. Bernardo è la regola di condotta suggerita da Siracide, per ordinare e santificare tutte le nostre azioni: «In ogni tua impresa scegli quello che vorresti aver fatto e scelto quando sarai in punto di morte». Fate tutte le vostre azioni come vorreste averle fatte il giorno in cui comparirete innanzi a tutto il mondo, per renderne conto al supremo tribunale di Dio. Non fate cosa di cui abbiate a pentirvi eternamente: schivate quello che vi farebbe piangere per tutta l'eternità, quello che vi toccherebbe pagare nell'eterno abisso dell'inferno. Studiatevi di fare benissimo e perfettissimamente ogni cosa, affinché abbiate da rallegrarvi di tutto ciò che pensate, dite, e fate; e ne riceviate una ricca mercede in cielo. Ora la memoria dei novissimi procura tutti questi vantaggi... 

Non dimenticate anche che sono prossimi i vostri novissimi...; che incerta è l'ultima ora... Chi non teme una cattiva morte come avrà paura del giudizio e dell'inferno? Ah! se gli uomini pensassero di frequente al giorno della loro morte, preserverebbero la loro anima da ogni cupidigia e malizia... O voi, che volete essere eternamente felici, pensate sempre a quella sentenza. - Parlando di Gerusalemme, Geremia dice che «ella si dimenticò del suo fine, per ciò sdrucciolò in un profondo abisso di miserie e di degradazione» (Lament. I, 9). Dunque, pensando agli ultimi fini non si cade, e chi è caduto, si rialza. 

«Noi cessiamo di peccare, dice S. Gregorio, quando temiamo i tormenti futuri (Moral.)». Ripetiamo anche noi col Salmista: «Ho pensato ai giorni antichi, ho meditato gli anni eterni» (Psalm. LXXVI, 5). 


3. COME DOBBIAMO RICORDARE I NOVISSIMI

Perché il ricordo dei novissimi abbia tutta l'efficacia che ne promette lo Spirito Santo, conviene in primo luogo che non si fermi soltanto sopra di uno, ma li abbracci tutti. 

Per qualcuno infatti il pensiero della morte, invece di essere incentivo al bene può essere uno stimolo al male: «La nostra vita sfumerà come nebbia» (Sap. II, 3), dissero gli empi ricordandosi della loro morte imminente; ma da questo pensiero conclusero: « Venite dunque e godiamo finché abbiamo tempo» (Ib. 6). 

Perciò non dice il Savio nel citato testo: memorare novissimum tuum, ma novissima tua; perché il pensiero della morte riesca proficuo, ricordiamoci che alla morte terrà dietro un duro giudizio (Hebr.. IX, 27); che al giudizio andrà annessa una sentenza o di eterna pena o di eterno premio (MATTH. XXV, 46). 

Dal ricordo dei novissimi trae pure un gran vantaggio la vita spirituale del cristiano, la quale consistendo nella pratica delle quattro virtù cardinali, prudenza, giustizia, fortezza, temperanza, trova nella meditazione dei novissimi un ottimo alimento. 

Infatti il ricordo della morte distrugge l'ambizione e la superbia, e così dà la prudenza. La memoria del giudizio, mettendoci dinanzi agli occhi quel giudice rigoroso, ci porta a usare giustizia e bontà col prossimo. Il ricordo dell'inferno reprime l'appetito dei piaceri illeciti e così avvalora la temperanza. La memoria del Paradiso diminuisce il timore dei patimenti di questa vita e così rinsalda la fortezza. 

Si richiede in secondo luogo, che questo ricordo sia fatto su la propria persona, come pare ci dica il Savio il quale non dice semplicemente: memorare novissima, ma vi aggiunge tua. Quanti vi sono, che ricordano i novissimi anche spesso, ora discorrendone nelle chiese, ora trattandone nei libri, ora disputandone su le cattedre, ora figurandoli o su marmi, o su bronzi o su tele? eppure non menano tutti una vita santa. Bisogna che chi ricorda i novissimi, pensi che proprio lui si troverà, e forse tra brevissimo tempo, al letto di morte... nella bara, al camposanto... Che proprio lui si presenterà al giudizio di Dio e a lui toccherà il castigo o il premio eterno. 

Conviene in terzo luogo che questo ricordo dei novissimi non sia cosa speculativa ma pratica, perciò lo Spirito Santo fa precedere al testo citato quelle parole: - in omnibus operibus tuis - in ogni tua azione. 
Se prima di ogni azione considerassimo i novissimi, non solo eviteremmo il peccato, ma troveremmo in quella considerazione la forza di praticare le più eroiche virtù. 

Sarebbe poi un errore il credere che il pensiero dei novissimi porti con sé la tristezza. Se lo Spirito Santo ci assicura che il ricordo frequente dei. novissimi basta a tenerci pura la coscienza: - In aeternum non peccabis - è cosa chiara che porta con sé la gioia del cuore che è la più grande di tutte le gioie. (Eccli. XXX, 16). E ne abbiamo infatti una conferma nel medesimo Ecclesiastico il quale dopo di aver detto in altro luogo: «Non abbandonarti alla tristezza, ma cacciala da te» (XXXVIII, 21), soggiunge subito - et memento novissimorum (Ib.). - e ricordati dei novissimi, quasi che il pensiero dei novissimi sia il più sicuro per tenere lontana dal cuore umano la tristezza.

I TESORI DI CORNELIO A LAPIDE: Virtù (III)

 I TESORI DI CORNELIO A LAPIDE: Virtù (III)

 11. Chi pratica la virtù è felice. 

 12. Ricompense della virtù. 
 13. Parentela e gradi della virtù
 14. Per acquistare la virtù bisogna fare sacrifizi. 
 15. Mezzi per praticare la virtù.





11. CHI PRATICA LA VIRTÙ È FELICE. - La vera felicità si trova nella vittoria su le passioni, e siccome tale vittoria dipende dalla virtù, ne segue che arriva alla felicità chi esercita la virtù. A lui conviene quel detto dell'Apocalisse: «A tutti quelli che seguiranno questa regola, pace e misericordia» (Gal. VI, 16). 

La virtù produce pace, serenità, gioia, tranquillità di coscienza, allegrezza, confidenza, sicu­rezza della salute. Dove trovare stato più felice e invidiabile? La Sacra Scrittura dice che la virtù ci nutrisce del pane della intelli­genza e della vita, ci abbevera dell'acqua della sapienza e della sa­lute, ci consolida, ci rinforza, ci sostiene, non permette che siamo confusi, ci copre di gloria, accumula su l'uomo che l'ama la gioia e la letizia (Eccli. XIII, 3-6). La virtù procura la pace, l'unione con Dio, col prossimo, con noi medesimi. Con la pratica della virtù, l'uomo si assicura la grazia e l'amicizia di Dio, una vita santa, una buona morte, una splendida corona per il cielo. Ecco la vera la somma, l'incontestabile felicità!... 

Con ragione pertanto S. Agostino dice che la virtù rende felici tutti quelli che la praticano (De Civit.); e noi possiamo metterle in bocca quelle parole che lo Spirito Santo fa dire alla Sapienza: Beato l'uomo che mi dà orecchio, che passa i suoi giorni su la soglia di mia casa e che veglia sul limitare della mia porta! Chi trova me, trova la vita e la salute (Prov. VIII, 35-36)


Questa verità non fuggì del tutto alle considerazioni dei saggi pagani. «Solo la virtù, scriveva Seneca, procura una gioia perpetua e sicura (Epist. XXVII)». La virtù mi basta per essere felice, diceva Antistene (Ita LAERT., l. VI). Platone invita a considerare la contraria indole della virtù e del vizio; per un momento di piacere nella vita, ci get­tiamo in rammarichi, in dolori, in pene, che non hanno fine; ma la virtù, dopo brevi dolori, vede nascere gioie vere e grandi, che l'ac­compagnano anche dopo morte e durano eterne (Dialog. III). Il medesimo autore nota ancora che i savi dànno il primo luogo allo spirito, il secondo al corpo, il terzo alle ricchezze; ed egli vuole che nello Stato la virtù tenga il primo posto, poi le forze del corpo, finalmente la ricchezza (De Repub.). 

Del resto tutto il mondo sa che i più sensati dei filosofi antichi, gli stoici, insegnavano che la vera felicità in questa vita non si trova che nella virtù, e ne recavano le seguenti ragioni: 
1° Il sommo bene, la suprema felicità sta nell'anima; ma per l'anima non vi è niente di meglio, di più salutare e di più ricco della virtù... 

2° Il sommo bene è quello che ci rende perfetti; ora la virtù è questo bene, perché essa perfeziona l'uomo... 

3° Si deve chiamare sommo bene quello che è bene in se stesso e che rende buoni gli altri beni; ora la virtù, buona in se stessa, ci rende buoni ed utili i beni, di fortuna e di natura, i quali se sono disgiunti da essa, ci tornano piuttosto di danno che di vantaggio... 

4° Si deve chiamare sommo bene quello che, separato da ogni altro bene, rende felice chi lo possiede, e che, se viene a mancare, rende infelice chi ne è privo, ancorché fosse largamente provvisto di ogni altro bene; ora tale è il bene della virtù: perché l'uomo che ha la virtù, sebbene sia privo di tutto il resto, è chiamato uomo probo; ma se gli manca la virtù, ancorché ricchissimo, non è chiamato né buono, né probo... 

5° Il sommo bene deve comunicare la forza e la potenza; ora tale è la virtù e chi ne è for­nito trionfa delle avversità, delle traversie, dei disastri della fortuna, delle incomodità della natura, della voluttà, ecc... 
6° Il sommo bene deve essere fisso e sicuro; ora la virtù sola è costante e durevole... Dunque, ne conchiudevano, la virtù forma il sommo bene e quindi la felicità di colui che la possiede.


12. RICOMPENSE DELLA VIRTÙ. - Le ricompense della virtù, sono ac­cennate in quel versetto di Davide: «Quelli che seminano nel pianto, mieteranno nell'allegrezza; andavano e piangevano spargendo le loro semenze, ma ritorneranno festosi portando su le braccia i covoni» (Psalm. CXXV, 6-8).
La semenza è la virtù; i covoni sono le ricompense. E quale ricompensa! Ci è indicata dallo stesso Salvatore: «Suvvia, servo buono e fedele, perché ti sei mantenuto fedele nel poco, ti costituirò padrone di molto; entra nel gaudio del tuo Signore» (MATTH. XXV, 21).
«Venite, o benedetti del Padre mio, al possesso del regno che vi fu preparato fin dall'origine del mondo» (Ibid. 34). E infatti che il paradiso, l'eterna felicità, il sommo bene, stia preparato per i virtuosi, si vede da ciò, che Gesù Cristo assicurò che il regno dei cieli soffre violenza e che solo i violenti lo rapiscono (MATTH. XI, 12).
Ora chi è che fa violenza a se stesso e sforza l'entrata del cielo, se non l'uomo virtuoso?.. E dire regno dei cieli, vuol dire possesso di Dio, godimento di Dio; a buon diritto adunque il Nazianzeno riassume le ricompense che aspettano l'uomo virtuoso, nel dire che la virtù lo fa diventare Dio (In Distich.).


13. PARENTELA E GRADI DELLA VIRTÙ. - La virtù ha per padre la grazia; la volontà per madre e per famiglia i buoni pensieri, le sante ispirazioni; infatti la volontà guadagnata e fecondata dalla grazia divina produce le buone opere, la penitenza, il digiuno, la elemosina, la fede pratica, la carità, l'obbedienza, l'umiltà, la saviezza, lo zelo, ecc...

La virtù procede e sale per tre gradi:

Il primo è la virtù ordinaria, cioè quella che è comune ai fedeli i quali vivono onestamente, religiosamente, secondo i comandi di Dio...
Il secondo grado è quello dei cristiani che si spingono oltre questo limite ordinario, e studiano più di proposito a imitare Dio; le loro virtù si chiamano purgative; il che vuol dire che la prudenza, per la meditazione delle cose divine, lascia da parte le cose terrene e dirige tutti i pensieri dell'anima verso il cielo; che la temperanza abbandona, per quanto lo comporta la debolezza della natura, tutto ciò che l'agio e le comodità del corpo richiedono; che l'anima, per il suo allontanamento dal corpo e la sua vicinanza alle cose divine, non si lascia spaventare né distogliere dalla via della perfezione, da nessuna difficoltà...
Il terzo grado ed il più sublime sta nella somiglianza già acquistata, nell'unione con Dio; in questo grado le Virtù sono chiamate e sono realmente virtù di un'anima purificata e perfetta; sono le virtù dei perfetti in questo mondo e degli eletti nell'altro... Vi è dunque la virtù dei principianti, la virtù dei proficienti, la virtù dei perfetti.


14. PER ACQUISTARE LA VIRTÙ BISOGNA FARE SACRIFIZI. - Le ricchezze della virtù si devono guadagnare per mezzo della fatica... Il sentiero della virtù ha le sue spine; spine lunghe, acute, molteplici, che pungono e cagionano dolori; esse sono intralciate insieme; se ne strappate una, l'altra vi fora; questo forma la disperazione delle anime infingarde e pusillanimi, ma le anime forti e coraggiose, a poco a poco, con pazienza e rassegnazione, giungono a spuntarle, a strapparle e finiscono col distruggerle...

Il punto sta qui, che noi vogliamo essere umili senza patire disprezzo, pazienti senza provare dispiaceri, obbedienti senza assoggettarci al comando, poveri senza sentire disagio di nulla, virtuosi senza sudore e senza fatica, penitenti senza dolore e pentimento; vogliamo essere lodati senza meritarlo, essere amati senza essere buoni, essere onorati senza santità. Ma non sono questi né gl'insegnamenti né i fatti di Gesù Cristo... È ben altrimenti fecero anche i Santi...
Chi vuole praticare la virtù, deve rassegnarsi a portare la croce; e chi mai può portare la croce senza fatica e senza dolore? «Tutti coloro, dice S. Paolo, che vogliono vivere piamente in Gesù Cristo, soffriranno persecuzione» (II Tim. IlI, 12).
S. Giovanni Crisostomo, commentando questo passo, dice che sotto il nome di persecuzione bisogna intendere tutte le difficoltà, i travagli, i dolori, le pene, le prove, gli stenti che incontrano e sostengono quelli i quali praticano la virtù, quando si sforzano di soggiogare le concupiscenze; quando si studiano di conservare la continenza, di acquistare l'umiltà, l'ob­bedienza, la mortificazione, la temperanza; quando in una parola, si dedicano al bene e alla pietà. «La grazia di Dio nostro Salvatore, scrive S. Paolo, si mostrò a tutti gli uomini, istruendoci che rinun­ziando all'empietà e ai desideri del secolo, noi viviamo in questo mondo con temperanza, giustizia e pietà» (Tit. II, 11-12).


15. MEZZI PER PRATICARE LA VIRTÙ. - Per praticare la virtù sì richiede: l° una risoluzione generosa dell'anima ed una volontà effi­cace di metterla in esecuzione...; 2° ardore e zelo...; 3° il combatti­mento e la mortificazione delle passioni...; 4° la perseveranza nello studio e nell'amore della virtù...; 5° la penitenza esteriore, perché, come afferma S. Cirillo, nella mortificazione della carne sta la forza della virtù (Catech.). 
Le virtù sono come una fortezza inespugnabile: esse difendono l'uomo contro tutti i nemici. Qui è la città degli eletti i cui steccati, dice Ugo da S. Vittore, sono il disprezzo delle cose terrestri; i bastioni, la speranza; i forti avanzati, la pazienza; le torri, l'umiltà; le fontane, le lacrime; le sentinelle, la prudenza; le armi, la preghiera e i sacramenti; le porte, l'obbedienza; il duce, la carità; i soldati, la giustizia, la temperanza, la forza (Institut. Monastichad Novit. c. III).

Mater Boni Consilii, 
ora pro nobis.

I TESORI DI CORNELIO A LAPIDE: Virtù (II)


Vita - Vita interior: I TESORI DI CORNELIO A LAPIDE: Virtù (II)

  6. Bellezza della virtù.
  7. La virtù è luce e verità.
  8. Potenza della virtù
  9. Nobiltà e gloria della virtù.
 10. La virtù è la via del cielo, ed un bene che non ci abbandona

6. BELLEZZA DELLA VIRTÙ. - «Che cosa è per noi La virtù, se non la bellezza interiore dell'uomo?», dice S. Agostino (Epl. CCXXII, ad Cosentium); e Filone aggiunge che non solamente la virtù è bella, ma anzi l'idea, l'imma­gine della beltà stessa di Dio (De vita Mosi); infatti la virtù è la suprema partecipazione di Dio il quale, essendo beltà suprema, ne riflette il suo raggio su la virtù e principalmente sul Verbo incarnato, Gesù Cristo, specchio divino di tutte le virtù, del quale il Salmista ha cantato: «Tu superi in bellezza tutti i figli degli uomini» (Psalm. XLIV, 3). O virtù, meraviglia delle meraviglie, bellezza delle bellezze! o virtù, candida come il giglio, dolce come la rosa, umile come la viola, fiore dei fiori! tu riunisci in te tutta la bellezza e tutto l'olezzo di tutti i più belli e più soavi fiori! O virtù, come sono belle le tue vie, come incan­tevoli le tue strade! (Prov. III, 17). 
La virtù è la vera bellezza, il ricco ammanto, l'incomparabile fulgore dell'anima, di tutte le azioni e dell'uomo tutto intero. Al con­trario il vizio ne è la deformità, la laidezza, la vergogna. La virtù veste l'uomo della bellezza di Dio; il vizio gli dà la bruttezza del demonio... Tanto bella e splendida si mostra la virtù, che i malvagi, ancorché vivano turpemente, l'amano e l'ammirano negli altri... «La virtù, dice il Nazianzeno, è in mezzo ai vizi, come la rosa tra le spine (In Praeceptis ad Virgin.)». Perciò il Savio afferma che si mostrano amatori della vera bellezza quelli che sono ricchi di virtù (Eccli. XLIV, 6).


7. LA VIRTÙ È LUCE E VERITÀ. - La virtù è splendida luce, perché: 1° ama la luce e la presenza di Dio...; 2° illumina l'anima, lo spi­rito, il cuore; vede il passato, il presente, l'avvenire; rischiara il tempo e l'eternità...; 3° illumina chi la possiede, e gli altri che le si accostano. Si può affermare di lei quello che l'Evangelista scrisse di Gesù Cristo, increata ed incarnata manifestazione della virtù: «Egli era la luce vera che illumina ogni uomo che viene in questo mondo» (IOANN. I, 9)... 4° La virtù è luce, perché esce da Dio; luce increata che supera, illumina, vivifica tutte le cose, e attrae a sé tutte le altre luci come il sole attrae i pianeti... Guardate i patriarchi, i profeti, gli apostoli, i martiri, i santi di tutti i tempi; splendido modello di virtù era ciascuno di loro e una luminosa luce che rischiarava il mondo, come dev'essere La vita di ogni cristiano. Nessun pregio, osserva il Crisostomo, dà tanta chiarezza e tanto lustro all'uomo, anche quando si studia di stare nascosto, quanto lo splendore della virtù; egli risplende non solamente sulla terra, ma anche nel cielo (Homil. ad pop.). Infatti, come dice S. Gregorio, « nella chiarezza della virtù si trova sempre Iddio (In Lib. I, Reg.) ».
La luce del sole oscura tutte le luci inferiori; la virtù è anch'essa una luce che fa impallidire quella della scienza... Come il sole, al suo levare, con i suoi raggi rischiara tutto il cielo, illumina la terra e cambia, per così dire, l'aria in luce, penetrandola; così, dice Filone, le virtù penetrando con i loro celesti raggi l'uomo, lo trasfor­mano tutto in fulgido chiarore (De Plant. Noe). Come l'anima ri­schiara e vivifica il corpo, così la virtù rischiara e vivifica l'anima e il cuore... La virtù illumina col buon esempio, e a lei si può applicare quello che l'Ecclesiaste dice del sole: «Compiendo il suo corso, spande dappertutto torrenti di luce» (Eccle. I, 6). Siamo dunque per le nostre virtù un sole su la terra... I sublimi esempi di Gesù, di Maria e dei Santi, sono per noi luminosissimi soli... Chi pratica la virtù, non cammina mai nelle tenebre, perché ha per guida il lume di vita... L'uomo virtuoso è, per l'esempio che dà, come un faro luminoso che avvisa, dirige e guida il navigante, affinché non rompa negli scogli e giunga tal porto...
La virtù è la pratica della verità, che è sempre pura da ogni errore; essa è la verità nella sua manifestazione esteriore; è il sole della verità... Fuori della virtù, tutto è errore, falsità, menzogna, inganno... Essa può ripetere quelle parole: «Io sono la via, la ve­rità, la vita» (IOANN. XIV, 6). «Chiunque è dalla parte della verità, dà ascolto alla mia voce» (Id. XVIII, 37). Perciò la Scrittura dice che i bugiardi non si ricorderanno della virtù, ma gli uomini sinceri non l'abbandoneranno mai e cammineranno. felicemente fino alla visione di Dio (Eccli. XV, 8).

8. POTENZA DELLÀ VIRTÙ. - La virtù è onnipotente: essa trionfa dell'inferno, del mondo, della concupiscenza.. Nessun nemico può tenerle fronte... Anzi, essa vince Dio medesimo e prende il cielo d'assalto... Il mare ed il Giordano fuggono alla vista dell'arca (Psalm. CXIII, 3). Alla vista delle virtù, il mare delle passioni, i fiumi delle con­cupiscenze scompaiono... La virtù tocca da un punto all'altro con forza, e dispone con soavità ogni cosa (Sap. VIII, 1). S. Giovanni Crisostomo afferma che mentre il vizio non è che debolezza, la virtù è tutta nerbo e forza, di modo che non c'è cosa più potente di lei e lo prova con la costanza e con la pazienza spiegate da Giuseppe, col suo coraggio nello schivare e vincere la più terribile delle passioni. Di tanta forza è la virtù, egli dice, che essa diviene più grande e più coraggiosa quando è assalita e calunniata... Essa si spinge nella sua potenza fino a toccare l'eroismo. Chi la possiede, chi ha l'aiuto della grazia soprannaturale, diventa più forte di tutto il mondo; essa è invincibile, sfugge agli agguati dell'uomo e del demonio (Homil. ad pop.).
La virtù messa alla prova si accresce, grandeggia, ingigantisce e splende di tutto lo sfarzo della sua potenza e grandezza: «Non si dà virtù senza fatica, scrive S. Ambrogio, perché dalla fatica dipende l'avanzamento e il trionfo della virtù (In Psalm. CXVIII)». Ma la vera virtù è forse mai indietreggiata innanzi alle più aspre ed eroiche fatiche? La morte medesima, anche la più orribile, non la spaventa, non l'avvilisce... Le virtù sono catene che legano i demoni e loro impediscono di avvicinarsi e nuocere. S. Bernardo le raffigura in quei cinque sassi puliti che Davide scelse nel torrente e coi quali abbatté il gigante Golia (In I Reg.). Ma badiamo, dirò col medesimo santo Dottore, che se la virtù è di sua natura forte, essa diventa invinci­bile e meritoria quando a lei va congiunta la grazia. Essa è forte per il giudizio della ragione che approva; e questa forza diviene vit­toriosa, per il buon desiderio della volontà illuminata (Serm. in Cant.). Lodiamo adunque, come uomini fortissimi e gloriosi, gli uo­mini grandi in virtù, e ornati di prudenza (Eccli. XLIV, 1-3). 
La vera e soda virtù è dunque onnipotente; è un diamante preziosissimo di tanta durezza che non si può spezzare, che resiste a tutto, e tutto supera e di tutto trionfa... La virtù è così attiva, che fa del bene anche ai malvagi, anche ai nemici, ed è così potente, che ne riesce vittoriosa coi suoi benefizi... Fare del bene ai cattivi, è la vittoria della virtù, dice S. Cirillo (Catech. II, 5). La vera virtù sta nascosta; ma se si tenta di opprimerla, allora si fa vedere e si mo­stra invincibile. Come le stelle, dice S. Bernardo, splendono la notte, e stanno nascoste di giorno, così la vera e soda virtù che spesse volte nelle prosperità non compare, nelle avversità splende in tutto il suo fulgore (Serm. XXVII. in Cant.).
Anche i pagani ammirano la potenza della virtù; Seneca avverte che è più pronta ad affrontar i cimenti la virtù, che non la crudeltà a inventarli. E’ avida di azioni eroiche; va al suo scopo, senza impen­sierirsi di quello che dovrà soffrire. E il sostegno della debolezza umana, ne è il riparo insuperabile. Chi si trincera in lei è sicuro di non cadere in mano agli assedianti. Senza avversari e senza com­battimenti, la virtù intorpidisce e si snerva; cimentata, grandeggia e triplica le sue forze (Epist. XXIV). Le prove, scrive in altro luogo il medesimo autore, sono come le nuvole per il sole, anzi di meno; poiché la virtù splende nelle traversie e si forbisce nelle avversità. Il vero bene è di tale natura e condizione, che essendo il vero bene, non può non riuscire vantaggioso; tale è anche la natura della virtù. Essa ci purifica ci conduce al cielo dopo di averci purificati (De Prov.). E proprio di una virtù coraggiosa e di uno spirito magnanimo, dice Cicerone, il non temere di nulla, il disprezzare ogni cosa umana, non considerare come insopportabile nulla di ciò che può accadere all'uomo di spiacevole. Chi è fornito di grande virtù non s'inquieta punto di ciò che può cadergli sopra, lo stima un niente; dirige e domina tutta ciò che a lui è inferiore; disprezza i dolori e la morte (De Offic. l. III). Che nobile e giusta testimonianza rendono alla virtù gli stessi pagani!


9. NOBILTÀ E GLORIA DELLA VIRTÙ. - «Gloria, onore e pace a chiunque fa il bene», cioè all'uomo virtuoso, scrive S. Paolo (Rom. II, 10); e già prima di lui il Savio aveva detto: «Procurate di farvi un buon nome per mezzo della virtù; questo bene sarà per voi più durevole che mille dei più preziosi tesori (Eccli. XL, 15); infatti la virtù presenta a chi la pratica, da una mano lunghezza di giorni, dall'altra ricchezza e gloria (Prov. III, 16). Quindi S. Bernardo dà alla virtù il nome di madre dell'onore e la indica come la vera via alla gloria (Serm. I. de S. Victor.). «Somma nobiltà, supremo onore è agli occhi di Dio, scrive S. Gerolamo, essere chiaro per virtù (Epist.)». Solo la virtù è nobile, dice Cassiano, ed è nobilissimo e innanzi a Dio grandissimo chi risplende per virtù (Collat. II, c. 10). Chi vive di virtù, vivrà glorioso nella memoria degli uomini; essendo la virtù, come osserva S. Agostino, la strada per la: quale l'uomo dabbene arriva alla gloria, all'onore, al potere (De Civit., 1. I, c. XV). Papa Urbano rispose a un tale che gli rinfacciava la sua bassa ori­gine: I grandi uomini non nascono già tali, ma tali diventano mediante la virtù (Histor. Eccl.). L'imperatore Massimiliano disse a un ricco che gli of­friva una gran somma di denaro perché gli desse titoli di nobiltà: Io posso arricchirvi, ma in quanto al nobilitarvi, solo la vostra virtù può farlo (ANTON. In Meliss.).
In questo argomento abbiamo due notevoli sentenze di Seneca: «Incomparabile ornamento è la virtù e rende sacro chi la eserci­ta (Epist. LX)». Vi è solo una cosa che ci possa fare immortali e simili agli dèi, la virtù (Apud. Lactant., 1. III, c. XII)»; e il poeta Giovenale dichiara che solo la virtù è nobile e grande (ANTON. In Meliss.).


10. LA VIRTÙ È LA VIA DEL CIELO, ED UN BENE CHE NON CI ABBANDONA. ­- La virtù ha per unico scopo Dio, la sua legge; la sua volontà, il suo servizio, il suo amore; ora se non è questa la via del cielo, bisogna dire che non ve n'è altra... Sì, sola la virtù conduce al cielo; essa è la strada alla vita eterna; la via dell'inferno, della morte eterna, è il peccato. La via della morte è il mondo; la via del paradiso è il disprezzo del mondo... Per questo appunto la virtù è un bene che non ci abbandona mai. «La virtù ci fa eredi di un nome eterno», dice il Savio (Eccli. XV, 6).
«Noi non possiamo dire che siano veramente nostre quelle cose che non possiamo portare con noi, scrive S. Ambrogio; solo la virtù accompagna i defunti (De Abel et Cain, l. I. c. XV)» . Le vesti, i mobili, l'oro, l'argento, dice il Crisostomo, vanno soggetti a deperimento, a perdita, a furto; ma chi è vestito di virtù, possiede un tesoro che né i vermi possono rodere, né i ladri rubare, né la ruggine può consumare (Homil. ad pop.). Perché, come dice S. Bernardo, «la vera virtù non conosce fine, non muore col tempo (Epist. CCLIII, ad Guarin.)». Ciò che appartiene al secolo, rimane nel secolo, la virtù va all'eternità (S. AMBROGIO, In Luc. XII). O virtù inestimabile, tu dài all'anima frutti e beni immortali!...
Platone ci assicura che la virtù ci fa simili a Dio. Ora Dio è eterno (De Legib.). La virtù vale assai più che una lunga posterità, per ren­dere eterno un nome; perciò Seneca dice che ci dà l'immortalità (Epist. XXVII), e Sofocle la chiama un immancabile, eterna possesso (In Eurifilo). Gli alti obelischi, le grandi piramidi richiedono molta fatica per essere collocate, osserva Plinio, ma una volta che sono alzate, rimangono immobili per sempre; così la virtù costa fatica alla debole natura; ci vuole coraggio, fermezza e lavoro per innalzarci fino a lei, e collocarla nell'anima nostra; ma stabilitavi una volta, è un bene che non si guasta, non si corrompe col tempo, ma dura im­mortale (Hist. XXXVI, c. IX).

I TESORI DI CORNELIO A LAPIDE: Virtù (I)


 Vita - Vita interior: I TESORI DI CORNELIO A LAPIDE: Virtù (I)


 1. In che cosa consiste la virtù.
 2. Necessità della virtù.
 3. Facilità della virtù
 4. La virtù non può stare col vizio.
 5. Eccellenza della virtù

1. IN CHE COSA CONSISTE LA VIRTÙ. - La parola virtù, virtus, deriva dal vocabolo vis, che vuol dire forza, vigore. Non dissimile dalla sostanza è l'etimologia che ne dà Cicerone, il quale fa derivare dalla voce latina vir, cioè uomo: - Appellata est ex viro virtus (De Offic.). Può anche dirsi un vocabolo composto dalle due voci latine viri opus, opera virile. Tale è la virtù nel senso etimologico; a guardarla poi in se stessa, può chiamarsi con S. Bernardo: «Il vigore dello spi­rito, strettamente abbracciato alla retta ragione (Serm. LXXXV, In Cant.)». In altro luogo il medesimo Santo riconferma e spiega questa sua definizione, dicendo che la virtù è figlia della ragione, ma soprattutto della grazia. La virtù è un consenso volontario al bene. È il libero uso della vo­lontà, che segue il giudizio della ragione (De vita solitar. )... La virtù in se stessa è l'amore di ciò che è onesto, di ciò che è bene... La virtù, dicono i filosofi, è uno stato dello spirito conforme alla natura dell'uomo, alla sua ragione, alla legge che lo governa. 
Secondo i cristiani, secondo i teologi, la virtù è il massimo dei beni... S. Agostino la chiama «l'affezione regolatissima dell'anima» (De Morib. Eccles. c. XI); in un altro luogo la definisce: «L'arte di vivere bene e rettamente» (De Civit. Dei, lib. IV, c. XXI). S. Ambrogio la fa consistere nella volontà di non voler peccare e nella perseveranza di tale volontà (In Luc. lib. VIII, c. XVIII). Ogni virtù è amore e carità, cioè si produce in atti comandati dalla carità, la quale è essa che comanda, che dirige, che forma e perfeziona la virtù. La virtù è un bene che si compie facendosi violenza... La virtù sta nel vivere secondo Iddio, secondo la sua legge, la sua grazia e l'insegnamento della Chiesa... La virtù consiste nel fare ciò che Dio e la coscienza impongono; nello schivare quello che Dio e la coscienza proibiscono.
Perciò la virtù consiste nelle opere, non nelle parole, secondo quelle due sentenze perentorie di Gesù Cristo: «Non chi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma solamente colui che fa la volontà del Padre mio che sta nei cieli» (MATTH. VII, 21); e quest'altra: «Ogni albero che non porta buon frutto, sarà tagliato e gettato al fuoco» (MATTH. III, 10). Quanti sono virtuosi in parole, e viziosi in opere! Se il grano confidato alla terra non germinasse e fruttificasse, a che cosa servirebbe?


2. NECESSITÀ DELLA VIRTÙ, - Dal sopradetto già risulta quanto sia stringente la necessità di praticare la virtù; ma questa necessità è ribadita da Gesù Cristo in quel comando: «Cercate prima di ogni cosa il regno di Dio e la sua giustizia» (MATTH. VI, 33); poiché il regno di Dio non si può cercare né ottenere se non con la virtù; avvertendo ancora che «chi poco semina, poco miete, e chi semina a larga mano, mieterà ancora in abbondanza» (I Cor IX, 6). Perciò l'Apostolo animava Timoteo ad esercitarsi nella pietà (I Tim. IV, 7), cioè esercitati in ogni genere di virtù; ed il Savio diceva: «Io ho amato la virtù, ne sono andato in traccia fin dalla mia giovinezza, e l'ho domandata in isposa, allettato dalla sua bellezza» (Sap. VIII, 2).., L'uomo che vive senza virtù non è un uomo, ma ne ha la sola apparenza, come conobbe e asserì il pagano Epitteto del quale si riferisce questo detto: «È indegno di portare il nome di uomo, chi non si studia di essere virtuoso (Anton. In Meliss.)». Non bisogna poi arrestarsi mai, finché non si sia raggiunta la pie­nezza della virtù; non si deve mai cessare dal fuggire il peccato, suo mortale nemico... Senza virtù non si dà salvezza; senza salvezza non si ha il cielo, non si ha Dio nell'eternità; quindi dove non vi è virtù, vi è l'eterna riprovazione.


3. FACILITÀ DELLA VIRTÙ. - A prima vista sembra stretta e spinosa la via della virtù, ma ben presto essa si allarga e si addolcisce, e tanto più si appiana e diviene deliziosa quanto più l'uomo vi si inoltra... Tutto il rovescio della strada del vizio... «Ogni virtù, dice S. Paolo, sembra che apporti nel presente non gioia, ma tristezza; ma in seguito dà a coloro che vi si addestrarono frutto dolcissimo di pace e di giustizia» (Hebr. XII, 11); e poi ancora: «Turbamento e affanno all'anima del malvivente; gloria, onore e pace a chi fa il bene» (Rom. II, 9-10). E prima di lui già il Savio aveva notato che splendida è la virtù e non si oscura mai, di modo che facilmente è veduta da quelli che l'amano, e trovata da quelli che la cercano. Essa precede quelli che la desiderano, per mostrarsi loro la prima (Sap. VI, 13-14).
Non vi è virtù senza lavoro e fatica, perché la virtù non avanza se non a forza di fatica; ma la dolcezza della virtù lenisce l'asprezza della fatica; quello che in questa vi è di triste e penoso presto se ne va e scompare; quello che vi è di confortante e dolce, viene e resta. È certo che si gusta molto più soave felicità nel piangere i peccati, che nel commetterli... Ci vuole più fatica ad essere vizioso, che ad essere virtuoso; infatti S. Agostino, che aveva bevuto alla coppa delle voluttà mondane, non appena ebbe conosciuto la felicità, la bellezza della virtù, esclamava inebriato: Beltà sempre antica e sempre nuova, oh! come tardi ti ho amato! (Confess.).
Praticando la virtù, noi ci accostumiamo a camminare per le sue strade con balda sicurezza, perché sodo e fermo è il suo cammino, e chi lo segue può dire col Salmista: «I miei piedi camminarono per la via diritta» (Psalm. XXV, 12). La virtù è il giogo, è il peso di Gesù Cristo; ora Gesù ci dice: «Prendete su di voi il mio giogo, perché esso è dolce, ed il mio peso è leggero» (MATTH. XI, 29-30). Quello che rende facile la virtù, è la grazia, sono i sacramenti, gli esempi di Gesù Cristo e dei Santi, la ricompensa promessa ed aspettata... Grande prova che la virtù è facile e dolce l'abbiamo in ciò, che tutti quelli che l'amano e la praticano sono felici; tutti quelli che ritornano a lei dopo di averla abbandonata, sono dolenti di non averla praticata per tutta la loro vita; e quelli che la trascurano e disprezzano sono i più infelici degli uomini...


4. LA VIRTÙ NON PUÒ STARE COL VIZIO. - Si legge nel I libro dei Re, che i Filistei avendo preso l'arca dell'Alleanza al popolo d'Israele, la collocarono nel tempio del loro idolo Dagon: ma alla pre­senza dell'arca, il preteso dio cadde a terra, la sua testa si spiccò dal busto e le sue mani si videro recise. L'arca è la virtù; Dagon è il vizio e il peccato... È impresa assurda accoppiarli insieme... «Che intesa vi può essere, dice S. Paolo, tra Cristo e Belial?» ­(II Cor VI. 15). Si videro mai le tenebre conciliarsi con la luce, la vita con la morte, il cielo con l'in­ferno? «Le persone insensate, dice il Savio, non comprendono la virtù, non la vedono nemmeno, perché sta essa lontana dal loro orgoglio e dalla loro malizia; i saggi le vanno incontro. I mentitori non se ne ricordano; gli uomini sinceri non se ne discostano mai di un punto e camminano felicemente accanto a lei fino alla vista di Dio» (Eccli. XV, 7-8).
La virtù è la nemica del vizio, lo perseguita, lo assale, lo scaccia; il vizio è il nemico sfidato della virtù, la insidia e la combatte all'esterno, la soffoca e l'annienta nel cuore. Le virtù, dice S. Giovanni Crisostomo, non possono abitare coi vizi. Quando i vizi sono sbaragliati dalle virtù, la carità s'impadronisce del luogo che prima teneva lo spirito di concupiscenza; la pazienza riprende quello che il furore si era preso; una gioia salutare ritempra e invigorisce quel cuore che la tristezza, compagna della morte, teneva calpestato ed abbattuto; il lavoro ripara i danni della pigrizia, l'umiltà rialza quello che l'orgoglio aveva calpestato. Trionfando nell'uomo le virtù opposte ai vizi che prima lo signoreggiavano, lo chiamano a nuova vita (In Exod.).


5. ECCELLENZA DELLA VIRTÙ. - «La virtù è cosa tanto eccellente, dice S. Giovanni Crisostomo, che nessun'altra le può stare a con­fronto; basti il dire che perfino quelli che la combattono, non si possono esimere dall'ammirarla» (Homil. ad pop.), e S. Ambrogio dice che perfetta è quell'età, ancorché tenerissima di anni, in cui si trova una virtù perfetta (De Iacob.). S. Bernardo la chiama un astro, e chiama cielo l'uomo che ne è fornito (Serm. XXVII, in Cantic.). E infatti la virtù contiene in sé tutti i beni; ella basta a se stessa, e quando regna in un cuore, questo non sente più alcuna privazione, non teme confusione, né afflizione di sorta. Giobbe spogliato di ogni cosa, sul suo letamaio, era l'uomo più ricco e più tranquillo del mondo, perché aveva la virtù... E la virtù, dice lo Spirito Santo, dispone tutte le cose soavemente (Sap. VIII, 1); è più preziosa di ogni diamante; tutte le gemme della terra non ne pareg­giano il valore. I suoi sentieri sono sentieri di dolcezza, e le sue vie mettono tutte alla pace. Con una mano ella presenta lunghezza di vita, con l'altra offre onori e ricchezze. E l'aurora della vita per quelli che l'abbracciano; felici coloro che se la stringono al seno! Il suo possesso vale più di tutti i tesori e i frutti di lei sono più preziosi dell'oro finissimo (Prov. III, 14-18).
Dopo una testimonianza così autorevole, non c'è da stupire se tutti i santi Padri giudicano povertà e miseria ogni ricchezza del mondo, posta a confronto della virtù. Clemente Alessandrino insegna che vero tesoro è il cumulo di azioni virtuose (Paedag. l. III). «Non l'oro e l'argento, dice S. Bernardo, ma le virtù costituiscono le vere ricchezze» (Serm. IV, de Advent.). S. Ambrogio ci avverte che Dio non tiene per ricco se non chi è ricco per il cielo, colui che raccoglie non i frutti delle ricchezze periture, ma i frutti delle virtù. Non vi pare sommamente ricco chi ha la pace dell'anima, la tranquillità, il riposo; che non desi­dera nulla, che non è agitato da nessuna tempesta?... Dunque se volete trovare tesori, prendete quelli che troverete nella virtù, non quelli che stanno sepolti nelle viscere della terra. La vita e la ricchezza dell'uomo consistono nella virtù. Con la virtù, ancorché man­casse ogni altra cosa, si ha tutto; senza la virtù, benché abbondasse tutto il resto, non si ha niente (De Abel et Cain, l. XI, c. V – l. I, c. V).
S. Prospero parlando della virtù dice egregiamente: Noi dob­biamo desiderare ricchezze che ci adornino e ci proteggano; che non acquistiamo a nostra insaputa, che non perdiamo nostro malgrado, che ci armino contro i nostri nemici, che ci rendano vittoriosi del mondo e cari a Dio; che arricchiscano e nobilitino le anime nostre, che siano con noi e in noi. E queste ricchezze sono la purità, la giustizia, la pietà, l'umiltà, la mansuetudine, la misericordia, la fede, la speranza, l'amore (De vita contemp.). «Le ricchezze che non pos­sono restare con noi lungo tempo, sono false, scrive San Gregorio (Homil. XV, in Evang.); fallaci sono quei tesori che non portano sollievo alla povertà dell'a­nima nostra. Sole vere ricchezze sono quelle che ci fanno ricchi in virtù. Se volete dunque essere veramente ricchi, amate le virtù, sole vere e sode ricchezze». Sono piene di sapienza le parole di Tobia a suo figlio: «Non temere; è vero che facciamo una vita povera, ma grandi ricchezze abbiamo, se temiamo Dio, se ci asteniamo dal peccato e facciamo bene» (TOB. IV, 23).
Il Savio, nei Proverbi, chiama la virtù albero della vita (III, 18); e infatti, 1° essa procura e mantiene sia la vita naturale dell'anima, sia la soprannaturale della grazia... - Come l'albero della vita comunicava il vigore della vita, cosi la virtù allontana dalla nostra vita quello che la snerva e la fa languire. «Il giusto fiorirà come palma» - dice il Salmista(XCI, 13)... 3° Saporitissimo era il frutto dell'albero della vita; tale è il frutto della virtù... 4° L'albero della vita preservava l'uomo dalla morte; questo prodigio opera pur essa la virtù... 5° L'albero della vita nel paradiso raffigurava la visione di Dio; la virtù rappresenta. Dio in colui che la pratica. Quelli che trovano la virtù, leggiamo neiProverbi, trovano la vita; la loro salute verrà dal Signore. Ma quelli che peccano contro la virtù, sono carnefici dell'anima propria; tutti quelli che la odiano, amano la morte (Prov. VIII, 35-36). «La giustizia nel suo più ampio significato, ossia la virtù, innalza le nazioni; il vizio rende i popoli infelici» (Prov. XIV, 34). S. Agostino insegna che la virtù è il solo e sommo bene (De lib. Arbitr. lib. II, c. XVIII): e infatti, essa ci governa...; ci fa cibo e vestite...; c'istruisce...; ci protegge...; ci procura buon nome...; ci rinforza e innalza...; ci apporta la gloria... La virtù regola l'appetito dei sensi e i movimenti delle diverse concupiscenze... E la sanità dell'anima e del corpo... Pro­cura una santa vita, una buona morte, un giudizio favorevole; chiude l'inferno ed apre il cielo... ­
Il vizio getta il turbamento e l'angoscia nell'anima, dice Lattanzio; la virtù invece vi apporta la dolcezza e la tranquillità (Lib. VII, c. X). Nell'uomo virtuoso, secondo la bella osservazione di S. Ambrogio, la giustizia cerca, la prudenza trova, la forza prende, la temperanza possiede: la giustizia è nel cuore; la prudenza nello spirito; l'energia, nell'opera; la temperanza nell'uso (Offic.). Non ci sfuggano mai dalla memoria queste sensatissime parole di S. Giovanni Crisostomo (Hom. XL, in Ioann.): «Nessuna cosa istupidisce tanto gli uomini quanto il peccato; nulla li rende tanto saggi, quanto la virtù, perché li tempera a misericordia, a riconoscenza, a bontà, a umanità, a dolcezza. La virtù è madre, radice, sorgente della saviezza; ogni peccato ha le sue radici nella stoltezza; sapientissimo è chi coltiva la virtù». Chi è privo di virtù diventa ben presto, come Caino, fuggiasco, vagabondo; segnato col marchio della riprovazione, non sa più dove va, donde viene, quel che si fa; ben presto si vede tuffarsi e scomparire nei baratro del vizio...
Anche i pagani si accorsero dell'eccellenza della virtù. Isocrate, per esempio, diceva che non vi è nulla di più bello, né di più perfetto (Ad Daemonicum). Aristotele la chiama la misura di tutte le cose, l'epurazione, la perfezione dell'anima (Ethic. lib. I, c. IV). Epitteto rassomiglia l'anima virtuosa ad un fonte inesauribile, dalle acque dolci, pure, limpide, fresche, benefiche, abbondanti, incapaci di nuocere (Apud Stobaeum, serm. I). Cicerone dice che fuori della virtù tutto è falso, incerto, caduco, mobile; la virtù sola ha tali profondissime e saldissime radici, che nessuna forza basta a scuoterla (Philipp. IV). E altrove dice: Chi dubita che le vere ricchezze non consistano nella virtù? Infatti nessuna quantità d'oro o d'argento regge al confronto delle virtù. Se gli stimatori dei beni terreni portano a così alto prezzo le cose periture, quanto non deve valere la virtù, che non può perire né essere involata? essa che non teme rovina né per nau­fragio, né per incendio? essa che non va soggetta a mutazione né per vicende di tempo, né per impeto di tempeste? Quelli che la posseg­gono sono i soli ricchi, perché essi soli possiedono quello che pro­duce ricchi e abbondanti frutti che durano eterni (Tuscul. II).

venerdì 22 agosto 2014

I TESORI DI CORNELIO A LAPIDE: Maria (V) : 41. Maria è mediatrice. 42. Maria è riparatrice. 43. Maria è nostra madre. 44. Necessità della devozione a Maria. 45. Il culto dovuto a Maria. 46. Bisogna invocare Maria. 47. Maria ottiene insigni vittorie a quelli che la invocano. 48. La devozione a Maria è segno di predestinazione. 49. Felicità dei servi di Maria. 50. Dio punisce i nemici di Maria.

S. Giovanni Damasceno scrive che «il più perfetto dei doni celesti è Maria, perché essa sola è degna del suo Creatore; essa è un cielo vivente più grande dei cieli medesimi (Orat. de Nativ. Virgin.)».
I TESORI DI CORNELIO A LAPIDE: Maria (V)


41. Maria è mediatrice.  
42. Maria è riparatrice.  
43. Maria è nostra madre.  
44. Necessità della devozione a Maria.  
45. Il culto dovuto a Maria.  
46. Bisogna invocare Maria.  
47. Maria ottiene insigni vittorie a quelli che la invocano.  
48. La devozione a Maria è segno di predestinazione.  
49. Felicità dei servi di Maria.  
50. Dio punisce i nemici di Maria.




41. MARIA È MEDIATRICE. - 

«Noi abbiamo bisogno, scrive S. Bernardo (Serm. in illud. AposSignum magnum) di avere un mediatore presso il nostro avvocato Gesù Cristo e non ve n'è altro più utile di Maria». Essa fu costituita da Gesù Cristo mediatrice tra Dio e l'uomo e per ciò arricchita con grazie speciali non solamente per sé, ma anche a vantaggio di tutti i fedeli, in qualità di loro capo. Possiamo ripetere qui con S. Anselmo: «Chi mai, riflettendo a queste cose, può giudicare di quanta lode sia degna colei, che sola fra tutte le creature, fu scelta ad essere la mediatrice di tanti favori? (De excell. Virg. c. IX)».

Eva fu lo strumento della perdita di Adamo; perché fu lei che porse al primo nostro padre il frutto vietato (Gen. III, 13). Maria fu lo strumento del perdono, della redenzione e della risurrezione dell'uomo: perché da lei nacque il frutto di vita, Gesù Cristo; ed essa lo presentò al mondo. Consentendo a divenire madre del Salvatore, essa divenne in realtà la mediatrice della nostra salute. La stirpe umana cadde per colpa di Eva; fu rialzata per merito di Maria. Senza Maria che cosa sarebbe avvenuto del mondo? Vi era bisogno di un redentore; sarebbe venuto senza di lei? 

Da tutta l'eternità Dio aveva disposto di salvare il mondo per mezzo del Verbo fatto carne; ma da tutta l'eternità aveva anche determinato di prendere Maria per madre al Verbo incarnato, e per conseguenza di servirsene a nostra salute. Tanta parte ebbe Maria alla redenzione, quanta Eva ne ebbe alla caduta... Da Maria il serpente infernale ebbe schiacciata la testa (Gen. III, 15).

«La morte ci è venuta da Adamo, scrive il Crisostomo, e la vita da Gesù Cristo: il serpente sedusse Eva, Maria diede il suo consenso all'angelo Gabriele; ma la seduzione di Eva cagionò la morte al mondo, mentre il consenso di Maria gli ha dato un salvatore. Quello che era perito per colpa di Eva, venne ristorato per mezzo di Maria; il Cristo ha riscattato il genere umano che Adamo aveva ridotto a schiavitù; l'angelo Gabriele venne a promettere il ritorno di quei beni, che il demonio ci aveva rubato senza speranza di poterli ricuperare (Serm. de Incarn. Verb.)».

Dopo il diluvio, Dio fece comparire nel cielo l'arco baleno, come segno di alleanza con l'uomo: «Io porrò, disse, il mio arco nelle nubi, come segno di alleanza tra me e la terra. Mi ricorderò del patto con voi conchiuso e non verrà più altro diluvio a distruggere la terra» (Gen. IX, 12, 13, 15). L'iride è figura di Maria che Dio ha collocato tra il cielo e la terra, come indizio e pegno della sua amicizia con gli uomini, ecc... E come potrebbe Iddio negare alcuna grazia a Maria, se volle che tutto ci venisse da Maria?...

S. Bernardo dà alla Beata Vergine i nomi di scala di Giacobbe, di roveto ardente, di arca dell'alleanza, di stella del mattino, di verga di Aronne, di vello di Gedeone, di letto nuziale, di porta del cielo, di orto assiepato, di aurora di salute (Serm. In Assumpt.).

Maria ha riconciliato Dio con l'uomo. In grazia della sua umiltà e purità, ha chiamato Gesù Cristo dal cielo su la terra; con le sue parole, i suoi esempi, la sua protezione, ci ha aperto la porta del cielo e ce ne ha additato il cammino. Ecco perché Gesù Cristo l'ha innalzata al di sopra di tutti gli eletti e non vuole che nessuno si salvi e giunga al cielo se non col consenso, l'aiuto e la direzione di Maria. Dunque chi vuole salvarsi, deve mantenersi fedele e costante servo di Maria e cercare di progredire sempre più nell'amore e nella divozione a questa Vergine potente.

Maria è nostra madre: ora le braccia e il cuore di una madre sono sempre aperti per ricevere, scusare, difendere, abbracciare, accarezzare e benedire i suoi figli... I meriti di Maria intercedono sempre per noi presso Dio, e ci ottengono ogni grazia... Essendo ella stata la madre di Dio e avendo cooperato in modo attivo all'incarnazione e per conseguenza alla redenzione, S. Anselmo e gli altri santi padri la chiamano la mediatrice di tutta la Chiesa e dei fedeli...

Per mezzo di Maria, madre della grande famiglia umana e mediatrice tra noi e Gesù Cristo, Dio dà ai martiri la forza, alle vergini la castità, lo zelo agli apostoli, la pazienza ai confessori, l'austerità agli anacoreti; la povertà, l'obbedienza, l'umiltà ai religiosi; ai vedovi la continenza, agli sposi la fedeltà coniugale, a tutti i fedeli i doni, le virtù, le grazie convenienti al loro stato e condizione...

Né gli angeli, né gli uomini avrebbero potuto, ancorché tuttiinsieme uniti, meritare ed ottenere la riabilitazione del mondo. Ci fu bisogno di Gesù Cristo e, dopo lui e per lui, della Beata Vergine; per conseguenza ha maggior potere e autorità presso Dio Maria sola, che tutti gli uomini e gli angeli insieme. 

Questo fece dire a S. Anselmo, che l'universo è debitore a Maria, se uscì dalle sue rovine, se si rialzò e fu rinnovato. «O donna, esclama S. Bonaventura, che avete ricevuto la pienezza e la sovrabbondanza della grazia! abbondanza che si è riversata sopra ogni creatura e le ha ridato vita! (Specul. c. VII)».

Gesù Cristo che ha scelto Maria per vestire la nostra natura, vuole anche riceverci per mezzo di Maria. Com'egli si è incarnato e si è fatto, secondo S. Paolo, nostra sapienza e giustizia, santificazione e redenzione (I Cor I, 30); così ha concesso alla madre sua di essere, per sua cooperazione, nostra sapienza, e giustizia, e santificazione, la redenzione di cui esso è il principio... Essendo madre di Gesù Cristo, la Beata Vergine è necessariamente il mezzo e lo strumento della nostra redenzione e di tutto l'ordine della grazia istituito da Gesù Cristo...

Dio ci ha data Maria per madre, affinché nelle tentazioni, nei dubbi, negli scoraggiamenti, nelle difficoltà, noi ricorriamo a lei, come alla migliore delle madri; affinché riceviamo dalle sue mani ogni bene e per conseguenza in lei e per lei, noi rendiamo continuamente grazia al Signore Dio nostro... 
Fortunata Vergine, esclama S. Pier Crisologo, fortunata vergine che sola nell'universo ha meritato di udire queste parole: Voi avete trovato grazia agli occhi del Signore! E quale grazia? quella che l'angelo le annunziò salutandola, grazia completa e sovrabbondante: - Ave, gratia plena: - Si, veramente abbondante, perché la spandete su tutta la terra. Avete incontrato grazia presso Dio; e dopo di aver casi parlato, l'angelo ammira egli medesimo che una donna sia dotata di tanta grandezza e che gli uomini vadano debitori della vita a una donna (Serm. CXLI).

«Maria, dice S. Bernardo, domanda questa sovrabbondanza, per la salute dell'universo. Lo Spirito Santo verrà in voi, o Maria, e vi colmerà di tanta grazia, che riboccherà da ogni lato; sarà piena e perfetta per voi, sovrabbondante per noi. - Il Dio di ogni bontà ha dato. la pienezza e la sovrabbondanza della grazia a Maria, affinché noi mettiamo in lei la nostra speranza; questa sovrabbondanza, quest'inondazione di grazia si riversa su noi» (Serm. de Aquaeductu).

Maria è una nuvola gravida delle acque incorruttibili della grazia, una nuvola che bagna, vivifica e feconda le anime, tempra l'ardore del fuoco delle vendette celesti, estingue le fiamme della concupiscenza... Maria somiglia alla colonna che precedeva Israele nel deserto: ella porta Dio nel suo cuore e guida il popolo cristiano per il deserto di questo mondo... Maria è la madre del bell'amore, della scienza e della santa speranza (Eccli. XXIV, 24).
«Figli miei, predicava S. Bernardo ai suoi religiosi, Maria è la scala dei peccatori, essa è la più salda fiducia, è il fondamento di tutta la mia speranza (Serm. de Aquaed.)». 

E in altro luogo la chiama la lunghezza, la larghezza, l'altezza, la profondità senza misura della misericordia. La lunghezza di questa misericordia si estende fino all'ultimo giorno, per soccorrere tutti quelli che la invocano; la sua larghezza empie il mondo; la sua altezza giunse fino alla riedificazione della città celeste; la sua profondità si spinse fino ad ottenere la salute di quelli che giacevano sepolti nelle tenebre e nelle ombre di morte (Serm. IV de Assumpt.).

Anche S. Fulgenzio vede in Maria la scala celeste per la quale Dio discese su la terra, affinché gli uomini fossero resi meritevoli di ascendere per mezzo di essa al cielo (De Laud. Mar.). Amo dolcissimo è Maria, che pesca tutte le anime rette... 
S. Efrem, dopo di averla chiamata speranza dei disperati, aiuto dei peccatori, consolazione del mondo, porta dei cieli (De Laud. B. V.), così continua: Per voi, o Maria, noi siamo riconciliati con Gesù Cristo nostro Dio e vostro figlio, voi siete l'avvocata dei peccatori e dei derelitti, voi il rifugio e sostegno; voi porto sicurissimo per i naufraghi, consolazione dei mondo, famosissima liberatrice di quei che gemono tra i ferri. Voi raccogliete gli orfani, riscattate gli schiavi, guarite gli infermi; voi siete la salvezza di tutti gli uomini, la stabilità dei monaci e dei solitari, la speranza dei secolari, la gloria dei vergini, la felicità della terra; voi siete, o pia Ausiliatrice, il nostro pilota e il nostro scampo. Io vi saluto, sostegno dei deboli, dolce libertà, sorgente di grazia e di consolazione: Io vi saluto, asilo aperto ai peccatori; vi saluto, riposo di quei che lavorano; vi saluto, chiave del regno celeste; vi saluto, o protettrice e gloria del mondo universo (Ut sup.).
Diciamo dunque anche noi con S. Bernardo: «Fate, o Maria che per mezzo vostro noi troviamo adito al vostro figlio. O Vergine benedetta che avete trovato grazia, che avete partorito la vita, o madre di salute! deh! per voi ci riceva Colui che ci fu dato per mezzo vostro (Serm. de Assumpt.)».



42. MARIA È RIPARATRICE.

Per la sublimità delle sue virtù, Maria ha meritato di essere la degnissima riparatrice del genere umano. E' questa la sentenza di S. Anselmo e del Damasceno; S. Bonaventura aggiunge che non solamente Maria ha rialzato il mondo caduto, ma con la sua protezione lo mantiene perché non ricada (Specul.). Né può essere altrimenti se in lei si trovano tutte le ricchezze, la gloria, e la giustizia (Prov. VIII, 18). Dio ha creato tutto; il serpente ha infettato e rovinato tutto; Maria ha riparato tutto per mezzo di Gesù Cristo.

La vera vita è venuta al mondo per mezzo di Maria, dice S. Epifanio, affinché generando essa la vita, sia la madre dei viventi. Eva è la madre dei morti; Maria è la madre dei vivi. Il demonio si è servito di una donna per trarre a rovina il genere umano; e di una donna si è servito Iddio per ristorarlo (Serm. de Nativ.). 
La stessa cosa ripete S. Agostino nel suo Sermone XXXV de Sanctis: «Voi siete benedetta fra tutte le donne, o Maria; voi che avete partorito colui che è nostra vita. La madre del genere umano ha cagionato la morte del mondo, la madre del nostro Signore gli ha ridonato la vita. Causa del peccato è Eva, causa del merito è Maria; Eva ferisce, Maria guarisce; Eva uccide, Maria risuscita. L'obbedienza di Maria ha riparato i danni recati dalla disobbedienza di Eva». E di nuovo nel Sermone XVIII: «Maria è riempita di grazia e la colpa di Eva rimane cancellata; di modo che la maledizione di questa si converte in benedizione per quella (Serm. XVIII de Sanct.)».

« La malizia del serpente, nota S. Bernardo, ha trionfato della prima donna divenuta insensata; ma la malizia del serpente che vinse per un tempo, si vide vinta per tutta l'eternità, da Maria. Sfigurati da Eva, abbiamo ripigliato la nostra primiera sembianza per mano di Maria» - (Homil. II, Sup. Missus). Una vergine, dice S. Pier Crisologo, riceve un Dio nel suo seno e procura la pace agli uomini, la salute ai peccatori, la vita ai morti; diventa la madre dei viventi su la terra e nel cielo» (Serm. CXLI). «La grazia di Maria, scrive anche San Lorenzo Giustiniani, è stata così grande e sovrabbondante, che ha dato gloria al cielo, gioia agli angioli, pace al mondo, fede ai popoli, termine ai vizi» (Serm. de Annunt.).

«Dio è nostro re innanzi ai secoli, canta il Salmista, egli ha operato la nostra salute in mezzo alla terra», cioè nel seno di Maria (Psalm. LXXIII, 12)... Per Maria noi diventiamo buoni e generosi, possediamo la gioia... Per Maria raggiungiamo l'eternità beata...

«Siate lodata, o santa madre di Dio, esclamiamo con S. Cirillo, voi siete la gemma, voi la luce del mondo; voi la corona della verginità, lo scettro della fede» (Homil. contro Nestor.). E col Crisostomo: «Io vi saluto, o madre, o cielo, o trono della nostra Chiesa; vi saluto, o decoro, gloria, sostegno del mondo (Serm. de Deip.)».


 43. MARIA È NOSTRA MADRE. - 

Gesù, avendo dalla croce veduto la madre sua che se ne stava accanto ad essa col discepolo prediletto, «a lei disse: Eccoti, o donna, tuo figlio; poi al discepolo: Ecco la madre tua. E da quel punto questi se l'ebbe in madre» (IOANN. XIX, 26-27). Mentre stava per spirare per la salute degli uomini, Gesù Cristo ci diede per madre Maria, essendo noi rappresentati dalla persona di S. Giovanni apostolo ed evangelista.
Maria nostra madre ci ha dato Gesù, suo figliuolo, per nostro riscatto, per rimedio ai nostri mali, per nutrimento e per ricompensa, e con lui ci diede il regno dei cieli ed ogni bene... Maria è la madre di tutti i credenti: quindi i padri la chiamano Madre dei viventi per contrapposto ad Eva da loro chiamata Madre dei morti.

S. Antonino e Alberto Magno portano quattro ragioni per cui Maria è la madre di tutti gli uomini: la 1.a è ch'ella genera spiritualmente tutti i santi...; la 2.a è ch'ella si prende cura di tutti gli uomini...; la 3.a è che nacque prima di ogni creatura ed è la più eccellente di tutte...; la 4.a è che fu predestinata prima ancora che fosse il tempo, ad essere lo strumento di una nuova creazione... .

Commentando Origene le parole del Redentore su la croce, così si esprime: Quando Gesù disse: - Eccoti, o donna, tuo figlio, - fu come se avesse detto, accennando Giovanni: Questi è Gesù Cristo che tu hai partorito. E, infatti, il cristiano perfetto non è più lui che vive, ma è Gesù che vive in lui, perciò di lui fu detto a Maria: Ecco il figliuolo tuo Gesù Cristo (Comment. in Ioann. Praefat.).

Il Vangelo ci dice che Maria partorì il figliuolo suo primogenito (Luc. II, 7). Ora queste parole ci fanno capire, che essendo Gesù Cristo il primogenito di Maria, gli altri figli da lei partoriti sono tutti gli uomini. 

«Dando il consenso all'incarnazione, la Beata Vergine, dice S. Bernardo, domandò con tutto l'ardore dell'anima sua e ottenne la salute di tutti gli eletti; e da quel punto, li ha portati tutti nel suo seno, come la più tenera delle madri porta i propri figli (Tom. III, serm. VI, art. II, c. 2)». 
S. Anselmo osserva che; «riparando la Beata Vergine ogni cosa con i suoi meriti, è la madre di tutti (De Excell. virg c. XI)». Gesù Cristo, facendosi uomo, si è fatto nostro fratello, e S. Paolo ci assicura che noi siamo membri di Gesù Cristo (I Cor XII, 27). Maria è dunque nostra madre, come Dio è nostro padre!...O quanto è mai grande e felice l'uomo!... Avere Maria per madre! o fortuna, vantaggio, tesoro inestimabile!... rendiamocene degni...; siamo altrettanti Cristi...; invochiamola, onoriamola, imitiamola...; diciamo con la Chiesa: Maria madre di grazia, madre di misericordia, difendi ci tu contro i nostri nemici e accoglici nell'ora della nostra morte.


 44. NECESSITÀ DELLA DIVOZIONE A MARIA. -

Quando Gesù dal legno della croce pronunziò quelle dolci parole: «Tutto è compiuto» (IOANN. XIX, 30), ultime parole che uscirono dalla sua bocca divina, il mondo era riscattato e salvo, la collera celeste disarmata, l'inferno chiuso, i demoni prostrati, i nostri ceppi infranti; era terminata la schiavitù del genere umano, cancellato 1'anatema scolpito su la fronte dell'uomo, il cielo era di nuovo aperto e noi avevamo riacquistato il diritto all'eredità celeste. 
Tutto è consumato: - Consummatum est. - Gesù Cristo aveva fatto tutto ciò che richiedeva la giustizia del Padre, l'adempimento delle profezie, la redenzione del mondo. Ma, cosa degna di singolare attenzione e che prova come necessaria sia alla salute la divozione a Maria, solo allora Gesù Cristo annunzia che tutto è compito, quando ha detto a Maria, indicandole Giovanni, e in lui tutta l'umanità cristiana: Ecco tuo figlio e a Giovanni, additandogli Maria: Ecco la madre tua (IOANN. XIX, 26-27).

Il divin Redentore dice che più nulla gli resta a compire, dopo che ci ha dato Maria per madre; egli mette dunque le relazioni materne e filiali tra Maria e gli uomini, tra le cose necessarie alla redenzione ed alla salvezza: la divozione a Maria è dunque necessaria per salvarsi.

Gesù Cristo ci ha dato Maria per madre; ora un figlio deve alla madre sua amore, rispetto ed obbedienza, nel che appunto consiste la devozione. Amiamo dunque, rispettiamo, serviamo Maria ed obbediamole, se vogliamo andare in cielo.

Gesù Cristo pone la madre sua al di sopra di tutti gli eletti e dispone che nessuno entri in cielo senza il consenso, l'aiuto, la direzione di lei. Dunque, chi desidera di assicurare la propria salvezza, deve essere fervoroso servo di Maria e crescere ogni di più in devozione verso di lei.
Inoltre Maria porta il titolo di mediatrice e di riparatrice del genere umano; potrà dunque sperare di andar salvo senza la devozione alla Beata Vergine, colui che può dire di non essere caduto, di non avere bisogno di mediazione... Tutte le grazie che Dio concede al mondo, passano per le mani di Maria: ora la salute è opera suprema della grazia, la devozione a Maria è dunque necessaria a chi voglia andar salvo...

S. Germano, patriarca di Costantinopoli, asserisce in termini formali, che nessuno si salva, se non per mezzo della beatissima Vergine (Serm. de Zona B. Virg.). S. Bonaventura afferma anch'esso, che «chi serve degnamente e venera Maria, andrà salvo; chi non se ne dà pensiero, morrà nei suoi peccati», e poi rivolto a lei, esclama: «Colui che voi volete salvo, lo sarà; colui dal quale torcete lo sguardo, andrà perduto (In Psalm. Virgin.)». Ecco perché S. Giovanni Damasceno scrive che «il più perfetto dei doni celesti è Maria, perché essa sola è degna del suo Creatore; essa è un cielo vivente più grande dei cieli medesimi (Orat. de Nativ. Virgin.)».
S. Agnese apparve un giorno a S. Brigida e le fece conoscere le grandezze mirabili della madre di Dio, le lodi che le venivano tributate, e soggiunse: Come è propria del sole illuminare e vivificare il cielo e la terra; cosi è proprio della dolcezza di Maria ottenere il dono della pietà a tutti quelli che la servono (Revelat.).




45. IL CULTO DOVUTO A MARIA. - 

Insegna S. Tommaso che la Beata Vergine è onorata di un culto speciale, non prestato né ad angeli né a santi, e che si chiama culto d'iperdulia, cioè culto superiore ad ogni altro, eccetto quello dovuto a Dio. E la ragione è questa, dice il santo dottore, «che Maria per la sua operazione e cooperazione, si è avvicinata più di tutti ai confini della divinità; poiché nell'incarnazione di Gesù Cristo, essa raggiunse il sommo grado al quale può arrivare la forza della natura, e dove questa fece difetto, la divinità intervenne per compire da sola la sostanza dell'opera (2.a 2.ae quaest., CIII, art. 4 ad 2)».

E' concorde insegnamento dei dottori della Chiesa, che la Beata Vergine sopravanza in grazia, in virtù, in perfezione, in dignità, in onore, in potenza, in gloria, tutti gli angeli e i santi. La Chiesa onora i santi col culto di dulìa, ossia con culto ordinario, ma porge alla Beata Vergine il culto d'iperdulia, il più vicino al culto di latrìa, dovuto al solo Dio, perché è un culto di adorazione. Se mettiamo insieme tutti gli onori che sono dovuti e si rendono a ciascun angelo e a ciascun santo e a tutti insieme, questi onori non costituiranno mai altro culto che quello di dulìa né, per grandi che divengano, giungeranno mai a vestire il nome di culto d'iperdulia, culto tutto speciale e proprio di Maria. Questo culto è d'un ordine superiore al merito di tutti gli angeli e di tutti i santi riuniti: esso è tanto superiore al culto dovuto agli angeli e ai santi, quanto Maria è per la sua dignità e per la sua potenza; superiore a tutti i membri della corte celeste.

Maria si esalterà ella stessa, dice la Scrittura, si onorerà in Dio e si glorificherà in mezzo al suo popolo: aprirà la bocca nelle assemblee dell'Altissimo e si glorierà innanzi alle schiere del Signore. Ella sarà sublimata in mezzo al suo popolo, e sarà ammirata nelle assemblee dei santi; sarà encomiata dalla moltitudine degli eletti e benedetta dai benedetti di Dio (Eccli. XXIV, 1-4). La Chiesa ha inserito nell'ufficio della Beata Vergine, ed applica direttamente a Maria queste parole che la Scrittura pone sulle labbra della Sapienza. Per mezzo di Maria, infatti, si è compita l'opera somma della divina sapienza. In quest'opera mirabilissima che è la concezione e la natività di Maria, la generazione umana del Verbo, la santificazione e la glorificazione degli uomini, Dio ha manifestato una sapienza infinita e di gran lunga superiore a quella mostrata nella creazione del cielo e della terra, e anche in quella degli angeli e degli uomini...

Maria è madre, figlia e sposa di Dio; essa ha congiunto la divinità all'umanità, il cielo alla terra, la maternità alla verginità, i peccatori alla santità. Tutti questi titoli le meritano di diritto il culto d'iperdulia.





46. BISOGNA INVOCARE MARIA. - 

Di Maria si può dire, come della Sapienza, che «sfavilla, e il suo splendore non patisce oscuramento; chi l'ama la vede, e chi la cerca, facilmente la trova. Essa precorre coloro che la cercano e si manifesta loro la prima» (Sap. VI, 13-14). Colui che invoca Maria, la desidera, la conosce, l'ama, la trova; e desiderare, conoscere amare e trovare Maria è per il cristiano il massimo dei tesori. «Pensare a lei, dice ancora il Savio, è somma saggezza; vigilare per amor suo, reca pronta sicurezza » (Sap. VI, 16).



Quando soffia il vento delle tentazioni, dice S. Bernardo, quando le spine delle tribolazioni vi lacerano, guardate alla stella, invocate Maria. - Se la collera, l'avarizia e la voluttà minacciano di sommergere la fragile vostra barchetta, volgetevi pronti a guardare Maria. - Se il peso dei vostri misfatti vi accascia, se il misero stato della vostra coscienza vi rattrista, se cominciate a turbarvi e a perdervi di coraggio all'idea del tremendo giudizio di Dio, pensate a Maria. - Nei pericoli, nelle angustie, nelle dubbiezze, pensate a Maria, invocate Maria; non cessi mai di essere nelle vostre labbra, non si parta mai dal vostro cuore (Homil. II sup. Missus).

«Tutte le volte che sospiro e respiro, io aspiro a voi, o Gesù e Maria», diceva un santo. Chi cerca Maria e l'invoca, la trova ben presto e attinge in abbondanza da lei, come da un mare, ogni sorta di aiuto e di beni. Anzi, come disse il concilio di Blois, instituendo la festa della Visitazione della Santa Vergine, Maria non aspetta di essere pregata per esaudire, ma previene, secondo l'uso della sua clemenza, le preghiere di coloro che a lei intendono ricorrere.

S. Anselmo, per incoraggiare i fedeli ad invocare spesso e con fiducia Maria, non dubita di asserire che si ottiene talora più presto il desiderato soccorso invocando il nome di Maria, che non quello di Gesù; non perché ella sia più grande e più potente di lui, poiché non Gesù da Maria, ma Maria da Gesù trae la sua grandezza e potenza, ma perché Gesù è il Signore ed il giudice di tutti, egli discerne e pesa i meriti di ciascuno. Quando pertanto non esaudisce chi invoca il suo nome, egli fa da giudice e tratta secondo giustizia; al contrario quando uno invoca il nome di Maria, ancorché non meriti di essere esaudito, i meriti di Maria intercedono per lui. Ella si diporta da madre, non da giudice (De excell. Virg. 1. 1).



47. MARIA OTTIENE INSIGNI VITTORIE A QUELLI CHE LA INVOCANO. ­ 

Maria ascolta le suppliche di coloro che ne implorano il patrocinio.

Nel 552 Narsete, generale dell'imperatore Giustiniano, vedendosi ridotto in durissima e disperata condizione dai Goti e non soccorrendogli aiuto umano, si volge al divino, invoca di tutto cuore Maria, poi si slancia alla testa di un pugno di armati contro le numerosissime schiere di quei barbari, ne fa macello e libera l'Italia dall'oppressione in cui gemeva (EVAGR. Stor. eccles. p. I).

Aveva Cosroe, re di Persia, invaso gran parte dei paesi appartenenti all'impero romano e minacciava di avanzarsi più oltre. L'imperatore Eraclio allora, non contento delle previdenze umane, che pure non aveva dimenticato, pose la sua confidenza in Maria, l'invocò con fede, e poi, misuratosi a battaglia con l'esercito nemico, lo sbaragliò più volte finché Cosroe medesimo vi lasciò la vita, e fu dal cristiano imperatore ricuperata la vera croce nel 626 (PAOLO DIACONO, Storia Longob. lib. XVIII, e THEOPHAN. Chronogr.).

Pelagio, re delle Asturie, implora il soccorso della Beata Vergine e riconquista, nel 718, dopo una terribilissima zuffa in cui passa a fil di spada ottanta mila infedeli insieme al re loro, il suo principato occupatogli dai Mori (Luc. TUD. MARIAN. et alior. Histor. Hisp.).

L'anno 867 Basilio I, imperatore di Costantinopoli, sconfisse, con l'aiuto di Maria, i Saraceni che avevano insultato Gesù Cristo e la Vergine Santissima, e loro ritolse quasi tutte le conquiste fatte.
Alla protezione di Maria si deve ancora la conquista che fecero di Gerusalemme nel 1099 i crociati guidati da Goffredo di Buglione. Infatti insieme al maneggio delle armi, dovevano unire, quelli che ne fossero capaci, la recita quotidiana del piccolo Uffizio della Beata Vergine (GULIELM. TYR. Belli sac. hist. - BARON. et alii).

L'anno 1212 Alfonso VIII, re di Castiglia, presa con sé una mano di soldati e preceduto dalla croce e da uno stendardo sul quale campeggiava l'immagine di Maria e del suo divin Figlio, penetrò nel campo dei Mori e ne trucidò un duecento mila circa, senza perdere dei suoi più che un venticinque o trenta uomini. Celebrano tuttavia gli Spagnuoli ciascun anno questa insigne vittoria, con una festa che ha luogo il dì 16 luglio, e si chiama la festa del Trionfo della croce.

Finalmente, all'intercessione ed all'aiuto della Beata Vergine le armi cristiane vanno debitrici della segnalatissima vittoria navale da loro riportata sui Turchi, nel golfo di Lepanto, addì 7 ottobre 1571, sotto il pontificato di San Pio V, il quale in Roma ne ebbe notizia per divina rivelazione, nel punto stesso in cui avveniva la rotta dei musulmani e il trionfo dei cristiani. Per ringraziare Maria di questo pegno di sua protezione e perpetuarne la memoria, fu stabilita la festa della Madonna delle Vittorie, altrimenti detta del Rosario, perché la battaglia fu combattuta e vinta mentre per ordine del Sommo Pontefice tutte le Confraternite di Roma attendevano a recitare la preghiera del Rosario.

Essendo Maria la donna che secondo la promessa di Dio, doveva schiacciare il capo al serpente infernale, noi possiamo sempre essere sicuri di mandare a monte i disegni e rendere vani gli sforzi dell'inferno... Per mezzo di Maria si trionfa in ogni incontro del mondo, della concupiscenza della carne, di tutte le passioni e tentazioni. Niente a lei resiste, neppure Gesù Cristo, suo divin figliuolo...



48. LA DEVOZIONE A MARIA È SEGNO DI PREDESTINAZIONE. - 

Il culto e la divozione verso la madre di Dio sono un segno sicuro di predestinazione; come la noncuranza, la disobbedienza, il disprezzo di Maria sono causa e segnale di riprovazione. Nestorio, Elvedio, Costantino Copronimo, Giuliano l'Apostata e mille altri, l'hanno provato e ne furono terribile esempio al mondo intero.

Chi serve, onora, prega Maria, prega, onora, serve Gesù Cristo. Chi invece disprezza ed oltraggia Maria, misconosce e calpesta il suo divin figliuolo. 
Nella Chiesa, Gesù è come il padre di famiglia in mezzo ai suoi figli, e similmente Maria per dono e speciale volontà di Gesù Cristo, nella Chiesa sia militante, sia purgante, sia trionfante, tiene il luogo di madre di famiglia e ne veste la dignità e il potere. 

Perciò S. Germano di Costantinopoli predicava che siccome il respiro è non solamente un segnale, ma di più una causa di vita; così la frequente invocazione di Maria, non solamente dimostra che si vive della vera vita, ma dà ancora questa vita e la conserva (Serm, de Zona B. Virg.).

La Beata Vergine è la guida, la regina, la madre, la custode degli eletti... Buona parte dei teologi danno come nota caratteristica e infallibile di elezione divina e di eterna salvezza, la sincera devozione alla Santissima Vergine... Nessuno, disse la Vergine a S. Brigida, per quanto scapestrato e nemico di Dio, se già non si è assolutamente maledetto, m'invocherà senza che ritorni a Dio e ottenga misericordia (Revelat.)... Tanto buona e potente è Maria, che non ricusa nulla ai suoi fedeli servi; e Gesù Cristo per parte sua tanto ama la divina sua madre, che ne esaudisce tutte le preghiere. Del resto, la quotidiana esperienza ci mostra che il vero servo di Maria aborre dal peccato e cammina fedelmente nella via della virtù; ora l'eterna salute è posta a questo prezzo.



49. FELICITÀ DEI SERVI DI MARIA. - 

«Felici quelli che vi amano, o Maria, esclamava in spirito profetico Tobia, beati quelli che si allietano nella vostra pace» (TOB. XIII, 18)

Maria è l'albero della vita per coloro che si stringono a lei; felice chi vi si tiene abbracciato! Ella ne sarà la vita dell’anima e l'ornamento del cuore (Prov. III, 18-22).

«Beato colui che ascolta le mie parole, dice Maria per bocca del Savio, felice chi passa i suoi giorni vegliando all'entrata dei miei padiglioni, su la soglia della mia stanza! Chi trova me, trova la vita, e avrà per mezzo mio salute dal Signore» (Prov. VIII, 34-35). 

S. Bernardo dice che Maria è tutta soavità ed offre a tutti il latte e la lana; poi esclama: «Il sommo della felicità e della gloria consiste, dopo la vista di Dio, nel vedere voi, o Maria! (Sup. Cantic.)». 
S. Ambrogio volendo dare un'idea della dolcezza della beatissima Vergine e delle soavi delizie di cui ricolma i suoi servi, la paragona alla manna (De B. Virg.).

Per un bambino non vi è felicità più ambita né più cara, che quella di trovarsi tra le braccia della sua tenera madre. Ora qual madre uguaglierà in tenerezza Maria? A lei applica la Chiesa quelle parole dell'Ecclesiastico: «Io sono la madre del bell'amore e delle santa speranza. In me è la grazia dell'onestà, la speranza della virtù e della vita. Venite a me, voi tutti che mi desiderate e saziatevi dei miei frutti; perché più dolce del miele è il mio spirito, e la mia porzione è meglio che il favo di miele. Chi mangia di me avrà sempre fame, e chi beve alle mie acque, sarà sempre assetato di me. Chi mi ascolta non rimarrà confuso e chi opera dietro mio impulso non cadrà in peccato. Chi vorrà farmi conoscere, giungerà alla vita eterna» (Eccli. XXIV, 24-31).

Nessun servo fedele di Maria non andò mai perduto; ora non è dunque felicità inestimabile onorare, pregare, amare, imitare Maria? Inoltre il vero figlio, il devoto cliente di Maria, riceve da lei mille grazie e aiuti e conforti ad assicurare la propria salute; felice dunque e infinitamente beato chi si abbraccia a lei e la venera con fervoroso culto!


50. DIO PUNISCE I NEMICI DI MARIA. - 

Maria è la vera arca dell'alleanza che tenne custodito nel suo seno, e poi diede al mondo Gesù Cristo, autore del Nuovo Testamento. 

Ora se tanto severamente fu punita l'impudenza di Oza, come non sarà punita l'impudenza di chi assale irriverente l'arca santa del Cristianesimo? 

Ah! per costui sta proferita quella sentenza di Tobia: «Maledetti saranno quelli che ti disprezzeranno; condannati quelli che ti motteggeranno» (TOB. XIII, 16).

L'empio Nestorio che osò negare la maternità divina di Maria, fu colpito dalla giustizia di Dio; la sua lingua bestemmiatrice, rosa dai vermi, gli s'infracidì in bocca (Stor. eccles.). 
Costantino Copronimo, per avere fatto oltraggio alle immagini di Maria, si sentì divampare le viscere da così ardente calore, che non cessava dal gridare, che egli era stato gettato vivo nell'inferno, per causa dei suoi insulti alla madre di Dio; vinto dal male, si studiò di far ristabilire il culto verso Maria (Stor. eccles.). 
E quanti altri spaventosi esempi si potrebbero citare di divini castighi toccati ai nemici di Maria, a coloro che con sarcasmi e beffe ne canzonano il culto, le immagini, i templi, gli altari, la verginità, la maternità divina, ecc.!...

Chiunque affronta la madre, affronta anche il figlio... Le glorie di Maria sono le glorie di Gesù il quale fu, è, e sarà sempre vendicatore severo. dei diritti e dell'onore della santa sua madre... «Chi mi offende, dice Maria nei Proverbi, danneggia l'anima sua; e quelli che odiano me, amano la morte» (VIII, 36).

Voi dite, Vergine Santa, per bocca del Savio, che chi studia di conoscervi e di farvi conoscere, avrà in premio la vita eterna (Eccli. XXIV, 31). Io farò dunque tutto il possibile per conoscervi, onorarvi, pregarvi, amarvi ed imitarvi; non la perdonerò a fatiche, e studi per mettere in luce le vostre virtù, i vostri meriti, le perfezioni e le prerogative vostre, la vostra misericordia, la vostra gloria, le grazie di cui il mondo vi è debitore. 

Mi adoprerò a propagare il vostro culto e a farvi conoscere, onorare, amare, invocare, ed imitare. Oh, mi fosse data di condurvi ai piedi il mondo intero!... Voglio vivere e morire nelle vostre braccia, sul vostro cuore di Madre... Deh! valgano le mie fatiche sostenute per gloria vostra, a ricondurre al vostro seno i peccatori, a mantenere nella perseveranza tutti quelli che vi servono, e ad ottenere a me la grazia preziosa di servirvi con fervore fino all'ultimo di mia vita. L'ultima parola che pronunzierò nell'uscire da questa vita, sia l'amabilissimo vostro nome, o Maria!


NOS CUM PROLE PIA
BENEDICAT VIRGO MARIA
pgerardomaria@libero.it 


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