lunedì 28 novembre 2022

L'UNIONE A GESÙ CRISTO

 SILVIO MARIA GIRAUD, MISSIONARIO DELLA SALETTE

SACERDOTE E OSTIA



* * *

LIBRO TERZO

LE VIRTU' SACERDOTALI
L'UNIONE A GESÙ CRISTO

* * *

CAPITOLO DODICESIMO. LA SANTA MESSA

* * *

 

La sublimità cui il Sacerdote viene innalzato dall'Ordinazione sacra è assolutamente superiore ad ogni pensiero umano. Neppure gli Angeli potrebbero giungere a intendere perfettamente la dignità, lo stato santo, o meglio per usare il linguaggio di san Dionigi (541), lo stato deiforme al quale viene elevato il Sacerdote. È questo il profondo segreto di Dio. Il Sacerdote è sacerdote in tutta la sua persona e in tutto il suo essere; nell' anima come nella carne: Sacerdote sempre, sia che adempia qualche ministero, ovvero che si presenti come uomo privato. In lui tutto è sacerdotale e quindi tutto è divino; egli pensa e ama divinamente; egli vive, ma non più lui; Dio medesimo vive in lui, quei Dio che lo ha fatto il suo Sacerdote e un altro se stesso. Epperò quando il Sacerdote umile e modesto, Si avvia all'altare rivestito dei gloriosi abiti sacerdotali, tutto s'inchina al suo passaggio, la Chiesa della terra come gli Angeli del Cielo. In quell'anima che per la sacra ordinazione è divenuta un altro CRISTO, vi è una gloria celeste e divina; se fossero visibili i raggi che circondano la sua fronte, il suo volto, il suo cuore e il suo corpo medesimo, tutto nell'universo resterebbe impallidito. Se la grandezza del Sacerdote potesse comparire visibilmente nella sua vera realtà, i re e le regine getterebbero ai suoi piedi le loro corone. Quando si potesse vedere quale inesauribile sorgente di ogni bene si apra per tutte le creature, ogni volta che il Sacerdote alza la mano per benedire e consacrare, ne risulterebbe dappertutto sulla faccia della terra un immenso tripudio di gioia. In cielo avviene un tale tripudio quando il Sacerdote va all'altare, perché quaggiù egli è il concittadino deI Cielo; avviene pure in Purgatorio, poiché il Sacerdote è l'amico, l'aiuto, il liberatore delle anime purganti; avviene anche in una moltitudine di anime, le quali secondo la parola di sant'Ambrogio, «vedendo CRISTO nel Sacerdote, stanno nella luce vera ed infallibile» (542). Ma un tale tripudio di gioia, avviene nell’Ostia in una maniera incomprensibile, più profonda e più amorosa… O Sacerdote! l'Ostia vivente trasalisce, l'Ostia vivente ti aspetta perché vuol venire nelle tue mani; nelle tue mani soprattutto essa si compiace: Essa è tua, e tu sei suo. L'Ostia sempre richiede il suo Sacerdote, e sempre il Sacerdote è una cosa sola con l'Ostia; non possono star separati. La gioia dell'Ostia è di aver il suo Sacerdote; la gioia del Sacerdote è di aver la sua Ostia, mistero bello e delizioso! O impenetrabile abisso di grazia, di pace e di gioia che rimane il segreto del Sacerdote e dell'Ostia!

«Il mondo non ci ama, scriveva san Paolino da Nola, ma GESÙ CRISTO ci ama: Mundus nos non amat, sed amat nos Christus» (543), GESÙ CRISTO ci ama e ogni mattina ci accorda il sublime onore di salire all'altare e celebrare la santa Messa; e allora cosa importa che il mondo non ci ami? La santa Messa è tutto per il Sacerdote, è il suo gran tesoro, la sua consolazione, la sua gloria, la vita della sua vita, il centro dove tutto in lui trova il suo riposo, dove lo spirito, il cuore, l'anima intera trova tutto quanto può essere oggetto dei più ardenti desideri: luce, dolcezza, pace. sicurezza, felicità, forza, grandezza, e, per dire tutto con una parola sola, unione e unità con Dio e in Dio, per mezzo di CRISTO Ostia del Padre, fattosi Ostia nostra. La santa Messa è propriamente l'azione, la grande Azione del Sacerdote; all'altare, e solamente all'altare, il Sacerdote è veramente tale: quando tiene nelle sue mani l'Ostia santa, la innalza, la divide, ne dispone secondo il suo diritto per se medesimo e per le anime; qui sta il fine supremo del suo ministero; qui si rivela la sostanza del suo misterioso Sacerdozio. Per questa azione, infatti, il Sacerdote è particolarmente segnato con un sigillo indelebile; il carattere ricevuto nell'Ordinazione si riferisce tutto all'Ostia. Perciò, di tutto lo si può privare, fuorché del suo potere sopra l'Ostia. Ministero dolcissimo insieme e terribile! Il Sacerdote e l'Ostia: unità così indissolubile che neppure la degradazione la può rompere. Neppure la dannazione potrebbe togliere, nel disgraziato Sacerdote che precipitasse nell'inferno, la relazione con l'Ostia; il carattere sacerdotale sarebbe «quel sale, col quale sarà salata ogni vittima» (Mc 9, 47-48). Disgrazia terribile! La Chiesa, nella preghiera Hanc igitur, immediatamente prima della Consacrazione, ci fa domandare di esserne preservati. Si verifichi piuttosto per noi la bella parola di sant'Ambrogio: «La nostra Ostia si compiaccia di riconoscere in noi la sua gloriosa impronta. Oblatio sicut hostia pura, in vobis semper suum signaculum recognoscat!» (544).

Celebriamo sempre degnamente ogni santa Messa, perciò ricordiamo questa parola di san Giovanni Eudes: «La Messa è cosa così grande che ci vorrebbero tre eternità per celebrarla degnamente: la prima per la preparazione, la seconda per la celebrazione, la terza per il ringraziamento».

I. Preparazione alla santa Messa. – Probet autem seipsum homo(1 Cor 11, 28).

Pervulgatum apud sanctos Patres axioma est, dice il Card. Bona, quod talem se animae exhibet Deus, qualem se illa praeparat Deo. Ideo Christus in Eucharistia, aliis quidem est fructus vitae… aliis vero panis insipidus… Pauci sunt qui admirables hujus sacri convivii in se sentiant effectus, quia pauci sunt qui se ad illos recipendos rite disponant… Instante itaque celebratione, totis viribus curare debet (Sacerdos), ut in ara cordis ignem divini amoris succendat, actusque eliciat diversarum virtutum… tanto Sacrificio, quantum fieri poterit, convenientes (545). E san Bonaventura: Abstractus et divinus factus, nihil aliud videat, nihil aliud sentiat, quam Deum (546).

La preparazione deve essere particolarmente interna; ma pure non si trascuri l'esterno, ossia l'esatta pulitezza in ogni cosa che si avvicina all'altare; soprattutto si osservi il silenzio. Vespere praecedenti, dice ancora il Card. Bona, cogite Sacerdos se, die crastina, hostiam salutarem Deo omnipotenti oblaturum, eique cagitationi indormiat; sequenti die, in eadem cogitatione invigilet, etc. (547). Vi sono Sacerdoti che, ad imitazione di san Carlo, han la fortuna di confessarsi ogni giorno prima della santa Messa, non per scrupolo, ma per amore.

Il Sacerdote fervente prende con fede i sacri paramenti, e questi gli ricordano come debba essere Vittima con GFSÙ Ostia. Il Card. Bona dice che essi rappresentano le varie circostanze della Passione; l'amitto, è figura del velo con cui i soldati coprirono il volto di GESÙ nel cortile di Caifasso; il camice ricorda la veste bianca di cui lo rivestì Erode; e così degli altri. La Messa è la memoria della Passione, quindi tutto quanto ci ricorda la Passione è mezzo efficace per disporre l'anima al divin Sacrificio. Rivestito degli abiti sacri, il Sacerdote va all'altare, tutto assorto in Dio, come GESÙ quando si avviava all'Orto (548); egli, allora soprattutto, è un altro CRISTO e gli Angeli si prostrano riverenti al suo passaggio. È necessario che abbia i sentimenti e le disposizioni di GESÙ, e sia esso pure Sacerdote e Vittima del Padre. Ma una tale disposizione «non è l'effetto di un semplice preparamento attuale, durasse pure un'ora intera; non può essere l'effetto che della grazia di GESÙ CRISTO in noi, e del lavoro magari di parecchi anni nella mortificazione dei sensi e nella crocifissione di noi stessi per essere conformi a GESÙ CRISTO in qualità di Vittime, prima di essere associati a Lui come Sacerdote. GESÙ, prima di entrare nella perfezione, nei diritti e nelle funzioni del suo Sacerdozio eterno nel Santuario del Cielo, ha dovuto essere Vittima sulla Croce; così coloro che sono destinati ad essere partecipi della potenza e grandezza del suo Sacerdozio per offrire il terribile Sacrificio del suo Corpo, debbono aver lavorato e lavorare continuamente a crocefiggere in se stessi l'uomo vecchio. GESÙ risorto è il Sacerdote del Cielo: così, per compiere su la terra la celeste funzione del suo Sacerdozio, bisogna essere uomini rinnovati, e per così dire, risorti. Per essere sacerdoti con GESÙ CRISTO, bisogna essere Vittime con Lui, Vittime celesti infiammate» (549).

II. Durante la Santa Messa. – Il Sacerdote, nella Messa, è GESÙ CRISTO, quindi Sacrificatore e Vittima come GESÙ CRISTO.

1°) GESÙ CRISTO, come Sacrificatore, è tutto assorto nel sentimento della Maestà del Padre, cui offre se stesso e tutto il creato: il Sacerdote deve rendersi partecipe di questo sentimento, e rimanere nel più profondo raccoglimento. Si è sempre ammirato nei Santi quando stavano all'altare, quel contegno raccolto, calmo e tranquillo, espressione del raccoglimento e della pace dell'anima che riusciva di somma edificazione per chiunque assisteva alla loro Messa. Bossuet osserva che GESÙ CRISTO medesimo ci ha dato l'esempio, nella sua oblazione; ecco le sue parole: «Perché GESÙ appare così tranquillo sul Calvario mentre nell'Orto era così turbato? il motivo più evidente sta in questo che sul Calvario Egli era nell'azione medesima del suo Sacrificio, e nessuna azione deve essere compiuta con maggior tranquillità. E Voi che assistete al santo Sacrificio, vi lasciate distrarre!… Ah! non avete ancora compreso ciò che è il Sacrificio.

«Il Sacrificio è un'azione con la quale rendete a Dio i vostri omaggi; orbene, chi non sa che tutte le azioni che esprimono il rispetto esigono un contegno, calmo e dimesso? L'olio che si spandeva sulla testa del Pontefice per consacrarlo (Lv 8, 12), era appunto il simbolo sacro della tranquillità dello spirito ottenuta con l'allontanamento di ogni pensiero estraneo… O GESÙ, Pontefice mio divino! per questo senza dubbio vi dimostrate così tranquillo nella vostra Agonia (sulla Croce). Nell'Orto lo veggo turbato, sia pur volontariamente, perché si considerava come Vittima, voleva operare come Vittima e prendere l'azione e il contegno di una Vittima che si lascia trascinare per compiere la funzione Sacerdotale, appena le sue mani si sono elevate per offrire la Vittima al Cielo corrucciato, non vuol più provare nessun turbamento… e in mezzo a tanti dolori, Egli «muore, dice sant'Agostino, con maggior dolcezza e tranquillità che noi nell'addormentarci» (550).

Quale lezione per noi che ci lasciamo così facilmente, distrarre da vani pensieri! All'altare, con tutto il nostro contegno e con l'osservanza esatta e modesta di ogni rubrica, dobbiamo essere l'immagine fedele di GESÙ CRISTO crocefisso. Nella santa Messa, dice san Gregorio, qui Passionis Dominicae mysteria celebralmus; debemus imitari quod agimus (Dialog., IV).

Su l'altare, come già su la Croce, GESÙ offre e abbandona se stesso al Padre e con sé offre tutto il creato, così il Sacerdote deve pure offrirsi e abbandonarsi completamente con GESÙ CRISTO. Ad ogni parola, ad ogni movimento, quando prende l'Ostia fra le mani, o bacia l'altare vicino all'Ostia, quando la innalza, soprattutto quando dice: Per ipsum, et cum ipso et in ipso est tibi omnis honor et gloria, deve innalzarsi lui pure al Padre, come il fumo dell'incenso e la fiamma dell'Olocausto. Quando l'incenso è consumato, non ne resta che un po’ di cenere, tutta la sostanza è scomparsa e si è innalzata davanti a Dio; così il fervente Sacerdote, nella santa Messa, vuole, per così dire, svanire e perdersi davanti alla Gloria e alla Maestà del Padre, dimodochè in lui l'io non abbia più consistenza e neppure realtà.

Il Sacerdote all'altare dà e offre tutto quanto può dare; ha diritto di offrire e consacrare tutto il creato, perché offre e consacra persino il Creatore. Quale sconvenienza e indecenza se, in quei momenti, egli rivolgesse il pensiero e l'intenzione a qualche miserabile interesse materiale! Non potest Sacerdos illa intentione celebrare… ut ex hoc pecuniam consequatur, quia peccaret mortaliter (551).

2°) GESÙ CRISTO nel santo Sacrificio, in quanto Vittima, è in uno stato di morte e di annientamento, di espiazione e di penitenza per le anime; si dà alle anime per comunicar loro il suo stato di Ostia. Il Sacerdote, quando celebra, deve mettersi, come Lui, in istato di morte, di espiazione e di penitenza a pro delle anime, con la disposizione di darsi totalmente alle anime ed anche morire per esse. San Gregorio dice di san Cassio, Vescovo di Narni, che quando doveva offrire il santo Sacrificio, Velut totus in lacrymis defluens, semetipsum, et cum magna contritione, mactabat (552). Tale dovrebbe essere ogni Sacerdote.

Cosa degna di attenzione, nella Liturgia della Messa occupano un posto notevole le espressioni di umiltà, di penitenza e di contrizione; ciò indica che tra i fini del Sacrificio, il più sensibile ed evidente è l'espiazione; è quello che maggiormente risalta. Tutti i Sacramenti parlano di penitenza e di morte; ma il Sacramento dell'altare «annuncia particolarmente la morte del Signore» (1 Cor 11, 26). Perciò la sostanza della vita cristiana sta nella contrizione, nell'odio del peccato e nella volontà ferma di esserne liberi e distruggerne in noi le minime tracce, come pure di offrirne a Dio una conveniente riparazione. Sarebbe sommamente deplorevole che il Sacerdote non intendesse praticamente questa dottrina.

Se il Sacerdote non ha questo spirito, tutto il disegno di Dio nel chiamarlo al Sacerdozio diventa inutile. Lo spirito di GESÙ Vittima penitente ed espiatrice, deve essere il carattere dell'intera vita del Sacerdote, ma soprattutto quando oltre all'altare la Vittima della Croce. Per questo appunto la Chiesa, in quell'azione, gli mette sulle labbra tante parole che si addicono alla condizione di peccatore, affinché l'espiazione diventi il carattere principale di tutta la sua vita sacerdotale.

Con questo spirito di espiazione, il Sacerdote deve darsi alle anime. Nostro Signore si è dato alle anime, nelle umiliazioni, nelle sofferenze, nella Croce, con la morte; nella sua Passione e morte Egli manifestò più sensibilmente questo fine dell'espiazione. Il Sacerdote deve attingere nella sua unione con GESÙ Vittima penitente all'altare, quello spirito di espiazione e portarlo sempre e dappertutto. E non deve dimenticare che è questo il mezzo potente di attirare sulle opere dello zelo la benedizione di Dio. Tutti gli uomini apostolici furono Vittime espiatrici. Così, il Sacerdote nella santa Messa, abbandonandosi con amore alla grazia di GESÙ CRISTO Sacrificatore e Ostia, nell'intento di essere unito con Lui nelle medesime disposizioni come lo è nel Sacerdozio, si stabilisce sempre più in quello stato che GESÙ, nel Cenacolo prima di incamminarsi al suo Sacrificio, domandava al Padre principalmente per i suoi Sacerdoti: Ut sint unum, sicut et nos… Ut sint consummati in unum!

III. Dopo la Messa, il ringraziamento. – Nella Liturgia della Messa, il ringraziamento incomincia subito dopo la Comunione: quid retribuam?… Ricevuto il Corpo di GESÙ CRISTO, è necessario un atto di riconoscenza per un dono sì grande, e il Sacerdote, a questo fine, prende il prezioso Sangue di GESÙ CRISTO; questo indica che GESÙ CRISTO, e GESÙ CRISTO solo, è la nostra lode e il nostro ringraziamento. Qual dono, infatti, potremo noi offrire all'Eterno Padre? «Nel ricevere GESÙ CRISTO, dice il Padre de Condren, il Sacerdote ha ricevuto tutto… Siccome non abbiamo nulla che non riceviamo da Dio, anche la nostra lode e il nostro ringraziamento devono essere un dono di Dio. Orbene qual è questo dono di Dio? GESÙ CRISTO, il Calice della salvezza, il tesoro dei poveri; quando abbiamo ricevuto questo nostro tesoro, possiamo dire per ringraziare: In me sunt Deus, vota tua, quae reddam, laudationes tibi (Ps. 55, 12). Possiedo tutto ciò che può esservi offerto, per la lode e il ringraziamento che vi sono dovuti» (Op. cit., parte IV).

Le Orazioni dopo la Comunione, anche se esprimono domande, sono di ringraziamento. Implorando che quel rimedio divino sia permanente in noi, noi domandiamo la grazia della vita di GESÙ CRISTO in noi e, una vita che operi gli atti che le sono proprii, vita che ci renda somiglianti a Lui; è questo il vero frutto della comunione, ma è pure il modo di far onore a GESÙ CRISTO; il miglior ringraziamento è una vita santa. L’ultima parola, Deo gratias, al termine dell'ultimo Vangelo è ancora una parola di azione di grazie.

Il Sacerdote, mentre il popolo si ritira, continua il ringraziamento e, invitando tutte le creature a benedire e lodare Colui ch'egli porta nel Cuore, le chiama tutte attorno a questo o gran Re e Sacerdote: universale, che è il centro della Religione di ogni creatura, l'Ostia nella quale e con la quale ogni creatura deve offrirsi ed immolarsi a Dio. Deposti in silenzio i sacri Paramenti, il Sacerdote si guarderà bene, in quei momenti preziosi, dalle chiacchiere e dalle distrazioni. Lo spirito della Chiesa è che si osservi il silenzio nella Sagrestia tanto come in Chiesa; il Sacerdote, se appena intende il suo dovere e l'interesse dell'anima sua, sa circondarsi dopo la Messa di un ambiente di silenzio e di raccoglimento, onde trattenersi con GESÙ nell'effusione intima dei suoi affetti. Potrà talvolta accadere che la carità imponga di differire il ringraziamento, ma il buon Sacerdote procurerà che tale sacrificio sia eccezione e non frequenza, altrimenti che ne sarebbe della sua vita interiore? «Un Sacerdote privo di vita interiore, dice Monsignor Gay, è una terra senz'acqua e un cielo senza sole» (Mysteres du Rosaire).

Il Card. Bona raccomanda quattro atti principali nel ringraziamento: azione di grazie propriamente detta, offerta di se stesso, domanda e proponimenti. Per l'offerta così si esprime: Sequitur oblatio, qua par pari Deo reddere Sacerdos potest, Filium ejus unigenitum et consubstantialem ei offerendo, seipsum quoque offerat Patri et Christo holocaustum acceptabile in odorem suavitatis (De celebratione Missae). Preghiamo pure la Madonna, Madre e insieme Ostia di Colui che abbiamo nel nostro cuore, perché si unisca a noi. Ricordiamo anche le anime del Purgatorio, applicando loro l'indulgenza plenaria annessa alla preghiera: En ego, o bone Jesu.

Che se talora, in quei momenti così preziosi, 1'anima si sente stanca, distratta e incapace, sia nostro conforto quella verità di fede: GESÙ è tutto, è tutta la Religione dovuta al Padre e a Lui medesimo; in ogni dovere di religione Egli è il nostro supplemento. Dunque, in tutta verità, farà Egli stesso, in noi e per noi, il nostro ringraziamento; noi ci uniremo a Lui, pregandolo di supplire alla nostra debolezza e incapacità.

Il Sacerdote che ha celebrato, porta in se stesso una nuova santificazione che rapisce gli Angeli ed è per la Chiesa una feconda sorgente di ogni benedizione. Ugone da San Vittore, quel santo mistico del secolo XII, stava per morire; essendo venuto a visitarlo un suo discepolo ed avendogli domandato come stava, rispose: «Benissimo, e nel corpo e nell'anima». Poi disse: «Voi avete celebrato la santa Messa; avvicinatevi e soffiate sul mio volto in forma di croce, per comunicarmi lo Spirito Santo». Avendolo obbedito il discepolo, egli esclamò: Os meum aperui et attraxi spiritum. Così apprezzava quel santo uomo, il soffio di una bocca che aveva ricevuto il Sangue di GESÙ. Quale meravigliosa influenza non deve avere il Sacerdote che porta in sé, in virtù del santo Sacrificio, lo spirito e la vita di GESÙ CRISTO?

NOTE

(540) S. AUG., De bono viduitatis

(541) Sacrosancte ad uniformem deiformitatem pro captu nostro, et ad Deum divinamque virtutem promovemur. De Ecel. Hierarch., cap. I. ­ Si verum sit (Sacerdotem) virum esse prorsus divinum,… pro suo modulo ad deiformitatis fastigium perfectissimis perfectivisque deificationibus evectum, etc. Ibid.. cap. III.

(542) Omnis anima, quae Christum cogitat, in lumine semper est; dies lucet, tibi semper Christus aspirat. In Psalm., CXVIII, Serm. XIX.

(543) Epist. ad Severum.

(544) De Sacram. (in fine),

(545) De Sacrificio Missae.

(546) De praepar. ad Missam.

(547) Ibid.

(548) Sciens (Jesus) quia omnia dedit ei Pater in manus, et quia a Deo exivit et ad Deum vadit, Joann XIII, 3.

(549) CONDREN, Idea del Sacerdozio, ecc., parte IV.

(550) I Sermon sur la Compassion

(551) S. TH., Opusc., LXV.

(552) Homil., XXXVII

AMDG et DVM

domenica 27 novembre 2022

Supplica alla Madonna della Medaglia Miracolosa

 

SUPPLICA ALLA MADONNA DELLA MEDAGLIA MIRACOLOSA

Da recitarsi alle 17 del 27 novembre, festa della Medaglia Miracolosa, in ogni 27 del mese e in ogni urgente necessità.

O Vergine Immacolata, noi sappiamo che sempre ed ovunque sei disposta ad esaudire le preghiere dei tuoi figli esuli in questa valle di pianto, ma sappiamo pure che vi sono giorni ed ore in cui ti compiaci di spargere più abbondantemente i tesori delle tue grazie. Ebbene, o Maria, eccoci qui prostrati davanti a te, proprio in quello stesso giorno ed ora benedetta, da te prescelta per la manifestazione della tua Medaglia.

Noi veniamo a te, ripieni di immensa gratitudine ed illimitata fiducia, in quest'ora a te sì cara, per ringraziarti del gran dono che ci hai fatto dandoci la tua immagine, affinché fosse per noi attestato d'affetto e pegno di protezione. Noi dunque ti promettiamo che, secondo il tuo desiderio, la santa Medaglia sarà il segno della tua presenza presso di noi, sarà il nostro libro su cui impareremo a conoscere, seguendo il tuo consiglio, quanto ci hai amato e ciò che noi dobbiamo fare, perché non siano inutili tanti sacrifici tuoi e del tuo divin Figlio. Sì, il tuo Cuore trafitto, rappresentato sulla Medaglia, poggerà sempre sul nostro e lo farà palpitare all'unisono col tuo. Lo accenderà d'amore per Gesù e lo fortificherà per portar ogni giorno la propria croce dietro a Lui.

Salve Regina

O Maria concepita senza peccato, pregate per noi che ricorriamo a Voi 

Questa è l'ora tua, o Maria, l'ora della tua bontà inesauribile, della tua misericordia trionfante, l'ora in cui facesti sgorgare per mezzo della tua Medaglia, quel torrente di grazie e di prodigi che inondò la terra. Fai, o Madre, che quest'ora, che ti ricorda la dolce commozione del tuo Cuore, la quale ti spinse a venirci a visitare e a portarci il rimedio di tanti mali, fai che quest'ora sia anche l'ora nostra: l'ora della nostra sincera conversione, e l'ora del pieno esaudimento dei nostri voti.
Tu che hai promesso, proprio in quest'ora fortunata, che grandi sarebbero state le grazie per chi le avesse domandate con fiducia: volgi benigna i tuoi sguardi alle nostre suppliche. Noi confessiamo di non meritare le tue grazie, ma a chi ricorreremo, o Maria, se non a te, che sei la Madre nostra, nelle cui mani Dio ha posto tutte le sue grazie? Abbi dunque pietà di noi.
Te lo domandiamo per la tua Immacolata Concezione e per l'amore che ti spinse a darci la tua preziosa Medaglia. 

Salve Regina

O Maria concepita senza peccato, pregate per noi che ricorriamo a Voi

O Consolatrice degli afflitti, che già ti inteneristi sulle nostre miserie, guarda ai mali da cui siamo oppressi. Fai che la tua Medaglia sparga su di noi e su tutti i nostri cari i tuoi raggi benefici: guarisca i nostri ammalati, dia la pace alle nostre famiglie, ci scampi da ogni pericolo. Porti la tua Medaglia conforto a chi soffre, consolazione a chi piange, luce e forza a tutti.
Ma specialmente permetti, o Maria, che in quest'ora solenne ti domandiamo la conversione dei peccatori, particolarmente di quelli, che sono a noi più cari. Ricordati che anch'essi sono tuoi figli, che per essi hai sofferto, pregato e pianto. Salvali, o Rifugio dei peccatori, affinché dopo di averti tutti amata, invocata e servita sulla terra, possiamo venirti a ringraziare e lodare eternamente in Cielo. Cosi sia.  

Salve Regina

O Maria concepita senza peccato, pregate per noi che ricorriamo a Voi

*

Non limitiamoci a meditare solo la prima venuta, ma viviamo in attesa della seconda.

 


Le due venute di Cristo

   Noi annunziamo che Cristo verrà. Infatti non è unica la sua venuta, ma ve n'è una seconda, la quale sarà molto più gloriosa della precedente. La prima, infatti, ebbe il sigillo della sofferenza, l'altra porterà una corona di divina regalità. Si può affermare che quasi sempre nel nostro Signore Gesù Cristo ogni evento è duplice. Duplice è la generazione, una da Dio Padre, prima del tempo, e l'altra, la nascita umana, da una vergine nella pienezza dei tempi. 
   Due sono anche le sue discese nella storia. Una prima volta è venuto in modo oscuro e silenzioso, come la pioggia sul vello. Una seconda volta verrà nel futuro in splendore e chiarezza davanti agli occhi di tutti.
   Nella sua prima venuta fu avvolto in fasce e posto in una stalla, nella seconda si vestirà di luce come di un manto. Nella prima accettò la croce senza rifiutare il disonore, nell'altra avanzerà scortato dalle schiere degli angeli e sarà pieno di gloria.
   Perciò non limitiamoci a meditare solo la prima venuta, ma viviamo in attesa della seconda. E poiché nella prima abbiamo acclamato: «Benedetto colui che viene nel nome del Signore» (Mt 21, 9), la stessa lode proclameremo nella seconda. Così andando incontro al Signore insieme agli angeli e adorandolo canteremo: «Benedetto colui che viene nel nome del Signore» (Mt 21, 9).
   Il Salvatore verrà non per essere di nuovo giudicato, ma per farsi giudice di coloro che lo condannarono. Egli, che tacque quando subiva la condanna, ricorderà il loro operato a quei malvagi, che gli fecero subire il tormento della croce, e dirà a ciascuno di essi: «Tu hai agito così, io non ho aperto bocca» (cfr. Sal 38, 10).
   Allora in un disegno di amore misericordioso venne per istruire gli uomini con dolce fermezza, ma alla fine tutti, lo vogliano o no, dovranno sottomettersi per forza al suo dominio regale.
   Il profeta Malachìa preannunzia le due venute del Signore: «E subito entrerà nel suo tempio il Signore che voi cercate» (Ml 3, 1). Ecco la prima venuta. E poi riguardo alla seconda egli dice: «Ecco l'angelo dell'alleanza, che voi sospirate, ecco viene... Chi sopporterà il giorno della sua venuta? Chi resisterà al suo apparire? Egli è come il fuoco del fonditore e come la lisciva dei lavandai. Siederà per fondere e purificare» (Ml 3, 1-3).
   Anche Paolo parla di queste due venute scrivendo a Tito in questi termini: «È apparsa la grazia di Dio, apportatrice di salvezza per tutti gli uomini, che ci insegna a rinnegare l'empietà e i desideri mondani e a vivere con sobrietà, giustizia e pietà in questo mondo, nell'attesa della beata speranza e della manifestazione della gloria del nostro grande Dio e salvatore Gesù Cristo» (Tt 2, 11-13). Vedi come ha parlato della prima venuta ringraziandone Dio? Della seconda invece fa capire che è quella che aspettiamo.
   Questa è dunque la fede che noi proclamiamo: credere in Cristo che è salito al cielo e siede alla destra del Padre. Egli verrà nella gloria a giudicare i vivi e i morti. E il suo regno non avrà fine.
   Verrà dunque, verrà il Signore nostro Gesù Cristo dai cieli; verrà nella gloria alla fine del mondo creato, nell'ultimo giorno. Vi sarà allora la fine di questo mondo, e la nascita di un mondo nuovo.

ORAZIONE
   O Dio, nostro Padre, suscita in noi la volontà di andare incontro con le buone opere al tuo Cristo che viene, perché egli ci chiami accanto a sé nella gloria a possedere il regno dei cieli. Egli è Dio e vive e regna con te, nell'unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli.

Dalle «Catechesi» di san Cirillo di Gerusalemme, vescovo
(Cat. 15, 1. 3; PG 33, 870-874)
  

AVE MARIA!

"Io credo in Dio: il Creatore del cielo e della terra, il Creatore dell'essere umano"


Benedetto XVI

 Udienza Generale, 6 febbraio 2013

Aula Paolo VI Mercoledì, 6 febbraio 2013. 

"Io credo in Dio: il Creatore del cielo e della terra, il Creatore dell'essere umano"

Cari fratelli e sorelle,

il Credo, che inizia qualificando Dio come “Padre Onnipotente”, come abbiamo meditato la settimana scorsa, aggiunge poi che Egli è il “Creatore del cielo e della terra”, e riprende così l’affermazione con cui inizia la Bibbia. Nel primo versetto della Sacra Scrittura, infatti, si legge: «In principio Dio creò il cielo e la terra» (Gen 1,1): è Dio l’origine di tutte le cose e nella bellezza della creazione si dispiega la sua onnipotenza di Padre che ama.

Dio si manifesta come Padre nella creazione, in quanto origine della vita, e, nel creare, mostra la sua onnipotenza. Le immagini usate dalla Sacra Scrittura al riguardo sono molto suggestive (cfr Is 40,12; 45,18; 48,13; Sal 104,2.5; 135,7; Pr 8, 27-29; Gb 38–39). Egli, come un Padre buono e potente, si prende cura di ciò che ha creato con un amore e una fedeltà che non vengono mai meno, dicono ripetutamente i salmi (cfr Sal 57,11; 108,5; 36,6). Così, la creazione diventa luogo in cui conoscere e riconoscere l’onnipotenza del Signore e la sua bontà, e diventa appello alla fede di noi credenti perché proclamiamo Dio come Creatore. «Per fede, - scrive l’autore della Lettera agli Ebrei - noi sappiamo che i mondi furono formati dalla parola di Dio, sicché dall’invisibile ha preso origine il mondo visibile» (11,3). La fede implica dunque di saper riconoscere l’invisibile individuandone la traccia nel mondo visibile. Il credente può leggere il grande libro della natura e intenderne il linguaggio (cfr Sal 19,2-5); ma è necessaria la Parola di rivelazione, che suscita la fede, perché l’uomo possa giungere alla piena consapevolezza della realtà di Dio come Creatore e Padre. È nel libro della Sacra Scrittura che l’intelligenza umana può trovare, alla luce della fede, la chiave di interpretazione per comprendere il mondo. In particolare, occupa un posto speciale il primo capitolo della Genesi, con la solenne presentazione dell’opera creatrice divina che si dispiega lungo sette giorni: in sei giorni Dio porta a compimento la creazione e il settimo giorno, il sabato, cessa da ogni attività e si riposa. Giorno della libertà per tutti, giorno della comunione con Dio. E così, con questa immagine, il libro della Genesi ci indica che il primo pensiero di Dio era trovare un amore che risponda al suo amore. Il secondo pensiero è poi creare un mondo materiale dove collocare questo amore, queste creature che in libertà gli rispondono. Tale struttura, quindi, fa sì che il testo sia scandito da alcune ripetizioni significative. Per sei volte, ad esempio, viene ripetuta la frase: «Dio vide che era cosa buona» (vv. 4.10.12.18.21.25), per concludere, la settima volta, dopo la creazione dell’uomo: «Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona» (v. 31). Tutto ciò che Dio crea è bello e buono, intriso di sapienza e di amore; l’azione creatrice di Dio porta ordine, immette armonia, dona bellezza. Nel racconto della Genesi poi emerge che il Signore crea con la sua parola: per dieci volte si legge nel testo l’espressione «Dio disse» (vv. 3.6.9.11.14.20.24.26.28.29). E' la parola, il Logos di Dio che è l'origine della realtà del mondo e dicendo: “Dio disse”, fu così, sottolinea la potenza efficace della Parola divina. Così canta il Salmista: «Dalla parola del Signore furono fatti i cieli, dal soffio della sua bocca ogni loro schiera…, perché egli parlò e tutto fu creato, comandò e tutto fu compiuto» (33,6.9). La vita sorge, il mondo esiste, perché tutto obbedisce alla Parola divina.

Ma la nostra domanda oggi è: nell’epoca della scienza e della tecnica, ha ancora senso parlare di creazione? Come dobbiamo comprendere le narrazioni della Genesi? La Bibbia non vuole essere un manuale di scienze naturali; vuole invece far comprendere la verità autentica e profonda delle cose. La verità fondamentale che i racconti della Genesi ci svelano è che il mondo non è un insieme di forze tra loro contrastanti, ma ha la sua origine e la sua stabilità nel Logos, nella Ragione eterna di Dio, che continua a sorreggere l’universo. C’è un disegno sul mondo che nasce da questa Ragione, dallo Spirito creatore. Credere che alla base di tutto ci sia questo, illumina ogni aspetto dell’esistenza e dà il coraggio di affrontare con fiducia e con speranza l’avventura della vita. Quindi, la scrittura ci dice che l'origine dell'essere, del mondo, la nostra origine non è l'irrazionale e la necessità, ma la ragione e l'amore e la libertà. Da questo l'alternativa: o priorità dell'irrazionale, della necessità, o priorità della ragione, della libertà, dell'amore. Noi crediamo in questa ultima posizione.

Ma vorrei dire una parola anche su quello che è il vertice dell’intera creazione: l’uomo e la donna, l’essere umano, l’unico “capace di conoscere e di amare il suo Creatore” (Cost. past. Gaudium et spes, 12). Il Salmista guardando i cieli si chiede: «Quando vedo i tuoi cieli, opera delle tue dita, la luna e le stelle che tu hai fissato, che cosa è mai l’uomo perché di lui ti ricordi, il figlio dell’uomo, perché te ne curi?» (8,4-5). L’essere umano, creato con amore da Dio, è ben piccola cosa davanti all’immensità dell’universo; a volte, guardando affascinati le enormi distese del firmamento, anche noi abbiamo percepito la nostra limitatezza. L’essere umano è abitato da questo paradosso: la nostra piccolezza e la nostra caducità convivono con la grandezza di ciò che l’amore eterno di Dio ha voluto per lui.

I racconti della creazione nel Libro della Genesi ci introducono anche in questo misterioso ambito, aiutandoci a conoscere il progetto di Dio sull’uomo. Anzitutto affermano che Dio formò l’uomo con la polvere della terra (cfr Gen 2,7). Questo significa che non siamo Dio, non ci siamo fatti da soli, siamo terra; ma significa anche che veniamo dalla terra buona, per opera del Creatore buono. A questo si aggiunge un’altra realtà fondamentale: tutti gli esseri umani sono polvere, al di là delle distinzioni operate dalla cultura e dalla storia, al di là di ogni differenza sociale; siamo un’unica umanità plasmata con l’unica terra di Dio. Vi è poi un secondo elemento: l’essere umano ha origine perché Dio soffia l’alito di vita nel corpo modellato dalla terra (cfr Gen 2,7). L’essere umano è fatto a immagine e somiglianza di Dio (cfr Gen 1,26-27). Tutti allora portiamo in noi l’alito vitale di Dio e ogni vita umana – ci dice la Bibbia – sta sotto la particolare protezione di Dio. Questa è la ragione più profonda dell’inviolabilità della dignità umana contro ogni tentazione di valutare la persona secondo criteri utilitaristici e di potere. L’essere ad immagine e somiglianza di Dio indica poi che l’uomo non è chiuso in se stesso, ma ha un riferimento essenziale in Dio.

Nei primi capitoli del Libro della Genesi troviamo due immagini significative: il giardino con l’albero della conoscenza del bene e del male e il serpente (cfr 2,15-17; 3,1-5). Il giardino ci dice che la realtà in cui Dio ha posto l’essere umano non è una foresta selvaggia, ma luogo che protegge, nutre e sostiene; e l’uomo deve riconoscere il mondo non come proprietà da saccheggiare e da sfruttare, ma come dono del Creatore, segno della sua volontà salvifica, dono da coltivare e custodire, da far crescere e sviluppare nel rispetto, nell’armonia, seguendone i ritmi e la logica, secondo il disegno di Dio (cfr Gen 2,8-15). Poi, il serpente è una figura che deriva dai culti orientali della fecondità, che affascinavano Israele e costituivano una costante tentazione di abbandonare la misteriosa alleanza con Dio. Alla luce di questo, la Sacra Scrittura presenta la tentazione che subiscono Adamo ed Eva come il nocciolo della tentazione e del peccato. Che cosa dice infatti il serpente? Non nega Dio, ma insinua una domanda subdola: «È vero che Dio ha detto “Non dovete mangiare di alcun albero del giardino?”» (Gen 3,1). In questo modo il serpente suscita il sospetto che l’alleanza con Dio sia come una catena che lega, che priva della libertà e delle cose più belle e preziose della vita. La tentazione diventa quella di costruirsi da soli il mondo in cui vivere, di non accettare i limiti dell’essere creatura, i limiti del bene e del male, della moralità; la dipendenza dall’amore creatore di Dio è vista come un peso di cui liberarsi. Questo è sempre il nocciolo della tentazione. Ma quando si falsa il rapporto con Dio, con una menzogna, mettendosi al suo posto, tutti gli altri rapporti vengono alterati. Allora l’altro diventa un rivale, una minaccia: Adamo, dopo aver ceduto alla tentazione, accusa immediatamente Eva (cfr Gen 3,12); i due si nascondono dalla vista di quel Dio con cui conversavano in amicizia (cfr 3,8-10); il mondo non è più il giardino in cui vivere con armonia, ma un luogo da sfruttare e nel quale si celano insidie (cfr 3,14-19); l’invidia e l’odio verso l’altro entrano nel cuore dell’uomo: esemplare è Caino che uccide il proprio fratello Abele (cfr 4,3-9). Andando contro il suo Creatore, in realtà l’uomo va contro se stesso, rinnega la sua origine e dunque la sua verità; e il male entra nel mondo, con la sua penosa catena di dolore e di morte. E così quanto Dio aveva creato era buono, anzi, molto buono, dopo questa libera decisione dell'uomo per la menzogna contro la verità, il male entra nel mondo.

Dei racconti della creazione, vorrei evidenziare un ultimo insegnamento: il peccato genera peccato e tutti i peccati della storia sono legati tra di loro. Questo aspetto ci spinge a parlare di quello che è chiamato il “peccato originale”. Qual è il significato di questa realtà, difficile da comprendere? Vorrei dare soltanto qualche elemento. Anzitutto dobbiamo considerare che nessun uomo è chiuso in se stesso, nessuno può vivere solo di sé e per sé; noi riceviamo la vita dall’altro e non solo al momento della nascita, ma ogni giorno. L’essere umano è relazione: io sono me stesso solo nel tu e attraverso il tu, nella relazione dell’amore con il Tu di Dio e il tu degli altri.  Ebbene, il peccato è turbare o distruggere la relazione con Dio, questa la sua essenza: distruggere la relazione con Dio, la relazione fondamentale, mettersi al posto di Dio. Il Catechismo della Chiesa Cattolica afferma che con il primo peccato l’uomo “ha fatto la scelta di se stesso contro Dio, contro le esigenze della propria condizione creaturale e conseguentemente contro il proprio bene” (n. 398). Turbata la relazione fondamentale, sono compromessi o distrutti anche gli altri poli della relazione, il peccato rovina le relazioni, così rovina tutto, perché noi siamo relazione. Ora, se la struttura relazionale dell’umanità è turbata fin dall’inizio, ogni uomo entra in un mondo segnato da questo turbamento delle relazioni, entra in un mondo turbato dal peccato, da cui viene segnato personalmente; il peccato iniziale intacca e ferisce la natura umana (cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, 404-406). E l’uomo da solo, uno solo non può uscire da questa situazione, non può redimersi da solo; solamente il Creatore stesso può ripristinare le giuste relazioni. Solo se Colui dal quale ci siamo allontanati viene a noi e ci tende la mano con amore, le giuste relazioni possono essere riannodate. Questo avviene in Gesù Cristo, che compie esattamente il percorso inverso di quello di Adamo, come descrive l’inno nel secondo capitolo della Lettera di San Paolo ai Filippesi (2,5-11): mentre Adamo non riconosce il suo essere creatura e vuole porsi al posto di Dio, Gesù, il Figlio di Dio, è in una relazione filiale perfetta con il Padre, si abbassa, diventa il servo, percorre la via dell’amore umiliandosi fino alla morte di croce, per rimettere in ordine le relazioni con Dio. La Croce di Cristo diventa così il nuovo albero della vita.

Cari fratelli e sorelle, vivere di fede vuol dire riconoscere la grandezza di Dio e accettare la nostra piccolezza, la nostra condizione di creature lasciando che il Signore la ricolmi del suo amore e così cresca la nostra vera grandezza. Il male, con il suo carico di dolore e di sofferenza, è un mistero che viene illuminato dalla luce della fede, che ci dà la certezza di poterne essere liberati: la certezza che è bene essere un uomo.

Saluti:

Je salue cordialement les pèlerins francophones, en particulier les Frères du Sacré-Cœur et les élèves venus de Paris et de Lilles ! Vivre de la foi veut dire confesser la grandeur de Dieu et accepter notre condition de créature. En reconnaissant votre petitesse, Dieu vous comblera de son amour et de sa lumière ! Affrontez alors l’aventure de votre vie avec confiance et espérance ! Bon pèlerinage !

I offer a warm welcome to all the English-speaking visitors present at today’s Audience, including those from England, Ireland and the United States. May your visit to the tombs of the Apostles Peter and Paul inspire you never to place anything before the love of Christ. Upon all of you, I invoke God’s blessings of joy and peace.

Ganz herzlich grüße ich alle Brüder und Schwestern deutscher Sprache, heute besonders die Gruppe der Seminare von Eisenstadt, Wien und St. Pölten mit Weihbischof Anton Leichtfried. Ich freue mich, daß Sie da sind! Lassen wir uns im Wort Gottes und in den Sakramenten immer neu von der Liebe Christi einholen, mit der er uns in die Gemeinschaft mit dem Schöpfer und mit dem Nächsten zurückführen will. Der Herr schenke euch inneres Wachstum und sein Geleit auf allen euren Wegen. Danke.

Saludo cordialmente a los peregrinos de lengua española, en particular al grupo y a la Delegación de la Guardia Civil, con el Arzobispo castrense, el Señor Ministro del Interior y el Director General de ese Cuerpo, que ruega a la Virgen del Pilar la fuerza espiritual necesaria para su importante servicio a la sociedad española. Y saludo igualmente a los peregrinos venidos de España, Chile, México y otros países latinoamericanos. Que la fe en Dios, Padre y Creador, sea para todos fuente de serenidad y esperanza. Muchas gracias.

De coração, saúdo os peregrinos de Guaratinguetá e todos os presentes de língua portuguesa. Sede bem-vindos! Que nada vos impeça de viver e crescer na amizade de Deus Pai criador, e testemunhar a todos a sua bondade e misericórdia! Desça a sua Bênção generosa sobre vós e vossas famílias.

Saluto in lingua araba:

البَابَا يُصْلِي مِنْ أَجَلِ جَمِيعِ النَّاطِقينَ بِاللُّغَةِ العَرَبِيَّةِ. لِيُبَارِك الرَّبّ جَمِيعَكُمْ.

Traduzione italiana:

Il Papa prega per tutte le persone di lingua araba. Dio vi benedica tutti.

Saluto in lingua polacca:

Witam polskich pielgrzymów. Drodzy siostry i bracia, żyć wiarą oznacza uznawać wielkość Boga stwórcy i, akceptując naszą małość, pozwalać, aby On wypełniał ją swoją miłością. Światło wiary demaskuje każde zło i daje pewność, że możemy być od niego uwolnieni. Niech ta pewność będzie dla nas źródłem nadziei i radości! Niech będzie pochwalony Jezus Chrystus!

Traduzione italiana:

Do il benvenuto ai pellegrini polacchi. Cari fratelli e sorelle, vivere di fede vuol dire riconoscere la grandezza di Dio Creatore e, accettando la nostra piccolezza, lasciare che il Signore la ricolmi del suo amore. La luce della fede smaschera ogni male e ci dà la certezza di poterne essere liberati. Questa certezza sia per noi fonte di speranza e di gioia! Sia lodato Gesù Cristo!

Saluto in lingua slovacca:

Srdečne pozdravujem spoločenstvo Kňazského seminára svätého Karola Boromejského z Košíc, vedené emeritným arcibiskupom Alojzom Tkáčom. Milí seminaristi, prajem vám, aby púť k hrobom svätých Apoštolov počas Roka viery posilnila vašu vernosť Kristovi a veľkodušnú odpoveď na jeho volanie. Rád žehnám vás i vašich drahých. Pochválený buď Ježiš Kristus!

Traduzione italiana:

Saluto cordialmente la comunità del Seminario arcidiocesano di San Carlo Borromeo di Košice guidata dall’Arcivescovo Emerito S.E. Mons. Alojz Tkáč. Cari seminaristi, vi auguro che il pellegrinaggio alle tombe dei Santi Apostoli nell’Anno della Fede rafforzi la vostra fedeltà a Cristo e la generosa risposta alla sua chiamata. Volentieri benedico voi ed i vostri cari. Sia lodato Gesù Cristo!

Saluto in lingua russa:

Я рад приветствовать делегацию из Казахстана во главе с господином Кайратом Мами, Председателем Сената Парламента Республики. Да благословит Всемогущий Бог вашу страну и ваши усилия для диалога между религиями и для всеобщего блага!

Traduzione italiana:

Sono lieto di salutare una delegazione del Kazakhstan, capeggiata dal Signor Kairat Mami, Presidente del Senato della Repubblica. Dio Onnipotente benedica il vostro Paese e il vostro impegno per il dialogo tra le religioni e per il bene comune!

Saluto in lingua bulgara:

Приветствам сърдечно говорещите български език поклонници. По-специално поздравявам членовете от Атлантическия клуб в България: нека посещението във Вечния град да укрепи вашето доверие в Бог и нека небесното застъпничество на Блажен Йоан Павел ІІ да подкрепя вашите желания за добро. Нека бъдат хвалени Исус и Мария!

Traduzione italiana:

Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua bulgara. In particolare saluto i membri dell’Atlantic Club in Bulgaria: la visita alla Città Eterna accresca la vostra fiducia in Dio e la celeste intercessione del Beato Giovanni Paolo II sia sostegno ai vostri desideri di bene. Siano lodati Gesù e Maria!

* * *

Cari amici, sono lieto di accogliere i Vescovi che prendono parte al convegno «Cristiani e Pastori per la Chiesa di domani», promosso dalla Comunità di Sant’Egidio, in coincidenza con l’anniversario della sua fondazione. Benvenuti! Auguro a voi, cari Confratelli, e a tutti i membri di questa Comunità di ravvivare la fede nel Signore e di testimoniare con rinnovato entusiasmo la carità evangelica, in particolare per i deboli e i poveri. Un caloroso saluto rivolgo anche ai Frati Minori Conventuali, che celebrano il loro duecentesimo Capitolo Generale. Cari Fratelli, testimoniate agli uomini di oggi la bellezza di seguire il Vangelo in semplicità e fraternità.

Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana, in particolare ai partecipanti al Corso di formazione umana per il sacerdozio e la vita consacrata, accompagnati dal Card. Elio Sgreccia, al Gruppo dello Studio Teologico Interdiocesano di Camaiore, con l’Arcivescovo di Pisa, Mons. Benotto e alla Pia Opera Croce Verde di Padova, nel centenario della sua attività. Grazie per tutto.

Infine, un pensiero affettuoso ai giovani, ai malati e agli sposi novelli. L’odierna memoria di San Paolo Miki e dei compagni martiri giapponesi, stimoli voi, cari giovani, in particolare gli studenti dell’Istituto Francescano “Faà di Bruno” di Torino, nel 150° anniversario di fondazione, e quelli delle Scuole Regnum Christi di Roma, a spendere le vostre energie per la causa del Vangelo; aiuti voi, cari ammalati, ad accettare la croce in spirituale unione con il cuore di Cristo; e incoraggi voi, cari sposi novelli, ad avere sempre fiducia nella Provvidenza, anche nei momenti difficili della vostra vita coniugale.


Condividi: 

I Santi Luisa de Marillac, Caterina Labouré e Vincenzo de Paoli

                                          Storia di una famiglia



San Vincenzo de Paoli

Alla Rue du Bac, ci può stupire di vedere San Vincenzo di Paoli

 accoglierci. Ma che cosa c'è di più normale che 

onorare i propri antenati? Questa è la casa Madre 

della Compagnia, fondata nel 1633 da Vincenzo e Luisa!



E poi si sa, i santi sono molto attivi in ​​cielo. San Vincenzo è stato importante nella vocazione di Caterina, attraverso un sogno misterioso. Inoltre, il trasferimento solenne delle reliquie del Santo ha avuto luogo proprio il 25 Aprile 1830 , qualche giorno soltanto, dopo l'arrivo di Caterina nel Noviziato di Parigi. Quale felicità per lei accompagna il sacerdote della sua vocazione! Infine, San Vincenzo manifestò il suo cuore a Caterina, mentre è in preghiera nella Cappella della rue du Bac, tre giorni di seguito, tre colori diversi per annunciarle che l'ora della sua missione si stava avvicinando.
Arrivò il grande giorno: la vigilia della festa di San Vincenzo, il 18 giugno 1830, Caterina partecipò alla conferenza di una suora sull'amore del Signor Vincenzo per la Vergine Immacolata. Queste parole suscitano in Caterina l'ardente desiderio di vedere la Madonna. La giovane novizia si addormenta, pregando San Vincenzo, che ammira molto, perchè interceda in modo da esaudire il suo ardente desiderio. Dopo questa audacia prega Caterina si addormenta. Un angelo la risveglia…


Luisa de Marillac

Santa Luisa era animata da un grande amore per la Madonna:
“Sono tutta tua, vergine Maria per essere più perfettamente di Dio. “
A dispetto delle controversie sorte nella Chiesa, Luisa era convinta 
della Concezione Immacolata della Madre di Dio e 
si augurava che questa pit riconosciuta e celebrata, perché
“Maria è l'unica creatura pura sempre gradita a Dio”.
Per questo le Figlie della Carità si aggiunge ad ogni decina del 
rosario una preghiera, che è scritta in lettere d'oro 
attorno alla cupola della Cappella:
"Santissima Vergine, credo e confesso la tua santa e 
Immacolata Concezione".

Nel 1644 Santa Luisa consacrò alla Madonna la Compagnia delle 
Figlie della Carità, durante un pellegrinaggio a Chartres. 
L'ultima parola del suo testamento spirituale esprime 
la sua devozione mariana:
“Abbiate molta cura del servizio dei poveri, e soprattutto 
di ben vivere insieme con grande unione e cordialità, amandovi 
reciprocamente, per imitare l'unione e la vita di Nostro 
Signore. Pregate molto la Santissima Vergine 
affinché sia ​​la vostra Unica Madre. »


 Caterina Labouré

Caterina Labouré nacque il 2 maggio 1806 in un villaggio 
della Borgogna, Fain les Moutiers. Era l'ottava di dieci figli
 di Pierre e Madeleine Labouré, 
proprietari di una fattoria. La morte di Madeleine, 
a 46 anni, immerge la famiglia nel lutto. Caterina, in lacrime, 
salì su una sedia per baciare la statua della Madonna e 
dirle: “Adesso, sarai tu mia madre”.
A ventiquattro anni, Caterina, dopo aver superato molti 
ostacoli, entrò come novizia alla Casa madre delle 
Figlie della Carità, rue du Bac a Parigi. È qui, nella cappella, 
che la Madonna le apparve alcuni 
mesi più tardi, la prima volta fu per il 19 luglio 1830, per annunciarle 
una missione; la seconda volta, il 27 novembre seguente, per 
affidarle la medaglia che Caterina sarà incaricata di fare coniare. 
L'anno seguente, compiuto il seminario, suor Caterina è destinata a 
Reuilly, allora sobborgo povero a sud est di Parigi. 

Fino alla fine della vita servià i poveri anziani, nel più totale 

nascondimento, mentre la medaglia si diffondeva 

miracolosamente in tutto il mondo. 

Caterina Labouré morì in pace il 31 dicembre 1876: 

“Parto per il cielo… vado a vedere Nostro Signore, 

sua Madre e san Vincenzo”. Nel 1933, in occasione di 

questa beatificazione, si aprì il loculo nella cappella 

di Reuilly. Il corpo di Caterina fu ritrovato intatto e trasferito 

nella cappella della rue du Bac; qui venne installato 

sotto l'altare della Vergine al Globo.

********************

Alla fine del 1858

correvano a Parigi notizie sulle apparizioni della 

Madonna a una contadina dei Pirenei, a Lourdes, un angolo 

di scarsa rilevanza del territorio francese. Si scambiavano

 impressioni sulle straordinarie guarigioni constatate dopo che 

erano state utilizzate le acque della miracolosa fonte della 

Grotta di Massabielle e, soprattutto, si commentava la celebrità 

della giovane veggente, Bernadette Soubirous, la cui semplicità e

 incrollabile fede suscitavano l'ammirazione del popolo, che già la

 venerava come santa.

Diffondendosi velocemente per la capitale francese, le notizie 

giunsero all'orecchio anche delle Figlie della Carità di San 

Vincenzo de' Paoli, che servivano gli anziani dell'ospizio 

di Enghien. Intavolarono n'animata discussione, nella quale 

si udì un'esclamazione uscita dalle labbra di una religiosa che, 

sebbene discretamente, si mostrava presa da veemente entusiasmo

 in quel momento: "E' la stessa!".1 Nessuna delle presenti 

comprese il significato di quelle parole. Guardandosi tra loro 

con stupore, continuarono a parlare, come se non avessero udito nulla.


"Un arcobaleno mistico tra Rue du Bac e Lourdes"

Nel 1830, una novizia della Casa Madre della Compagnia 

delle Figlie della Carità, situata a Parigi in Rue du Bac, 

era stata anche lei privilegiata con apparizioni della Madonna, 

le quali avevano già acquistato fama mondiale. 

Oltre a fare importanti rivelazioni sul futuro della Congregazione 

e della Francia, la Madre di Dio aveva affidato alla veggente la 

missione di far coniare una medaglia attraverso cui Lei avrebbe 

versato abbondanti grazie sul mondo. 

La distribuzione dei primi esemplari avvenne a causa dell'epidemia 

di colera che infuriava a Parigi, furono talmente tante e così 

sorprendenti le guarigioni attribuite all'uso di questa medaglia

 - non senza motivo denominata dal popolo Miracolosa -, 

che in poco tempo essa si era già diffusa in diversi paesi.

Il nome della veggente, tuttavia, rimaneva incognito, 

anche tra le sue sorelle d'abito. 

Fu rivelato soltanto dopo la sua morte: era la silenziosa, 

diligente e sempre ben disposta Suor Caterina Labouré! 

I suoi occhi azzurri, sereni e limpidi, brillavano di gioia 

sentendo parlare per la prima volta delle recenti apparizioni di 

Lourdes, un'eco di quelle avvenute in Rue du Bac. 

Era un'altra luce che spuntava nello stesso cammino di misericordia 

tracciato dalla Regina del Cielo per condurre l'umanità a 

una nuova era di grazie mariane.

Non c'era dubbio, era "la stessa"! Alla novizia di Parigi, la Vergine 

aveva insegnato la formula per invocarLa: "O Maria, concepita 

senza peccato". A Bernadette, così Si era presentata: 

"Io sono l'Immacolata Concezione". Esultante di contentezza, 

Suor Caterina cominciò a nutrire una profonda ammirazione 

per la nuova veggente, malgrado non la conoscesse. 

Non sapeva che, a Lourdes, Bernadette portava al collo la 

Medaglia Miracolosa quando vide la Madre di Dio, 

e probabilmente nutriva nel suo cuore nobili sentimenti di 

venerazione per la sconosciuta veggente della Vergine della Medaglia... 

Secondo un'ottica soprannaturale, c'era una stretta unione di animo 

tra le due sante, che formava "come un arcobaleno 

mistico tra Rue du Bac e Lourdes".2

Santa Bernadette dava prove di eroica umiltà, 

restituendo alla Regina del Cielo gli onori e le lodi che il popolo 

le tributava. Santa Caterina praticava in modo differente 

una pari umiltà: dedita alle più modeste funzioni 

nell'ospizio di Enghien, dove serviva 

gli anziani e i poveri da oltre quarant'anni.


Infanzia avvolta da fede e serietà

Quando Caterina nacque, il 2 maggio 1806, in Francia erano 

ancora aperte le ferite dell'irreligione provocate 

dalla Rivoluzione del 1789. 

Nel piccolo villaggio borgognone di Fain-lès-Moutiers, dove la famiglia 

Labouré risiedeva, non c'era un sacerdote. Per battezzare la neonata, 

fu necessario chiamare il parroco della cittadina vicina. 

Nonostante la generalizzata negligenza religiosa del tempo, 

da cui non era esente suo padre, Pietro Labouré, la fede di 

Caterina e dei suoi nove fratelli fu salvaguardata e rafforzata 

grazie all'impegno della madre, Maddalena Gontard, 

la cui principale preoccupazione nell'educazione dei figli fu 

quella di infondere in loro un'illimitata fiducia nella Santissima Vergine.

I primi anni di Zoe - così si chiamava la nostra santa, prima 

dell'ingresso nella vita religiosa - trascorsero senza nubi, 

nelle gioie di un'infanzia profumata dall'innocenza. 

Acquistò ben presto il gusto per la preghiera e non esitava 

ad abbandonare gli infantili divertimenti quando la madre 

la chiamava per pregare insieme davanti alla semplice 

statua della Madonna intronizzata in una sala della sua casa.

Dotata di un precoce senso di responsabilità e serietà, 

Zoe capì presto le difficoltà della madre nell'esecuzione 

degli ardui compiti di manutenzione della casa, 

e decise di aiutarla. Prima di compiere otto anni, 

sapeva già cucire, mungere le mucche, preparare la minestra 

e spazzare il pavimento. La convinzione che la spingeva ad abbracciare 

con gioia il monotono lavoro quotidiano - tanto in famiglia, durante 

l'infanzia e la gioventù, quanto nell'ospizio di Enghien, nel corso di 

più di quattro decenni - fu da lei stessa spiegata con parole 

semplici e piene di luce: "Quando si fa la volontà di Dio, 

non si sente mai fastidio".3


Una grazia trasformante

A nove anni di età, la piccola Zoe vide l'orizzonte della sua vita 

oscurarsi per una tragedia: nell'ottobre 1815, morì sua madre. 

Contemplando il suo corpo inerte, pianse copiosamente, ma non 

per molto tempo, poiché lei stessa le aveva insegnato a chi ricorrere 

nei momenti di afflizione. Passato il primo choc, si diresse alla sala, 

dove si trovava la statua della Madonna, davanti alla quale 

tante volte aveva pregato in compagnia della madre. 

Risoluta, salì su una sedia per porsi all'altezza della statua, 

l'abbracciò ed esclamò, tra i singhiozzi: "D'ora in poi, 

Tu sarai mia Madre!".4 La risposta della Regina del Cielo 

fu immediata. La bambina, che lì era giunta debole e 

disfatta in lacrime, si ritirò forte e disposta ad affrontare 

le avversità. Fu questa l'ultima volta che pianse 

nella vita, poiché la virtù della fortezza l'accompagnò 

in un crescendo fino alla fine dei suoi giorni.


Nel 1871, quando già era una religiosa di 65 anni di età, 

il movimento rivoluzionario della Comune di Parigi le offrì 

diverse occasioni per di manifestare, con eroismo, questa virtù. 

Un giorno, per esempio, prese l'iniziativa di dirigersi al 

quartier generale degli insorti per difendere la sua superiora, 

contro cui era stato pronunciato un ordine di detenzione. 

Espose i suoi argomenti con tale fermezza davanti a quasi 

sessanta comunardi lì presenti che finì per uscirne vittoriosa. 

Impressionati, i rivoluzionari cominciarono a trattarla 

con molta deferenza; arrivarono anche a chiederle di deporre 

nel processo di una prigioniera, e considerarono la 

sua deposizione, favorevole all'imputata, come l'ultima parola nel caso.


Una dimostrazione concreta di questa grazia ricevuta 

nell'infanzia fu la costanza d'animo con la quale sopportò 

le numerose manifestazioni d'impazienza e incredulità del suo 

confessore quando, per ordine della Madonna, gli raccontava 

le visioni avute. Pochi mesi prima di morire, confidò alla superiora 

che l'atteggiamento di questo sacerdote aveva costituito per lei 

un vero martirio. Lei patì con la fortezza dei martiri quest'olocausto

 silenzioso, che le era stato annunciato dalla stessa Santissima 

Vergine, nella prima delle sue apparizioni: 

"Figlia mia, il Buon Dio vuole incaricarti di una missione. 

Avrai molte difficoltà, ma le supererai, considerando che 

agisci per la Sua gloria. Saprai discernere quello che

 proviene dal Buon Dio. Sarai tormentata fino a che lo 

dirai a colui che è incaricato di condurti. Sarai contraddetta, 

ma otterrai la grazia. Non temere. Di' tutto con fiducia 

e semplicità. Abbi fiducia".5


Una vera figlia di San Vincenzo de' Paoli

"Sarai felice di venire a me. Dio ha disegni a tuo riguardo".6 

Quando aveva circa 14 anni, Caterina sentì in sogno queste 

parole dirette a lei da un sacerdote sconosciuto, 

il cui sguardo penetrante e pieno di luce si incise per sempre 

nella sua memoria. Alcuni anni più tardi, visitando una casa 

delle Figlie della Carità, s'imbatté su un quadro del fondatore 

della Congregazione, San Vincenzo de' Paoli, nella cui 

fisionomia riconobbe il sacerdote del sogno. Le fu chiara, allora, 

la vocazione cui già si era sentita tante volte 

attratta: sarebbe stata figlia di San Vincenzo!


Tuttavia, quando nel suo 21º compleanno, 

il 2 maggio 1827, annunciò in casa la sua decisione, 

il padre si oppose tassativamente. Dopo aver tentato,

 invano, di dissuaderla dall'abbracciare la vita religiosa, 

il padre la inviò a Parigi, a lavorare nel ristorante di un suo 

fratello, nella speranza che lì lei avrebbe finito per

 incontrare un buon partito e sposarsi.


Quell'ambiente, però, frequentato da operai rudi e molte 

volte sfrontati, non fece che rafforzare la purezza 

illibata della giovane. Tale era il suo amore per 

la vocazione che già si comportava come un'autentica 

Figlia della Carità, compiendo alla perfezione le raccomandazioni 

fatte dal Santo alle sue figlie spirituali, tra cui questa: 

"Se alle religiose [di clausura] è preteso un grado 

di perfezione, alle Figlie della Carità ne devono esser pretesi due".7


Caterina non desiderava altra cosa che abbracciare 

per intero quest'ardita meta, 

e perseverò nel suo proposito fino a vincere l'ostinazione del padre. 

"Se osserviamo bene le piccole cose, faremo bene le 

grandi",8 avrebbe lei scritto, decenni più tardi, 

al termine di un periodo di esercizi spirituali.


La fiducia e la semplicità di un'anima innocente

Finalmente, il 21 aprile 1830, Caterina arrivò al Convento 

di Rue du Bac. Il Consiglio delle Superiore subito vide in lei 

un'autentica vocazione: "Ha 23 anni ed è perfetta per la 

nostra comunità: ha una buona devozione, buon carattere, 

temperamento forte, amore del lavoro ed è molto gioiosa",9 

fu il parere scritto a suo riguardo. Inoltre, era una genuina 

contadina, proprio come desiderava San Vincenzo, che aveva 

assunto i buoni attributi delle contadine come base naturale 

per profilare l'ideale di virtù delle Figlie della Carità. Sia nella 

vita comunitaria, sia nel servizio dei poveri, e anche durante 

le manifestazioni soprannaturali di cui fu oggetto, 

sempre brillò in Suor Caterina una delle virtù più 

amate dal Santo Fondatore: la semplicità di cuore.


"Lo spirito delle contadine è semplicissimo: 

nessuna traccia di fingimento né parole di doppio senso;

 non sono testarde né attaccate alle loro opinioni. [...] Così, figlie mie, 

devono essere le Figlie della Carità, e sappiate che lo sarete 

se siete semplici, non recalcitranti, sottomesse al parere 

degli altri e candide nelle vostre parole, e se i vostri cuori 

non penseranno una cosa mentre le vostre bocche 

ne pronunciano un'altra".10 Questo ideale delineato

 da San Vincenzo ha trovato, quasi due secoli dopo, 

una perfetta realizzazione nell'anima di questa diletta figlia.


La settimana successiva al suo arrivo al convento, 

le apparve tre volte, in giorni consecutivi, il cuore di 

San Vincenzo, che le preannunciava le imminenti 

disgrazie che si sarebbero abbattute sulla Francia, 

con la promessa che le due Congregazioni da lui fondate 

non sarebbero scomparse. La fortunata novizia ebbe

 la grazia di vedere anche Cristo presente nella Sacra Ostia, 

durante tutto il tempo del suo seminario, "tranne tutte le volte 

in cui io dubitavo",11 confidò lei.


Imbevuta della Fede che muove le montagne e attrae la 

benevolenza di Dio, Caterina non esitò a chiedere 

di più: voleva vedere la Madonna. Alla vigilia della festa del 

Fondatore - che allora si commemorava il 19 luglio -, le confidò 

il un suo desiderio in una breve orazione e andò a 

dormire speranzosa: "Andai a dormire con l'idea che in quella 

stessa notte sarebbe venuta la mia buona Madre. Era da tanto 

che volevo vederLa". 12 E fu generosamente esaudita, non 

solo "quella stessa notte", ma anche in altre due apparizioni, 

una in novembre e un'altra in dicembre dello stesso anno 1830.

Col passar degli anni, s'intensificò in lei la fiducia filiale 

e illimitata che depositava in questi tre pilastri di devozione, 

a tal punto che, poco prima di morire, non poté nascondere lo 

stupore quando la superiora le chiese se non aveva paura 

della morte: "Perché dovrei temere di andare a vedere 

Nostro Signore, sua Madre e San Vincenzo?".13


"La Santissima Vergine scelse bene"

Santa Caterina non violò mai il segreto sulla sua condizione 

di veggente e messaggera delle apparizioni della Medaglia 

Miracolosa. Tuttavia, molte persone giunsero a scorgere in lei 

la prediletta della Regina del Cielo, tale era il suo amore a Dio, 

non solo affettivo, poiché innegabile era la sua ardente pietà,

 ma anche effettivo, come testimoniò una delle sue 

contemporanee: "Le sue azioni, in se stesse ordinarie, 

lei le faceva in maniera straordinaria". 14 C'era in lei 

qualcosa di discreto, irraggiungibile e ineffabile.


La sua santità era la principale custode del segreto. 

Alle suore che osarono interpellarla in questo senso, 

la sua risposta consistette sempre in un assoluto silenzio. 

Un silenzio nato dall'umiltà, senza nulla di taciturno né di 

scontroso; al contrario, un silenzio sacro, che arrivava 

a suscitare venerazione.

Quando, dopo la sua morte, fu annunciato alle Figlie della Carità 

il nome della veggente di Rue du Bac, esse ebbero una reazione 

caratterizzata più dall'ammirazione che dalla sorpresa. 

Non era difficile associare l'esemplare suora alla figura 

- già un po' mitizzata - della veggente ignota. 

Era impossibile non restare meravigliati nel costatare l'eccellenza 

della sua umiltà, che l'aveva mantenuta nell'anonimato, 

pur esercitando una missione di portata universale.

Forse in quel momento sarà venuto in mente alle suore

 l'ingenuo detto che i bambini dell'orfanatrofio, diretto dalle Figlie 

della Carità, erano soliti ripetere tra loro, osservando da lontano 

Suor Caterina Labouré: "La Santissima Vergine ha scelto bene".

15 Sarebbero state queste parole, così vere, mero frutto 

dell'immaginazione infantile o avrà Dio, ancora una volta 

nella Storia, rivelato ai piccoli i misteri nascosti ai sapienti e intenditori?

Senza dubbio, più luminosa dell'eroico silenzio è la lezione di fiducia 

filiale lasciata da Santa Caterina nella Madre che mai ci abbandona. 

"La fiducia ottiene sempre questo premio. Chiedendo con fiducia, 

si riceve di più, con più certezza e più abbondantemente. 

La fiducia ci apre il Sapienziale e Immacolato Cuore di Maria".16

1 LAURENTIN, René. Vie de Catherine Labouré. Paris: Desclée de Brouwer, 1980, p.197.
2 CORRÊA DE OLIVEIRA, Plinio. Conferenza. San Paolo, 12 nov. 1980.
3 SANTA CATERINA LABOURÉ, apud LAURENTIN, op. cit., p.377.
4 CLÁ DIAS, EP, João Scognamiglio. A Medalha Milagrosa. História e celestiais
promessas. São Paulo: Takano, 2001, p.7.
5 LAURENTIN, op. cit., p.85.
6 Idem, p.40.
7 SAN VINCENZO DE' PAOLI. Correspondence, Entretiens, Documents, apud HERRERA, CM, 

José; PARDO, CM, Veremundo. San Vicente de Paúl. Biografía y 

selección de escritos. 2.ed. Madrid: BAC, 1955, p.271.
8 SANTA CATERINA LABOURÉ, apud LAURENTIN, op. cit., p.156.
9 LAURENTIN, op. cit., p.50.
10 SAN VINCENZO DE' PAOLI, op. cit., p.260.
11 SANTA CATERINA LABOURÉ, apud LAURENTIN, op. cit., p.78.
12 Idem, p.81.
13 Idem, p.289.
14 LAURENTIN, op. cit., p.375.
15 BERNET, Anne. La vie cachée de Catherine Labouré. Mesnil-sur-l'Estrée: Perrin, 2001, p.225.
16 CORRÊA DE OLIVEIRA, op. cit.

Rivista Araldi del vangelo, Decembre 2012, nº 116, p 22 - 25


AVE MARIA PURISSIMA!