L'esempio e l'intercessione del Serafico di Assisi ci aiuti tutti
a combattere la buona battaglia conservando la FEDE
FRANCESCO PREDICA AGLI UCCELLI
E TUTTE LE CREATURE GLI OBBEDISCONO
58. Mentre, come si è detto, il numero dei frati andava
aumentando, Francesco percorreva la valle Spoletana. Giunto presso Bevagna,
vide raccolti insieme moltissimi uccelli d’ogni specie, colombe, cornacchie e «monachine».
Il servo di Dio, Francesco, che era uomo pieno di ardente amore e nutriva
grande pietà e tenero amore anche per le creature inferiori e irrazionali,
corse da loro in fretta, lasciando sulla strada i compagni. Fattosi vicino,
vedendo che lo attendevano, li salutò secondo il suo costume. Ma notando con
grande stupore che non volevano volare via, come erano soliti fare, tutto
felice, li esortò a voler ascoltare la parola di Dio.
E tra l’altro disse loro:
«Fratelli miei uccelli, dovete lodare molto e sempre il vostro Creatore perché
vi diede piume per vestirvi, ali per volare e tutto quanto vi è necessario. Dio
vi fece nobili tra le altre creature e vi concesse di spaziare nell’aria
limpida: voi non seminate e non mietete, eppure Egli vi soccorre e guida,
dispensandovi da ogni preoccupazione». A queste parole, come raccontava lui
stesso e i frati che erano stati presenti, gli uccelli manifestarono il loro
gaudio secondo la propria natura, con segni vari, allungando il collo,
spiegando le ali, aprendo il becco e guardando a lui. Egli poi andava e veniva
liberamente in mezzo a loro, sfiorando con la sua tonaca le testine e i corpi.
Infine li benedisse col segno di croce dando loro licenza di riprendere il
volo. Poi anch’egli assieme ai suoi compagni riprese il cammino, pieno di gioia
e ringraziava il Signore, che è venerato da tutte le creature con sì devota
confessione.
Siccome poi era uomo semplice, non per natura ma per
grazia divina, cominciò ad accusarsi di negligenza, per non aver predicato
prima di allora agli uccelli, dato che questi ascoltavano così devotamente la
parola di Dio; e da quel giorno cominciò ad invitare tutti i volatili, tutti
gli animali, tutti i rettili ed anche le creature inanimate a lodare e ad amare
il Creatore, poiché ogni giorno, invocando il nome del Signore, si accorgeva
per esperienza personale quanto gli fossero obbedienti.
59. Un giorno, recatosi ad Alviano a predicare e salito
su un rialzo per essere visto da tutti, chiese silenzio. Ma mentre tutti
tacevano in riverente attesa, molte rondini garrivano con grande strepito
attorno a Francesco. Non riuscendo a farsi sentire dal popolo per quel rumore
rivolto agli uccelli, disse: «Sorelle mie rondini, ora tocca a me a parlare,
perché voi lo avete già fatto abbastanza; ascoltate la parola di Dio, zitte e
quiete, finché il discorso sia finito». Ed ecco subito obbedirono: tacquero e
non si mossero fino a predica terminata. Gli astanti, stupiti, davanti a questo
segno dicevano: «Veramente quest’uomo è un santo e un amico dell’Altissimo!». E
facevano a gara per toccargli le vesti con devozione, lodando e benedicendo
Iddio. Era davvero cosa meravigliosa, poiché perfino le creature prive di
ragione sapevano intendere l’affetto fraterno e il grande amore che Francesco
nutriva per esse!
60. Una volta, presso Greccio, gli fu portato da un
confratello un leprotto preso vivo al laccio, e il santo uomo, commosso, disse:
«Fratello leprotto, perché ti sei fatto acchiappare? Vieni da me». Subito la
bestiola, lasciata libera dal frate, si rifugiò spontaneamente nel grembo di
Francesco, come a un luogo assolutamente sicuro. Rimasto un poco in quella
posizione, il padre santo, accarezzandolo con affetto materno, lo lasciò
andare, perché tornasse libero nel bosco; ma quello, messo a terra più volte,
rimbalzava in braccio a Francesco, finché questi non lo fece portare dai frati
nella selva vicina. Lo stesso accadde con un coniglio animale difficilmente
addomesticabile, nell’isola del lago di Perugia .
61. Altrettanto affetto egli portava ai pesci, che,
appena gli era possibile, rimetteva nell’acqua ancor vivi, raccomandando loro
di non farsi pescare di nuovo. Un giorno standosi egli in una barchetta nel
porto del piccolo lago di Piediluco, un pescatore gli offrì con riverenza una
tinca che aveva appena pescato; egli accolse lietamente e premurosamente quel
pesce, chiamandolo fratello poi lo ripose nell’acqua fuori della barca e
cominciò a lodare il nome del Signore. E per un po’ di tempo il pesce, giocando
giulivo nell’acqua, non si allontanò, finché il Santo, finita la preghiera, non
gli diede il permesso di partirsene.
Ecco come il glorioso padre Francesco, camminando per la
via dell’obbedienza e della perfetta sottomissione alla volontà divina, si
meritò sì grande potere da farsi obbedire dalle creature! Perfino l’acqua
infatti si mutò in vino per lui, quando giaceva gravemente infermo nello Speco
di Sant’Urbano (presso Stroncone). Appena ne bevve, guarì e tutti capirono che
si trattava davvero di un miracolo.
E veramente non può essere che un santo colui al quale le
creature obbediscono in questo modo e se ad un suo cenno cambiano natura gli
stessi elementi!