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sabato 6 novembre 2021

IL VALORE DEL MESSALE ANTICO - Papa Benedetto XVI e la liturgia.

 


Papa Benedetto XVI e la liturgia.

8 Giugno 2008Messa, Ore Liturgiche...

Del prof. Davide Ventura. Da: L\’eco dell\’eremo della Beata Vergine del Soccorso – Minucciano. Il valore del messale antico e il “Motu proprio” Summorum Pontificum. L’abbandono della bellezza. “Actuosa participatio”. Il problema della lingua liturgica. Versus orientem. Unità nella diversità.


L’abbandono della bellezza
Delineato a sufficienza il “trauma” ecclesiale determinato dalla abolizione forzata delle forme tradizionali, rimane da esaminare nel dettaglio i principali elementi che le parole del Papa chiamano “deformazioni arbitrarie della liturgia” intervenute in quegli anni.
Vi è in primo luogo il fattore estetico e artistico. È noto come nei secoli la Chiesa abbia tributato culto a Dio anche tramite l’impiego delle migliori e più magnifiche forme di espressione artistica, non accontentandosi delle esistenti, ma suscitando dal suo interno continuamente nuovi stili di espressione del bello e del sublime.
Durante l’ultimo mezzo secolo (con consistenti anticipi anteriori) si è invece manifestata all’interno della Chiesa l’opposta tendenza alla semplificazione delle forme estetiche, all’insegna della “povertà” del culto, nella presupposizione che il “trionfalismo” delle forme artistiche, figurative, architettoniche e sonore, non farebbe che ricoprire e falsare la vera natura della liturgia.


Ora, per Benedetto XVI “«l\’abbandono della bellezza» si è dimostrato, alla prova dei fatti, un motivo di sconfitta pastorale” (Rapporto sulla fede, p. 132). Il testo continua: “È divenuto sempre più percepibile il pauroso impoverimento che si manifesta dove si scaccia la bellezza e ci si assoggetta solo all\’utile. L\’esperienza ha mostrato come il ripiegamento sull\’unica categoria del «comprensibile a tutti» non ha reso le liturgie davvero più comprensibili, più aperte, ma solo più povere. Liturgia «semplice» non significa misera o a buon mercato: c\’è la semplicità che viene dal banale e quella che deriva dalla ricchezza spirituale, culturale, storica”.


Per quanto il Papa abbia dedicato pagine notevoli alla iconografia e alla architettura religiosa, è soprattutto la musica sacra che attira la sua attenzione come insostituibile veicolo di reale partecipazione liturgica. Il testo citato sopra continua: “Si è messa da parte la grande musica della Chiesa in nome della «partecipazione attiva»: ma questa «partecipazione» non può forse significare anche il percepire con lo spirito, con i sensi? Non c\’è proprio nulla di «attivo» nell\’ascoltare, nell\’intuire, nel commuoversi? Non c\’è qui un rimpicciolire l\’uomo, un ridurlo alla sola espressione orale, proprio quando sappiamo che ciò che vi è in noi di razionalmente cosciente ed emerge alla superficie è soltanto la punta di un iceberg rispetto a ciò che è la nostra totalità? 

Chiedersi questo non significa certo opporsi allo sforzo per far cantare tutto il popolo, opporsi alla «musica d\’uso»: significa opporsi a un esclusivismo (solo quella musica) che non è giustificato né dal Concilio né dalle necessità pastorali”. E ancora: “Una Chiesa che si riduca solo a fare della musica «corrente» cade nell\’inetto e diviene essa stessa inetta. La Chiesa ha il dovere di essere anche «città della gloria», luogo dove sono raccolte e portate all\’orecchio di Dio le voci più profonde dell\’umanità. La Chiesa non può appagarsi del solo ordinario, del solo usuale: deve ridestare la voce del Cosmo, glorificando il Creatore e svelando al Cosmo stesso la sua magnificenza, rendendolo bello, abitabile, umano”.

Actuosa participatio”
Come ricordato in quest’ultimo testo, il concilio Vaticano II ha in più riprese richiesto una “actuosa participatio”, una “partecipazione attiva” dei fedeli al culto. Come si sa, questo è stato di solito interpretato nel senso di una condanna al preteso ruolo “passivo” a cui la liturgia tradizionale avrebbe relegato i fedeli. La frase sopra citata, “Non c\’è proprio nulla di «attivo» nell\’ascoltare, nell\’intuire, nel commuoversi?”, rivela chiaramente il pensiero del Papa in merito. Più notevoli ancora, e in parte sorprendenti, sono le righe che leggiamo in “Introduzione allo spirito della liturgia” a p. 167: “In che cosa consiste, però, questa partecipazione attiva? Che cosa bisogna fare? Purtroppo questa espressione è stata molto presto fraintesa e ridotta al suo significato esteriore, quello della necessità di un agire comune, quasi si trattasse di far entrare concretamente in azione il numero maggiore di persone possibile il più spesso possibile. La parola «partecipazione» rinvia, però, a un’azione principale, a cui tutti devono avere parte”. Quale sarà dunque in realtà questa “actio”, questa azione a cui tutta l’assemblea è chiamata, ora come sempre, a partecipare? 

Come accenna il Papa, si sa che di solito si è dato a questa domanda la risposta pratica di moltiplicare e distribuire a quante più persone possibile i servizi paraliturgici durante la celebrazione: vi è chi accende le candele e chi le spegne, chi bada all’acqua e chi al vino, chi legge il profeta e chi l’epistola, chi canta il salmo e chi il Gloria; la preghiera dei fedeli deve vedersi alternare una persona diversa per ogni invocazione, e la processione dell’offertorio deve a volte somigliare a un corteo. Non così per il Papa. Continua il testo citato: “Con il termine «actio», riferito alla liturgia, si intende nelle fonti il canone eucaristico. La vera azione liturgica, il vero atto liturgico, è la oratio: la grande preghiera, che costituisce il nucleo della celebrazione liturgica e che proprio per questo, nel suo insieme, è stata chiamata dai Padri con il termine oratio. […] 

Questa oratio – la solenne preghiera eucaristica, il «canone» – è davvero più che un discorso, è actio nel senso più alto del temine. In essa accade, infatti, che l’actio umana (così come è stata sinora esercitata dai sacerdoti nelle diverse religioni) passa in secondo piano e lascia spazio all’actio divina, all’agire di Dio. […] Ma come possiamo noi avere parte a questa azione? […] noi dobbiamo pregare perché (il sacrificio del Logos) diventi il nostro sacrificio, perché noi stessi, come abbiamo detto, veniamo trasformati nel Logos e diveniamo così vero corpo di Cristo: è di questo che si tratta”. Qui, all’interno della fornace ardente che è il centro stesso della fede cristiana, siamo realmente a miglia di distanza dalle interpretazioni sociologiche banalizzanti di cui si diceva. E infatti prosegue il Papa: “La comparsa quasi teatrale di attori diversi, cui è dato oggi di assistere soprattutto nella preparazione delle offerte, passa molto semplicemente a lato dell’essenziale. Se le singole azioni esteriori (che di per sé non sono molte e che vengono artificiosamente accresciute di numero) diventano l’essenziale della liturgia e questa stessa viene degradata in un generico agire, allora viene misconosciuto il vero teodramma della liturgia, che viene anzi ridotto a parodia”.


Il problema della lingua liturgica
Chi abbia poco frequentato i testi (invero voluminosi) del concilio Vaticano II, è di solito persuaso che esso abbia decretato la soppressione della lingua latina nella Messa a favore di quella volgare. Si resta perciò colpiti nel leggere, all’inizio del punto 36 della costituzione dogmatica Sacrosanctum Concilium, la perentoria affermazione: “L\’uso della lingua latina, salvo diritti particolari, sia conservato nei riti latini (cioè salvo che nei riti orientali, N.d.R.)”. La medesima costituzione delimita con precisione il possibile ambito della lingua volgare: “Dato però che, sia nella Messa che nell\’amministrazione dei sacramenti, sia in altre parti della liturgia, non di rado l\’uso della lingua nazionale può riuscire di grande utilità per il popolo, si conceda alla lingua nazionale una parte più ampia, specialmente nelle letture e nelle ammonizioni, in alcune preghiere e canti, secondo le norme fissate per i singoli casi nei capitoli seguentiIl successivo punto 54, dopo aver ripreso tali possibili concessioni, definisce che “si abbia cura però che i fedeli sappiano recitare e cantare insieme, anche in lingua latina, le parti dell\’ordinario della messa che spettano ad essiÈ del tutto evidente che i Padri conciliari, nell’approvare questo testo, non avevano minimamente l’intenzione di provocare la totale o quasi scomparsa della lingua latina dalla liturgia, cosa che invece accadde ben presto.


Non valendo per i chierici, che si supponeva ovviamente istruiti nella antica lingua liturgica, il problema di comprensibilità dei riti, la medesima costituzione conciliare afferma perentoriamente al punto 101: “Secondo la secolare tradizione del rito latino, per i chierici sia conservata nell\’ufficio divino la lingua latina”. Come è noto, anche questa richiesta del concilio è stata quasi immediatamente e totalmente disattesa.


Nella già menzionata intervista del 5 settembre 2003, l’allora cardinal Ratzinger chiarisce in merito il suo pensiero. “In generale”, dichiara, “io penso che tradurre la liturgia nelle lingue parlate sia stata una cosa buona, perché dobbiamo capirla, dobbiamo prendervi parte anche con il nostro pensiero, ma una presenza più marcata di alcuni elementi latini aiuterebbe a dare una dimensione universale, a far sì che in tutte le parti del mondo si possa dire: «io sono nella stessa Chiesa». Perciò in generale, le lingue parlate sono una soluzione. Ma una qualche presenza del latino potrebbe essere utile per avere una maggiore esperienza di universalità.


In “Dio e il mondo”, p. 381, dice: “Oggi il latino nella Messa ci pare quasi un peccato. Ma così ci si preclude anche la possibilità di comunicare tra parlanti di lingue diverse, che è così preziosa in territori misti”.
Oltre alla lingua latina, anche un’altra lingua liturgica comune è caduta, salvo qualche eccezione, sotto i colpi delle riforme postconciliari: la lingua del silenzio. Nella liturgia tradizionale, offertorio e canone eucaristico formavano grandi zone di silenzio sacro, in cui il sacerdote celebrava sottovoce di fronte all’altare, mentre il popolo accompagnava l’azione in silenzio orante. Come si è visto, sotto i colpi della interpretazione sociologica della “actuosa participatio” questo sacro silenzio si è ridotto a una breve pausa durante l’elevazione.
Nel più volte citato e fondamentale “Introduzione allo spirito della liturgia”, a p. 210-211, l’allora cardinale scrive: “Con disgusto di molti liturgisti nel 1978 avevo sostenuto che non è affatto detto che tutto il canone deve essere pronunciato a voce alta. Dopo averci riflettuto, vorrei ripeterlo ancora una volta con forza, nella speranza che dopo vent’anni questa tesi possa trovare un po’ di comprensione. […] Non è affatto vero che la recitazione ad alta voce, ininterrotta, della preghiera eucaristica sia la condizione per la partecipazione di tutti a questo atto centrale della celebrazione eucaristica. La mia proposta di allora era: da una parte l’educazione liturgica deve far sì che i fedeli conoscano il significato essenziale e l’indirizzo fondamentale del canone; dall’altra, le prime parole delle singole preghiere dovrebbero essere pronunciate a voce alta come un invito a tutta la comunità, così che, poi, la preghiera silenziosa di ciascuno faccia propria l’intonazione e possa portare la dimensione personale in quella comunitaria, quella comunitaria nella dimensione personale. Chi ha personalmente vissuto l’unità della Chiesa nel silenzio della preghiera eucaristica ha sperimentato che cos’è il silenzio davvero pieno, che rappresenta insieme un forte e penetrante grido rivolto a Dio, una preghiera colma di spirito”.

Versus orientem
L’attuale Papa ha sempre sostenuto, con numerosi interventi orali e scritti, il carattere arbitrario, contrario a una tradizione risalente ai tempi apostolici e pastoralmente poco produttivo, dell’orientamento verso il popolo del celebrante. Fino all’antichità cristiana più remota risale invece il fatto liturgico del comune orientamento di assemblea e celebrante, orientamento che – secondo la stessa etimologia del termine – era rivolto ad oriente, verso la direzione del sole nascente, simbolo del Cristo e della sua futura, definitiva venuta.
Nella citata intervista del 5 settembre 2003 l’allora cardinale Ratzinger afferma: “«Versus orientem», direi che potrebbe essere un aiuto, perché si tratta realmente di una tradizione dei tempi apostolici. Non è solo una norma, ma è anche l’espressione della dimensione cosmica e della dimensione storica della liturgia. Noi celebriamo con il cosmo, con il mondo. È la direzione del futuro del mondo, della nostra storia rappresentata dal sole e dalle realtà cosmiche. Io penso che oggi questa nuova scoperta del nostro rapporto con il mondo creato può essere capita anche dalla gente, forse meglio di 20 anni fa. E ancora, si tratta di una direzione comune – prete e popolo orientati insieme verso il Signore. Per questo penso che potrebbe essere un aiuto. Da sempre, i gesti esteriori non sono semplicemente un rimedio in se stessi, ma possono essere un aiuto, perché si tratta della classica interpretazione di cos’è la direzione nella liturgia”.
Un intero capitolo di “Introduzione allo spirito della liturgia” è dedicato a questo problema. Vi si legge ad esempio: “Al di là di tutti i cambiamenti, una cosa è rimasta chiara per tutta la cristianità, fino al secondo millennio avanzato: la preghiera rivolta a oriente è una tradizione che risale alle origini ed è espressione fondamentale della sintesi cristiana di cosmo e storia, di attaccamento alla unicità della storia della salvezza e di cammino verso il Signore che viene” (p. 70-71).
Si dà di solito una duplice motivazione dell’innovazione consistente nell’orientamento del sacerdote verso il popolo: in primo luogo, egli rappresenterebbe Cristo nell’ultima cena seduto a tavola dirimpetto agli Apostoli; in secondo luogo, le grandi basiliche romane, e in primis San Pietro, sono rivolte verso occidente: il celebrante, se voleva volgersi a oriente durante la preghiera, doveva perciò guardare verso l’ingresso, e quindi verso il popolo. 

Nel testo sopra citato, il cardinal Ratzinger rivolge queste osservazioni a tali tesi, citando a sua volta e facendo proprio il testo di L. Bouyer “Architettura e liturgia”: “È evidente che in questo modo si è frainteso il senso della basilica romana e della disposizione dell’altare al suo interno. […] Cito in proposito, ancora una volta Bouyer: «Prima di quella data (cioè prima del secolo XVI) non abbiamo mai e da nessuna parte la benché minima indicazione che si sia attribuita qualche importanza o solo anche qualche attenzione al fatto che il presbitero celebrasse con il popolo davanti a sé oppure dietro a sé. Come ha dimostrato Cyrille Vogel, l’unica cosa su cui si sia veramente insistito e di cui sia fatta menzione è che egli doveva dire la preghiera eucaristica, al pari di tutte le altre preghiere, rivolto verso oriente … Anche quando l’orientamento della Chiesa permetteva al celebrante di pregare rivolto verso il popolo allorché era all’altare, non era solo il presbitero a doversi volgere verso oriente: era l’assemblea intera che lo faceva insieme a lui”.


Quanto all’Ultima Cena, si legge: “In nessun pasto dell’inizio dell’era cristiana il presidente di un’assemblea di commensali stava di fronte agli altri partecipanti. Essi stavano tutti seduti, o distesi, sul lato convesso di una tavola a forma di sigma. Da nessuna parte, dunque, nell’antichità cristiana, sarebbe potuta venire l’idea di mettersi di fronte al popolo per presiedere un pasto. Anzi, il carattere comunitario del pasto era messo in risalto proprio dalla disposizione contraria, cioè dal fatto che tutti i partecipanti si trovassero dallo stesso lato della tavola”.
In ogni caso, l’autore si prende immediatamente cura di segnalare che secondo la dottrina cattolica l’immagine del “pasto” e del “banchetto” è totalmente insufficiente a determinare la natura della celebrazione eucaristica. Per l’allora cardinale “il Signore ha indubbiamente istituito la novità del culto cristiano nell’ambito di un banchetto pasquale ebraico, ma ci ha comandato di ripeter questa novità, non il banchetto come tale”.


All’atto pratico, l’effetto più notevole della modifica apportata è di aver reso il sacerdote (e non più Dio) il centro della celebrazione. “Tutto termina su di lui. È lui cui bisogna guardare, è alla sua azione che si prende parte, è a lui che si risponde; è la sua creatività a sostenere l’insieme della celebrazione […]. L’attenzione è sempre meno rivolta a Dio ed è sempre più importante quello che fanno le persone […]. Il sacerdote rivolto al popolo dà alla comunità l’aspetto di un tutto chiuso in se stesso. Essa non è più – nella sua forma – aperta in avanti e verso l’alto, ma si chiude su se stessa. L’atto con cui ci si rivolgeva tutti verso oriente non era «celebrazione verso la parete», non significava che il sacerdote «volgeva le spalle al popolo»: egli non era poi considerato così importante” (p. 76 del testo cit.). Insomma “si è così introdotta una clericalizzazione quale non si era mai data in precedenza” – in stridente contrasto con i fini dichiarati della riforma.


Vale la pena di sottolineare che le righe citate poco sopra, in cui l’attuale Papa disapprova la riduzione della celebrazione eucaristica a memoria di una cena, vanno a toccare tutto l’argomento della svalutazione dell’aspetto sacrificale proprio dell’eucaristia, svalutazione portata avanti da molti ambienti nel postconcilio. 

Nel citato libro-intervista “Rapporto sulla fede” leggiamo: “La Messa non è solamente un pasto tra amici, riuniti per commemorare l\’ultima cena del Signore mediante la condivisione del pane. La messa è il sacrificio comune della Chiesa, nel quale il Signore prega con noi e per noi e a noi si partecipa. È la rinnovazione sacramentale del sacrificio di Cristo”. La presenza reale del Signore nelle specie consacrate genera poi del tutto legittimamente forme di culto eucaristico anche esterne al rito della Messa: “Si è dimenticato che l\’adorazione è un approfondimento della comunione. Non si tratta di una devozione «individualistica» ma della prosecuzione o della preparazione del momento comunitario. Bisogna poi continuare in quella pratica, così cara al popolo (a Monaco di Baviera, quando la guidavo, vi partecipavano decine di migliaia di persone) della processione del Corpus Domini. Anche su questa gli «archeologi» della liturgia hanno da ridire, ricordando che quella processione non c\’era nella Chiesa romana dei primi secoli. Ma ripeto qui quanto già dissi: al sensus fidei del popolo cattolico deve essere riconosciuta la possibilità di approfondire, di portare alla luce, secolo dopo secolo, tutte le conseguenze del patrimonio che gli è affidato”.

Unità nella diversità
Abbiamo seguito i dettagli di una riforma liturgica che, secondo papa Benedetto XVI, non ha rispettato al meglio le richieste del concilio Vaticano II. Nelle parole del Papa che abbiamo riportato sono emerse varie proposte concrete di revisione della riforma: reintroduzione della celebrazione verso oriente, valorizzazione del sacro silenzio nel canone eucaristico, maggior spazio alla lingua liturgica universale e al canto gregoriano – e si tratta sempre di punti che vanno nella direzione di una maggiore aderenza all’ultimo concilio, nello spirito da più parti richiamato di una “riforma della riforma”. Un altro punto caldeggiato nei suoi scritti precedenti l’elezione papale, cioè la liberalizzazione dell’antica liturgia, è oggi in via di compimento per impulso del suo motu proprio Summorum Pontificum. Quale dovrebbe essere dunque l’evoluzione della riforma liturgica secondo il Papa? I due filoni menzionati sono infatti ben distinti: Benedetto XVI mira a una restaurazione dell’antica liturgia, ovvero punta a rettificare la liturgia esistente? Il Papa stesso non ha mancato di accennare una risposta a questa fondamentale questione. 

Ne “Il sale della terra”, p. 200, in replica a una domanda sulla opportunità di restaurare il rito tradizionale, il futuro Benedetto XVI risponde: “Da sola, questa non è una soluzione. […] un semplice ritorno all\’antico non è una soluzione. La nostra cultura si è così trasformata negli ultimi trent\’anni che una liturgia celebrata esclusivamente in latino comporterebbe un\’esperienza di estraniamento insuperabile per molte persone. Quello di cui abbiamo bisogno è una nuova educazione liturgica, soprattutto dei sacerdoti. […] I luoghi dove la liturgia viene celebrata senza fronzoli e in modo riverente esercitano notevole forza di attrazione, anche se non si capisce ogni suo singolo elemento. Abbiamo bisogno di luoghi come questi, capaci di offrire dei modelli”. Indietro non si torna. Piaccia o meno, l’atteggiamento che prevede la pura e semplice restaurazione del passato non è in sintonia con l’intenzione del Papa. I motivi allegati sono stringenti: un conto è non piegarsi a concessioni eccessive e gratuite all’attualità, un altro è il non accorgersi dei devastanti mutamenti culturali sopraggiunti dagli anni dell’ultimo concilio in poi. In un altro luogo Papa Benedetto XVI rammenta come, da professore in Germania, poteva ancora permettersi di citare passi in latino all’uditorio studentesco certo di essere compreso; adesso non più.

Si tratta dunque di prendere in esame la liturgia riformata, espungerne gli abusi mano a mano introdotti, e ricondurla nell’alveo delle intenzioni espresse a chiare lettere dal concilio Vaticano II. Qual è in tale progetto il ruolo della restituzione all’uso della liturgia tradizionale? 

Lo stesso Pontefice lo spiega nella lettera di accompagnamento al motu proprio Summorum Pontificum scritta ai vescovi: “Le due forme dell’uso del Rito Romano possono arricchirsi a vicenda: nel Messale antico potranno e dovranno essere inseriti nuovi santi e alcuni dei nuovi prefazi. La Commissione «Ecclesia Dei» in contatto con i diversi enti dedicati all’«usus antiquior» studierà le possibilità pratiche. Nella celebrazione della Messa secondo il Messale di Paolo VI potrà manifestarsi, in maniera più forte di quanto non lo è spesso finora, quella sacralità che attrae molti all’antico uso. La garanzia più sicura che il Messale di Paolo VI possa unire le comunità parrocchiali e venga da loro amato consiste nel celebrare con grande riverenza in conformità alle prescrizioni; ciò rende visibile la ricchezza spirituale e la profondità teologica di questo Messale”. 

La evoluzione “organica” delle due forme del rito romano deve dunque, per il Papa, riprendere di nuovo. Ed esse possono influenzarsi a vicenda: la forma tradizionale dovrà compiere gli aggiornamenti minimali (ad esempio circa il calendario liturgico) richiesti dal suo essere rimasta cristallizzata per quarantacinque anni. E soprattutto la forma riformata potrà e dovrà riconoscere nella forma antica un polo di attrazione, una norma a cui ispirarsi per tornare gradualmente nell’alveo della medesima evoluzione organica da cui gli anni della sperimentazione estrema l’avevano fatta uscire.


Le due forme potranno poi in futuro confluire in una – il Papa lascia aperta questa eventualità. Ma se anche non dovessero farlo, molte dichiarazioni passate e presenti dello stesso Pontefice lasciano capire che un certo pluralismo liturgico – pur nell’unità di fondo del rito – non sarebbe un male. Anzi, tale situazione di pluralismo si è sempre data all’interno del rito latino, senza minimamente danneggiare il culto: “Prima di Trento, la Chiesa ammetteva nel suo seno una diversità di riti e di liturgie. I Padri tridentini imposero a tutta la Chiesa la liturgia della città di Roma, salvaguardando, tra le liturgie occidentali, solo quelle che avessero più di due secoli di vita. È il caso, ad esempio, del rito ambrosiano della diocesi di Milano. Se potesse servire a nutrire la religiosità di qualche credente, a rispettare la pietas di certi settori cattolici, sarei personalmente favorevole al ritorno alla situazione antica, cioè a un certo pluralismo liturgico” (Rapporto sulla fede, cap. 9).


Nel già citato discorso tenuto a Roma, presso l\’Hotel Ergife il 24 ottobre 1998, in occasione delle celebrazioni per i dieci anni del Motu proprio "Ecclesia Dei", il futuro Papa Benedetto pronuncia le seguenti parole, che citiamo per esteso a conclusione di queste pagine: “C\’è una pericolosa tendenza a minimizzare il carattere sacrificale della Messa e ad indurre alla sparizione del mistero e del sacro con il pretesto – un pretesto asserito imperativo – che in questo modo ci si fa comprendere meglio. Infine si percepisce la tendenza a frammentare la liturgia, mettendo arbitrariamente in rilievo il suo carattere comunitario e conferendo all\’assemblea il potere di decidere riguardo alla celebrazione.


Esiste anche, fortunatamente, una certa avversione per un razionalismo pieno di banalità e per un pragmatismo di certi liturgisti, siano essi dei teorici o dei pratici, e si constata un ritorno al mistero, all\’adorazione, al sacro e al carattere cosmico ed escatologico della liturgia, come sottolineato dalla "Oxford Declaration on the Liturgy" del 1996. Occorre riconoscere, d\’altra parte, che la celebrazione della vecchia liturgia aveva perduto molto, rifugiandosi nell\’individualismo e nel privato, e che la comunione fra sacerdote e popolo era insufficiente. Ho grande rispetto per i nostri vecchi che durante la Messa bassa recitavano le orazioni contenute nei loro libri di preghiere, ma non si può certo considerare questo come l\’ideale di una celebrazione liturgica. Forse, queste riduzioni delle forme celebrative sono la vera ragione per cui in molti paesi la scomparsa dei vecchi libri liturgici non ha avuto peso e la loro perdita non ha causato dolore. Non c\’era mai stato, infatti, un contatto con la liturgia in sé. D\’altra parte, là dove il Movimento liturgico aveva suscitato un certo amore per la liturgia e aveva anticipato le idee essenziali del Concilio – come, ad esempio, la partecipazione di tutti nella preghiera all\’azione liturgica — proprio lì è stato maggiore il dolore, di fronte ad una riforma intrapresa troppo frettolosamente e spesso limitata all\’esteriorità. Là dove, invece, il Movimento liturgico non è mai esistito la riforma non ha sollevato, in un primo tempo, dei problemi. Questi sono sorti solo sporadicamente là dove il mistero sacro ha ceduto il posto ad una creatività selvaggia.


Per questo è molto importante osservare i principi essenziali della «Costituzione sulla sacra liturgia», che ho ricordati sopra, anche quando si celebra con il vecchio Messale. Nel momento in cui questa liturgia tocca profondamente i fedeli con la sua bellezza e ricchezza, allora essa sarà amata e non la si porrà più in contrapposizione inconciliabile con la nuova liturgia, purché i criteri siano fedelmente applicati secondo i desideri del Concilio.
Continueranno ad esistere, certamente, accenti spirituali e teologici differenti: non saranno due modi opposti di essere cristiani ma, al contrario, patrimonio della stessa ed unica fede.
Quando, pochi anni fa, qualcuno ha proposto «un nuovo movimento liturgico» per evitare che le due forme liturgiche si distanziassero troppo fra loro e per portare a frutto la loro intima convergenza, alcuni amici della vecchia liturgia hanno espresso il timore che questo fosse solo uno stratagemma o un trucco per ottenere finalmente la completa eliminazione della vecchia liturgia. Queste preoccupazioni e queste paure debbono finire! Se l\’unità della fede e l\’unicità del mistero appaiono chiaramente in entrambe le forme di celebrazione, ciò può essere solo motivo di rallegrarsi e ringraziare Dio. Quanto più noi tutti crediamo, viviamo e agiamo con tale motivazione, tanto più saremo capaci di persuadere i vescovi che la presenza dell\’antica liturgia non turba né rompe l\’unità delle loro diocesi, ma è invece un dono destinato a rafforzare il Corpo di Cristo, del quale siamo tutti i servitori.
Così, miei cari amici, vorrei esortarvi a non perdere la pazienza, a continuare ad essere fiduciosi e ad attingere dalla liturgia la forza per rendere testimonianza al Signore in questo nostro tempo.
Prof. Davide Ventura
novizio oblato
Bibliografia

Riportiamo una bibliografia essenziale dei libri pubblicati dall’attuale Pontefice, dandone l’edizione italiana consultata. Le citazioni nel testo, per quanto estese, non fanno ovviamente giustizia a un pensiero vasto e articolato, in cui il tema liturgico ricorre di frequente, a volte anche intrecciato insieme ad altri argomenti. Laddove possibile, un accesso diretto a tali opere è quindi insostituibile.

La festa della fede – Jaca Book – 1984
Rapporto sulla fede – Edizioni Paoline – 1985
Il sale della terra – San Paolo – 1997
Introduzione allo spirito della liturgia – San Paolo – 2001
Il Dio vicino – San Paolo – 2003
La comunione nella Chiesa – 2004
La fraternità cristiana – Queriniana – 2005
Fede, verità e tolleranza – Cantagalli – 2005
L’Europa di Benedetto – Cantagalli – 2005
Ragione e fede in dialogo – Marsilio – 2005
(prefazione a) Uwe Michael Lang – Rivolti al Signore – Cantagalli – 2006


AMDG et DVM

venerdì 21 aprile 2017

Bozza pescata nel gran mare del web



AVE MARIA!                              Bozza di una possibile lettera aperta ai Ministri Generali e Definitori e agli altri frati di buona volontà.
Cari fratelli nel Serafico Padre San Francesco, cari Sacerdoti,

pace a voi e una benedizione speciale materna di Maria Santissima  a chi leggerà da figlio di benedizione questa lettera.
La scrivo doverosamente e con molta amarezza d’animo avendo costatato la deriva in cui si trova il mio caro Ordine Serafico nel quale sono stato chiamato dal Signore sin dalla più tenera età. Non ho grandi esperienze, però ho conosciuto e  vissuto anche gli anni immediatamente post-conciliari. Poi per grazia di Dio ad un certo punto ho capito  che l’essenziale è l’interiore conversione, e il distacco da ogni umano attaccamento a noi stessi e  ai facili compromessi col mondo, per essere solo disponibili a fare sempre la Volontà del Signore, tutta espressa nella Santa Regola e nelle Sante Costituzioni.


 <<..facciano attenzione che ciò che devono desiderare sopra ogni cosa è: 


di avere lo Spirito del Signore e la sua santa operazione, di pregarlo sempre con cuore puro e di avere umiltà, pazienza nella persecuzione e nella infermità, e di amare quelli che ci perseguitano e ci riprendono e ci calunniano, poiché dice il Signore: «Amate i vostri nemici e

pregate per quelli che vi perseguitano e vi calunniano ;

beati quelli che sopportano persecuzione a causa della

giustizia, poiché di essi è il regno dei cieli. E chi
persevererà fino alla fine, questi sarà salvo»>>. (Reg. c.X)

Sintetizzando a me pare che il Serafico Padre mi invita particolarmente a vivere un rinnovato spirito di preghiera e di penitenza, la celebrazione fervorosa della Sacra Eucaristia e della Liturgia della Ore, la recita quotidiana dei misteri del Santo Rosario e l’offerta della Santa Messa all’Immacolata nel primo sabato d’ogni mese, e –dulcis in fundo- mi invita a un religioso e austero modo di vita che sia a tutti di buon esempio.

Ora “il mondo”, per la seduzione di Satana, cammina per la sua strada adorando idoli falsi: denaro, superbia con le tante false ideologie che distruggono la verità, e poi l’idolo dell’impurità che seduce tutte le nazioni della terra.  NON SOLO. Ancor più  Satana ha messo mano anche nella santa Chiesa per distruggere la fede. Lo fa col razionalismo e il relativismo, e con la contestazione al Papa. Nessuno potrà negare questa crisi: essa  esiste ed è, a mio parere, più profonda di quanto si possa immaginare, perché provocata dai figli stessi della Chiesa.

Davvero – dice san Pietro -  falsi maestri hanno insegnato eresie disastrose e si son messi contro Dio che li ha salvati. Molti li hanno seguiti e vivono -come loro- una vita immorale, e così la vita cristiana (e religiosa) è disprezzata. Allora è facile  a tutti imbattersi in chi deride anche la stessa parola “eresia”  affermando che non ne esistono più da un bel po’ . E’ facile incontrare chi ti ride in faccia perché gli state offrendo un articolo d’una rivista  “apologetica” ben fatta  e te la rifiuta con sussiego se non con sdegno. E’ facile sentir dire –anche da professori- che si deve amare il prossimo per se stesso e non per amor di Dio. E’ facile sentire consigliare e decidere lavori servili sia pure nei giorni di festa contro l’insegnamento ufficiale della santa Chiesa. C’è pure chi , pur vescovo, dice e afferma che nessuno pecca perché vuol peccare (come dire che nessuno si danna perché vuole dannarsi). 
Altri arrivano a proibire la confessione dei peccati veniali, e altri ancora non sanno neppure che i peccati mortali vanno confessati per numero; altri poi riducono arbitrariamente la normale ora di digiuno eucaristico  per fare la Comunione. Altri non si preoccupano affatto dell’assenza dei confessionali nella loro chiesa, o li hanno dislocati a distanza in altre stanze obbligando anche praticamente il fedele a confessarsi faccia a faccia senza misericordia (!) e senza prudenza (!). Potete immaginare con quali frutti.  Ma perché continuare? 
C’è pure chi al fraterno saluto mattutino  “Sia lodato Gesù Cristo!” si rifiuta di rispondere come i nostri santi Padri ci hanno insegnato. Ricordo anche che ci fu chi voleva proibire di predicare ai fedeli che si deve ubbidire al Papa e ai Vescovi e Sacerdoti uniti a Lui. Voi che leggete conoscerete certamente mille altre trovate  o invenzioni.

Stando così le cose diventa importante  saper discernere i buoni dai falsi maestri.  SE diffondono le verità della fede cattolica e ubbidiscono al Magistero allora sono buoni. MA, se superbi, amanti dell’errore e disobbedienti al Magistero, allora sono falsi falsi falsi.  Gesù benedetto ci vuole semplici ma astuti, colombe e serpenti. Bambini sì, però intelligenti, non stupidi.

Allora mi son deciso a scrivere. Non tanto per un desiderio di difesa personale per la situazione che vivo da un po’ d’anni, quanto per chiarire e precisare meglio  a me stesso prima di tutto e poi a qualche altro che cerca la verità il nocciolo della questione che come sempre è più profondo.

Nella mia vita una volta ho ricevuto nel giro di 23 giorni ben tre lettere:  per lo stile e il contenuto mi parvero  puro fumo derivante da un fuoco sotterraneo che prima o poi doveva per forza esplodere. Ecco. Proprio così, noi oggi nella Chiesa viviamo sotto continue esplosioni e/o divisioni causate dalla contestazione al Papa. Dolorosamente pure nell’Ordine Serafico.  Ho sempre creduto che in genere le contestazioni o opposizioni al Santo Padre sono una pietra che si getta in faccia a Gesù benedetto.

Nel 1989 quando la Chiesa in Italia permise la Comunione in mano io ero già in Venezuela dove lo stesso permesso purtroppo giunse nel 1993. Molto sfacelo, molta divisione si diffuse da allora nelle comunità ecclesiali e francescane. Si moltiplicarono i così detti ministri straordinari che ormai la fanno da padrone anche per uno sparuto numero di fedeli (quando il mio vescovo Mons. Alessandro F. Medina q.e.p.d. li permetteva solo quando i comunicanti fossero più di 350 c.)

Ma la cosa più triste avvenne e succede ancora quando anche dopo la pubblicazione dell’  <Istruzione “Redemptionis sacramentum” su alcune cose che si devono osservare ed evitare circa la Santissima Eucaristia>  della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti si continua come prima e più di prima, come se il l’Istruzione non fosse stata redatta per disposizione del Sommo Pontefice B. Giovanni Paolo II e approvata dal medesimo il 19.3.2004 disponendone la pubblicazione e l’immediata osservanza da parte di coloro a cui spetta.
Con amarezza mi hanno riferito di un Vescovo che non si è degnato di rispondere a una missiva di un sacerdote della diocesi, e come alcuni frati pur Superiori Maggiori trattano questi argomenti con sufficienza … oserei dire beffarda.
Ultimamente poi non è bastato neppure l’esempio offerto dal Santo Padre Benedetto XVI che offre Gesù Eucaristico nella forma cattolica di tradizione, per smuovere e convincere  i cuori dei sacerdoti almeno francescani.  Ché dirà il Serafico Padre, dalla sua gloriosa Tomba, a tutti quelli che sono infedeli e disobbedienti a molteplici norme prescritte nella celebrazione della santa Messa e nell’amministrazione degli altri sacramenti? 
Sono convinto personalmente che san Francesco previde i nostri tempi, che sono i più decisivi di tutta la storia, e volle metterci in guardia scrivendo perciò ai laici e ai chierici e ai ministri Custodi dei gioielli di lettere, dove da Serafino ci è maestro insigne:

16 <<Ecco, ogni giorno Egli si umilia, come quan­do dalla sede regale discese nel grembo della Vergine; 17 ogni giorno Egli stesso viene a noi in apparenza umile; 18 ogni giorno discende dal seno del Padre sul­l’altare nelle mani del sacerdote. 19 E come ai santi Apostoli si mostrò nella vera carne, così anche ora si mo­stra a noi nel pane consacrato. 20 E come essi con gli occhi del loro corpo vedevano soltanto la carne di Lui, ma, contemplandolo con gli occhi dello spirito, credeva­no che Egli era lo stesso Dio, 21 così anche noi, veden­do pane e vino con gli occhi del corpo, dobbiamo vedere e credere fermamente che questo è il suo santissimo Cor­po e Sangue vivo e vero. (Ammonizioni)

34 <<E siamo tutti fermamente convinti che nes­suno può essere salvato se non per mezzo delle sante pa­role e del sangue del Signore nostro Gesù Cristo, che i chierici pronunciano, annunciano e amministrano. 35 Ed essi soli debbono amministrarli e non altri.  [Quanta sorpresa in queste parole! Il nostro Serafico Padre è davvero un profeta che mirabilmente difende il Sacerdozio e l’Eucaristia Santissima].
            36 Specialmente poi i religiosi, i quali hanno ri­nunciato al mondo, sono tenuti a fare molte altre cose e più grandi, senza però tralasciare queste. (Lettera ai fedeli).

3 <<Niente infatti possediamo e vediamo corporalmen­te in questo mondo dello stesso Altissimo, se non il cor­po e il sangue, i nomi e le parole mediante le quali sia­mo stati creati e redenti «da morte a vita».
[208]         4 Tutti coloro, poi, che amministrano così santi ministeri, considerino tra sé, soprattutto quelli che li amministrano senza discrezione, [e osano deridere e vessare quanti con ogni attenzione e discrezione intendono trattare questi misteri] quanto siano miserandi i calici, i corporali e le tovaglie sulle quali si compie il sacrificio del corpo e del sangue del Signore nostro. [Ché direbbe il Serafico Padre di quei frati che non usano come si deve il corporale, e non sanno/o non vogliono   aprire e usare nemmeno il purificatoio come si deve? CHE direbbe altresì a quanti  con forza  impediscono la fedeltà a molte altre norme comandate nel messale medesimo? Perché uno  non dovrebbe usare il velo sul calice e la borsa per custodire il corporale, e il piattino alla Comunione dei fedeli, e anche un degno inginocchiatoio o genuflessorio facoltativo che promuove e facilita la devozione eucaristica, ecc.?]
            5 E da molti viene lasciato in luoghi indecorosi, vie­ne trasportato senza nessun onore [e aggiungerei ‘conservato’ senza la doverosa attenzione a sostituire o cambiare almeno ogni mese le sacre specie, per evitare che le particole diventino preda di vermetti bianchi, da me scoperti in un tabernacolo] e ricevuto senza le do­vute disposizioni e amministrato agli altri senza discrezione. [La lingua batte dove il dente….]

[209]         6 Anche i nomi e le parole di lui scritte talvolta vengono calpestate, 7 perché «l’uomo carnale non com­prende le cose di Dio».
8 Non dovremmo sentirci mossi a pietà per tutto questo, dal momento che lo stesso pio Signore si conse­gna nelle nostre mani e noi l’abbiamo a nostra disposi­zione e ce ne comunichiamo ogni giorno? 9 Ignoriamo forse che dobbiamo venire nelle sue mani?
            10 Orsù, di tutte queste cose e delle altre, subito e con fermezza emendiamoci; …  ( LETTERA A TUTTI I CHIERICI  SULLA RIVERENZA DEL CORPO DEL SIGNORE).



Se riporto le parole del Serafico Padre lo faccio semplicemente per ricordare a me e anche a voi le indicazioni del più umile Santo che fu detto “homo catholicus et totus apostolicus” per eccellenza.  IMPARIAMO QUINDI DA SAN FRANCESCO. Specialmente noi che siamo i figli d’un così  tanto illustre e umilissimo Fondatore  la cui attività –insieme a quella di San Domenico - ha fatto meravigliosamente rifiorire la Chiesa di Dio.


Con gran sorpresa e soddisfazione ho sentito che il Papa Benedetto XVI, in Assisi, parlando ai Vescovi nel nov. 2010, è entrato direttamente nel tema liturgico. E ha dettato lui i criteri di una "vera" riforma della liturgia. (http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1345540)


"Ogni vero riformatore – ha scritto è un obbediente della fede: non si muove in maniera arbitraria, né si arroga alcuna discrezionalità sul rito; non è il padrone, ma il custode del tesoro istituito dal Signore e a noi affidato. La Chiesa intera è presente in ogni liturgia: aderire alla sua forma è condizione di autenticità di ciò che si celebra".  


Il Santo Padre ha speso buona parte del suo messaggio a illustrare ai vescovi italiani [e quindi anche ai rev. Custodi dei nostri santuari]  lo spirito con cui quel grande Santo obbedì a quella riforma liturgica, e fece obbedire i suoi frati.


Oggi molti cattolici , laici o religiosi, propugnano una Chiesa più spirituale e "profetica", invece che istituzionale e rituale. Soprattutto in campo liturgico vogliono creatività e libertà. Oh! quanta! Basta vedere come si trattano i sacri paramenti con tutto ciò che serve al decoro della liturgia, e osservare quanta licenza si prendono nel cambiare le formule in uso nel Breviario e nella santa Messa; per esempio alla benedizione finale: invece di dire “Vi benedica Dio onnipotente …”  si sente dire  semplicemente “Benedica Dio onnipotente …”


Ma Benedetto XVI ha mostrato, nel messaggio, che il vero san Francesco era di tutt'altro orientamento, perché profondamente convinto che il culto cristiano debba corrispondere alla "regola della fede" ricevuta, e in questo modo dar forma alla Chiesa. I sacerdoti, per primi, dobbiamo fondare sulle "cose sante" della liturgia la nostra santità di vita. Tra le cose più importanti: il Breviario e la santa Messa.

Il Serafico Padre e i suoi frati adottarono  -dice il Papa- il “Breviario” che fu un frutto del Lateranense IV. Così fecero propria la preghiera liturgica del Sommo Pontefice. [[ORA io mi sto chiedendo da un po’ di tempo  perché mai il santo breviario presso i nuovi frati  sfornati da certi seminari non ha più quel posto principe che ebbe nella vita del Serafico Padre.  (Forse perché in PC trovano anche lo stesso breviario??? Sarà!).  Con estrema facilità si passano giornate intere senza Breviario, ci si sposta da un punto all’altro del globo, o delle provincie o delle custodie , e non si ha con sé il Breviario!!! Già! Ora  che scrivo capisco perché. Forse viaggiando un po’ tutti da camaleonti, se uno si mettesse a pregare il Breviario in treno o in aereo o in bus o in ristorante verrebbe scoperto o identificato, ecc. ecc. e allora lo si lascia. E’ diventato troppo pesante e ingombrante. Sbaglio forse se affermo che  una cosa /il breviario/ è legata all’altra /l’abito religioso/?

    L’IMPORTANZA DELL’ABITO!  Ma serve parlarne?  E’ tutto scritto già nella Santa Regola professata con tutte le sante Costituzioni!  E’ scritto nel Codice di Diritto Canonico di santa Romana Chiesa. Ci gloriamo dei nostri Santi che hanno avuto un amore e una venerazione particolare per l’abito di san Francesco (da noi custodito) che indossavano giorno e notte, arrivando a considerarsi indegni di indossarlo; e poi non vogliamo imitarli? Non è proprio  il modo normale di vivere da frati. Si dice: “Carità, carità, carità!” e va bene. Ma la carità si lasci condurre dalla prudenza e dall’obbedienza, se no forse non è genuina. Si  farebbero meno chiacchiere e più osservanza. Certo non dimenticheremo che con l’abito esterno ci vuole pure quell’interiore dell’anima.  Vivendola così la nostra vita sarebbe una continua predica di povertà di obbedienza e di castità, e l’Ordine chissà diverrebbe più fecondo di frutti realizzando la missione affidataci da Gesù benedetto!]].

Sinceramente ho l’impressione che ci troviamo in uno stato di liquefazione.  Non sono il solo ad aver fatto l’esperienza che richiamandomi o appellandomi ai documenti sempre chiari del Sommo Pontefice sulla confessione o al Direttorio per il ministero e la vita dei presbiteri  o ai vari motu proprio del Beato Giovanni Paolo II  e dell’attuale Santo Padre Benedetto XVI sulla Liturgia e sulla Messa di sempre  e  altro, la risposta ricevuta  sia stata più o meno di questo tenore:  << “Sai? Se ascoltassimo Roma, qui tutti perderebbero la fede (!), “Basta con Roma, un altro cristianesimo è possibile, la fede in linguaggio moderno (!), “Questi documenti dicono cose giuste, ma … non sono adatte alla nostra situazione ecclesiale” >>. E così via. E sei bell’e spacciato. Questi non sono casi tanto rari, credetemi. Allora, io, l’ultimo dell’Ordine vorrei gridare sia pure umilmente e in ginocchio  quanto diceva Don Divo Barsotti :”Guai se rompiamo il legame con la Chiesa di sempre” . Ed anche: “Non si tagliano le radici dalle quali si è cresciuti”.  (Beato Giovanni Paolo II).

*



Andiamo al sodo.  Quanto ho scritto fin qui è sacrosanto, ma  il resto che sto per scrivere lo è ancora di più.  Da anni ho sempre agognato celebrare la Messa di sempre. In verità fui ordinato quando ancora non era iniziata la ‘rivoluzione vera e propria’. Era l’anno 1965.  Poi poco a poco tutto ‘precipitò’. Vivendo in Latino America alcuni amici vollero conoscere la santa Messa tridentina. Col permesso del Vescovo la celebrai alcune volte nella loro cappella. Nel 2001 tornando in Italia ho percepito e visto un lento ma continuo ritorno all’antica santa Messa. Ho pregato fiducioso per la soluzione delle difficoltà, e alla fine  col Papa Benedetto XVI è arrivata   la … GRAZIA. E che Grazia!  
Debbo confessar però che mi addolorò  assai vedere, in quel 7 luglio 2007, sul viso di persone che stimavo responsabili una qualche smorfia sgraziata e sgradevole, oppure, in riunioni di Clero e di frati, un assordante silenzio su un argomento di tale importanza. Ripeto che un tale comportamento mi disgustò. Ingenuamente ne attribuivo la causa a semplice ignoranza. Ora mi chiedo: era solo ignoranza? Ma lasciamo perdere. Ciò che conta è rendere grazie a Dio, perché la santa Messa di sempre  ha preso il volo e ora, con l’aiuto della stampa, internet e convegni e Istruzioni che rafforzano il fondamentale motu proprio Summorum Pontificum, essa viene sempre più conosciuta e cercata e amata:  non si tratta di nostalgici, ma soprattutto di famiglie e giovani desiderosi d’una più profonda  ricchezza. 
Con quanta gioia, credetemi, dopo tanti anni dall’ordinazione ho potuto cantarla di nuovo questa Santa Messa di sempre, io  che ne avevo cantata solo una! E’ stata una grande benedizione di Gesù benedetto sulla mia vita. Come si fa a non gioire per questa benedizione insieme agli altri fratelli? Gaudere cum gaudentibus, direbbe san Paolo.  Purtroppo non è stato sempre così. 
In verità, in certi luoghi, prima con minacce, poi con sotterfugi  si è passato ai fatti e per ostacolare la celebrazione del Divino Sacrificio nel rito romano antico o di sempre /esattamente quella santa Messa familiare al nostro Serafico Padre san Francesco/ hanno meschinamente sottratto ai confratelli sacerdoti le carte-gloria e i sacri paramenti (–pur in buone se non ottime condizioni, come lo erano i manipoli , il velo per il calice e la borsa per il corporale nuovi di zecca-) per portarli a … ristrutturare o restaurare. Non si sa dove, e né quando saranno ‘pronti’. Un autentico  escamotage  indegno d’una fraternità solo conclamata  ipocritamente, perché va contro i diritti e la dignità che ha ogni Sacerdote giovane o anziano, simpatico o antipatico che sia.  
Si ha la pretesa e l’arroganza dispotica di voler comandare in campi dove già c’è chi comanda da duemila anni! Nella santa Messa ordinaria si deve usare  sempre, oltre alla stola, pure la casula o pianeta e non la sola stola. Nella santa Messa straordinaria poi  ci vuole il manipolo oltre al velo sul calice, mentre nella Messa Ordinaria si auspica ugualmente che "Il calice sia lodevolmente ricoperto da un velo" (Ordinamento generale del Messale romano n 118), ed ecc.

 Sembrerebbe che i giovani, certi giovani sfornati dai seminari da una quindicina d’anni, forse non possano capire certe cose, “siano come incapaci di atti liturgici. Per i quali non basta l’istruzione , occorre l’educazione, anzi l’iniziazione, che al fondo non è altro che l’esercizio di quest’atto” (R. Guardini, in Humanitas 20, 1965).

Eppure basterebbe così poco. Solo un po’ di amore. Solo un po’ di santa curiosità. Solo qualche piccolissimo sforzo, e grandi sarebbero i frutti nella loro vita attraverso un rito che di certo è più articolato, ma con gesti tutti molto belli che aiutano a vedere la realtà. Capirebbero perfettamente l’azione della Messa. Non è mai tardi darsi da fare  per riaffermare la nostra romanitas e  latinitas,  ricordando // senza offesa per nessuno// che il Venerabile Pio XII scriveva che il sacerdote che misconoscesse il latino era afflitto da una “deplorevole miseria intellettuale”[!]. 

Oggi più che mai si parla di libertà. Ed è bello, se si intende nel suo giusto valore di appartenenza a qualcuno. Oggi si fa ecumenismo con  … diciamo tutti, ma poi ti accorgi che non è veramente genuino, difatti succede a volte che la sola parola pianeta (oltretutto casula è il suo sinonimo) o manipolo fa ad alcuni saltare il sangue alla testa. Perché mai? Un amico sacerdote mi diceva  che la Pastorale all’insegna del Conc.Vat. II  e le pianete non sono un binomio impossibile!  

Per secoli i missionari francescani, gesuiti, barnabiti ecc. hanno evangelizzato terre di missioni nelle Nuove Terre usando le pianete durante la celebrazione dei Sacri Riti. Non ci sembra la pianeta abbia impedito, ostacolato o ridotto l’opera missionaria dei buoni frati.  San Giovanni Bosco e molti preti “operai” conducevano la loro opera pastorale tra i giovani, i carcerati, le fabbriche, i poveri e gli ammalati indossando pianeta e manipolo durante la S. Messa. E anche nel loro caso la loro attività pastorale non ha subito lesioni o impedimenti. Allora si può benissimo portare avanti una pastorale secondo il CVII - (che poi cosa avrà di tanto diverso da quella che la Chiesa ha sempre professato “prima” del CVII, lo dobbiamo ancora capire) - pur usando o magari tollerando, la pianeta.  Ricordando anche che le casule “moderne” o gli stoloni sopra il camice, non sono mica “materia” (né prossima né remota)  del sacramento eh!!! Non è nemmeno forma!  La “pastorale all’insegna del CVII” non funzionerebbe forse lo stesso se indossassimo una bella, decorosa e degna pianeta? - 
Ma riprendiamo il filo maestro.

 Se il Santo Padre, meglio e con tutta verità, se i Sommi Pontefici, per salvare la Liturgia hanno voluto offrire questa possibilità di celebrare quella santa Messa di sempre che non fu mai abolita o proibita, Santa Messa che venne celebrata cotidie nello stesso ultimo Concilio, chi sono mai quelli che vogliono opporsi – costi quel che costi! - a questo diritto sacrosanto? E perché non si decidono in tempo a cancellare tutti gli abusi che fin'ora si sono permessi?  Di questi abusi parlò il Beato Giovanni Paolo II nella dimenticata Istruzione "Redemptionis Sacramentum" 2004: 
<<[11.] Troppo grande è il Mistero dell’Eucaristia «perché qualcuno possa permettersi di trattarlo con arbitrio personale, che non ne rispetterebbe il carattere sacro e la dimensione universale».
[27] Chi al contrario, anche se Sacerdote, agisce così, assecondando proprie inclinazioni, lede la sostanziale unità del rito romano, che va tenacemente salvaguardata,[28] e compie azioni in nessun modo consone con la fame e sete del Dio vivente provate oggi dal popolo, né svolge autentica attività pastorale o corretto rinnovamento liturgico, ma priva piuttosto i fedeli del loro patrimonio e della loro eredità. // Atti arbitrari, infatti, non giovano a un effettivo rinnovamento,[29] ma ledono il giusto diritto dei fedeli all’azione liturgica che è espressione della vita della Chiesa secondo la sua tradizione e la sua disciplina. // Inoltre, introducono elementi di deformazione e discordia nella stessa celebrazione eucaristica che, in modo eminente e per sua natura, mira a significare e realizzare mirabilmente la comunione della vita divina e l’unità del popolo di Dio.[30] // Da essi derivano insicurezza dottrinale, perplessità e scandalo del popolo di Dio e, quasi inevitabilmente, reazioni aspre: tutti elementi che nel nostro tempo, in cui la vita cristiana risulta spesso particolarmente difficile in ragione del clima di «secolarizzazione», confondono e rattristano notevolmente molti fedeli.[31]  >> 

(E' commovente la chiarezza con cui parlano i Sommi Pontefici!)  Quei tali che si industriano a moltiplicare gli abusi liturgici  mi fanno ricordare un certo Cardinale che  - l'ho saputo da fonte sicura - una volta in Vaticano sbottò dicendo “Dio o non Dio, qui comando io!!!”. Bella roba. Affari suoi.

// Altri poi hanno il pallino della concelebrazione obbligatoria, quando il Codice di Santa Madre Chiesa favorisce piena libertà, ossia non obbliga nessuno a concelebrare (canone 902). / Ora io mi chiedo: Chi tra i frati assumesse  sostanzialmente questi atteggiamenti non sarà forse per una… non-leggera ignoranza o forte imprudenza o alta disobbedienza alla nostra Santa Regola?  In essa – ben sappiamo- come  il Serafico Padre per due volte – all’inizio, nel primo capitolo e alla fine dell’ultimo – ha voluto lasciare scritto: *<<2 Frate Francesco promette obbedienza e reverenza al signor papa Onorio e ai suoi successori canonicamente eletti e alla Chiesa romana. 3 E gli altri frati siano tenuti a obbedire a frate Francesco e ai suoi successori.       *sempre sudditi e soggetti ai piedi della medesima santa Chiesa, stabili nella fede cattolica, osser­viamo la povertà, l’umiltà e il santo Vangelo del Signore nostro Gesù Cristo, che abbiamo fermamente promesso.>>

 Ci confortino le luminosissime parole del Papa Benedetto XVI che fanno seguito alle precedenti più su riferite:
“L’autentico credente, in ogni tempo, sperimenta nella liturgia la presenza, il primato e l’opera di Dio. Essa è “veritatis splendor” (Sacramentum caritatis, 35), avvenimento nuziale, pregustazione della città nuova e definitiva e partecipazione ad essa; è legame di creazione e di redenzione, cielo aperto sulla terra degli uomini, passaggio dal mondo a Dio; è Pasqua, nella croce e nella risurrezione di Gesù Cristo; è l’anima della vita cristiana, chiamata alla sequela, riconciliazione che muove a carità fraterna.”

A questo punto sia ben chiaro che non voglio minimamente esasperare il clima, ma solo affermare che gli interessi nostri dovrebbero convergere, e certi comportamenti evitarli con impegno forte.  Dobbiamo avere il coraggio della verità per non perdere la vera carità che è amore a Gesù Cristo benedetto e alle anime. Tirare avanti con ambiguità sarebbe un cerchio nefasto che soffocherebbe molti cuori. Insomma: Se A è bianco non è in certo modo anche nero. E qui, per favorire il riflettere e pensare che si nutrono di silenzio, faccio punto.

***

La Mamma Celeste con l’aiuto di tutti i suoi figli, non ultimi noi Francescani, - che come ogni cristiano viviamo nel mondo ma non siamo del mondo -  vincerà tutti gli idoli che contrastano il nostro cammino e la scala al cielo, e porterà tutti all’adorazione e all’amore dell’unico vero Dio, Gesù Cristo benedetto, nostro Redentore. Col salmista voglio pregare per me e per tutti i fratelli, così:

“Mio Dio, Ti supplico: volgiti a noi e abbi misericordia, dona ai tuoi  servi la tua forza, salva i figli della tua ancella.
“Dacci  un segno di benevolenza, mio Dio, Tu che sei il mio soccorso e la mia consolazione. / “Domine, vim patior. Responde pro me”. Amen.

Ora, fratelli, perché io viva nella  sua genuina purezza lo spirito serafico trasmessoci dai santi Padri dell’Ordine abbiate la bontà di cordialmente benedirmi. Ringraziondovene immensamente come posso, di cuore anch’io “Vi benedico insieme a tutti i vostri cari con la speciale materna benedizione di Maria Santissima, nel Nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”. Amen.  Vi ricorderò sempre nella santa Messa e nel santo Rosario. Ave Maria Purissima!
Vostro in  JMJFr  pgmm

 
"O Sacro Cuore di Gesù...
O Sacro Cuore di Maria
Unitevi con noi in questa preghiera d'amore
affinché ogni figlio di questo Mondo
dimostri amore per Voi Due
che Uniti e Assieme avete Redento il Mondo. ..."

AMDG et BVM