lunedì 28 febbraio 2022

16. Cammino alla meta pasquale

16.  Cammino alla meta pasquale

 

“Forti nella fede vigiliamo 

contro le insidie del nemico:

ai servi fedeli è promessa

la corona dt gloria”.

S. Gregorio Magno

 

Dopo il battesimo, lasciato il Giordano, Gesù, pieno di Spirito Santo si inoltrò nel deserto vicino al mar Morto.

Il deserto è biblicamente luogo di intimità ma anche di combattimenti, e non soltanto contro il freddo e il sole, la fame e la sete.

L’umilissima e amorosissima Vergine di Nazareth ben sapeva tutto questo e viveva pregando e vigilando, attenta e guardinga, restando spiritualmente unita al suo Gesù.

In riferimento al fatto narratogli certamente dallo stesso Maestro divino ecco cosa scrive San Matteo: “Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per essere tentato dal diavolo.

E dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti ebbe fame.

Il tentatore Gli si accostò e Gli disse: ‘Se sei il Figlio di Dio, dì che questi sassi diventino pane’. Ma Egli rispose: ‘Sta scritto: Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”’ (Mt 4, 1-4).

Pensare a Gesù che volontariamente si mortifica per istruirci sul valore della penitenza è già cosa impressionante, ma pensare a Gesù che è tentato ci pare quasi incredibile. Eppure è così. Perché mai ha voluto assomigliarci anche nelle tentazioni? Quante volte poi, sarà stato tentato nella sua vita?

Certamente, queste narrate nei santi Vangeli sono state le tentazioni più forti. Dio le ha permesse, le ha voluto sentire (ricordiamoci sempre che l’essere tentati non è un male; il male è cedere alla tentazione, accoglierne anche una sola scintilla, perché questa può provocare un incendio trasformando all’istante sogni e speranze in cenere), Gesù è stato tentato “per essere in grado di venire in aiuto a noi che subiamo la prova” (Eb 2, 18).

Dal suo esempio bisogna imparare a non lasciarci ipnotizzare dal Serpente

fascinatore che si nasconde nel1’ombra e vuole strangolarci con le insidie che

hanno nome: senso, ambizione, denaro, potere, egoismo.

La tentazione diabolica inoculata nell’uomo è sete di tutte le grandezze del sapere, del potere e del possedere; è sempre lo stesso pungolo fatto di punte, che spinge verso l’unghiata di Satana. Perciò qualsiasi tentazione è compresa in una delle tre che Gesù affrontò e superò.

Difatti dice San Giovanni: “Tutto quello che è nel mondo e che viene dal mondo e non dal Padre, è la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi e la superbia della vita”. A queste si contrappongono le virtù dell’ubbidienza, della povertà e della castità (cf l Gv 2, 16).

Generalmente per piegare l’uomo, il demonio comincia dalla materia e poi passa a cose spirituali.

Egli spia il momento propizio.

Freme perché si accorge che Gesù è un digiunatore‘ di prima qualità. Comunque fa lo stesso il tentativo ed invita Gesù, che ha fame, a trasformare in pane quelle pietre. (Il pane sta a simboleggiare sia la parte sensitiva che la parte concupiscibile dell’uomo, cioè il senso e la gola).

Gesù, attento e guardingo, respinse questo primo attacco del demonio, e lo fece non dialogando con lui, ma pregando intensamente il Signore e usando la divina parola: “L’uomo non vive soltanto di pane! L’uomo vive di quanto esce dalla bocca del Signore!” (Dt 8,3).

E fu vittoria.

Il diavolo non s’arrese. Desiderava imporsi a questo Gesù che in tutto appariva perfetto e, oltretutto, gli incuteva terrore. Voleva scovare nel profondo e scoprire il segreto: che fosse proprio Lui il Figlio di Dio Redentore?

Con altra strategia ma stesso obiettivo passò di nuovo all’attacco: Lo tentò per provare chi fosse e per attirarLo dalla sua parte.

Da San Matteo sappiamo che il diavolo condusse Gesù nella città santa, Lo depose sul pinnacolo del Tempio e Gli disse: “Se sei Figlio di Dio, gettati giù! Poiché sta scritto: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede”. Gesù gli rispose: “Sta scritto anche: Non tentare il Signore Dio tuo!” (Mt 4, 5-7).

Il diavolo sollecita un miracolo spettacolare e strabiliante per dare inizio al suo regno glorioso. Ma Gesù sa che non si debbono esigere da Dio miracoli esibizionistici, inutili e senza motivo. L’uomo deve ubbidire a Dio, rimettersi interamente a Lui con filiale fiducia, senza mai presumere che Dio manifesti il proprio potere fuori del piano della sua ordinata Provvidenza.

Il messianismo di Gesù, poi, non è umano o terreno ma celeste; pertanto prescinde da tutto ciò che è in assoluto contrasto con la missione affidataGli dal Padre: missione che realizzerà pagando il prezzo di ogni sorta di umiliazioni e della stessa morte.

Alla fine il diavolo, quasi fosse lui il detentore di tutti i regni terreni, gioca l’ultima carta, fa il suo estremo tentativo per piegare Gesù. Logicamente la tentazione fu più grave: Eccola.

Di nuovo il diavolo (per suggestione spirituale) condusse Gesù sopra un altissimo monte e Gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e Gli disse: “Tutte queste cose io Ti darò, se, prostrandoTi, mi adorerai!”

Ma Gesù gli rispose: “Vattene satan!” Sta scritto: “ADORA IL SIGNORE DIO TUO E A LUI SOLO RENDI CULTO!” (Mt 4, 8-10).

Il Ribelle del Paradiso sta servito!

È la vecchia idea fissa di lucifero, il cui vero nome, dal significato orrendo, è satan. Ma Gesù è venuto a ristabilire 1’ordine esattamente attraverso quel comandamento che forma la base e la nervatura di tutta la religione giudaica: “Adora il Signore Dio e a Lui solo servi!”. Egli che è: seduzione, astuzia, tenebra, agilità, nequizia, cercava in tutti i modi di farsi adorare al posto di Dio

“Terminata ogni tentazione, il diavolo si allontanò da Lui, fino al tempo opportuno (col superbo proposito, cioè, di ritornare in altro tempo e modo all’assalto). Ed ecco, degli angeli si avvicinarono e Lo servivano” (Lc 4, 13; Mt 4, 11).

Conclusione: La vita del nostro terreno pellegrinaggio non può essere esente da prove e tentazioni. Il nostro progresso come quello di Gesù si compie anche attraverso la lotta tra il divino e il demoniaco.

Siamo tutti esposti a nemici furenti. Tutte le creature hanno i loro ‘tiranni”. essi sono sia in noi medesimi (il senso) e sia intorno a noi (mondo, prossimo, satan). La carne va controllata, il prossimo amato, il mondo e Satan combattuti.


 

La storia sacra è piena di uomini santi, quali Adamo, David, Salomone, eccetera, i quali furono traviati dall’inganno diabolico.

Chi a questo punto si crederà abbastanza sicuro fidandosi solo delle sue forze? Da soli mai riusciremmo a vincere! Solo Gesù e Maria di Nazareth hanno sempre vinto la violenza e la scaltrezza dei demoni, e soprattutto di Satan.

Tentare è una sua antica arte.

Le armi per vincere sono il digiuno e la preghiera (cf Mc 9, 28).

Il primo passo è il digiuno. I santi Padri, per esempio Sant’lsacco di Siria, ci dicono che “la forza del diavolo si consuma su quest’armatura dataci dal nostro Condottiero. Chi veste l’armatura del digiuno è sempre acceso di zelo. Median- te il digiuno l’uomo rimane saldo, senza tentennamenti di mente, durante l’assalto delle violenti passioni”.

Con il digiuno, la preghiera. Con la preghiera si ottiene la Grazia e con la Grazia si vincono le infernali tentazioni.

Pertanto guardiamo sempre a Gesù e Maria che pur confermati in grazia non si stancarono di pregare e mortificarsi; rifugiandoci con essi nel porto della preghiera attenta, umile e fiduciosa anche noi saremo forti della potenza di Dio contro ogni male, guadagnandoci la gloria della “trasfigurazione”.

Con Gesù nella prova, con Gesù nel trionfo. Egli ha stravinto Satan, e anche noi in Gesù nostra giustizia, santificazione e redenzione (1 Cor 1, 30) canteremo vittoria. 

Lodiamo e ringraziamo il Signore in unità con gli angeli del cielo che servirono Gesù novello Adamo e servono invisibilmente anche noi nelle lotte del nostro cammino. 





Nove anni fa Benedetto XVI prende l'elicottero e lascia la Sede “vuota”, non vacante.

 

Andrea Cionci
Andrea Cionci
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E’ rimasta impressa nella coscienza collettiva l’immagine dell’elicottero bianco che, in quel giorno fatidico di nove anni fa, portava via l’attuale papa, Benedetto XVI, dal Vaticano fino a Castel Gandolfo, dove si sarebbe congedato dal mondo.

Il 28 febbraio 2013, infatti, entrava in vigore quanto da lui annunciato nella Declaratio (QUI) 17 giorni prima, ovvero la rinuncia al ministerium, cioè le sue “dimissioni” dal SOLO potere pratico, che egli stesso renderà visibili conservando, oltre al nome pontificale, la veste bianca da papaprivata di due elementi, la mozzetta e la fascia alla vita, simbolo delle due funzioni del ministerium alle quali aveva rinunciato: annunciare il Vangelo e governare la barca di Pietro QUI.

Non si trattava affatto di un’abdicazione dato che, come abbiamo ribadito diverse volte, la rinuncia al papato, secondo il canone 332.2, deve essere al munus petrino, cioè all’investitura, al titolo di origine divina e deve essere simultanea.

Papa Benedetto, invece, dispose esattamente il contrario: differì al 28 febbraio la rinuncia al suo ministerium, l’esercizio del potere, cosa che lo mandava in SEDE IMPEDITA (canone 412) dove il papa è prigioniero, confinato e non libero di esprimersi, ma resta sempre papa a tutti gli effetti. Quindi, non avendo lui abdicato, il conclave che elesse Bergoglio era nullo.

Curioso che, una settimana dopo che tirammo fuori per la prima volta la questione della sede impedita (18 agosto 2021), sia stata data pubblicità allo studio della canonista Geraldina Boni “Una proposta di legge sulla sede romana totalmente impedita e la rinuncia del papa”, seguito un mese dopo (28 settembre) dal gruppo di studio – guarda caso – “Sul Papa emerito e papa impedito” messo in campo dall’Università di Bologna: https://www.acistampa.com/story/papa-emerito-e-papa-impedito-un-gruppo-di-studio-per-colmare-due-vuoti-giuridici-18100

Abbiamo recentemente illustrato QUI come la scomposizione dell’ufficio papale in due enti, munus ministerium, fosse stata introdotta dal card. Ratzinger già nel 1983: un perfetto sistema antiusurpazione tratto dal diritto principesco tedesco (Fürstenrecht).

Ed ecco perché Benedetto quel 28 febbraio prese l’elicottero. Leggete cosa scrive Peter Seewald in Ultime conversazioni, (Garzanti, 2016):  

“Quando poi lei se n’è andato in elicottero, anche questo faceva parte in qualche modo dell’intera sceneggiatura, almeno visto dall’esterno. Si potrebbe dire che finora nessun papa era asceso al cielo ancora in vita...

(Il papa ride.)”.

“Il papa” - così lo descrive Seewald nel 2016, cioè tre anni dopo le presunte dimissioni - “ride” perché mise in atto “una sceneggiatura”. E di cosa si trattava?

Lo abbiamo già scritto QUI: Benedetto XVI prese l’elicottero per lasciare la sede VUOTA, LIBERA, SGOMBRA - e non VACANTE - dato che così si traduce letteralmente il verbo VACET in latino.

E subito dopo, papa Ratzinger aveva aggiunto nella Declaratio un’altra frase oggettiva: “E dichiaro che dovrà essere convocato un Conclave per l’elezione del nuovo Sommo Pontefice da parte di coloro ai quali compete”.  

Infatti, come recentemente perfezionato dal latinista prof. Gian Matteo Corrias, la traduzione in italiano che era stata fatta (“dovrà essere convocato, da coloro a cui compete, il Conclave per l’elezione del nuovo Sommo Pontefice”) è scorretta perché è solo il cardinal decano che convoca il Conclave, quindi semmai avrebbero dovuto tradurre da “colui a cui compete”. La frase, invece, con un uso del latino raffinatissimo, si riferisce proprio “ad alcuni cardinali”, solo a COLORO a cui compete.

E chi sarebbero? Papa Benedetto scrive così perché lui lascia la sede vuota, sgombra e raccomanda solo una cosa: “Sappiate che il prossimo vero papa dovrà essere eletto solo da alcuni cardinali, quelli veri, cioè nominati da me prima del 2013 e non da quelli nominati da chiunque occuperà, al mio posto, illecitamente, la Sede di Roma, la Sede di san Pietro (termini peraltro inesistenti nel diritto canonico, come rilevato dall’avvocato Arthur Lambauer, dato che la terminologia esatta è Sede Apostolica). Infatti, se oggi si andasse a un conclave con i 70 cardinali invalidi nominati dall’antipapa Francesco, verrebbe eletto un altro antipapa, come conferma il prof. Antonio Sànchez dell’Università di Siviglia QUI.

A conferma ulteriore, c’è la frase con cui, poco prima di prendere l’elicottero, Benedetto aveva salutato i cardinali dicendo: “E tra voi, tra il Collegio Cardinalizio, c’è anche il futuro Papa al quale già oggi prometto la mia incondizionata reverenza ed obbedienza”. In questo modo sottintendeva che un suo successore legittimo avrebbe dovuto essere scelto solo fra quei VERI cardinali, nominati da lui o da Giovanni Paolo II e non da eventuali antipapi. Un successore che lui sta ancora aspettando, in vista, magari, di una sua futura abdicazione, ma più probabilmente ha accettato con ubbidienza il responso del prossimo futuro vero papa (che sarà scelto solo fra quei veri cardinali) sulla propria sede impedita. Con questa mossa preventiva – sottile e geniale – papa Ratzinger ha detto la verità: gli altri hanno ritenuto che avesse giurato obbedienza a Bergoglio, ma lui non lo ha mai fatto, come metterà nero su bianco in Ultime conversazioni dove risponde così al giornalista Seewald: “Nel prendere congedo dalla curia, come poté allora giurare obbedienza assoluta al suo futuro successore? Risposta di Benedetto XVI: “Il papa è il papa, non importa chi sia”.

Il Santo Padre Benedetto aveva posto l’ora X dell’entrata in vigore della sua rinuncia al ministerium alle 20.00, ora di cena, per cui era perfettamente giustificato nel congedarsi dal mondo di pomeriggio, in anticipo, alle 17.30, cosa che gli darà modo di non ratificare nulla dopo le 20.00, come evidenziato dal libro del teologo Carlo Maria Pace QUI.

Alle 17.30 si affaccia al balcone della residenza estiva pontificia e saluta così: “Voi sapete che questo mio giorno è diverso da quelli precedenti; non sono più … pontefice sommo della Chiesa cattolica … fino alle otto di sera lo sono ancora, poi non più”.

Egli dice che non sarà più “pontefice sommo”, mentre il titolo papale è "SOMMO PONTEFICE" (Summus Pontifex): non ci sono discussioni. “Pontefice sommo” NON ESISTE.

Il significato però, in puro Codice Ratzinger, è chiarissimo: egli non sarà più un pontefice sommo, cioè non sarà più quello collocato nel posto più alto, isolato e importante, ma rimarrà un pontefice nascosto, eremita, celato sotto l’istituto del papato emerito. Ci sarà qualcun altro che occuperà il posto più alto e grande. Per la precisione, un antipapa, o un papa illegittimo.

Per distinguersi da questo papa illegittimo, con cui condivide una sorta di “ministero allargato” un legame teologico (pensiamo a Gesù con Giuda) come sottintenderà QUI mons. Gaenswein nel suo discorso del 2016 (“c’è un solo papa legittimo ma due successori di san Pietro viventi”) Benedetto assume il titolo di “papa emerito”, che non esiste canonicamente QUI, ma semanticamente ha un senso perfettamente compiuto. Emerito deriva dal verbo emereo e vuol dire COLUI CHE MERITA, CHE HA DIRITTO DI ESSERE PAPA.

In questo modo, papa Benedetto XVI, costretto a togliersi di mezzo dai poteri forti e dalla Mafia di San Gallo, che, come ammesso da uno dei suoi membri QUI, il card. Danneels aveva come proprio campione Bergoglio, ha sconfitto i suoi nemici, lasciando che, dominati dalla loro bramosia di potere, si antipapassero e scismassero da soli.

In tal modo, il Santo Padre ha salvato la Chiesa cattolica, e forse non solo quella.

15. La Santa Famiglia e il precursore

 

15. La Santa Famiglia e il precursore

 

“0 Splendor del Padre,

Cristo, eterno Figlio, 

Vivi con Maria

E con San Giuseppe!”

Moderno inno alla Famiglia di Nazaret

 

San Luca dice: “Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini” (2, 52). E con Gesù era tutta la santa Famiglia che cresceva e si riempiva di grazia.

La presenza del Figlio di Dio non significò automaticamente un’agiata esistenza. La loro fu un’esistenza travagliata quanto quella di molte altre famiglie del tempo.

La Famiglia di Nazareth ci viene proposta quale modello da imitare, per poter vivere un’esistenza degna dell’uomo e prima ancora di Dio.

Nella vita dei Tre non mancarono le spine: ma esse furono pazientemente calpestate e tramutate in rose. Chi potrebbe descrivere in modo adeguato l’atmosfera di quella casa tutta satura di amore e sapienza divina? La perfezione della santa Famiglia fu completa, perché composta di mille sacrifici come il miele del succo di mille fiori. Delle molte lezioni della santa Casa di Nazareth, il papa Paolo VI, nella visita che vi fece il 5 gennaio 1965, ha raccolto alcuni brevi ammonimenti.


Egli dice: “... È lezione di umiltà, di rassegnazione e di buona armonia. È il regno della serenità, del sorriso, della concordia.

Si prega adorando e ringraziando il Signore in continuazione. Frugalità e amore al lavoro, e umiltà accompagnano tutti i loro giorni.

Così ogni ordine: quello soprannaturale, quello morale, e quello naturale è perfettamente rispettato. Ecco quanto ci insegna la santa Famiglia . . . a Naza- reth. Ed è una grande lezione che si deve meditare assiduamente per imparare ad imitarla”.

L’armonioso sviluppo di Gesù non sfuggiva al vigile ed affettuoso sguardo di Maria. Tutto quanto Ella osservava La riempiva di un misto indefinito di tortura e gaudio: tortura perché Donna e Donna perfettissima cui nulla era


 

nascosto della futura vita del Figlio; ma anche gaudio pari a quello di Gesù medesimo. Difatti abbracciare la volontà di Dio, e operare per redimere i fratelli e accrescere la gloria del Padre celeste, è quello che fa la felicità dei veri figli di Dio.

Gli anni passarono veloci. L’aiuto di Gesù nel tirare avanti la falegnameria era enorme. E il lavoro affaticava sempre più l’ormai vecchio patriarca Guseppe. Egli stesso non si nascondeva che poco gli restava da vivere. La sua vita era giunta al tramonto. Un mattino, infatti, sentì improvvisamente che le forze del corpo lo abbandonavano e che sorella morte bussava alla piccola casa di Naza- reth.

Giuseppe aveva ormai adempiuto con una vita di lavoro e di silenzio la sua altissima missione.

Non conosciamo nessuna parola di Giuseppe, però quelle che riferiamo interpretano bene quanto passò nel suo cuore di uomo giusto, consumato d’amore per Dio e la Madre Sua: “Signore! Se sono ancora necessario al tuo disegno, non ricuso la fatica: sia fatta la tua volontà!”

Uomo meraviglioso! Uomo ricco dei tesori più grandi del mondo: GESU’ e MARIA! Non ti restava che volare nel seno di Abramo e attendere il tuo premio. E partisti con la benedizione di Gesù e il sorriso della Sposa.


Giuseppe doveva avere sessant’anni circa quando chiuse gli occhi a questa vita; e fu seppellito a Nazareth; ma della sua tomba non si sa nulla.

Tutti si rattristarono e tra le lacrime tessevano le sue lodi, pensando alla sua mansuetudine e laboriosità.

La sua dipartita fu dolorosa. Quella casa in cui era stato capo, padre, sposo, fratello, amico, protettore e sostegno, restò vuota della sua amorosa presenza che durava da trenta anni.

Maria e Gesù piansero lacrime di dolore, però si conformarono alla Volontà del1’Eterno. E così la pace e la serenità della santa Famiglia non ne rimasero turbate in profondità.

Dio è mirabile nei suoi disegni e nei suoi misteri. Se a uno sguardo superficiale può sembrare che Dio sia stato severo e non abbia ripagato Giuseppe della stessa moneta, pure, considerando a fondo gli eventi si deve dire che il Signore ha fatto tutto bene e che la morte di Giuseppe avvenne al momento opportuno, e con tutto il conforto che solo Gesù il modello dei figli - poteva offrire.


La morte perde ogni asprezza quando avviene tra le braccia di Gesù, e si muore fidando in Lui.

Giuseppe meritò di avere vicino Gesù, che non aveva ancora cominciato la missione pubblica. I santi Vangeli riportano fatti ed espressioni che ce lo fanno intuire.

All’inizio della vita pubblica di Gesù, alle nozze di Cana, mentre la Vergine

è invitata ed è presente, il padre putativo Giuseppe non viene nominato.

In genere gli Israeliti volendo indicare Gesù, più che chiamarLo “figlio di Giuseppe”, Lo indicano come “figlio di Maria” (cf Mt 13,55).

Infine, Gesù, sul Golgota, affida all’apostolo Giovanni, la Madre, che avrebbe senz’altro affidato a Giuseppe se fosse stato ancora in vita.

Queste sono solo alcune ragioni che, insieme alla tradizione, fanno pensare alla dipartita di Giuseppe quando Gesù non aveva ancora trent’anni.

E il motivo sostanziale di questa morte di Giuseppe pensiamo col Roschini e altri autori sia stato questo: sullo scenario della Redenzione dovevano comparire soltanto due persone: il Redentore e la Corredentrice. Convenientemente quindi, prima che si desse inizio a quest’opera, San Giuseppe lasciò questa terra, continuando però ad illuminarci con la sua vita e la sua potente intercessione.

Madre e Sposa, la Vergine Santissima conobbe anche la vedovanza. Per la sua perfetta sensibilità si trattò di uno dei più intensi dolori della sua martoriata vita.

La sua sofferenza derivò non dalla previsione di difficoltà cui andava incontro, ma semplicemente dall’amore che nutriva per il suo Sposo.

Presso gli Ebrei la sorte della vedova era assai miserabile; la legge mosaica assommava prescrizioni, decreti e ammonimenti. Tra le altre cose, ogni vedova era obbligata a portare una veste speciale. E la Vergine si adeguò all’usanza comune: superò lo strazio di quell’ora aggrappandosi con tutte le forze al suo Gesù, che dirà: “Il mio cibo è fare la Volontà del Padre mio” (cf Gv 4, 34). Per Maria poi questo dolore fu preludio e preparazione a uno più grande: la partenza di Gesù da Nazareth per predicare il Vangelo a tutto il popolo.

Intanto Gesù prese il posto di Giuseppe nella falegnameria. Aveva imparato bene il mestiere ed era diventato esperto anche più del maestro. Portò a termine i lavori lasciati incompiuti dal padre e ne assunse altri. Così Gesù Cristo santificò ogni lavoro, anche quello manuale che è ordinato a quattro scopi, e precisamente:

1.     procurarsi il necessario per vivere;

2.     a evitare l’ozio, che è fonte di molti mali;

3.     a frenare la concupiscenza, in quanto il lavoro macera il corpo;

4.     a darci la possibilità di fare l’elemosina (S. Tommaso d’Aquino).


 

Un giorno correva l’anno decimo quinto dell’impero di Tiberio Cesare e Gesù aveva circa trent’anni — anche a Nazareth arrivò la notizia che era sorto un giovane profeta molto austero, amante di grandi digiuni, e che vestiva di pelli di cammello. Di sé stesso diceva solo di essere “voce”, e senza stancarsi invitava a preparare la via del Signore, a nön accumulare monti di orgoglio, a non creare crepacci di colpe, o vie storte di menzogna, o valli di accidia. “Pentitevi!” diceva —“Cambiate strada: ritornate indietro dalla falsa strada e rimettetevi sulla buona”. E ogni giorno battezzava sulle rive del fiume Giordano.


Era Giovanni, il figlio di Zaccaria ed Elisabetta, che aveva dato inizio alla missione di Precursore. I tempi erano arrivati. Egli con severa energia predicava a tutti, scribi e farisei, pubblicani e soldati, poveri e ricchi, un battesimo di penitenza o conversione per il perdono dei peccati. E per castigare la falsa pietă di molti, gridava:

“Razza di vipere, chi vi ha insegnato a sfuggire all’ira imminente? Fate dunque opere degne della conversione e non cominciate a dire in voi stessi: ‘abbiamo Abramo per padre!’ (Ossia: fate attenzione! Le promesse fatte ad Abramo non possono bastare se non cambiate il cuore!). Perché io vi dico che Dio può far nascere figli ad Abramo anche da queste pietre”. E spingendo tutti   ad essere solleciti e radicali nella conversione aggiungeva: “La scure è giă posta alla radice degli alberi. Ogni albero che non porta buon frutto sară tagliato e buttato nel fuoco. — Chi ha due vestiti ne dia uno a chi non ne ha , e chi ha da mangiare faccia altrettanto. Non molestate alcuno, contentatevi della vostra paga”.

Tutto questo Giovanni faceva per preparare il popolo ad incontrare l’Agnello di Dio: “Dopo di me diceva anche viene uno che è più forte di me e al quale io non sono degno di chinarmi per sciogliere i legacci dei sandali. Io vi ho battezzati con acqua, ma egli vi battezzeră con lo Spirito Santo. Ed è necessario che Egli cresca ed io diminuisca” (Mt 3, 1-12; Me 1, 2-8; Lc 3, 1-18).


Questi in sintesi i fatti e le parole di Giovanni il Battista la cui eco era giunta fino in Galilea.

Quando la notizia giunse alle orecchie di Maria, il cuore ebbe un tonfo e Le salì alla gola. Da quei fatti intuiva 1’imminente necessaria separazione dall’amatissimo Figlio.

Era un’ora che doveva pur scoccare un giorno e scoccò: difatti un mattino d’inverno Gesù Le chiese di confezionare come Lei sola sapeva fare una tunica di pellegrino. Bastò uno sguardo filiale e materno per comunicarsi la realtă.

La Vergine Maria comprese che era giunta l’ora della seconda separazione

dal Figlio. Il suo Gesù, in piena docilità, dopo aver santificato per circa trent’anni il silenzio e il nascondimento, doveva lasciare il suo villaggio per incontrarsi con la gente di tutti i villaggi e annunziare la Parola di Salvezza.

Quali parole e quale silenzio fasciarono quel fatidico momento? Quante le lacrime sgorgate più che dagli occhi, dal Cuore della Madre adorata? Chi potrebbe contarle?

La veste da pellegrino fu puntualmente a disposizione di Gesù per la notte fissata per la partenza, e fu l’addio .. cioè il doloroso martirio della separazione: inizio di un altro martirio; l’attesa di due Cuori fatti l’uno per l’altro.

Addio casetta di Nazareth, addio confortevole riposo e familiare banchetto.


Maria sa bene che Gesù non avrà pietra dove posare il capo e si deve stendere dove il Creatore gliene fa trovare una. Egli non avrà cibo fuorché quello dato dalla carità di chi Lo accoglie.

La Vergine perde il suo unico Bene e tesoro sulla terra e rimane nella povera casa vuota di Lui a vivere sola. Madre e Figlio ripetono il loro Fiat e si offrono l’un l’altro a Dio: vero momento offertoriale che prelude all’immolazione delle vittime. Infine, si abbracciano e riabbracciano, si baciano e ribaciano con divino amore. Gesù benedì tutto quel che lasciava. Maria benedì Gesù. E Gesù partì.

Si realizzò già la parola che proferirà più tardi: “Il Seminatore uscì a seminare”. L’Evangelizzatore uscì ad evangelizzare.

La prima cosa che fece fu cercare Giovanni sul fiume Giordano e ricevere il suo battesimo come gli altri, perché fosse compiuta ogni giustizia, ossia adempiuta perfettamente la Volontà del Padre.

È INNOCENTE. È il sole della giustizia e si lava nel Giordano. Il suo contatto con quelle acque santificò tutte le acque del mondo. Con tale gesto intese partecipare al pentimento comune e dar principio al battesimo della legge nuova che è legge di grazia.

Dopo che Gesù ebbe ricevuto il battesimo si raccolse in preghiera, “...e mentre pregava, si aprì il cielo, e scese lo Spirito Santo, in forma corporea, come colomba su di Lui e venne una voce dal cielo: ‘TU SEI IL MIO FIGLIO, IL PREDILETTO, INTE MI SONO COMPIACIUTO!”’ (Lc 3, 21-22). Analogo annuncio si udrà sul monte Tabor (Mt 17,5).

Di questo furono testimoni Giovanni, i suoi discepoli e la gente. Tutti sentirono allo stesso modo, ma non tutti credettero allo stesso modo.

'Quella era la voce del Padre, che donandoci il Figlio, ha detto e dato tutto in

una sola volta e non ha più nulla da rivelare. Quasi volesse dire ad ogni 

uomo:   fissa lo sguardo in Lui solo. In Lui ti ho detto e rivelato tutto e vi troverai

 anche più di quanto chiedi e desideri '(S.Giovanni della Croce, Salita 2, 22,5).


Il Padre celeste, non potendosì più compiacere degli uomini diventati tutti peccatori in Adamo, ripone ogni compiacenza solo nel Figlio Suo che è anche il Figlio di Maria. Ora - possiamo affermare - che è per Lui e per Lei che tutti gli uomini potranno trovare grazia, essere cioè rigenerati e rivestiti di una veste di immortalità.

Il momento solenne del Battesimo fu occasione propizia per manifestare al mondo, con segni e prodigi, il suo amore di Padre e la necessità di ascoltare questo suo eterno Figlio per essere deificati: conoscere cioè tutti i tesori della sapienza e della scienza nascosti in Lui (Col 2,3).

“Cristo, infatti, è come una miniera ricca di immense vene di tesori, di cui , per quanto si vada a fondo, non si trova la fine” (S. Giovanni della Croce, Cantico A 36,2).

Alla solenne manifestazione della divinità di Gesù di Nazareth intervenne tutta la Trinità. In certo senso, fu l’investitura ufficiale, la Pentecoste di Gesù. ‘In certo senso’, perché Egli appena fu concepito ebbe 1’anima inondata dello Spirito di Dio e dalla profusione dei suoi carismi. Come attesta San Giovanni (3, 34), Dio non conferì a Lui lo Spirito con parsimonia, come agli altri individui adornati di santità e di grazia, ma infuse nell’anima sua così copioso flusso di carismi, che tutti dobbiamo attingervi (Gv 1, 16; Cat. 45).


Pertanto: “O Maria, REGINA E MADRE delle famiglie cristiane noi Ti supplichiamo di proteggere la santità del matrimonio. Sii sempre presso i nostri genitori con il tuo amore e la tua benedizione. Aiutali, perché ogni loro iniziativa sia ispirata e regolata dalla legge del Signore; preservali dalle malattie e dalle disgrazie, specialmente quelle spirituali; dà loro coraggio e forza morale nei giorni della prova; arricchiscili di pazienza, di spirito di sopportazione, di spirito di sacrificio, di tanta pace interiore.

"Allontana dalla sacra società della famiglia lo spirito del mondo, il richiamo dei piaceri pericolosi, la discordia, l’infedeltà.

"Fa che gli sposi di tutto il mondo trovino sempre la felicità nella quotidiana donazione e dedizione vicendevole, nella premura per i figli, nel servizio umile e gioioso, nella società e nella religione.

"Madre Divina, chiedi tu a Gesiì che accetti la nostra umile preghiera; chiedi al tuo Figlio divino tante grazie per tutti i genitori del mondo! Così sia!” (Paolo VI).