20.
“Tutto è compiuto”
“Hanno trapassato le sue mani e i suoi piedi, e squarciato il petto con la lancia e attraverso queste ferite io posso’succhiare miele dalla rupe e olio dai ciottoli della roccia’(Dt 32, 13); cioè gustare e sperimentare quanto. è buono il Signore (cf Sal 33, 9)”.
S. Bernardo abate, Op. om. 2, 150
Fatta la preghiera, Gesù uscì
dal cenacolo e se ne andò
con i discepoli oltre il torrente Cedron, nell’orto o giardino degli ulivi, detto
Getsemani (torchio dell’olio).
Giunto in quel luogo disse:
“Sedetevi qui, mentre Io vado là a pregare. Voglio con me Pietro, Giovanni e Giacomo. Pregate per non entrare
in tentazione”.
E si inoltrò nel giardino con i tre prediletti (cui aveva mostrato un giorno nella Trasfigurazione sul Tabor quella gloria riservata nel Regno di Dio ai suoi discepoli) e cominciò a spaventarsi e a sentire angoscia. Allora dice loro: “L’anima mia è triste fino alla morte. Restate qui e vegliate con Me” (Sal 42, 6,12).
Poi si allontanò da loro
quanto un tiro di sasso e, caduto sulla sua faccia, pregava
dicendo: “Padre mio, se è possibile passi da me questo calice. Tuttavia non la mia volontà, ma la tua sia fatta!”.
E viene dai discepoli e li
trova addormentati, e dice a Pietro: “Simone, dormi? Non hai
potuto vegliare un’ora sola? Vegliate e pregate, per non entrare in tentazione; lo spirito è pronto, ma la carne è debole”.
Di nuovo, per la seconda volta, tornò a pregare dicendo la stessa
parola. E venuto di nuovo dai tre, li trovò addormentati, perché i loro
occhi erano aggravati e non sapevano cosa risponderGli.
Gesù, l’INNOCENZA, avendo
preso su di sé tutto il peccato del mondo, tutte
le sozzure dei secoli, ora è schiacciato dal dolore del paterno abbandono. E geme e suda di ribrezzo. L’avvilimento è tale che suda
sangue: tangibile prova della sua tortura spirituale e del suo amore pazzo per l’uomo,
che vuol redimere
e chiamare
Fratello, e Figlio.
“Proprio per questo nei
giorni della sua vita terrena, Egli offrì preghiere e suppliche
con forti grida e lacrime .. e fu esaudito per la sua pietà. Pur essendo Figlio, imparò tuttavia l’obbedienza dalle
cose che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti
coloro che Gli obbediscono, essendo stato proclamato da Dio sommo sacerdote alla maniera di Melchisedek” (Eb 5,7-10).
Gesù ama il Padre infinitamente, e ciascuno di noi nel Padre. Ci ama appunto perché così incapaci di amare e così infelici di non saper
amare. Ci ama pensando che ognuno di noi è opera di Dio: e quindi degna di essere salvata con la morte di un Dio.
“Abbà, Padre! Tutto è
possibile a Te; allontana questo calice da me! Ma non quello che voglio Io, ma quello
che vuoi Tu” (Mc 14, 36).
Sta qui il segreto della
fecondità apostolica di Gesù Nazareno: l’intima unione col Padre
Celeste. Unione che si attua in modo esplicito nella preghiera totale, che non è borbottio di parole o semplice
atto di intelligenza, bensì donazione della
volontà al Signore, adesione completa della creatura al Creatore. “Non chi dice: Signore, Signore! entrerà nel Regno dei cieli, ma
chi fa la volontà del Padre
mio che è nei cieli, questi entrerà nel Regno” (Mt 7,21).
Nel cuore della notte o
prima dell’aurora Gesù usava alzarsi e render lode al Padre Celeste. A tutti insegnò la necessità di pregare sempre,
senza stancarsi. E ora ce ne dà l’esempio
anche nella sua più grande
sofferenza.
<< Signore Gesù, aiutaci a pregare! >>
Il gran pittore domenicano, il Beato Angelico
da Fiesole, nella scena dell’Agonia dell’Orto degli Ulivi ha rappresentato
di scorcio, tra i secolari ulivi, anche
la figura della Madre Santissima che, con altre donne, veglia e prega. Invenzione? No certamente, ma felice intuizione.
Quella notte come fu notte di agonia per il Figlio, lo fu anche per la Madre Divina che, insieme al Padre, “non risparmiava il proprio Figlio, ma Lo dava per tutti noi” (cf Rm 8, 32). È' proprio qui la sorgente della nostra fiducia illimitata nella beatissimaVergine e Madre: se ci ha dato Gesù, come non ci donerà ogni cosa insieme con Lui? (cf Rm 8, 32).
Ed eccoci giunti - come scrive il
Roschini nella Vita di Maria - al giorno più
doloroso della vita di Maria Santissima, giorno che è il centro dei secoli, centro della massima gioia e del massimo dolore: gioia per l’umanità che è salvata e dolore per Quelli che dovevano
salvarla, per il Redentore e per la Corredentrice.
“Ed ecco, mentre ancora Gesù parlava, arriva
Giuda — con un drappello della
coorte romana — e con lui una gran folla con spade e bastoni,
mandata dai gran sacerdoti e anziani
del popolo. Le armi dei soldati e delle guardie brillano alla luce delle lanterne e delle
fiaccole.
Gesù allora si fece innanzi,
e Giuda — che aveva dato agli sbirri un segnale dicendo: ‘Quello che
bacerò, è Lui; prendeteLo’ — avvicinatosi a Lui disse: ‘Salve,
Rabbì !’ e Lo baciò sulla guancia.
Ma Gesù gli disse: ‘Amico, per questo sei qui!
Con un bacio tradisci il Figlio
dell’Uomo?’. Tutti allora cercarono di mettere le mani addosso agli apostoli
e a Cristo.
‘Chi cercate?’ dice loro. E
tutti si fermano. Gli risposero: ‘Gesù, il Nazareno’. Dice loro: ‘Sono Io!’. Come dunque disse loro: ‘Sono Io!’,
andarono indietro e caddero
a terra. Di nuovo domandò loro: ‘Chi cercate?’ E dissero: ‘Gesti, il Nazareno!’ Rispose Gesù: ‘Ve l’ho detto
che sono Io. Se dunque cercate me, lasciate che costoro se ne vadano”’
(cf Mt 26; Mc 14; Lc 22; Gv 18).
Gli Apostoli, vedendo quanto stava per accadere,
esclamarono: “Signore, dobbiamo colpire con la spada?”. Ma già l’indomito e
impulsivo Pietro, avendo una spada — comprata
forse dietro interpretazione troppo materiale delle parole del Maestro: “Ora ... venda il suo
mantello e si compri una spada chi non ce l’ha”
(Lc 22, 36) — la sfoderò e percosse il
servo del sommo sacerdote, troncandogli l’orecchio
destro; quel servo aveva nome Malco.
Gesù però disse a Pietro:
“Metti la spada nel fodero! Tutti quelli che prendono la spada, di spada periranno. Oppure credi che non possa
pregare il Padre mio, e mi
fornirebbe adesso più di dodici legioni di angeli? E il calice che il Padre mi ha
dato, forse che non lo berrò?” E, toccato l’orecchio del servo,
lo sanò.
E disse alla gente: “Come contro un ladrone, siete usciti con spade e bastoni ad arrestarmi. Ogni giorno ero tra voi nel tempio a insegnare, e non avete steso le mani contro di me! Ma questo è avvenuto
perché si adempissero le Scritture. È l’ora vostra e del potere delle tenebre”.
Allora la coorte, il
tribuno e le guardie dei Giudei arrestarono Gesù e Lo legarono, mentre gli Apostoli, tutti, non avendo capito nulla per “quelle”
tenebre, e pensando Gesù pazzo,
lasciandoLo, fuggirono.
Quel bacio insincero dell’Apostolo dette inizio alla Passione del Maestro. Gesù si richiama sempre alla Volontà del Padre. Quella sola vuole fare!
E
nell’abbraccio di questa uniformità
divina, accanto a Lui c’è Maria.
Infatti “il Padre voleva
che Lei - chiamata alla più totale cooperazione al mistero della redenzione -,
fosse integralmente associata al sacrificio e
condividesse tutti i dolori del
Crocifisso, unendo la propria volontà alla sua, nel desiderio di salvare il mondo”.
Gesù dunque, legato come un delinquente, Egli
che è 1’Innocenza per eccellenza, fu condotto - per non dire trascinato - oltre il torrente Cedron, fino in Gerusalemme.
In questo primo tragitto
notturno, Gesù, — già spossato dall’agonia — senza parlare, con eroica pazienza, sopportò i primi sputi, i
primi spintoni, le prime pietre,
i primi pugni e schiaffi, le prime lordure,
le prime cadute;
e la sua carne cominciò a coprirsi di lividure.
Le tenebre trionfavano. E
Gesù soffriva per amore degli stessi aguzzini,
nella speranza di
salvarli. Il drappello col divino Prigioniero giunse alla casa di Anna, suocero del sommo sacerdote in
carica Caifa che aveva dato quel consiglio ai Giudei: “È meglio che muoia un solo uomo per il popolo”.
Quella, fu notte di demoni,
notte crudele di tradimenti e rinnegamenti: prima il tradimento orrendo
di Giuda, e poi il triplice rinnegamento di Pietro, che poco
prima aveva detto con forza al Maestro: “Darò la mia vita per Te!” ricevendone questa risposta: “Darai la tua vita per
Me? In verità, in verità ti dico: non
canterà il gallo, prima che tu non Mi abbia rinnegato tre volte” (Gv 13, 37-38). La parola di Gesù si avverò
puntualmente. Simon Pietro, che da lontano
aveva seguito Gesù, con l’aiuto di Giovanni era entrato anch’egli fin dentro il
cortile del sommo sacerdote, e se ne stava a sedere presso
il fuoco con le guardie, per
vedere la fine delle cose. Alla domanda precisa della serva portinaia
e degli altri servi del sommo sacerdote, che gli chiesero per tre volte: “Non sei anche tu dei discepoli di
quest’Uomo? Non ti ho visto anch’io nell’orto
con Lui? In verità anche tu sei uno di loro; infatti la tua
stessa parlata ti fa palese; sei Galileo!”, Pietro ebbe paura e cercò
salvezza nella menzogna.
Pietro sperimentò al vivo
la verità: “Senza di Me non potete far nulla!” (Gv 15;5), e
per tutta la vita, non poté mai dimenticare il dolore arrecato all’amato Maestro. E pianse tanto quel
rinnegamento che le lacrime gli scavarono sulle gote profondi solchi, e lo convinsero ad essere umile,
diffidente di sé stesso e profondamente comprensivo con i fratelli.
Ma torniamo a Gesù che, nella casa di Anna, è
interrogato riguardo ai discepoli e alla dottrina
che ha predicato.
“Gesù gli rispose: “Io ho parlato al mondo
apertamente. Io ho sempre insegnato in sinagoga e nel tempio . . . , e non ho
detto niente di nascosto. Perché interroghi
Me? Interroga quelli che hanno ascoltato ciò che ho detto loro. Ecco, essi sanno quello che Io ho detto” (Gv 18,
19-21). È a questo punto e per questa risposta che una delle guardie diede uno schiaffo a Gesù dicendo: “Così rispondi al sommo sacerdote?” Gesù gli
rispose: “Se ho parlato male, prova che è male; se
bene, perché Mi percuoti?”.
Lo schiaffo è l’oltraggio
più grave che si possa fare ad un uomo, essendo il volto la cosa più nobile, il riverbero della ricchezza interiore.
Per la salvezza
del suo gregge, il buon Pastore accolse
anche quest’umiliazione: “Non ho sottratto la mia faccia
agli insulti. . .” (Is 50, 6).
Gli uomini
che Lo custodivano Lo schernivano sputandoGli addosso, velandoGli la faccia,
percuotendoLo con pugni e prendendoLo a schiaffi e dicendoGli: “Fa il
profeta: chi è che ti ha percosso?” E molte altre cose dicevano contro di Lui, bestemmiando.
Questa scena, questo mistero di Gesù con gli occhi bendati, circondato dai Giudei col pugno teso, tra lazzi e beffe, di notte, nell’abbandono dei suoi discepoli, si ripete ancora oggi, in Gesù medesimo, Capo mistico della Chiesa, e nel papa.
Oggi, più che mai, i colpi dei figli ribelli sono diretti alla testa, e così si colpisce nella parte più nobile colui che è stato creato a immagine e somiglianza di Dio. Dio bendato e ammanettato: vero simbolo dell’ora presente. “Toglietemi questa benda, o figli! Le bende sono gli scismi che impediscono di veder chiaro nella luce della Chiesa, le bende sono le eresie che velano la Verità e la presentano mutilata!”
Onorando Gesù in questo mistero, tanta luce si sprigionerà sulla
nostra vita
dai
suoi occhi bendati ...
Soddisfatta la sua morbosità e curiosità, Anna in piena notte mandò Gesù, legato, al sommo sacerdote Càifa.
Quindi altro tragitto
e altra attesa, contornati da tutto quanto la malvagità
dell’uomo poteva inventare . . .
Sul far del giorno
si riunì il consiglio degli anziani del popolo, i sommi sacerdoti
e gli scribi. Allora Gesù fu
condotto davanti al Sinedrio. Cercavano una testimonianza contro di Lui per
metterLo a morte, ma non la trovavano.
Molti attestavano il falso contro di Lui e
così le loro testimonianze non erano concordi. Se ne presentarono due, che dissero:
“Noi l’abbiamo sentito dire: “Io distruggerò questo santuario, fatto da mano d’uomo,
e in
tre giorni ne edificherò un altro, non fatto da mano d’uomo”.
Ma nemmeno su questo punto
la loro testimonianza era concorde.
Allora, il sommo sacerdote,
levatosi in mezzo all’assemblea, interrogò Gesù dicendo: “Non rispondi nulla? Che cosa testimoniano costoro contro di Te?”.
Ma Egli taceva e non rispose
nulla. Di nuovo il sommo sacerdote L’interrogò e Gli dice: “Sei Tu
il Cristo, Il Figlio di Dio?”.
Gesù rispose: “IO LO SONO!
e vedrete il Figlio de1l’Uomo sedere alla destra
della Potenza di Dio e venire
sulle nubi del cielo (Sal 110,1; Dn 7, 13)”.
Allora Càifa, stracciandosi
le vesti, disse: “Ha bestemmiato! Che bisogno
abbiamo ancora di testimoni? Ecco, ora avete udito la bestemmia! Che ve
ne pare?”
Tutti sentenziarono: “È reo di morte!”.
L’assemblea si levò; misero
in catene Gesù e, dalla casa del sommo sacerdote, di
mattina presto, Lo condussero via per consegnarLo al governatore romano, Ponzio Pilato.
Ecco la descrizione dei fatti da parte di Giovanni, Apostolo testimone:
“Era mattina. Gli Ebrei non entrarono nel pretorio per non contaminarsi, e poter mangiare la Pasqua. Pilato uscì verso di loro e avendo già capito chi erano i colpevoli e chi era l’innocente domandò: “Che accuse portate contro questo"?
Gli risposero: “Se costui non fosse un
malfattore, non te lo avremmo consegnato”.
Pilato disse loro: “PrendeteLo voi e giudicateLo secondo la vostra legge”. Gli risposero i Giudei: “A noi non è consentito mettere a morte nessuno” (Gv 18, 28-31).
Che ipocrisia e astuzia maligna nel loro
comportamento! Si guardano dal calpestare
il pretorio pagano per non contaminarsi, essi, che sono impuri dalla testa
ai piedi, e che in se stessi hanno già giudicato e condannato
1’Innocente, dicendoLo malfattore.
ConsegnandoLo a Pilato perché fosse lui a giudicarLo, pensavano di aver risolto il
problema legale che impediva loro qualsiasi condanna a morte. Ma agendo così, appariva chiara — da una
parte —la grettezza o durezza della
loro mente, e — dall’altra —
splendeva la verità della divina parola
che non c’è più sordo e più cieco di
chi non vuole udire e vedere (cf Gv 9,41).
“Ma tutto questo avvenne perché si adempisse la
parola che aveva detto Gesù, per
indicare di quale morte doveva morire” (Gv 18, 32). Difatti Gesù aveva predetto che sarebbe stato
crocifisso, e perciò condannato a morte dai romani, poiché i soli romani avevano
il supplizio della croce. I giudei condannavano i bestemmiatori alla lapidazione.
“Pilato rientrò nel pretorio, chiamò Gesù e Gli disse: “Sei tu il re dei Giudei?”.
E Gesù: “Dici
questo da te, oppure altri te l’hanno
detto di Me?”.
Pilato rispose: “Sono io forse Giudeo? La tua gente e i gran sacerdoti ti hanno consegnato a me. Che hai fatto?”
Gesù precisò: “IL MIO REGNO NON È DI QUESTO MONDO! Se il mio regno fosse di questo mondo, le mie
guardie avrebbero combattuto
per Me, perché non fossi consegnato ai Giudei. Ma il mio regno non è di qui”.
Allora Pilato Gli disse:
“Quindi Tu sei Re?”.
Gesù rispose: “Tu lo dici. Io sono Re! Per questo Io sono nato e per questo Io sono venuto al mondo: per rendere testimonianza alla verità.
Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce”.
Gli dice Pilato: “Che cosa è
la verità?”. E detto questo uscì di nuovo verso i Giudei e disse loro: “Io, non trovo in Lui nessuna colpa”.
Ma essi insistevano: “Costui solleva il popolo, insegnando per tutta la Giudea, dopo aver cominciato dalla Galilea fin qui”.
Udito ciò, Pilato domandò se era Galileo, e, saputolo Galileo, Lo mandò da Erode. (Illusoria manovra, nella speranza che si calmassero le acque).
“Vedendo Gesù, Erode si rallegrò molto ..., perché sperava di vedere qualche miracolo fatto da Lui. Lo interrogò con molte domande, ma Gesù non gli rispose nulla. Allora Lo insultò e Lo schernì, poi Lo rivestì di una splendida veste, e Lo rimandò a Pilato. In quel giorno, Erode e Pilato diventarono amici”.
Gesù è di nuovo dinanzi a Pilato, il quale — dinanzi a tutto il popolo —
dichiara l’innocenza di Gesù: “Egli non ha fatto nulla che meriti la morte! Ora, c’è tra voi l’usanza che io vi rilasci
uno per la Pasqua; volete dunque che io vi liberi il re dei Giudei?”.
Ma quelli, tutti insieme
gridarono: “No, non Lui! Vogliamo Barabba!” (questi era un bandito).
Il confronto era oggettivamente sconcertante,
e lasciava istintivamente perplessi. Ma la folla, subito sobillata dai
principi dei sacerdoti e dagli anziani, ricominciò ad urlare: “No, non Lui, ma Barabba!”
*Mistero dei nomi! Gesù è il
vero Figlio del Padre (Abbà). Eppure l’uomo sceglie un altro figlio del padre (Bar-abbà).*
Udendo il grido omicida
della folla, Pilato
rivelò tutta la sua viltà: pur
non trovando nel Nazareno
alcuna colpa, rimase ancora indeciso sul da fare e sul come liberare quel1’Agnel1o dai lupi.
Vigliaccamente ripiegò sulla flagellazione.
Pensava di dare così una
soddisfazione agli Ebrei e placarli, e altresì una giusta lezione — quanto mai ingiusta — a chi era non un maligno o un sobillatore, ma uno ritenuto imprudente. Il ripiego non servì ad altro che a fargli
commettere un’ingiustizia in più, e a rendere
più bramosa di sangue quella folla urlante.
“Allora, Pilato fece prendere Gesù e Lo fece flagellare” (Gv 19,1).
La flagellazione! È una “mezza morte”, e a volte una morte completa, tanto è spietata e illimitata.
Era compiuta in pubblico. I
soldati facevano denudare il condannato e lo
legavano, per i
polsi, ad un sostegno elevato, in modo da
poggiare al suolo appena con la punta dei piedi, e offrire al boia sia il dorso che il petto.
Così fecero con Gesù.
E
cominciò il supplizio tremendo del “flagellum”: ossia una robusta frusta composta di molte
funicelle di cuoio, aventi alle estremità piccoli ossi quadrati,
e il tutto appesantito da palline di piombo; e giù, colpi sopra colpi,
spietatamente, sul pallido corpo di
Gesù.
Alle lividure del collo,
della schiena, dei fianchi, delle braccia e delle gambe, succedono
ben presto le piaghe sanguinolenti. Il flagellato diventava tutta una piaga, ed era irriconoscibile.
Tutti ravvedono nella flagellazione romana - insieme all’agonia nel Getsemani e alla crocifissione - i momenti più terribili della Passione di Gesù.
I flagellatori furono almeno due. Quanti i colpi? [Nelle Rivelazioni
di santa Brigida si fa il numero 5475, altri dicono 5480 ].
Sulla Sindone se ne
contano un centinaio: oltre quaranta sferzate
di una frusta che portava due cappi. Perciò il sangue sgorgava sempre più
abbondante. Erano solchi di sangue
che si intrecciavano e colavano
sul lastricato.
Quando Lo slegarono certamente Gesù cadde svenuto.
I soldati non si fermarono nella loro crudeltà. “Intrecciata una corona di spine, Gliela conficcarono sul capo, e Lo vestirono con
un manto purpureo; quindi Gli venivano avanti e Gli dicevano: “Salve,
re dei Giudei!”, e Gli davano schiaffi”.
Sappiamo bene quanto sanguini una
ferita alla testa. E Gesù
ne ebbe decine di ferite dalla fronte alla nuca, da una tempia all’altra. La densità dell’emorragia è testimoniata dalla stessa Sindone di cui dicevamo sopra.
“Dalla pianta dei piedi
alla testa, non c’è in esso una parte illesa, ma ferite e lividure e piaghe aperte, che non sono state ripulite, né
fasciate, né curate con olio” (Is 1, 6), eppure “è da quei lividi che noi fummo guariti” (1 Pt
2, 24).
Pilato uscì di nuovo e
dice: “Ecco, ve Lo conduco fuori, perché sappiate che non trovo
in Lui nessun motivo di condanna”.
Allora Gesù uscì, portando la corona di
spine e il manto di porpora. Pilato
dice loro: “Ecce
homo! ECCO L’UOMO!”
E Gesù, nel suo silenzio
divino, li guarda con dolore e amore sviscerato. Appena Lo videro, i sommi sacerdoti
e le guardie gridarono e fecero gridare:
“CrocifiggiLo! CrocifiggiLo!”.
Disse loro Pilato: “PrendeteLo voi e crocifiggeteLo! Io non trovo in Lui
nessuna colpa”.
Gli risposero i Giudei: “
Noi abbiamo una legge, e secondo questa legge
deve
morire, poiché si è fatto Figlio
di Dio”.
Ponzio Pilato, al sentire
queste parole, si impaurì più che mai. In quel mentre ricevé anche un messaggio, da parte della moglie, in cui ella
gli intimava: “Non immischiarti negli affari di quel giusto, perché io oggi
in sogno sono stata stranamente tormentata
a suo riguardo”.
Era
un’ispirazione del cielo, si può dire, che voleva concorrere a chiarire le idee di Pilato, ma inutilmente.
Rientrato di nuovo nel
pretorio, il governatore chiese a Gesù: “Di dove sei?”. Ma Gesù non gli dette risposta. Gli disse dunque Pilato: “Non mi
parli? Non sai che
io ho il potere di metterti in libertà e il potere di
metterti in croce?”.
Gesù rispose: “Tu non
avresti nessun potere su di Me, se non ti fosse stato dato dall’alto. Per questo chi Mi ha consegnato a te ha un peccato
più grande”.
Furono queste le ultime
parole di Gesù, prima di essere condannato. Sono parole di
totale obbedienza all’autorità, anche se palesemente ingiusta nelle sue decisioni. Aveva insegnato: “Fate e osservate tutto quello
che vi dicono, ma non fate secondo le loro opere ...” (Mt 23,3).
“Da quel momento Pilato cercava di liberarLo. Ma i giudei gridarono: “Se liberi
costui, non sei amico di Cesare. Chiunque infatti si fa re si mette
contro Cesare”.
Per le astute e false
parole, gridate dagli anziani e capi del popolo d’Israele, Pilato si intimorisce ancor più. Pensa a
tutte le complicazioni che possono sorgere da
un gesto di vera bontà. La paura, poi, di perdere il posto di governatore della Giudea gioca un ruolo determinante. Pur sapendo che per quelle belve ci voleva il pugno di Roma, egli non l’usò e, nella sua debolezza, soffocò la voce interiore
e calpestò ogni giustizia.
Era il venerdì 7 d'aprile che
precedeva la solennità di Pasqua, circa mezzogiorno. Pilato, presente Gesù, salì sul trono e si sedette e, presa dell’acqua, si lavò le mani dinanzi alla folla dicendo:
“Sono innocente di questo sangue,
vedetevela voi!”.
E tutto il popolo disse: “Il suo sangue ricada su di noi e sui nostri
figli! Via!Via! CrocifiggiLo!”
Pilato dice: “Crocifiggerò il vostro re?”
Risposero: “Non abbiamo re se non Cesare”.
Allora Pilato decretò
solennemente che — secondo la richiesta della folla — l’omicida Barabba fosse loro rilasciato, e Gesù fosse crocifisso.
*
Mentre 1’ingrata folla
tumultua per la vittoria ottenuta, Gesù è sotto il sole, guardato a vista dai soldati,
ed attende la croce. Era questo lo strumento di supplizio per eseguire le condanne capitali, che da
tempo i Romani ufficialmente adottavano.
La croce è uno strumento che prolunga 1’agonia e dà alla morte una terribile spettacolarità.
Questa fu la morte che il
Padre aveva previsto per il Figlio, e che il Figlio accettò in perfetta coscienza
e obbedienza.
Pronunciata che fu la
condanna, mentre l’Apostolo prediletto Giovanni corre al
Cenacolo a prendere la Madre per condurLa al
Figlio, i Giudei - nonostante la vigilanza dei Romani - si accaniscono contro il divino Innocente.
“Gesù, portandosi la croce,
uscì verso il luogo detto del Cranio, che in ebraico si dice Golgota, dove Lo crocifissero e con Lui altri due, uno di
qua e uno di là, Gesù nel mezzo”.
Ora Pilato scrisse anche un
cartello e lo fece porre sulla croce. C’era scritto: “GESU’ IL NAZARENO - IL
RE DEI GIUDEI”. [ I.N.R.I. ]
Molti giudei lessero questo cartello scritto
in ebraico, latino e greco, e protestarono
chiedendo fosse sostituito con un altro
su cui fosse scritto: “Sono il re dei giudei”. Ma Pilato rispose:
“Quel che ho scritto, ho scritto” (Gv 19, 17ss.)
Questo dice, con certa
sobrietà di dettagli, la sacra Scrittura sul processo e crocifissione di Gesù Cristo.
Sappiamo che con Gesù ci
sono altri due condannati. L’odio però era tutto per Gesù. Il plotone romano faticò non poco per difendere il
condannato dal pazzo furore di quanti
volevano colmare la misura già colma.
Gesù, già sfinito dalla
terribile agonia del Getsemani, doppiamente sfinito dalla
flagellazione e dalla coronazione di
spine, e ora con sulle spalle piagate il
legno della croce —
di circa quattro metri di
lunghezza e oltre mezzo quintale di peso —
doveva per forza di cose
muoversi a stento, inciampare quasi ad ogni passo, e cadere.
Difatti la tradizione parla
di Gesù che cade nel doloroso
cammino per ben tre volte, una caduta
più dolorosa dell’altra.
La stessa tradizione ci
dice che Gesù incontra uno sparuto gruppo di pie donne che coraggiosamente vogliono consolarLo come possono. Una
di esse, una certa Veronica, Gli
porge un lino, perché vi trovi ristoro detergendosi il Santo Volto, e Gesù vi stampa la sua effigie. Oh, beato chi,
come Veronica, sa guardare e capire, ed asciugare col suo amore il Volto sanguinante del suo Dio!
Gesù ringrazia sorridendo a tutte, però aggiunge anche di piangere non tanto su di Lui quanto sui loro peccati e quelli della città.
Il cammino, ormai tutto in salita,
si fece aspro. Il centurione romano capì che Gesù — tutto febbricitante e ridotto a una sola piaga — non ce l’avrebbe fatta fino
alla vetta del monte, e perciò requisì un uomo di Cirene della Libia Africana, di nome Simone, che tornava dal lavoro dei
campi insieme ai figli Alessandro e Rufo, e lo costrinse a caricarsi della croce, perché la portasse dietro a Gesù.
Simone di Cirene, se
dapprima la portò per un meschino interesse, ben presto finì per abbracciarla con sentimenti di vera pietà e compassione del Condannato.
Intanto, la Vergine Madre,
con l’Apostolo prediletto e altre pie donne, sorretta più dall’amore che dalle forze, andò incontro al divin Figlio
sulla via dolorosa.
Ogni luogo di supplizio non è certo un luogo adatto per una madre. Ma Maria Santissima, oltre ad essere la
Madre di Dio, è la Madre dell’uomo peccatore, per il quale doveva sacrificare il
Figlio, venuto al mondo per offrirsi vittima di soave odore e riscattarci dalla maledizione della
legge (cf Gal 3, 13).
L’ora di questo olocausto era suonata.
La presenza della Madre,
accanto ad ogni figlio, è sempre di grande conforto. Ella corre, corre e, pur esausta,
non vuole mancare. Fu come
tuffarsi in un
La sua amorosa presenza è
conforto per Gesù che “si è caricato delle nostre sofferenze e si è addossato i
nostri dolori” (Is 53,4), ed è anche espressione del suo
materno assenso al sacrificio redentore dell’Agnello senza difetti e senza macchia.
Una parola di bontà è
balsamo nel dolore. Nell’incontro doloroso, la Madre chiamò il Figlio e il Figlio la Madre. Bastò un solo sguardo per
unire e fondere pensieri e cuori in un unico Cuore grande più
del mondo.
Se 1’amore aggiunse tormento e lacrime, certamente aggiunse anche forza per continuare
a soffrire senza un lamento:
Gesù nella carne e Maria nel cuore.
Le “due” vittime erano
ormai pronte per l’immolazione. La fiumana del1’odio e della bestemmia avvolse il Figlio e la
Madre, ma l’amore, che purifica, espia e redime,
vinse.
Gesù finalmente giunse in cima al monte dove tutto era
pronto, perché cominciasse la parte più orrenda della condanna.
“Gli diedero da bere vino aromatizzato con fiele e mirra; ma Egli, gustatolo, non ne volle bere”.
Il momento è solenne. Gesù, il Figlio di Dio, il solo giusto, più mansueto di un agnello, si lascia inchiodare sulla croce. Allora “si fece buio su tutta la terra”. Con Gesù crocifiggono i due ladroni, uno alla destra e uno alla sinistra.
Dopo averLo crocifisso, Lo sollevano tra cielo e terra. La croce è issata e fissata nella buca già pronta.
“O voi tutti che passate per
la via, considerate e osservate, se c’è un dolore simile al mio dolore, al dolore che ora mi tormenta .. .” (Lam 1, 12).
“La Vergine Madre vide, con amorosa finezza materna, tutto il raccapricciante e progressivo rigonfiarsi dei vasi sanguigni per il congestionamento della circolazione in seguito all’ipertensione delle membra.
Vide le giunture, i muscoli, le piaghe stirate dalla tremenda tensione. Vide quelle dita divine spasmodicamente contratte per le lesioni provocate dai chiodi;
vide su quelle ferite, su quella carne viva
avventarsi in pieno meriggio, e sul volto e sugli occhi, insomma nelle
parti più sensibili, nugoli di insetti come su di un cadavere, senza alcun moto di
difesa” (P.C. Landucci).
L’agonia di Gesù si protrasse fino alle tre del pomeriggio. Tre ore di atrocissimo martirio fisico, morale e spirituale.
CONTINUA
seconda parte del capitolo 20