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lunedì 28 novembre 2022

L'UNIONE A GESÙ CRISTO

 SILVIO MARIA GIRAUD, MISSIONARIO DELLA SALETTE

SACERDOTE E OSTIA



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LIBRO TERZO

LE VIRTU' SACERDOTALI
L'UNIONE A GESÙ CRISTO

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CAPITOLO DODICESIMO. LA SANTA MESSA

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La sublimità cui il Sacerdote viene innalzato dall'Ordinazione sacra è assolutamente superiore ad ogni pensiero umano. Neppure gli Angeli potrebbero giungere a intendere perfettamente la dignità, lo stato santo, o meglio per usare il linguaggio di san Dionigi (541), lo stato deiforme al quale viene elevato il Sacerdote. È questo il profondo segreto di Dio. Il Sacerdote è sacerdote in tutta la sua persona e in tutto il suo essere; nell' anima come nella carne: Sacerdote sempre, sia che adempia qualche ministero, ovvero che si presenti come uomo privato. In lui tutto è sacerdotale e quindi tutto è divino; egli pensa e ama divinamente; egli vive, ma non più lui; Dio medesimo vive in lui, quei Dio che lo ha fatto il suo Sacerdote e un altro se stesso. Epperò quando il Sacerdote umile e modesto, Si avvia all'altare rivestito dei gloriosi abiti sacerdotali, tutto s'inchina al suo passaggio, la Chiesa della terra come gli Angeli del Cielo. In quell'anima che per la sacra ordinazione è divenuta un altro CRISTO, vi è una gloria celeste e divina; se fossero visibili i raggi che circondano la sua fronte, il suo volto, il suo cuore e il suo corpo medesimo, tutto nell'universo resterebbe impallidito. Se la grandezza del Sacerdote potesse comparire visibilmente nella sua vera realtà, i re e le regine getterebbero ai suoi piedi le loro corone. Quando si potesse vedere quale inesauribile sorgente di ogni bene si apra per tutte le creature, ogni volta che il Sacerdote alza la mano per benedire e consacrare, ne risulterebbe dappertutto sulla faccia della terra un immenso tripudio di gioia. In cielo avviene un tale tripudio quando il Sacerdote va all'altare, perché quaggiù egli è il concittadino deI Cielo; avviene pure in Purgatorio, poiché il Sacerdote è l'amico, l'aiuto, il liberatore delle anime purganti; avviene anche in una moltitudine di anime, le quali secondo la parola di sant'Ambrogio, «vedendo CRISTO nel Sacerdote, stanno nella luce vera ed infallibile» (542). Ma un tale tripudio di gioia, avviene nell’Ostia in una maniera incomprensibile, più profonda e più amorosa… O Sacerdote! l'Ostia vivente trasalisce, l'Ostia vivente ti aspetta perché vuol venire nelle tue mani; nelle tue mani soprattutto essa si compiace: Essa è tua, e tu sei suo. L'Ostia sempre richiede il suo Sacerdote, e sempre il Sacerdote è una cosa sola con l'Ostia; non possono star separati. La gioia dell'Ostia è di aver il suo Sacerdote; la gioia del Sacerdote è di aver la sua Ostia, mistero bello e delizioso! O impenetrabile abisso di grazia, di pace e di gioia che rimane il segreto del Sacerdote e dell'Ostia!

«Il mondo non ci ama, scriveva san Paolino da Nola, ma GESÙ CRISTO ci ama: Mundus nos non amat, sed amat nos Christus» (543), GESÙ CRISTO ci ama e ogni mattina ci accorda il sublime onore di salire all'altare e celebrare la santa Messa; e allora cosa importa che il mondo non ci ami? La santa Messa è tutto per il Sacerdote, è il suo gran tesoro, la sua consolazione, la sua gloria, la vita della sua vita, il centro dove tutto in lui trova il suo riposo, dove lo spirito, il cuore, l'anima intera trova tutto quanto può essere oggetto dei più ardenti desideri: luce, dolcezza, pace. sicurezza, felicità, forza, grandezza, e, per dire tutto con una parola sola, unione e unità con Dio e in Dio, per mezzo di CRISTO Ostia del Padre, fattosi Ostia nostra. La santa Messa è propriamente l'azione, la grande Azione del Sacerdote; all'altare, e solamente all'altare, il Sacerdote è veramente tale: quando tiene nelle sue mani l'Ostia santa, la innalza, la divide, ne dispone secondo il suo diritto per se medesimo e per le anime; qui sta il fine supremo del suo ministero; qui si rivela la sostanza del suo misterioso Sacerdozio. Per questa azione, infatti, il Sacerdote è particolarmente segnato con un sigillo indelebile; il carattere ricevuto nell'Ordinazione si riferisce tutto all'Ostia. Perciò, di tutto lo si può privare, fuorché del suo potere sopra l'Ostia. Ministero dolcissimo insieme e terribile! Il Sacerdote e l'Ostia: unità così indissolubile che neppure la degradazione la può rompere. Neppure la dannazione potrebbe togliere, nel disgraziato Sacerdote che precipitasse nell'inferno, la relazione con l'Ostia; il carattere sacerdotale sarebbe «quel sale, col quale sarà salata ogni vittima» (Mc 9, 47-48). Disgrazia terribile! La Chiesa, nella preghiera Hanc igitur, immediatamente prima della Consacrazione, ci fa domandare di esserne preservati. Si verifichi piuttosto per noi la bella parola di sant'Ambrogio: «La nostra Ostia si compiaccia di riconoscere in noi la sua gloriosa impronta. Oblatio sicut hostia pura, in vobis semper suum signaculum recognoscat!» (544).

Celebriamo sempre degnamente ogni santa Messa, perciò ricordiamo questa parola di san Giovanni Eudes: «La Messa è cosa così grande che ci vorrebbero tre eternità per celebrarla degnamente: la prima per la preparazione, la seconda per la celebrazione, la terza per il ringraziamento».

I. Preparazione alla santa Messa. – Probet autem seipsum homo(1 Cor 11, 28).

Pervulgatum apud sanctos Patres axioma est, dice il Card. Bona, quod talem se animae exhibet Deus, qualem se illa praeparat Deo. Ideo Christus in Eucharistia, aliis quidem est fructus vitae… aliis vero panis insipidus… Pauci sunt qui admirables hujus sacri convivii in se sentiant effectus, quia pauci sunt qui se ad illos recipendos rite disponant… Instante itaque celebratione, totis viribus curare debet (Sacerdos), ut in ara cordis ignem divini amoris succendat, actusque eliciat diversarum virtutum… tanto Sacrificio, quantum fieri poterit, convenientes (545). E san Bonaventura: Abstractus et divinus factus, nihil aliud videat, nihil aliud sentiat, quam Deum (546).

La preparazione deve essere particolarmente interna; ma pure non si trascuri l'esterno, ossia l'esatta pulitezza in ogni cosa che si avvicina all'altare; soprattutto si osservi il silenzio. Vespere praecedenti, dice ancora il Card. Bona, cogite Sacerdos se, die crastina, hostiam salutarem Deo omnipotenti oblaturum, eique cagitationi indormiat; sequenti die, in eadem cogitatione invigilet, etc. (547). Vi sono Sacerdoti che, ad imitazione di san Carlo, han la fortuna di confessarsi ogni giorno prima della santa Messa, non per scrupolo, ma per amore.

Il Sacerdote fervente prende con fede i sacri paramenti, e questi gli ricordano come debba essere Vittima con GFSÙ Ostia. Il Card. Bona dice che essi rappresentano le varie circostanze della Passione; l'amitto, è figura del velo con cui i soldati coprirono il volto di GESÙ nel cortile di Caifasso; il camice ricorda la veste bianca di cui lo rivestì Erode; e così degli altri. La Messa è la memoria della Passione, quindi tutto quanto ci ricorda la Passione è mezzo efficace per disporre l'anima al divin Sacrificio. Rivestito degli abiti sacri, il Sacerdote va all'altare, tutto assorto in Dio, come GESÙ quando si avviava all'Orto (548); egli, allora soprattutto, è un altro CRISTO e gli Angeli si prostrano riverenti al suo passaggio. È necessario che abbia i sentimenti e le disposizioni di GESÙ, e sia esso pure Sacerdote e Vittima del Padre. Ma una tale disposizione «non è l'effetto di un semplice preparamento attuale, durasse pure un'ora intera; non può essere l'effetto che della grazia di GESÙ CRISTO in noi, e del lavoro magari di parecchi anni nella mortificazione dei sensi e nella crocifissione di noi stessi per essere conformi a GESÙ CRISTO in qualità di Vittime, prima di essere associati a Lui come Sacerdote. GESÙ, prima di entrare nella perfezione, nei diritti e nelle funzioni del suo Sacerdozio eterno nel Santuario del Cielo, ha dovuto essere Vittima sulla Croce; così coloro che sono destinati ad essere partecipi della potenza e grandezza del suo Sacerdozio per offrire il terribile Sacrificio del suo Corpo, debbono aver lavorato e lavorare continuamente a crocefiggere in se stessi l'uomo vecchio. GESÙ risorto è il Sacerdote del Cielo: così, per compiere su la terra la celeste funzione del suo Sacerdozio, bisogna essere uomini rinnovati, e per così dire, risorti. Per essere sacerdoti con GESÙ CRISTO, bisogna essere Vittime con Lui, Vittime celesti infiammate» (549).

II. Durante la Santa Messa. – Il Sacerdote, nella Messa, è GESÙ CRISTO, quindi Sacrificatore e Vittima come GESÙ CRISTO.

1°) GESÙ CRISTO, come Sacrificatore, è tutto assorto nel sentimento della Maestà del Padre, cui offre se stesso e tutto il creato: il Sacerdote deve rendersi partecipe di questo sentimento, e rimanere nel più profondo raccoglimento. Si è sempre ammirato nei Santi quando stavano all'altare, quel contegno raccolto, calmo e tranquillo, espressione del raccoglimento e della pace dell'anima che riusciva di somma edificazione per chiunque assisteva alla loro Messa. Bossuet osserva che GESÙ CRISTO medesimo ci ha dato l'esempio, nella sua oblazione; ecco le sue parole: «Perché GESÙ appare così tranquillo sul Calvario mentre nell'Orto era così turbato? il motivo più evidente sta in questo che sul Calvario Egli era nell'azione medesima del suo Sacrificio, e nessuna azione deve essere compiuta con maggior tranquillità. E Voi che assistete al santo Sacrificio, vi lasciate distrarre!… Ah! non avete ancora compreso ciò che è il Sacrificio.

«Il Sacrificio è un'azione con la quale rendete a Dio i vostri omaggi; orbene, chi non sa che tutte le azioni che esprimono il rispetto esigono un contegno, calmo e dimesso? L'olio che si spandeva sulla testa del Pontefice per consacrarlo (Lv 8, 12), era appunto il simbolo sacro della tranquillità dello spirito ottenuta con l'allontanamento di ogni pensiero estraneo… O GESÙ, Pontefice mio divino! per questo senza dubbio vi dimostrate così tranquillo nella vostra Agonia (sulla Croce). Nell'Orto lo veggo turbato, sia pur volontariamente, perché si considerava come Vittima, voleva operare come Vittima e prendere l'azione e il contegno di una Vittima che si lascia trascinare per compiere la funzione Sacerdotale, appena le sue mani si sono elevate per offrire la Vittima al Cielo corrucciato, non vuol più provare nessun turbamento… e in mezzo a tanti dolori, Egli «muore, dice sant'Agostino, con maggior dolcezza e tranquillità che noi nell'addormentarci» (550).

Quale lezione per noi che ci lasciamo così facilmente, distrarre da vani pensieri! All'altare, con tutto il nostro contegno e con l'osservanza esatta e modesta di ogni rubrica, dobbiamo essere l'immagine fedele di GESÙ CRISTO crocefisso. Nella santa Messa, dice san Gregorio, qui Passionis Dominicae mysteria celebralmus; debemus imitari quod agimus (Dialog., IV).

Su l'altare, come già su la Croce, GESÙ offre e abbandona se stesso al Padre e con sé offre tutto il creato, così il Sacerdote deve pure offrirsi e abbandonarsi completamente con GESÙ CRISTO. Ad ogni parola, ad ogni movimento, quando prende l'Ostia fra le mani, o bacia l'altare vicino all'Ostia, quando la innalza, soprattutto quando dice: Per ipsum, et cum ipso et in ipso est tibi omnis honor et gloria, deve innalzarsi lui pure al Padre, come il fumo dell'incenso e la fiamma dell'Olocausto. Quando l'incenso è consumato, non ne resta che un po’ di cenere, tutta la sostanza è scomparsa e si è innalzata davanti a Dio; così il fervente Sacerdote, nella santa Messa, vuole, per così dire, svanire e perdersi davanti alla Gloria e alla Maestà del Padre, dimodochè in lui l'io non abbia più consistenza e neppure realtà.

Il Sacerdote all'altare dà e offre tutto quanto può dare; ha diritto di offrire e consacrare tutto il creato, perché offre e consacra persino il Creatore. Quale sconvenienza e indecenza se, in quei momenti, egli rivolgesse il pensiero e l'intenzione a qualche miserabile interesse materiale! Non potest Sacerdos illa intentione celebrare… ut ex hoc pecuniam consequatur, quia peccaret mortaliter (551).

2°) GESÙ CRISTO nel santo Sacrificio, in quanto Vittima, è in uno stato di morte e di annientamento, di espiazione e di penitenza per le anime; si dà alle anime per comunicar loro il suo stato di Ostia. Il Sacerdote, quando celebra, deve mettersi, come Lui, in istato di morte, di espiazione e di penitenza a pro delle anime, con la disposizione di darsi totalmente alle anime ed anche morire per esse. San Gregorio dice di san Cassio, Vescovo di Narni, che quando doveva offrire il santo Sacrificio, Velut totus in lacrymis defluens, semetipsum, et cum magna contritione, mactabat (552). Tale dovrebbe essere ogni Sacerdote.

Cosa degna di attenzione, nella Liturgia della Messa occupano un posto notevole le espressioni di umiltà, di penitenza e di contrizione; ciò indica che tra i fini del Sacrificio, il più sensibile ed evidente è l'espiazione; è quello che maggiormente risalta. Tutti i Sacramenti parlano di penitenza e di morte; ma il Sacramento dell'altare «annuncia particolarmente la morte del Signore» (1 Cor 11, 26). Perciò la sostanza della vita cristiana sta nella contrizione, nell'odio del peccato e nella volontà ferma di esserne liberi e distruggerne in noi le minime tracce, come pure di offrirne a Dio una conveniente riparazione. Sarebbe sommamente deplorevole che il Sacerdote non intendesse praticamente questa dottrina.

Se il Sacerdote non ha questo spirito, tutto il disegno di Dio nel chiamarlo al Sacerdozio diventa inutile. Lo spirito di GESÙ Vittima penitente ed espiatrice, deve essere il carattere dell'intera vita del Sacerdote, ma soprattutto quando oltre all'altare la Vittima della Croce. Per questo appunto la Chiesa, in quell'azione, gli mette sulle labbra tante parole che si addicono alla condizione di peccatore, affinché l'espiazione diventi il carattere principale di tutta la sua vita sacerdotale.

Con questo spirito di espiazione, il Sacerdote deve darsi alle anime. Nostro Signore si è dato alle anime, nelle umiliazioni, nelle sofferenze, nella Croce, con la morte; nella sua Passione e morte Egli manifestò più sensibilmente questo fine dell'espiazione. Il Sacerdote deve attingere nella sua unione con GESÙ Vittima penitente all'altare, quello spirito di espiazione e portarlo sempre e dappertutto. E non deve dimenticare che è questo il mezzo potente di attirare sulle opere dello zelo la benedizione di Dio. Tutti gli uomini apostolici furono Vittime espiatrici. Così, il Sacerdote nella santa Messa, abbandonandosi con amore alla grazia di GESÙ CRISTO Sacrificatore e Ostia, nell'intento di essere unito con Lui nelle medesime disposizioni come lo è nel Sacerdozio, si stabilisce sempre più in quello stato che GESÙ, nel Cenacolo prima di incamminarsi al suo Sacrificio, domandava al Padre principalmente per i suoi Sacerdoti: Ut sint unum, sicut et nos… Ut sint consummati in unum!

III. Dopo la Messa, il ringraziamento. – Nella Liturgia della Messa, il ringraziamento incomincia subito dopo la Comunione: quid retribuam?… Ricevuto il Corpo di GESÙ CRISTO, è necessario un atto di riconoscenza per un dono sì grande, e il Sacerdote, a questo fine, prende il prezioso Sangue di GESÙ CRISTO; questo indica che GESÙ CRISTO, e GESÙ CRISTO solo, è la nostra lode e il nostro ringraziamento. Qual dono, infatti, potremo noi offrire all'Eterno Padre? «Nel ricevere GESÙ CRISTO, dice il Padre de Condren, il Sacerdote ha ricevuto tutto… Siccome non abbiamo nulla che non riceviamo da Dio, anche la nostra lode e il nostro ringraziamento devono essere un dono di Dio. Orbene qual è questo dono di Dio? GESÙ CRISTO, il Calice della salvezza, il tesoro dei poveri; quando abbiamo ricevuto questo nostro tesoro, possiamo dire per ringraziare: In me sunt Deus, vota tua, quae reddam, laudationes tibi (Ps. 55, 12). Possiedo tutto ciò che può esservi offerto, per la lode e il ringraziamento che vi sono dovuti» (Op. cit., parte IV).

Le Orazioni dopo la Comunione, anche se esprimono domande, sono di ringraziamento. Implorando che quel rimedio divino sia permanente in noi, noi domandiamo la grazia della vita di GESÙ CRISTO in noi e, una vita che operi gli atti che le sono proprii, vita che ci renda somiglianti a Lui; è questo il vero frutto della comunione, ma è pure il modo di far onore a GESÙ CRISTO; il miglior ringraziamento è una vita santa. L’ultima parola, Deo gratias, al termine dell'ultimo Vangelo è ancora una parola di azione di grazie.

Il Sacerdote, mentre il popolo si ritira, continua il ringraziamento e, invitando tutte le creature a benedire e lodare Colui ch'egli porta nel Cuore, le chiama tutte attorno a questo o gran Re e Sacerdote: universale, che è il centro della Religione di ogni creatura, l'Ostia nella quale e con la quale ogni creatura deve offrirsi ed immolarsi a Dio. Deposti in silenzio i sacri Paramenti, il Sacerdote si guarderà bene, in quei momenti preziosi, dalle chiacchiere e dalle distrazioni. Lo spirito della Chiesa è che si osservi il silenzio nella Sagrestia tanto come in Chiesa; il Sacerdote, se appena intende il suo dovere e l'interesse dell'anima sua, sa circondarsi dopo la Messa di un ambiente di silenzio e di raccoglimento, onde trattenersi con GESÙ nell'effusione intima dei suoi affetti. Potrà talvolta accadere che la carità imponga di differire il ringraziamento, ma il buon Sacerdote procurerà che tale sacrificio sia eccezione e non frequenza, altrimenti che ne sarebbe della sua vita interiore? «Un Sacerdote privo di vita interiore, dice Monsignor Gay, è una terra senz'acqua e un cielo senza sole» (Mysteres du Rosaire).

Il Card. Bona raccomanda quattro atti principali nel ringraziamento: azione di grazie propriamente detta, offerta di se stesso, domanda e proponimenti. Per l'offerta così si esprime: Sequitur oblatio, qua par pari Deo reddere Sacerdos potest, Filium ejus unigenitum et consubstantialem ei offerendo, seipsum quoque offerat Patri et Christo holocaustum acceptabile in odorem suavitatis (De celebratione Missae). Preghiamo pure la Madonna, Madre e insieme Ostia di Colui che abbiamo nel nostro cuore, perché si unisca a noi. Ricordiamo anche le anime del Purgatorio, applicando loro l'indulgenza plenaria annessa alla preghiera: En ego, o bone Jesu.

Che se talora, in quei momenti così preziosi, 1'anima si sente stanca, distratta e incapace, sia nostro conforto quella verità di fede: GESÙ è tutto, è tutta la Religione dovuta al Padre e a Lui medesimo; in ogni dovere di religione Egli è il nostro supplemento. Dunque, in tutta verità, farà Egli stesso, in noi e per noi, il nostro ringraziamento; noi ci uniremo a Lui, pregandolo di supplire alla nostra debolezza e incapacità.

Il Sacerdote che ha celebrato, porta in se stesso una nuova santificazione che rapisce gli Angeli ed è per la Chiesa una feconda sorgente di ogni benedizione. Ugone da San Vittore, quel santo mistico del secolo XII, stava per morire; essendo venuto a visitarlo un suo discepolo ed avendogli domandato come stava, rispose: «Benissimo, e nel corpo e nell'anima». Poi disse: «Voi avete celebrato la santa Messa; avvicinatevi e soffiate sul mio volto in forma di croce, per comunicarmi lo Spirito Santo». Avendolo obbedito il discepolo, egli esclamò: Os meum aperui et attraxi spiritum. Così apprezzava quel santo uomo, il soffio di una bocca che aveva ricevuto il Sangue di GESÙ. Quale meravigliosa influenza non deve avere il Sacerdote che porta in sé, in virtù del santo Sacrificio, lo spirito e la vita di GESÙ CRISTO?

NOTE

(540) S. AUG., De bono viduitatis

(541) Sacrosancte ad uniformem deiformitatem pro captu nostro, et ad Deum divinamque virtutem promovemur. De Ecel. Hierarch., cap. I. ­ Si verum sit (Sacerdotem) virum esse prorsus divinum,… pro suo modulo ad deiformitatis fastigium perfectissimis perfectivisque deificationibus evectum, etc. Ibid.. cap. III.

(542) Omnis anima, quae Christum cogitat, in lumine semper est; dies lucet, tibi semper Christus aspirat. In Psalm., CXVIII, Serm. XIX.

(543) Epist. ad Severum.

(544) De Sacram. (in fine),

(545) De Sacrificio Missae.

(546) De praepar. ad Missam.

(547) Ibid.

(548) Sciens (Jesus) quia omnia dedit ei Pater in manus, et quia a Deo exivit et ad Deum vadit, Joann XIII, 3.

(549) CONDREN, Idea del Sacerdozio, ecc., parte IV.

(550) I Sermon sur la Compassion

(551) S. TH., Opusc., LXV.

(552) Homil., XXXVII

AMDG et DVM

sabato 16 dicembre 2017

PREPARAZIONE ALLA S. MESSA IN UNIONE A MARIA SS.


PREPARAZIONE ALLA S. MESSA 

IN UNIONE A MARIA SS.


PREPARAZIONE
ALLA S. MESSA
IN UNIONE A MARIA SS.

composta da S. Ecc. Rev.ma Mons. Pasquale Morganti
già Vescovo di Bobbio, Arcivescovo di Ravenna e Vescovo di Cervia.
Preghiera: 

«Gloriosissima Mater Dei, Virgo Maria, tota fiducia mea, precor Te ut mihi miserrimo peccatori adsistere hac hora digneris, qua pretiosissimum Filii tui Corpus et Sanguinem aeterno Patri oblaturus sum; sicut amans et dolens eidem Filio tuo in Cruce pendenti adstitisti.
Plena es gratiarum, plena rore coelesti, innixa super Dilectuin tuum, deliciis affluens.
Ciba ergo pauperem tuum de supereffluenti mensa tua, tuarumque virtutum vestibus indue me, ut his ornatus divino conspectui gratus appaream. 

Aperi manum tuam et imple me benedictioníbus, quibus Te Deus benedixit in aeternum, ut Te interveniente, tremenda Mysteria acceptabiliter perficere, et Sancta Sanctorum digne merear degustare.

«Domine Deus meus, Creator mens, et Redemptor mens, cum tali affectu,
reverentia, laude et honore, cum tali gratitudine, dignitate et amore, cum tali fide, spe et puritate te affecto hodie suscipere, sicut te suscepit et desideravit Sanctissima Mater tua, gloriosa Vírgo Maria quando Angelo, evangelizanti sibi Incarnationis mysterium, humilter ac devote respondit: Ecce Ancilla Domini fiat mihi secundum verbum tuum.


Atto di Fede: 
«Ecco concepirai un figlio, lo darai alla luce
e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per   sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine»[i].

Prodigio simile stai, o Gesù, per rinnovare in me. Anch’io tra poco articolando le tremende parole della Consacrazione, in certo modo, non meno meraviglioso, ti darò un’altra vita, la vita sacramentale, sicché nelle mie mani si rinnoverà quanto operossi nel seno della tua SS. Madre. Come al «fiat» pronunciato da Maria Tu scendesti ad umanarti in Lei, cosi scenderai tosto nelle mie mani appena io proferirò la formola del Sacramento. Credo, o Gesù, credo. Il senso cieco e tardo domanderà: «Come avverrà questo?[ii]»

ma la fede lo appagherà dicendo: «Su te stenderà la sua ombra la potenza dell’Altissimo… nulla è impossibile a Dio»[iii] Oh Maria piena di fede «Tu che hai creduto[iv]» alle parole di semplice Angelo, comunica a me, la tua gran fede alle parole di Dio medesimo.


Atto di Umiltà: 
«Tu ad liberandum suscepturus hominem, non
horruisti Virginis uterum![v]» Anima mia, senti la Chiesa, che stupisce

ancora come Gesù non abbia provato orrore ad incarnarsi nel seno di Maria.
Eppure di questo seno essa medesima va’ decantando la purezza, la santità,

la ricchezza e lo splendore chiamandolo «Vas spirituale, Vas honorabile,
Foederis Arca, Domus aurea!» Qual meraviglia adunque che su trono siffatto

abbia amato fermarsi anche il Re dei Re? L’ammirazione della Chiesa non offenderà Maria, di cui pare poco apprezzare l’immensa virtù? No, Maria non si offende: anzi Ella stessa ha posto in certo, modo sul labbro alla Chiesa, quella frase col suo esempio. All’udir da Gabriele: «Ave, piena di grazia… il Signore è
con Te». Ella «rimase turbata e si domandava che senso avesse un tale saluto[vi]» trovando strano a sé un saluto sì lusinghiero e sublime. 
E ricevendo le congratulazioni per la sua sorte incomparabile da Elisabetta espresse ripetutamente i suoi sensi d’umiltà: «Ha guardato l’umiltà  della sua serva… ha innalzato gli umili… ha ricolmato di beni gli affamat[vii]
dicendosi bassa ancella, mancante, di tutto, ché anche nel possesso di tante singolari virtù riconoscevasi un nulla in confronto del Dio d’ogni perfezione.
Or dunque, donde piglierò io ardire per accostarmi a questo gran Dio, e riceverlo in questo mio cuore, ove non solo non isplende l’oro dell’Arca dell’Alleanza, ma
vi fermentano passioni più abbiette? Se Maria si turba accostandosi a te posso io men che disperare e fuggire dal tuo cospettto? 
Ma in buon punto mi sovviene che tu, o Maria, sei la Regina dei miserabili, l’asilo dei derelitti: per te dunque, o mistica Porta del Cielo «Ianua coeli» io mi farò animo ad entrar da Gesù.

Atto di Confidenza: 
Ah tu, Gesù, non mi scaccerai, no, ché non il puoi, se Maria mi precederà. Coraggio, anima mia; «Va a questa madre di misericordia, e palesale le piaghe che porti nell’anima per le tue colpe: allora ella certamente pregherà il Figlio che ti perdoni, per quel latte ch’ella gli diede[viii]; e il Figlio, che tanto l’ama, certamente l’esaudirà;»[ix].
… «Se consideri le colpe, Signore, Signore, chi potrà sussistere?[x]»

Lo so, ma anima mia, senti la voce consolante di tua Madre: «Di generazione  in generazione la sua misericordia si stende su quelli che lo temono[xi]».

Orbene, o mio Gesù, benché compreso dell’infinita tua perfezione e dell’immensa mia miseria e turbato nell’animo, come Maria, per aderire ai pressanti inviti tuoi e della carissima tua e mia Madre, sul suo esempio mi acquieto e dico pien di gioia: «Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto[xii]». Perdonatemi intanto tutti i miei peccati, de’ quali mi dolgo, e accetta e convalida il proposito di non più ricadervi.


Atto di Desiderio: 
Anima mia, conosceva la Vergine SS. le promesse divine
circa il venturo Messia fatte ai Patriarchi e profeti: «come aveva promesso ai nostri padri[xiii]»: or con quali vampe d’amore non avrà quel Cuore desiderato Gesù, detto appunto «Desiderato da tutte le genti[xiv]»?


Con qual’ansia infuocata il virgineo e tenero suo Cuore non avrà ripetuto co’ suoi Padri: « manda chi vuoi mandare![xv]… Si apra la terra e germini il Salvatore! Le nubi piovano il giusto! [xvi]… donaci la tua salvezza[xvii]


 Signore, piega il tuo cielo e scendi [xviii]». O Maria, ah! dimmi: quante
volte lo chiamavi in un sol giorno il futuro Salvatore?… «Figlio, perché ci hai fatto così? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo[xix]»


 O Mamma mia, quanto affetto per Gesù in queste poche parole; quanto desiderio!
Dimmi ancora. o Maria, come ti struggevi di rivedere le care sembianze del tuo Gesù e di goderne gli amplessi, quando Egli era assente per attendere alla predicazione!
Dimmi lo schianto del tuo Cuore quando Gesù si staccò anche da Te per
salire al Cielo?! Dimmi gli slanci tuoi verso l’empireo nel resto della vita, lontana
da Gesù! Ah chissà quante volte ripetesti le amorose lamentele del
tuo gran Padre Davide: «Quando verrò e vedrò il volto di Dio?[xx]…
Chi mi darà ali come di colomba, per volare e trovare riposo?[xxi]…
Di te ha detto il mio cuore: “Cercate il suo volto”; il tuo volto, Signore,
io cerco[xxii]. L’anima mia ha sete di Dio, del Dio vivente![xxiii]… Ho
corso assetato![xxiv]… Mio Dio, non tardare![xxv]… L’anima mia languisce
e brama gli atri del Signore![xxvi]… Ho sperato: ho sperato nel Signore![xxvii]»
– Oh Gesù, ho anch’io tutti i motivi per desiderarti sì focosamente
vicino a me; anch’io posso aspettarmi un vero Paradiso con te, promettermi le gioie medesime di Maria: anch’io dunque anelo a te. lo vengo. Accompagnami tu, Maria, porgimelo tu il tuo e mio Amore, come il porgesti ai Pastori e ai Magi ed a molte anime elette, che poterono condividere teco la sorte invidiabile di stringersi in braccio Gesù.
NOTE
[i] Lc 1, 31-32.
[ii] Lc 1, 34.
[iii] Lc 1, 35.36.
[iv] Cf, Lc 1, 45.
[v] Dall’inno Te Deum: “non ha avuto vergogna di venire all’uomo implicandosi
nelle viscere della Vergine” (trad. libera di Mons. Luigi Giussani; cf. http://www.tracce.it/det_Articoli.asp?Sezione=settembre
+1999&ID= 19990921, visitato il 9 dicembre 2006.
[vi] Lc 1, 29.
[vii] Lc 1, 48. 52. 53.
[viii] San Bernardo, citato da Sant’Alfonso M. de’ Liguori ne Le Glorie di Maria,I, 2, 1. “Queste o simili parole da moltissimi vengono attribuite a S. Bernardo:
da s. Bonaventura (Soliloquium, cap. 1, n. 23, Opera, ad Claras Aquas,
VIII, 37), da Vincenzo di Beauvais, da S. Antonino, da S. Bernardino da Siena, da
S. Tommaso da Villanova, da Dionigi Cartusiano, da Pelbarto, ecc. ecc. Veramente,
ut sonant, non sono di S. Bernardo, o almeno non si ritrovano nei suoi scritti.
Ma non sembrano altro che la parafrasi di quanto scrisse S. BERNARDO sulla
scala dei peccatori, per cui dobbiamo ascendere dalla Madre al Figlio e dal
Figlio al Padre: «Ad Patrem verebaris accedere… Iesum dedit tibi Mediatorem.
Quid non apud talem Patrem Filius talis obtineat? Exaudietur utique pro reverentia
sua… An vero trepidas et ad ipsum… Advocatum habere vis et ad ipsum? Ad Mariam
recurre… Nec dubius dixerim, exaudietur et ipsa pro reverentia sua. Exaudiet utique
Matrem Filius, et exaudiet Filium Pater. Filioli, haec peccatorum scala, haec mea
maxima fiducia est, haec tota ratio spei meae. Quid enim? potestne Filius aut repellere,
aut sustinere repulsam; non audire, aut non audiri, Filius potest? Neutrum plane.»
In Nativitate B. M. V., Sermo de aquaeductu, n. 7. ML 183-441. – Questaparafrasila fece, primo fra tutti, uno degli amici più intrinseci di S. Bernardo,
tanto addentro nelle cose sue, e primo suo biografo dopo la morte del Santo, giacché
Guglielmo scrisse vivendo ancora S. Bernardo: ARNALDO DI CHARTRES. Questi, nel suo
Libellus de laudibus B. M. V., ML 189-1726, dice: «Securum accessum
iam habet homo ad Deum, ubi mediatorem causae suae Filium habet ante Patrem, et ante
Filium Matrem. Christus, nudato latere, Patri ostendit latus et vulnera; Maria Christo
pectus et ubera; nec potest ullo modo esse repulsa, ubi concurrunt et orant omni
lingua disertius haec clementiae nonumenta et caritatis insignia. Dividunt coram
Patre inter se Mater et Filius pietatis officia, et miris allegationibus muniunt
redemptionis humanae negotium.» Ed altrove lo stesso ARNALDO, De septem
verbis Domini in cruce, 
tractatus 3, ML 189-1695: «Unum… erat… quod
Pater bonus, quod Filius pius, quod mater sancta intendebat… Matre supplicante,
Filio interpellante, Patre propitiante. Filius ad pectus Matris et ubera, Pater ad
Filii crucem et vulnera respiciebat. Et quid inter haec tanta pignora non moverent?»
– In fine, ci vengono qui insegnate, in modo vivo ed espressivo, queste due grandi
verità: che Maria tutto ottiene, perché è Madre di Gesù,
e che quanto concede Dio a noi, lo concede per i meriti della Passione di Gesù.
Quindi, usando di quella scala, secondo la parola di Arnaldo ed il
pensiero comune a lui ed a Bernardo, «securum accessum iam habet homo
ad Deum.»”. Nota ripresa da http://www.intratext.com/ IXT/ITASA0000/_PQ0.HTM#$577,
visitato il 9 dicembre 2006.
[ix] San Bernardo, In Nativitate B. V. Mariae Sermo (De Aquaeductu)
7 ML 183, 1015.[x] Sal 130 (129), 3.
[xi] Lc 1, 50.
[xii] Lc 1, 38.
[xiii] Lc 1, 55.
[xiv] Agg 2, 8, secondo la Vulgata. L’ebraico, con numerazione differente
del versetto (2, 7) ha chemdath kol-haggoyim, che la CEI traduce le
ricchezze di tutte le genti”. Ritengo la traduzione della Vulgata preferibile.
La Gloria futura di questa casa… più grande di quella di una volta
ove Dio porrà la pace (cf vv. successivi), formano un contesto per
cui l’interpretazione di chemdath solo come ricchezza naturale, è
oggettivamente restrittiva. Si tratta di un tesoro dei tempi messianici.
[xv] Es 4, 13.
[xvi] Is 45, 8.
[xvii] Sal 85 (84),8.
[xviii] Sal 144 (143), 5.
[xix] Lc 2, 48.
[xx] Sal 42-43 (41-42), 3.
[xxi] Sal 55 (54), 7.
[xxii] Sal 27 (26), 8.
[xxiii] Sal 42-43 (41-42), 3.
[xxiv] Sal 62 (61), 5; la Bibbia CEI omette queste parole.
[xxv] Sal 40 (39), 18.
[xxvi] Sal 84 (83), 3.
[xxvii] Sal 40 (39), 2.
AMDG et BVM