lunedì 9 agosto 2021

L'amore a' figli è un amor necessario

 


§ 3. - Quanto è l'amore che ci porta questa Madre.

Se dunque Maria è nostra madre, possiamo considerare quanto ella ci ama.

L'amore a' figli è un amor necessario; e questa è la ragione per cui, come riflette S. Tommaso (nell'Opusc. LX, c. 4),1


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dalla divina legge è già imposto a' figli il precetto di amare i genitori, ma all'incontro non vi è precetto espresso ai genitori d'amare i figli, perché l'amore verso i propri parti è un amore con tanta forza insito dalla stessa natura, che le stesse fiere più selvagge, come dice S. Ambrogio, non possono lasciar di amare i loro figli: Natura hoc bestiis infundit, ut catulos parvulos ament (L. VI, Exa., c. 4).2 Onde portano gl'istorici che anche le tigri, sentendo la voce de' figli presi da' cacciatori, si pongono a nuotare per mare sino a raggiungere le navi dove quelli sono.3 Se dunque, dice la nostra amantissima madre Maria, neppure le tigri si sanno dimenticare de' figli, come io posso dimenticarmi di amare voi, figli miei? Numquid oblivisci potest mulier infantem suum, ut non misereatur filio uteri sui? Et si illa oblita fuerit, ego tamen non obliviscar tui (Is. XLIX, 15). E se mai, ella soggiunge, si desse per impossibile il caso che una madre si dimenticasse d'un figlio, non è possibile ch'io lasci d'amare un'anima figlia mia.

Maria è nostra madre, non già di carne, come dicemmo, ma d'amore. Ego mater pulchrae dilectionis (Prov. XXIV, 24).4 Onde il solo amor che ci porta la fa diventar nostra madre, e perciò ella si gloria, dice un autore (Paciucch.), d'esser madre d'amore; poiché, avendoci presi per figli, e tutta amore verso di noi: Se dilectionis esse matrem gloriatur, quia tota est amor erga nos, quos in filios recepit.5


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E chi mai potrebbe spiegare l'amore che Maria porta a noi miserabili! Dice Arnoldo Carnotense ch'ella nella morte di Gesù Cristo desiderava con immenso ardore di morire insieme col Figlio per nostro amore: Flagrabat Virgo, aestuante caritate incensa, ut pro humani generis salute simul cum prole profunderet vitam (Tract. de Verb. Dom.).6 Sicché, soggiunge S. Ambrogio, conforme il Figlio pendeva moribondo dalla croce, così Maria si offeriva a' carnefici a dar la vita per noi: Pendebat in cruce Filius, Mater persecutoribus se offerebat (De Inst. Virg., c. 7).7

Ma consideriamo le ragioni di questo amore, perché così meglio intenderemo quanto ci ami questa buona Madre.

La prima ragione del grande amore che Maria porta agli uomini, è il grande amore ch'ella porta a Dio. L'amore verso Dio e verso il prossimo, come scrisse S. Giovanni, va sotto lo stesso precetto: Hoc mandatum habemus a Deo, ut qui diligit Deum, diligat et fratrem suum (I Io. IV, 21). In modo che quanto cresce l'uno, tanto s'avanza l'altro. Perciò sappiamo che i santi, perché assai amavano Dio, che non han fatto per amore del prossimo? Son eglino arrivati sino ad esporre e perdere la libertà ed anche la vita per la di lui salute. Leggasi quel che fece S. Francesco Saverio nelle Indie, dov'egli per aiutare l'anime di quei barbari si andava rampicando per le montagne, arrischiandosi fra mille pericoli, affin di ritrovare quei miserabili dentro le caverne, dove abitavano a modo di fiere, e portarli a Dio.8 Un S. Francesco di Sales,


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che, per convertire gli eretici della provincia del Chamblae, si arrischiò per un anno di passare il fiume ogni giorno carponi per sopra d'una trave gelata, affine di andare all'altra riva a predicare a quegli ostinati.9 Un S. Paolino, che diede se stesso per ischiavo, affine di ottenere la libertà al figlio di una povera vedova.10 Un S. Fedele, che per tirare a Dio gli eretici d'un luogo, si contentò predicando di lasciarvi la vita.11 Dunque i santi, perché assai amavano Dio, son giunti a far tanto per amor de' prossimi.

Ma chi più di Maria ha già amato Dio? Ella ha amato più Dio nel primo momento del suo vivere, che non l'hanno amato tutti i santi e tutti gli angeli in tutto il corso della loro vita, come a lungo considereremo poi, parlando delle virtù di Maria. Rivelò la stessa Vergine a Suor Maria Crocifissa (Vita, lib. II, c. 5), ch'era tanto il fuoco dell'amore di cui ella ardea verso Dio, che posto in quello tutto il cielo e la terra, in un momento si sarebber consumati; onde disse che al suo confronto erano come fresche aure tutti gli ardori de' Serafini.12 Che pertanto, siccome non vi è tra tutti gli spiriti beati chi più di Maria ami Dio, così noi non abbiamo né possiamo avere chi


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dopo Dio ci ami più di questa nostra amorosissima Madre. E se si unisse l'amore che tutte le madri portano a' figli, tutti gli sposi alle loro spose, e tutti i santi ed angeli a' loro divoti, non giunge all'amore che Maria porta ad un'anima sola. Dice il padre Nierembergh che l'amore che tutte le madri hanno portato a' loro figli è un'ombra a paragone dell'amore che ad un solo di noi porta Maria: ben ci ama più ella sola, soggiunge, che non ci amano insieme tutti gli angeli e i santi.13

In oltre14 la nostra Madre ci ama assai, perché noi le siamo stati raccomandati per figli dal suo amato Gesù, allorch'egli prima di spirare le disse: Mulier, ecce filius tuus:15 dinotandole in persona di Giovanni tutti noi uomini, come abbiamo sopra considerato. Queste furono le ultime parole, che 'l Figlio le disse. Gli ultimi ricordi che si lasciano dalle persone amate nel punto della loro morte troppo si stimano, e non se ne può perdere mai la memoria.

Di più noi siamo figli troppo cari a Maria, perché troppo di dolore le costiamo. Dalle madri ben si amano più quei figli, a cui il conservare la vita ha costato loro più stento e dolore. Noi siamo quei figli, a' quali Maria affin di ottenere la vita della grazia, ha dovuto soffrire la pena di offerire ella stessa alla morte la cara vita del suo Gesù, contentandosi per noi di vederselo morire avanti gli occhi suoi a forza di tormenti. Da questa grande offerta di Maria noi nascemmo allora alla vita della divina grazia. Sicché noi siamo figli perciò troppo cari, perché troppo le costiamo di affanno. Onde, conforme sta scritto dell'amore che l'Eterno Padre ha portato agli uomini nel dare alla morte per noi il suo medesimo Figlio: Sic... Deus dilexit mundum, ut Filium suum unigenitum daret (Io. III, 16), così ancora,


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dice S. Bonaventura, può dirsi di Maria: Sic Maria dilexit nos, ut Filium suum unigenitum daret.16

E quando ella ce lo diede? Ce lo diede, dice il P. Nierembergh, quando per prima gli concedé la licenza per andar alla morte. Ce lo diede, quando mancando gli altri, o per odio o per timore, ben poteva ella sola bastantemente difendere appresso i giudici la vita del Figlio; e ben si può credere che le parole d'una madre così savia e così tenera del figlio avrebbero potuto fare una gran forza, almeno appresso Pilato, acciocché si fosse arrestato di condannare alla morte un uomo ch'egli stesso conobbe e dichiarò innocente. Ma no, che Maria non volle dire neppure una parola a favore del Figlio, per non impedire la sua morte, da cui pendeva la nostra salute. Ce lo diè finalmente mille e mille volte a piè della croce in quelle tre ore, in cui assisté alla morte del Figlio;17 poiché allora in ogn'istante altro non facea che con sommo dolore e sommo amore verso di noi sagrificare per noi la vita del Figlio, con tanta costanza, che dicono S. Anselmo e S. Antonino che se mai allora fossero mancati i carnefici, ella stessa l'avrebbe crocifisso per ubbidire alla volontà del Padre, che lo volea morto per la nostra salute. E se un simile atto di fortezza di voler sagrificare il figlio colle proprie mani lo fece Abramo, dobbiamo credere che con maggior costanza certamente l'avrebbe eseguito Maria, più santa e più ubbidiente di Abramo.18


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Ma ritornando al nostro punto, quanto noi dobbiamo vivere grati a Maria di un atto di tanto amore? Del sacrificio, dico, ch'ella fece della vita del Figlio con tanto suo dolore, affin di ottenere a tutti noi la salute? Ben rimunerò il Signore ad Abramo il sagrificio ch'egli si accinse a fargli del suo Isacco; ma noi che possiamo rendere a Maria per la vita ch'ella ci ha data del suo Gesù, figlio assai più nobile ed amato che 'l figlio di Abramo? Questo amor di Maria, dice S. Bonaventura, ci ha troppo obbligati ad amarla, vedendo ch'ella ci ha amato più d'ognun altro, poiché ci ha dato il suo unico Figlio, che amava più di se stessa: Nulla post eam creatura ita per amorem nostrum exardescet, quae Filium suum unicum, quem multo plus se amavit nobis dedit, et pro nobis obtulit (S. Bon.).19

E da ciò nasce l'altro motivo, per cui noi siamo tanto amati da Maria, perché vede che noi siamo il prezzo della morte di Gesù Cristo. Se una madre vedesse un servo ricomprato da un suo figlio diletto coi patimenti di venti anni di carceri e di stenti, per questo solo riguardo quanto ella stimerebbe questo servo? Ben sa Maria che 'l Figlio non per altro è venuto in terra, che per salvare noi miserabili, com'egli stesso protestò: Veni salvum facere quod perierat (Luc. XIX, 10).20 E per salvarci si è contentato di spenderci anche la vita: Factus obediens usque ad mortem (Philip. II, 8). Se Maria dunque poco ci amasse, poco dimostrerebbe di stimare il sangue del Figlio, ch'è il prezzo della nostra salute. - Fu rivelato a S. Elisabetta monaca che Maria, sin da che stava nel tempio, non faceva altro che pregare per noi, pregando che Dio mandasse


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presto il Figlio a salvare il mondo.21 Or quanto più dobbiamo pensare ch'ella ci ami, dopoché ci ha veduti così stimati dal Figlio, che non ha sdegnato di comprarci a tanto suo costo?

E perché tutti gli uomini sono stati redenti da Gesù, perciò Maria tutti ama e favorisce. Fu ella veduta da S. Giovanni vestita di sole: Et signum magnum apparuit in caelo, mulier amicta sole (Apoc. XII, 1). Dicesi vestita di sole, per ragione che come non vi è nella terra chi possa mai nascondersi dal calore del sole: Non est qui se abscondat a calore eius (Ps. XVIII, [7]), così non vi è vivente che sia privo in terra dell'amor di Maria. A calore eius, applica l'Idiota, idest a dilectione Mariae.22

E chi mai, dice S. Antonino, può comprendere la cura che questa Madre amorosa ha di tutti noi? Oh quanta cura est Virgini matri de nobis! Perciò ella a tutti offerisce e dispensa la sua misericordia: Omnibus aperit sinum misericordiae suae.23 Poiché la nostra Madre ha desiderato la salute di tutti, ed alla salute di tutti ha cooperato. Constat, afferma S. Bernardo (Ho. 2, in Mis.), pro universo genere humano fuisse sollicitam.24 Ond'è che riesce utilissima la pratica di alcuni divoti di Maria, i quali, come riferisce Cornelio a Lapide, sogliono pregare il Signore a conceder loro quelle grazie, che per essi cerca la B. Vergine, con dire: Domine, da mihi, quod pro me postulat SS. Virgo Maria. E con ragione, dice il nominato a Lapide, mentre la nostra Madre desidera ella a noi maggiori beni di quelli che noi stessi possiamo desiderare:


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Ipsa enim maiora optat, quam nos optare possumus.25 E 'l divoto Bernardino da Busto dice che più Maria ama di far bene e dispensare a noi le grazie, che noi desideriamo di riceverle: Plus ipsa desiderat facere tibi bonum et largiri gratiam, quam tu accipere concupiscas (Mar. I, serm. 5).26 Onde il B. Alberto Magno applica a Maria le parole della Sapienza: Praeoccupat qui se concupiscunt, ut illis se prior ostendat (Sap. VI, 14): Previene Maria coloro che a lei ricorrono, per farsi da loro trovare prima che la cerchino.27 È tanto l'amore, dice Riccardo, che ci porta questa buona Madre, che quando scorge i nostri bisogni, ella viene a soccorrerci, prima che noi le domandiamo il soccorso: Prius occurrit quam invocetur (Rich., in Cant. IV, 5).28

Or se Maria è così buona con tutti, anche cogl'ingrati e negligenti, che poco l'amano e poco a lei ricorrono, quanto sarà più ella amorosa con coloro che l'amano e spesso l'invocano? Facile invenitur ab his qui diligunt illam (Sap. VI, 13).29 Oh quanto facil cosa, soggiunge lo stesso B. Alberto, è


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trovar Maria a coloro che l'amano, e 'l trovarla tutta piena di pietà e di amore!30 Ego diligentes me diligo (Prov. VIII, [17]). Ella si protesta che non può non amare chi l'ama. E benché l'amantissima Signora ami tutti gli uomini come suoi figli, ben non però, dice S. Bernardo, ella agnoscit et diligit, sa conoscere ed amar con distinzione coloro che più teneramente l'amano.31 Questi felici amanti di Maria, asserisce l'Idiota, non solo da lei sono amati, ma anche serviti: Inventa Maria Virgine, invenitur omne bonum: ipsa namque diligit diligentes se, immo sibi servientibus servit (De Contempl. Virg., in prol.).32

Stava morendo, come si narra nelle Croniche dell'Ordine, Leonardo domenicano, il quale ducento volte il giorno si raccomandava a questa Madre di misericordia. Un dì ecco videsi accanto una bellissima regina, che li disse: Leonardo, volete morire, e venire al mio Figlio ed a me? Rispose il religioso: E voi chi siete? Io sono, ripigliò la Vergine, la madre delle misericordie: voi mi avete tante volte invocata, eccomi ora son venuta a prendervi; andiamocene al paradiso. E nello stesso giorno morendo Leonardo, speriamo che la seguì al regno beato.33


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Ah Maria dolcissima, beato chi v'ama! Diceva il Ven. fratello Giovanni Berchmans della Compagnia di Gesù: Se io amo Maria, son sicuro della perseveranza, e impetrerò da Dio quanto voglio. E perciò il divoto giovine non si saziava mai di rinnovare il proposito, e di replicare spesso fra sé: Io voglio amare Maria, io voglio amare Maria.34

Oh quanto ella la buona Madre avanza in amore tutti i suoi figli! L'amino questi quanto possono, semper Maria cum amantibus est amantior, dice S. Ignazio martire (Ep. ad Io., ap. Aur.).35 L'amino pure quanto un S. Stanislao Kostka, che amava sì teneramente questa sua cara madre, che al parlarne invogliava ad amarla ognun che l'udiva. Egli s'avea formati nuovi vocaboli e nuovi titoli con cui ne onorava il nome. Non cominciava azione, che prima rivolto a qualche sua immagine non le chiedesse la benedizione. Quando le recitava l'Officio, il rosario od altre orazioni, le diceva con tale affetto ed espressione, come parlasse da faccia a faccia con Maria. Quando sentiva cantare la Salve Regina, tutto s'infiammava nell'anima, ed anche nel volto. Dimandato una volta da un padre della Compagnia, mentre andavano insieme a visitare un'immagine della B. Vergine, quanto egli l'amasse, «Padre, rispose, che posso dirgli più? Ella è la


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Madre mia». Ma disse poi quel padre che il santo giovine proferì queste parole con tale tenerezza di voce e di sembiante e di cuore, che parve non già un giovine, ma un angelo che parlasse dell'amore di Maria.36 - L'amino pure quanto un B. Ermanno, che la chiamava la sua sposa d'amore, mentre del nome di sposo egli fu onorato anche da Maria.37 - Quanto un S. Filippo Neri, che tanto si consolava pensando solamente a Maria, e perciò la nominava la sua delizia.38 - Quanto un S. Bonaventura, che la chiamava non solo sua signora e madre, ma per dimostrar la tenerezza dell'affetto che le portava, giungeva a chiamarla il suo cuore, l'anima sua: Ave, domina mea, mater mea; imo cor meum, anima mea.39 - L'amino ancor quanto quel grande amante di Maria, S. Bernardo, che tanto amava questa dolce madre, che la chiamava la ladra de' cuori: Raptrix cordium. onde il santo, per esprimerle l'amore


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ardente che le portava, le diceva: Nonne rapuisti cor meum?40 - La chiamino pure la loro innamorata, come la nominava un S. Bernardino da Siena, che ogni giorno l'andava a visitare in una divota immagine, per dichiararle il suo amore con teneri colloqui che tenea colla sua regina; e perciò a chi gli domandava dove andasse ogni giorno, diceva che andava a trovare la sua innamorata.41 - L'amino pure quanto un S. Luigi Gonzaga, che tanto bruciava continuamente d'amore verso Maria, che appena in sentir risonar il dolcissimo nome della sua cara Madre, subito se gli accendeva il cuore, e la fiamma gli compariva rubiconda nel volto a farsi da tutti vedere.42 - L'amino quanto un S. Francesco Solanes, che impazzito quasi - ma con santa pazzia - per amor di Maria, si metteva alle volte con istromento di suono a cantar d'amore avanti una sua immagine, dicendo che siccome fanno gli amanti del mondo, egli faceva la sua serenata alla sua diletta regina.43


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L'amino pure quanto l'hanno amata tanti suoi servi, che non sapeano più che fare per dimostrarle il loro amore. Il P. Girolamo da Trexo della Compagnia di Gesù giubilava in chiamarsi schiavo di Maria, ed in segno della sua schiavitù andava spesso a visitarla in una sua chiesa; ed ivi che faceva? in arrivare alla chiesa prima la bagnava di lagrime per la tenerezza dell'amore che si sentiva verso Maria; poi la scopava colla lingua e colla faccia, baciando mille volte quel pavimento, pensando che quella era casa della sua amata signora.44 - Il P. Diego Martinez della stessa Compagnia di Gesù, che per la sua divozione alla Madonna nelle feste di Maria era portato dagli angeli in cielo a vedere con quanto onore si celebravano, questi dicea: Vorrei avere tutti i cuori degli angeli e de' santi per amare Maria com'essi l'amano: vorrei le vite di tutti gli uomini per ispenderle tutte per amor di Maria.45 - Giungano pure altri ad amarla quanto l'amava Carlo figlio di S. Brigida, che diceva di non sapere cosa che più lo consolasse nel mondo, quanto il sapere che Maria era così amata da Dio. Ed aggiungeva che volentieri avrebbe accettato ogni pena per fare che Maria non avesse perduto, se mai l'avesse potuto perdere, un punto della sua grandezza; e che se la grandezza di Maria fosse stata sua, egli ce l'avrebbe rinunziata, per esserne ella assai di lui più degna.46 - Desiderino pure di dar la vita in protesta del loro amore a Maria, come desiderava Alfonso Rodriguez.47 - Arrivino finalmente a scolpirsi con ferri acuti sul petto l'amabil nome di Maria, come fecero un Francesco Binanzio religioso,48 ed una Radagunde


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sposa del re Clotario.49 - Arrivino pure con ferri roventi ad imprimere sulla carne l'amato nome, per farlo restare più espresso e più durevole, come fecero, spinti dall'amore, i suoi divoti Battista Archinto ed Agostino d'Espinosa, ambi della Compagnia di Gesù.50

Facciano dunque o pensino di fare quanto è possibile a farsi da un amante che pretende, quanto può, far conoscere il suo affetto alla persona amata; che non mai arriveranno gli amanti di Maria ad amarla tanto quanto ella l'ama. Scio, Domina, diceva S. Pier Damiano, quia amantissima es, et amas nos amore invincibili (Serm. I, de Nat. B. M. V.).51 So, Signora


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mia, diceva, che fra coloro che vi amano siete la più amante, ed amate noi con amore, che non si fa vincere da ogni altro amore. - Stava una volta a' piedi d'un'immagine di Maria il Ven. Alfonso Rodriguez della Compagnia di Gesù, ed ivi sentendosi ardere d'amore verso la santa Vergine, proruppe, e disse: «Madre mia amabilissima, io so che voi mi amate; ma non mi amate tanto quanto v'amo io.» Allora Maria, come offesa in punto d'amore, da quell'immagine gli rispose: «Che dici, Alfonso, che dici? Oh quanto è più grande l'amore ch'io porto a te, dell'amore che tu porti a me! Sappi, gli disse, che non vi è tanta distanza dal cielo alla terra, quanta ve n'è dall'amor mio al tuo.»52

Ha ragione dunque S. Bonaventura di esclamare: Beati quelli che han la sorte di essere fedeli servi ed amanti di quest'amantissima Madre! Beati quorum corda diligunt Mariam! beati qui ei famulantur!53 Sì, perché la gratissima regina non si fa mai vincere d'amore da' suoi divoti: Numquam in hoc certamine a nobis ipsa vincetur. Amorem redhibet, et praeterita beneficia semper novis adauget (Paciucch., de B. Virg.).54 Maria imitando in ciò il nostro amorosissimo Redentor Gesù Cristo, co' suoi benefizi e favori rende a chi l'ama duplicato il suo amore. Vestri continuo amore, esclamerò dunque anch'io coll'innamorato S. Anselmo, langueat cor meum, liquefiat anima mea (In Depr. ad V.): Arda per voi sempre il mio cuore, e tutta si consumi d'amore l'anima mia, o amato mio


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Salvatore Gesù, o cara mia madre Maria. Date itaque supplicanti animae meae, non propter meritum meum, sed propter meritum vestrum, date illi quantum digni estis amorem vestrum: Concedete pertanto, o Gesù e Maria, giacché senza la vostra grazia io non posso amarvi, concedete all'anima mia per li meriti vostri, non miei, ch'io vi ami quanto voi meritate. O amator hominum, tu potuisti reos tuos usque ad mortem amare, et poteris roganti amorem tui et matris tuae negare?55 O Dio innamorato degli uomini, voi avete potuto morire per li vostri nemici, e potrete a chi ve la domanda, negare la grazia di amar voi e la madre vostra?

Esempio.

Si narra appresso il padre Auriemma (Affetti scamb., tom. 2, cap. 7) che una povera pastorella, che guardava gli armenti, amava tanto Maria, che tutta la sua delizia era andarsene in una cappelletta di nostra Signora, che stava nella montagna, ed ivi ritirarsi, mentre pascevano le pecorelle, a parlare ed a fare onori alla sua cara Madre. Vedendo che quell'immaginetta di Maria, ch'era di rilievo, stava disadorna, si pose colle povere fatiche delle sue mani a farle un manto. Un giorno avendo raccolti dal campo alcuni fiori, ne compose una ghirlanda, e poi salita sull'altare di quella cappelletta, la pose in testa all'immagine, dicendo: Madre mia, io vorrei porvi sulla fronte una corona d'oro e di gemme; ma perché son povera, ricevete da me questa povera corona di fiori, e accettatela in segno dell'amor che vi porto. Così e con altri ossequi procurava sempre questa divota verginella di servire ed onorare la sua amata Signora.

Ma vediamo ora come la buona Madre all'incontro rimunerò le visite e l'affetto di questa sua figlia.

Cadde ella inferma e si ridusse vicino a morte. Avvenne che due religiosi, passando per quelle contrade, stracchi dal viaggio,


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si posero a riposare sotto d'un albero: l'uno dormiva, l'altro vegliava; ma ebbero la stessa visione. Videro una compagnia di donzelle bellissime, e fra queste ve n'era una che in bellezza e maestà superava tutte. A questa dimandò un di loro: Signora, chi siete voi? Io, rispose, sono la Madre di Dio, che con queste sante vergini andiamo a visitare nella vicina villa una pastorella moribonda, la quale tante volte ha visitato me. Così disse, e sparvero. Dopo ciò dissero tutti due quei buoni servi di Dio: Andiamo a vederla ancor noi. Si avviarono, e trovando già la casa dove stava la vergine moribonda, entrarono in un piccolo tugurio, ed ivi sopra un poco di paglia la trovarono giacendo. La salutarono; ed ella disse loro: Fratelli, pregate Dio, che vi faccia vedere la compagnia che m'assiste. S'inginocchiarono subito, e videro Maria che stava accanto alla moribonda con una corona in mano e la consolava. Ecco quelle sante vergini cominciano a cantare, e a quel dolce canto si scioglie dal corpo quell'anima benedetta. Maria le pone in testa la corona, e prendendosi l'anima, se la porta seco nel paradiso.56


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Preghiera.

O Domina, quae rapis corda,57 vi dirò con S. Bonaventura: O Signora, che coll'amore e i favori che dimostrate a' vostri servi, rapite loro i cuori, rapitevi ancora il mio cuore miserabile, che desidera d'amarvi assai. Voi, madre mia, colla vostra bellezza avete innamorato un Dio, e l'avete tirato dal cielo nel vostro seno; ed io viverò senza amarvi? No, vi dico con quell'altro vostro amante figlio Giovanni Berchmans della Compagnia di Gesù: Numquam quiescam, donec habuero tenerum amorem erga matrem meam Mariam:58 Io non mai voglio quietarmi, sintanto che non sarò certo di aver ottenuto l'amore, ma un amore costante e tenero, verso di voi, madre mia, che con tanta tenerezza mi avete amato, ancora quando io v'era così ingrato. E che sarebbe ora di me, se voi, o Maria, non mi aveste amato ed impetrate tante misericordie? Se dunque voi mi avete tanto amato, quando io non vi amava, quanto più debbo sperare dalla vostra bontà, ora che v'amo?


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Io v'amo, o madre mia, e vorrei un cuore che vi amasse per tutti quegli infelici che non vi amano. Vorrei una lingua che valesse a lodarvi per mille lingue, affin di far conoscere a tutti la vostra grandezza, la vostra santità, la vostra misericordia, e l'amore con cui amate coloro che v'amano. Se avessi ricchezze, vorrei tutte impiegarle a vostro onore. Se avessi sudditi, vorrei renderli tutti vostri amanti. Vorrei in fine per voi e per la gloria vostra spender anche la vita, se bisognasse.

V'amo dunque, o madre mia, ma nello stesso tempo temo che non v'amo: poiché sento dire che l'amore fa simili gli amanti alle persone amate: Amor aut similes invenit, aut facit (Aristot.).59 Dunque se io mi vedo così a voi dissomigliante è segno che non v'amo. Voi così pura, io così sozzo! Voi così umile, io così superbo! Voi così santa, io così iniquo! Ma questo è quello che avete da far voi, o Maria: giacché mi amate, rendetemi simile a voi. Voi già avete tutta la potenza di mutare i cuori; prendetevi dunque il mio, e mutatelo. Fate vedere al mondo quel che potete a favor di coloro che voi amate. Fatemi santo, fatemi degno vostro figlio. Così spero, così sia.




1 «Ut proximus amatur filius... Amat... mater filium... quem concipit cum sorde, pregnat cum pallore, non sine timore parit cum periculo vitae, educat cum sollicitudine et labore, qui ingratus post omnia vix praeceptis cogitur, promissis allicitur, honorem rependere parentibus. Honora, inquit, patrem et matrem, ut sis longaevus super terram.» De dilectione Christi et proximi, cap. 13. Inter Opuscula S. Thomae, Opusculum 61. Opera, Romae, 1570, XVII, fol. 82 GH. - Questo opuscolo non è di S. Tommaso. - «Filius est aliquid patris, et patres amant filios «ut aliquid ipsorum» sicut dicit Philosophus (Etich. lib. 8., cap. 12). Unde eisdem rationibus non ponuntur aliqua praecepta decalogi pertinentia ad amorem filiorum, sicut neque etiam aliqua ordinantia hominem ad seipsum.» S. THOMAS, Sum. Theol., I-II, qu. 100, art. 5, ad 4.

2 «Natura hoc bestiis infundit, ut catulos proprios ament, fetus suos diligant... Quae fera pro catulis suis non ipsa potissimum se offerat morti?» S. AMBROSIUS, Hexaemeron, lib. 6, cap. 4, n. 22. ML 14-250.

3 Questo S. Alfonso lo ha preso da Paciuchelli (Excitatio 22, in Ps. 86, n. 3) e Paciuchelli da Filostrato. «Trigridem etiam, animal saevissimum, hac in regione aiunt et circa mare rubrum ad naves procedere catulos repetentem, eisque receptis cum gaudio abire, sin autem cum nave discesserint, in littore ululare et interdum mori.» PHILOSTRATUS, De Tyanensi Apollonio, lib. 2, § 14, n. 3. (Ed. Firmin-Didot, 1878).

4 Eccli. XXIV, 24.

5 «Mater est... omnium virtutum, et quorumcumque charismatum quae in nos desursum descendunt, sed imprimis se dilectionis esse matrem merito gloriatur, quia tota est amor erga nos, quos recepit in filios.» PACIUCHELLI, O. P., Excitationes dormitantis animae... ad colendam... Virginem Deiparam, Excitatio 22, in Ps. 86, n. 5.

6 «Clauso tanti doloris tormento intrinsecus... non poterat ex facie colligi crux illa animae et patibulum spiritus, in quo erat hostia viva... et medullatum holocaustum: quod cum ipsa incenderet, tantum conscientiae ministerio utebatur ipsaque sine strepitu seipsam mactans, in altario interiori, et ligna et fiammas et latices congerebat. Nimirum in tabernaculo illo duo videres altaria, aliud in pectore Mariae, aliud in corpore Christi. Christus carnem, Maria immolabat animam. Optabat quidem ipsa, ad sanguinem animae, et carnis suae addere sanguinem, et elevatis in cruce manibus celebrare cum Filio sacrificium vespertinum, et cum Domino Iesu corporali morte Redemptionis nostrae consummare mysterium.» ARNALDUS sive Ernaldus Carnotensis, De septem verbis Domini in cruce, tractatus tertius. ML 189-1694.

7 «Stabat ante crucem mater, et fugientibus viris, stabat intrepida... Pendebat in cruce Filius, mater se persecutoribus offerebat.» S. AMBROSIUS, Liber de institutione virginis, cap. 7, n. 49. ML 16-318.

8 TURSELLINI, Vita, lib. 4, cap. 6 (a principio). Bononiae, 1746, pag. 202, 203. Questo viaggio, (dicembre 1550 - febbraio 1551), il più aspro di tutti, lo fece il Santo, non già principalmente per l'immediata evangelizzazione delle popolazioni sparse lungo la strada, in città e borghi, ma coll'intento di raggiungere la capitale e di ottenere alla sua missione la benevolenza del potere centrale: raggiunse sì la capitale, ma nulla ottenne, senza però che venisse infranto il coraggio del generoso apostolo.

9 GALLIZIA, Vita, lib. 2, cap. 7, § 1. - HAMON, Vita, lib. 2, cap. 3. - Il fiume chiamato da Gallizia «la Duranza» non è già «la Durance», ma «la Dranse». Chamblae: Chablais.

10 S. GREGORIUS MAGNUS, Dialogi, lib. 3, cap. 1. ML 77, col. 215-220. - La verità storica del fatto venne acremente impugnata da alcuni, e strenuamente difesa da altri. Vedi ML 77-134, 135, Vindiciae Dialogorum, § «De historiis quae in Dialogis continentur...», auctore Petro Gussanvillaeo; Praefatio (editorum O. S. B.), XI, XII, col. 142; ML 61 (Opera S. Paulini), col. 775-778, Dissertatio septima, de captivitate S. Paulini. - Su quale fondamento si sia appoggiato S. Gregorio per asserire la verità del fatto, ce lo dice egli stesso, a principio della sua narrazione: «Sicut enim bonorum facta innotescere citius similibus solent, senioribus nostris per iustorum exempla gradientibus praedicti venerabilis viri celebre nomen innotuit, eiusque opus admirabile ad eorum se instruenda studia tetendit, quorum me necesse fuit grandaevitati (al. gravitati) tam certo credere, ac si ea quae dicerent meis oculis vidissem.» L. c., col. 216. - Quella «grandaevitas» o «gravitas» che sia, non indica, specialmente se si confronta col greco, o non indica unicamente né principalmente il numero degli anni, ma l'autorità dei testimoni. - Che poi S. Gregorio chiami «Vandali» i Goti che s'impossessarono di Nola nel 410, o che i prigionieri siano stati trasferiti in Africa o in Ispagna, son cose di poco o nessuno rilievo.

11 S. Fedele da Sigmaringa. - Angelo DE ROSSI DA VOLTAGGIO, Vita, pag. 150 e seg.

12 TURANO, Vita, lib. 2, cap. 15. Venezia, 1709, pag. 161.

13 «La sua carità sola, e l'amore che ci porta, è più grande, e più leale e più fino di quanta carità hanno mai avuto ed avranno tutti i Santi insieme, ed i più alti serafini e più infiammati nell'amore di Dio. O che buona ventura nostra è il vederci tanto amati con un amore sì grande ed incinvibile, da una sì gran Signora, e dalla medesima Madre di Dio, con tale estremo, che tutto quanto l'amore che han mai portato e porteranno mai le più tenere madri del mondo ai lor figliuoli più cari ed amati, è un'ombra e un niente rispetto a quello ch'ella porta a noi.» Gio. Eusebio NIEREMBERG, S. I., Dell'affezione ed amore a Maria, cap. 14. Opere, II, Venezia, 1715, pag. 264. – Ed. Veneta, 1678, p. 125. - Ed. latina, Sancti Galli, 1681, p. 139.

14 In una noticina autografa, aggiunta all'edizione Bassanese, S. Alfonso avverte il tipografo: «E dove trovate inoltre, dividete e fate in oltre.»

15 Io. XIX, 26.

16 Vedi sopra, pag. 38, nota 10. - «Unde secure dici potest et credi quod sicut dicitur de Patre (Io. III): Sic Deus dilexit mundum, ut Filium suum unigenitum daret pro mundo, etc.; sic et dici potest: Sic Maria dilexit mundum, id est peccatores, ut Filium suum unigenitum daret, etc. pro salute mundi.» RICHARDUS A S. LAURENTIO, De laudibus B. M. V., lib. IV, cap. 18. Inter Opera S. Alberti Magni, XX, pag. 131.

17 «Fu sì grande l'amore che Maria portò al mondo, che gli diede il suo Unigenito Figliuolo. (Diedecelo quando il partorì... quando il circoncise... quando lo presentò nel Tempio... quando gli guardò la vita acciocché Erode non l'uccidesse..., quando con sua licenza uscì dalla sua casa per andare a predicare;) diedecelo quando non ricusò che uscisse dal Cenacolo nell'orto; diedecelo, quando preso, accusato, maltrattato, affrontato, flagellato e coronato di spine, non disse per lui neppure una parola; diedecelo mille volte al piè della Croce.» NIEREMBERG, l. c. nella nota 13, p. 365.

18 Di S. Anselmo non sappiamo altro che il testo come viene riportato da S. Antonino: «Stabat verecunda, modesta, lacrimis plena, doloribus immersa. Anselmus: «O Domina, quos fontes lacrimarum dicam erupisse de pudicissimis oculis tuis, quum attenderes unicum tuum innocentem coram te flagellari, ligari, mactari, et carnem de carne tua crudeliter dissecari! Et tamen ita divinae voluntati conformis fuisti, ut dicere audeam, quod si nullus fuisset repertus qui filium crucifigeret, ad hoc ut sequeretur salus Dei secundum rationem, si oportuisset, ipsa posuisses in crucem.» Neque enim credendum est minoris fuisse perfectionis et obedientiae ad Deum, quam Abraham, qui proprium filium obtulit Deo in sacrificium propriis manibus occidendum et comburendum. Stabat ergo fixa in Dei voluntate.» - S. ANTONINUS, Sum. Theol., pars 4, tit. 15, cap. 41, § 1, Quantum ad tertium. Veronae, 1740, col. 1227.

19 «Et dicit singulariter (Hugo): quia nulla postea creatura ita per amorem exardescet, quae amantissimum filium suum, et unicum, quem Mulier plus seipsa amavit, nobis dedit, et pto nobis obtulit.» Opera S. Bonaventurae, III, Sermo I de B. V. Maria, ed. Rom. ecc., pag. 364, col. 1. - Vedi Appendice, 2.

20 Venit enim Filius hominis quaerere et salvum facere quod perierat. Luc. XIX, 10.

21 Questa rivelazione fu fatta a S. Elisabetta detta d'Ungheria, terziaria francescana. Cf. Montalembert, Histoire de S. Elisabeth de Hongrie, Appendice, V: Révélation faite par la sainte Vierge à sainte Elisabeth, tirée des MS. des Bollandistes à Bruxelles, pag. 160. - Cf. Meditationes vitae Christi, cap. 3: inter Opera S. Bonaventurae, ed. Rom., Mogunt. et Lugdunen. VI, 336: Quinto petebam. (Vedi Appendice, 2) - Domandava cioè la santissima fanciulla Maria di veder quel tempo in cui s'adempirebbe l'oracolo d'Isaia: Ecce virgo concipiet, e di esser essa stessa la vergine serva di quella Vergine preeletta.

22 «Cura sibi est de omnibus. Longe enim positos illuminat radiis misericordiae suae; sibi propinquos per specialem devotionem, consolationis suavitate; secum insistentes in patria, excellentia gloriae. Et sic non est qui se abscondat a calore eius, id est a caritate et dilectione ipsius.» RAYMUNDUS IORDANUS, sapiens Idiota, abbas Cellensis, Contemplationes de B. Virgine, Prooemium. Migne, Summa aurea, IV-852.

23 S. ANTONINUS, Sum. Theol., IV, tit. 15, cap. 2. Veronae, 1740, col. 917.



24 S. BERNARDUS, In Assumptione B. M. V., sermo 4, n. 8. ML 183-429.

25 Al nome di Cornelio a Lapide, crediamo doversi sostituire quello del Salazar, il quale così parla: «Cum nos saepius ignoremus quid nostra potissimum ad salutem intersit, ex quo fit ut saepius nociva petamus; in summis Dei beneficiis numerare debemus, tantam Dominam nostras in singulis rebus praeire orationes et vota, postulantem illa quae magis nobis proficua esse cognovit. Accommodate ad haec Anselmus: «Nescit, inquit, homo, quid orat, aut quomodo oret. Tu pro nobis ora, Mater Dei, quae quid et quomodo nobis petendum sit nosti.» Optimum sane consilium, cum non satis noverimus quid magis e re nostra sit, Mariae preces nostras votaque committere. Agemus autem cum Deo ad hunc modum: «Domine sancte, id solum a te ego supplex peto, quod Maria mihi abs te precatur.» Ferdinandus Quirinus de SALAZAR, S. I., in Proverbia, VIII, 18, n. 186. Parisiis, 1619, col. 614.

26 «Plus enim desiderat ipsa facere tibi bonum et largiri aliquam gratiam, quam tu accipere concupiscas.» Ven. BERNARDINUS DE BUSTO (al. de Bustis), Mariale seu sermones de B. V. M. ac de eius excellentiis, pars 2, sermo 5: de Nativitate Mariae, pars (huius sermonis) 7, de sponsae caelestis dote ac dotatione. Brixiae, 1588, pag. 185. Opera, III.

27 «Concupiscentia enim illius, sicut dicitur de sapientia (Sap. VI, 21) deducit ad regnum perpetuum. Praeoccupat etiam eos qui se concupiscunt, ut illis se priorem (prior) ostendat, sicut ibidem (Sap. VI, 14) dicitur.» RICHARDUS A S. LAURENTIO, De laudibus B. M. V., lib. 2, cap. 3, n. 15. Inter Opera S. Alberti Magni, Lugduni, 1651, XX, pag. 55 (erronee signata 65), col. 2.

28 «Hinnulorum velocitati comparatur, quia velocius occurrit eius pietas quam invocetur, et causas miserorum anticipat.» RICHARDUS A S. VICTORE, In Cantica (IV, 5), cap. 23. ML 196-475.

29 Clara est, et quae numquam marcescit sapientia, et facile videturab his qui diligunt eam, et invenitur ab his qui quaerunt illam. Sap. VI, 13.

30 Qui continens est iustitiae, apprehendet illam, et obviabit illi quasi mater honorificata. Eccli. XV, 1, 2. - «Apprehendet toto conamine... dicens: Inveni quam diligit anima mea, tenui eam nec dimittam (Cant. III, 4). Illam, id est, Mariam, ut ei serviat, eam collaudet, et operetur ad honorem ipsius... Et obviabit, scilicet... Maria... Obviabit, inquam, per... familiaritatem Mariae, illi remunerando et hic et in morte. Quasi mater honorificata; quod est dicere: sicut mater honorificata a filiis suis, blande suscipit illos.» RICHARDUS A S. LAURENTIO, De laudibus B. M. V., lib. 2, cap. 6, n. 14. Inter Opera S. Alberti Magni, Lugduni, 1651, XX, 83, col. 1, 2; Parisiis, Vives, tom. XXXVI. - Il più delle volte, S. Alfonso attribuisce quest'opera al suo vero autore, Riccardo da S. Lorenzo penitenziere di Rouen (1245); qualche volta però, come poco sopra nella nota 27, e, per quanto crediamo, in questa nota 30, si attiene all'antica denominazione, e la cita sotto il nome di S. Alberto Magno.

31 «Agnoscit certe, et diligit diligentes se.» In Antiphonam Salve Regina, sermo 1, n. 1. Inter Opera S. Bernardi. ML 184-1061. D'incerto autore: probabilmente d'un pio Cisterciense, posteriore di poco a S. Bernardo.

32 «Inventa Virgine Maria, invenitur omne bonum, ipsaque diligit diligentes se; imo servit sibi servientibus.» RAYMUNDUS IORDANUS, sapiens Idiota, Abbas Cellensis, Contemplationes de B. Virgine, Prooemium. Migne, Summa aurea, IV-851.

33 «In conventu Montispessulani fuit Frater Leo Dacus (altri hanno: Leodato), qui cum a quodam fratre sibi caro visitaretur, nam infirmus graviter erat, ait: Hac nocte vidi gratissimam visionem, ex qua multam consolacionem recepi: vidi enim gloriosam Virginem venientem ad me et dicentem: Vis venire nobiscum? Cui cum dicerem: Quae estis vos, Domina? Respondit: Ego sum Mater Dei. Cui dixi: Non credo, Domina, quod vos sitis Mater Dei: nam sum peccator vilissimus, nec decet quod tanta Domina veniat ad tantillum. Qua asserente: Ego sum Mater Dei, meam indignitatem respiciens, eadem iteravi. Ipsa itaque dicente: Non dubites, fili, nam ego sum Mater Christi, respondi: Domina, si vos Mater Dei, ego volo ire vobiscum. Eodem die dictus Frater circa vesperas obiit.» Gerardus DE FRACHETO, O. P., Vitae Fratrum Ord. Praedicatorum, ed. J. J. Berthier, Monumenta Ord. Praed. historica, tom. I, Lovanii 1896, pag. 55, § XIX. - Vedi anche Annalium sacri Ordin. Praed. Centuria prima (an. 1238), auctore P. Thoma MALVENDA, Neapoli, 1627, pag. 607, 608.

34 «Diceva egli: «Se io amo Maria, son sicuro della mia salute, e perseveranza nella Religione, ed impetrerò da Dio ciò che voglio, e sarò onnipotente;» né altro si trova più spesso ne' suoi scritti, che propositi fatti di amare, servire, ed esser divoto della Beatissima Vergine.» CEPARI, Vita, Roma, 1717, pag. 176. - «Spesso rinnovava questo proponimento: «Io voglio amare Maria.» Ivi, pag. 177.

35 «Humilibus quidem est devota, et devotis devotius humiliatur.» S. Ignatii Martyris Epistola (suppositia) ad S. Ioannem Apostolum, ML 5-943. - AURIEMMA, Affetti scambievoli, Bologna, 1681, parte 1, cap. 1, pag. 2: «Maria humilibus est devota, et cum devotis devotior, id est, cum amantibus amantior,» disse S. Ignazio martire».

36 BARTOLI, Vita (Opere, XX, Torino, 1825), lib. 1, cap. 11; - Vita, in latinum conversa a I. Iuvencio, Romae, 1855, lib. 1, cap. 11. - SACCHINI, Historia Soc. Iesu, pars 3, lib. 6, num. 74. - Il Padre, che prese il santo giovane per compagno, era il P. Emmanuele Sa (de Sa); e l'immagine visitata, quella di S. Maria Maggiore, da lui salutata ogni mattina, subito levatosi, dalla Casa di Noviziato di S. Andrea del Quirinale. - Della Salve Regina non si fa special menzione.

37 Il B. Ermanno, detto poi anche Giuseppe, dell'Ordine dei Premonstratesi, visse e morì (tra il 1230 e il 1241) nel monastero di Steinfeld, nella diocesi di Colonia. La Vita fu scritta da un contemporaneo. - Una notte, nel coro della chiesa, gli apparve la Madonna con due angeli; e, non ostante la resistenza della sua umiltà, e l'ammirazione per un fatto così insolito, uno degli Angeli «manum eius dexteram apprehendit et manui sacratissimae Virginis copulavit, et sub his verbis desponsationem pervecit: «Ecce, inquit, hanc Virginem tibi trado, sicut fuit desponsata Ioseph; ut nomen sponsi pariter cum sponsa accipias; et de cetero Ioseph erit nomen tuum;» nome che alcuni confratelli aveano cominciato a dargli, per la sua esimia innocenza, con sommo suo dispiacere. - Qualche tempo dopo, come il Beato stesso narrò all'autore della Vita, gli venne confermato questo nome da Maria SS.. Apparsagli col divin Pargoletto sulle braccia, il Beato, colla solita semplicità e fiducia, le disse: «Carissima, da mihi Filium tuum,» ed ella dopo qualche indugio, glielo porse, dicendo: «Porta Filium meum, sicut ab sponso meo Ioseph portatus est in Aegyptum; ut sicut idem onus, ita etiam similem honorem eiusdem nominis habeas.» Vita, tractatus 1, cap. 4, n. 22, 23: inter Acta SS. Bollandiana, die 7 apriliis.

38 «Fu Filippo talmente divoto (della gloriosa Vergine), che l'avea del continuo in bocca, chiamandola il suo amore, dicendo ch'era la sua consolazione, e predicandola per dispensiera di tutte le grazie... A guisa d'un bambino, solea nominarla con quelle parole che usano i fanciulli di Mamma mia.» BACCI, Vita, lib. 2, cap. 2, n. 1. - Acta SS. Bollandiana, die 26 mensis maii, Vita altera, auctore BARNABEO, cap. 13, n. 160.

39 Inter Opera S. Bonaventurae, ed. Rom., Mogunt., Lugdunen. VII, 227 (in fine): Stimulus amoris, pars 3, cap. 16. - Vedi Appendice, 2.

40 «O Domina, quae rapis corda... nonne cor meum, Domina, rapuisti?... O rapitrix cordium, quando mihi restitues cor meum?... Cum illud postulo, mihi arrides: et statim tua dulcedine consopitus quiesco.» Inter Opera S. Bernardi, Meditatio in Salve Regina, n. 2. ML 184-1077. - Vedi Appendice, 3, A.

41 Alla cugina Tobia, piissima vedova, la quale gli faceva da madre, diceva talvolta: «Philocaptus sum: morerer ea die qua meam amasiam facie ad faciem aspicere non valerem.» O pure: «Volo ire ad visitandum amasiam, quae pulcherrima est, nobilissima super omnes puellas nostrae civitatis.» Ora parlava così di Maria SS., la cui immagine, dipinta al di sopra di una porta della città, egli visitava ogni giorno, mattina e sera, essendo solito dire alla stessa Tobia: «Dormire nequirem in nocte cuius die praecedenti effigiem non vidissem amasiae meae dulcissimae.» La pia cugina, o piuttosto madre, temendo, suo malgrado, di qualche amore per lo meno pericoloso, lo sorvegliò, lo fece sorvegliare, e per maggior sicurezza, lo fece anche confessare al suo Bernardino, promettendogli di fargli sposare la sua diletta, qualora fosse un partito conveniente: «Philocaptus sum, rispose egli, de beata Virgine Dei Genitrice Maria... Statui in mente mea, eius amore, suam imaginem quotidie visitare: et talis est amasia mea.» S. IOANNES A CAPISTRANO, Vita S. Bernardini Senensis. Opera S. Bernardini, I, pag. XXXV-XXXVI.

42 «Aveva già Luigi nove anni compiti, quando fu lasciato dal padre in Firenze, e vi stette più di due anni... Nel bel principio che giunse in Firenze, fece Luigi gran progresso nella vita spirituale, e perciò soleva celebrare Firenze come madre della sua divozione; ed in particolare prese tanto affetto alla Beatissima Vergine nostra Signora, che quando di lei ragionava o pensava ai suoi santissimi misteri, pareva si struggesse tutto per tenerezza spirituale.» (E fu allora che, per desiderio di far qualche cosa grata alla Madonna, fece, nella chiesa dell'Annunziata, il voto di perpetua verginità.) CEPARI, Vita, parte 1, cap. 3.

43 «Cum in conventu civitatis Truxilli moraretur, ecclesiam oraturus adibat, et aliquando patri Hieronymo... a Turre sibi occurrenti dixit: «Vado ad musicos modulandos accentus coram pulcherrima Virgine, quae me exspectat.» Ille autem... in angulo latitare solitus, saepe ipsum coram altari et sacra Virginis Mariae imagine positum vidit, ac lyrae suae chordulas pulsantem, tanta suavitate repletum et gaudio, ut in saltus miros et commotiones prorumperet, ac tandem genibus flexis quietum, et in oratione perseverantem observaverit.» TIBURTINUS NAVARRUS, Vita, cap. 10, n. 119-122: inter Acta SS. Bollandiana, die 24 iulii, num. 120.

44 Giovanni de Trexo, non Girolamo. - NIEREMBERG, S. I., Dell'affezione ed amore a Maria, cap. 10. Opere, II, Venezia, 1715, p. 353. - La chiesa era un romitorio appartato, consacrato a Maria Santissima.

45 NIEREMBERG, op. cit., p. 354. - Sappiamo dal Patrignani, Menologio, 2 aprile, che il P. Diego Martinez fu un grande missionario del Perù: morì a Lima, nel 1626, in età di 84 anni.

46 S. BIRGITTAE Revelationes, lib. 7, cap. 13.

47 S. Alfonso Rodriguez, S. I., BONAVENIA, S. I., Vita, 1888, lib. 2, cap. 15, p. 167. AURIEMMA, Affetti scambievoli, parte 1, cap. ultimo (27), § 4. Vedi sopra, Introduzione, nota 20 pag. 20.

48 Francesco Binans, dell'Ord. dei Minimi. AURIEMMA, Affetti scambievoli, parte 1, cap. 15. Bologna, 1681, p. 218.

49 Ven. HILDEBERTUS, Cenomanensis episcopus, Vita S. Radegundis reginae, cap. 4, n. 27, ML 171-977; e più distintamente ancora, il celebre poeta, più tardi vescovo di Poitiers, Venantius Honorius Clementianus FORTUNATUS, il quale conobbe assai bene la santa regina, più volte ne esaltò le virtù nei suoi versi, forse per compiacerla nella sua divozione alla Santa Croce scrisse gli inni Pange, lingua, gloriosi Vexilla Regis prodeunt, e finalmente ne compose la Vita. Ivi, n. 26, ML 88-598 e ML 72-660, si legge: «Inde vice sub altera, iussit fieri laminam in signo Christi aurichalcam, quam accensam in cellula locis duobus corporis altius sibi impressit, tota carne decocta.» Quel che aveva fatto scolpire nel metallo, veniva impresso profondamente, «altius», nella carne. Nel testo d'Ildeberto, apparisce soltanto la penitenza; in quello di Fortunato, più consapevole dei pensieri della Santa, si manifesta anche la divozione. In signo Christi: o il monogramma di Cristo, o la croce, a cui era tanto divota, forse, come altri crede, con qualche istrumento della Passione. - Del nome di Maria non si fa cenno, né si sa da che abbiano preso argomento il Marracci (Heroides Marianae, cap. 15, § 1: Migne, Summa Aurea 11-803) ed altri di asserire che la santa regina si sia scolpito nel petto i SS. nomi di Gesù e di Maria. - Che peraltro fosse divotissima di Maria, non si può dubitare. La chiesa del suo monastero, la quale venne dedicata alla Santa Croce dopo che Radegonda ebbe ottenuta dall'imperatore Giustino una insigne reliquia della Vera Croce, chiamavasi prima «di Santa Maria» (Guérin, Les Petits Bollandistes, 13 août, IX, 501). I suoi sentimenti Mariani si possono in qualche modo conoscere in quelli di Fortunato, a cui si attribuiscono gli inni Quem terra, pontus, sidera, O Gloriosa Domina, Ave, maris stella, oltre una lunga poesia sulla Madonna (ML 88-265, 266; 276 et seq.). Il suo poema de virginitate (ML 88-226 et seq.), dedicato a quella stessa Agnese che Radegonda si era scelta come Badessa, ed ove loda Radegonda, comincia così: «In nomine Domini nostri Iesu Christi, et dominae meae Mariae, matris eius. De virginitate.»

50 Gio. Battista Archinto, Milanese, entrò ventenne nella Compagnia di Gesù; morì nel 1574, dopo quattro anni di vita religiosa. S'impresse sul petto, «con una lamina intagliata di ferro infocato», i santissimi nomi di Gesù e di Maria, essendo ancora secolare. Cf. PATRIGNANI, Menologio, 7 settembre; AURIEMMA, Affetti scambievoli, parte 1, cap. 15, pag. 223. - Del P. Agostino de Espinosa (+ 1648), che «ebbe tre altri fratelli nella Compagnia, uno dei quali fu martire», scrive il PATRIGNANI (Menologio, 4 febbraio), n. 3: «Si stampò con ferro infocato sul petto il nome di Gesù, con altri segni nel corpo della sua servitù a Gesù e a Maria.»

51 «Scio, Domina, quia benignissima es, et amas nos amore invincibili.» Inter Opera S. Petri Damiani, NICOLAUS monachus, notarius S. Bernardi, Sermo II, in Nativitate B. V. Mariae, ML 144-740.

52 «Adeo Virgini addictus (erat), ut olim vixdum per aetatem rationis compos sic illam compelleret: «Ah! si me tantum, quantum ego te, Virgo, diligeres, quam felix viverem!» Cui illa: «Falleris, Alphonse; plus te amo quam ipse me ames.» Annis vero maturum... incredibile est quibus indiciis peculiaris benevolentiae affecerit. Alias enim: «Alphonse, inquit, de meo erga te amore non est quod ambigas, cum abs te tantopere diligar, et sit amoris praemium redamari.» Alias: «Quantum te diligo, Alphonse, fili mi! quantum te diligo!» Nonnumquam: «Proh! quali caritatis ardore, Alphonse; fili, te requiro!» IANINUS, Vita, lib. 2, cap. 12, n. 92, pag. 635: Acta SS. Bollandiana, die 30 octobris.

53 «Beati quorum corda te diligunt, Virgo Maria (Ps. 31, v. 1) - Beati qui devote ei famulantur (Ps. 118, v. 4).» Psalterium B. V. M. (d'ignoto autore), inter Opera S. Bonaventurae, ed. Rom., Mogunt., Lugdunen., VI, pag. 481, 488.

54 «Numquam in hoc eximio certamine a nobis ipsa vincetur; eternim et amorem redhibet, et praeterita beneficia novis semper adauget.» PACIUCHELLI, O. P., Excitationes dormitantis animae, in Ps. 86, excitatio 2, n. 1. Editio 4, Venetiis, 1720, pag. 7.

55 «Vestro continuo amore langueat cor meum, liquefiant omnia ossa mea... Date itaque, piissimi, date obsecro supplicanti animae meae, non propter meritum meum, sed propter meritum vestrum, date illi quanto digni estis, amorem vestrum... Amator et miserator hominum, tu posuisti (potuisti) reos tuos et usque ad mortem amare et poteris te roganti amorem tui et Matris tuae negare?» S. ANSELMUS, Orationes, Oratio 52 (al. 51). ML 158-958, 959.

56 Questo fatto, riferito dall'AURIEMMA, Affetti scambievoli, parte 2, cap. 8 (Bologna, 1681, pag. 153), vien preso dal Magnum Speculum exemplorum, dist. 9, exemplum 118, ove comincia così: «Legitur in libro Exemplorum B. Virginis...» Si legge pure nell'opera di D. Ingazio Brentano Cimarolo, O. S. B., Miranda Mariana, tractatus 3, fasciculus 1, exemplum 43: apud Migne, Summa aurea, tom. 12, pag. 974. - Non si tratta, come si è creduto, di quel che succedette alla morte di S. Germana Cousin, la quale avvenne nel 1601. Infatti di questa santa poco o nulla si fece caso fino all'anno 1644, in cui piacque a Dio di rendere la sua tomba gloriosa. Non poté dunque conoscerla l'autore del Magnum Speculum, morto verso il 1480, e meno ancora, l'autore del Liber exemplorum B. Virginis. Né giova dire che questo racconto sia stato aggiunto da qualche continuatore: la copia che abbiamo è del 1618, tempo in cui la pastorella di Pibrac era morta sì, ma affatto sconosciuta. - Vi è qualche particolare comune ai due racconti: ma forse non può il Signore compiere due volte la stessa maraviglia? Ne abbiamo un commovente esempio nella vita di S. Germana: quel grazioso miracolo delle limosine cambiate in rose, fatto a favore della Lantgravia di Turingia, Santa Elisabetta, il Signore lo rinnova a favore della contadinella, cambiando, nella rigida stagione, in freschissimi fiori sconosciuti a Pibrac, i tozzi di pane tolti dal suo parco mangiare per i poveri. E Dio volle che i due contadini, accorsi in suo aiuto per difenderla dalla collera della matrigna, vivessero abbastanza per render testimonianza giurata del fatto, nei primi atti del processo per la beatificazione. - S. Germana fu assistita soprannaturalmente nella sua agonia, ma in che modo precisamente, non lo sappiamo, essendo stata ella trovata morta la mattina, nel sottoscala dove prima era stata costretta dalla matrigna, e dove poi essa stessa aveva domandato al padre di dormire. - Quel che è comune ai due racconti, è l'intervento di due religiosi. In quello che concerne S. Germana, dice il BOERO, S. I. Vita, Roma, 1854, pag. 22: «Un'altra visione è deposta nei seguenti termini nei processi: «La stessa notte della morte della Venerabile Germana Cousin, due religiosi si ripararono tra le rovine del vecchio castello degli antichi signori di Pibrac, che è situato sulla strada che conduceva all'abitazione dei genitori della Venerabile Serva di Dio. Nel cuor della notte, videro passare due verginelle vestite di bianco, che si avviavano verso la detta abitazione, e dopo alcuni istanti le videro ritornare conducendosi in mezzo un'altra vergine egualmente vestita di bianco e avente in capo una corona di fiori. Fatta appena l'alba del dì seguente, entrarono nel villaggio, dimandarono se fosse morto qualcheduno, e fu loro risposto di no, ignorandosi ancora che il Signore aveva chiamato a sé la Venerabile Germana Cousin... Da altri ancora fu veduta la B. Germana girsene al cielo, accompagnata da un coro di dodici vergini, che le facean corona.» Immediatamente prima (p. 22) aveva scritto il Boero: «Un sacerdote di Guascogna, che recavasi a Tolosa, in passando quella notte vicino al villaggio di Pibrac, fu rapito in ispirito, e vide una luminosa processione di santi, che discendeva dall'alto verso Pibrac, e indi a poco risaliva in cielo conducendo seco un'anima beata di più... All'indomani, tornando da Tolosa a Pibrac, dimandò ai paesani chi fosse morto nella notte precedente in quella parrocchia, da cui ebbe in risposta, che la pastorella Germana Cousin.» Cf. Louis VEUILLOT, Vie, 1854, pag. 129; Mgr. Paul GUERIN, Les Petits Bollandistes, 15 juin.

57 «O Domina, quae corda rapis dulcedine!» Stimulus amoris, pars 3, cap. 19. Inter Opera S. Bonaventurae, ed. Rom., Mogunt., Lugd., VII, 232. - Vedi Appendice, 2, e 3, A.



58 «Io trovo fra i suoi scritti questo ricordo: «Numquam quiescam, donec obtineam amorem tenerum erga dulcissimam meam Matrem Mariam.» CEPARI, Vita, Roma, 1717, pag. 181.

59 ARISTOTILE non ha questa sentenza nei termini riferiti, ma l'esprime così: «In communitate quadam omnis amicitia cernitur (Ethicorum Nicomach. VIII, n. 7);» e più distintamente per partes, cioè: a) Amor similes invenit: «Deus similem semper ad similem adducit (Ethicorum ad Eudemum VII, dopo l'inizio). Aequalis aequalem delectat» (ibid., n. 2). b) Amor similes facit: «Communia amicorum omnia (ibid). Aequales inter se esse socii cupiunt (Magnorum Moralium II, n. 11, verso la fine).»

AMDG et DVM

sabato 7 agosto 2021

Messaggio Ultimo Unico e Definitivo per importanza in tutto il Mondo dato per tutti gli uomini a Duzulé.

 


PRIMA APPARIZIONE

"Farete conoscere questa Croce e la porterete"

Martedì 28 marzo 1972 ore 4.35 del mattino. Haute Butte.

Ecco il martedì della settimana santa 1972.
    Mio marito ripartiva per andare a lavorare alle 4.30 del mattino.
    Come la vigilia e le giornate precedenti, mi sono alzata, e sono scesa a chiudere la porta, dopo la sua partenza. Sono risalita in camera ed ho aperto la finestra.   
    Il cielo era coperto da grosse nubi che andavano veloci da Nord-Ovest a Sud-Est. C’era un forte vento. Non pioveva ed era abbastanza chiaro. Doveva esserci la luna. Guardavo il cielo, quelle grosse nubi che passavano veloci.
    Mi accingevo a recitare la preghiera alla Santa Trinità. Non avevo ancora iniziato la prima parola.
    Improvvisamente, scorgo in fondo all’orizzonte, un po’ a destra, un chiarore abbagliante che illumina tutto l’orizzonte come quando vi è un lampo durante un temporale. Ma questa luminosità rimaneva, mentre quella di un lampo non dura che un attimo.
    Ho avuto paura.
    Ho spinto la finestra e mi sono ricoricata. Mi sono coperta per non vedere più nulla.
    Otto o dieci minuti dopo, mi sono sollevata sul letto. Non vi era più il chiarore alla finestra. Era talmente abbagliante che l’avrei visto senza muovermi.
    Mi sono dunque alzata e sono ritornata alla finestra. Non vi era assolutamente niente.
    E qualche istante dopo, di nuovo, vedevo qualche cosa formarsi nel cielo, nel punto dove avevo appena visto quella luce.
    Tutto si formava contemporaneamente, così:
    La base, i bracci, la parte superiore si formavano insieme lentamente congiungendosi al centro della Croce.
    Quando questa Croce fu formata, era immensa, meravigliosa, più brillante del giorno, tutta semplice, tutta diritta, un po' più grande della Croce del calvario di Dozulé quando la vedo da vicino.
    Era impressionante ma meravigliosamente bella, dolce da guardare sebbene fosse di una luminosità abbagliante.
    Oh! com’era bello sulla piccola collina davanti alla mia casa, il martedì 28 marzo tra le ore 4.30 e 4.50 del mattino.
    Non vi era che la Croce. Il Cristo non c’era.
    E sulla piccola collina, l’insieme aveva la forma del calvario.
    Qualche secondo dopo, ho udito queste tre parole:
    "Ecce Crucem Domini." (Ecco la Croce del Signore)
    Queste tre parole risuonavano come in una chiesa. Riecheggiavano, erano sonore. Mi sembrava che fossero dette al mondo intero e che il nostro globo avrebbe tremato al suono di questa voce grave.
    Questa immensa Croce, questa voce nel mezzo della notte, erano impressionanti.
    Poi ho fatto il segno della Croce.
    La meravigliosa Croce era sempre presente davanti a me, immensa e bella. Oh! com’era bella, per la sua luminosità. Ho mai visto nulla di così bello e di così luminoso.
    Ho poi sentito qualcuno che parlava vicino a me. Questa voce era così dolce, nessun essere su questa terra mi ha mai parlato così lentamente, così dolcemente.
    Ho pensato che fosse Gesù.
    Ho udito:
   "Farete conoscere questa Croce e la porterete"
    Ancora qualche secondo, poi tutto è sparito in un attimo.
    Quando è apparsa, si è formata a poco a poco, ma è sparita in un attimo, poi non ho visto più nulla.
    E' il Giovedì Santo, durante la confessione, che l’ho detto al Signor Parroco.
    Egli ha un po' insistito per sapere; gli avevo chiesto, tre giorni prima, cosa volesse dire:
    "Ecce Crucem Domini."
   Se non avesse insistito per sapere, credo che non glielo avrei detto così presto. Ma doveva pur saperlo. Senza alcun dubbio, erano destinate a lui quelle tre parole e gli dovevo dire tutto. Non dubitavo della sua discrezione. Un sacerdote deve mantenere il segreto. E credo, pure, che tutti avrebbero dovuto saperlo.
    Il Signore non si è mostrato e fatto intendere per una sola persona.
    Sul momento, avevo detto a Don L’Horset (Parroco di Dozulé nel 1972) di non parlarne a nessuno. Ma un po' più tardi gli ho detto: "Vi lascio libero di parlarne a chi voi crederete necessario, ma che non sia rivelato il mio nome."
    Se non desidero che il mio nome venga rivelato, non crediate innanzi tutto che sia per vergogna, per scrupolo, per pudore, no. Ma tutto questo mi è stato donato da Gesù l'Onnipotente.  Io non possiedo nulla in me stessa, non ho alcuna capacità, alcun potere, il mio nome non è niente.  Non è a me che bisogna guardare in tutto questo. E' Dio, Gesù, lo Spirito Santo che è tutto, che può tutto. Io temo che mi si guardi per la strada come un fenomeno, un essere straordinario che si segna a dito e di cui si dica: "E' colei che ha visto la Croce di Gesù, che ha udito quelle parole..."
    Io non c’entro per nulla.
    Io sono una creatura molto semplice, perciò non voglio che questa cosa sia resa pubblica per il mio nome che non è niente.
   "Farete conoscere questa Croce."

Incrustatione della Croce et del Sanctuario sulla Haute Butte            croixper.GIF (18967 octets)    
      ... Senza dubbio, per mezzo delle mie parole, ricordare alla gente che incontro che Gesù ha sofferto per salvarci; che si ricordino:
    - Che la Sua Croce è un trionfo,
    - Che la Sua Croce è la nostra unica speranza,
    - Che la Sua Croce deve essere sempre presente in noi, nei nostri cuori,
    - Che la Sua Croce è sempre innalzata sull’universo.

    Oh! Croce adorata di Gesù che fu macchiata di sangue per salvare tutti gli uomini!
Credetemi, è con il cuore e con fede che parlerò di GESÙ e della SUA CROCE. E inoltre :
   "Voi la porterete."
   Talvolta è molto difficile portare la croce.
    Intendo dire accettare tutte le miserie, tutte le tristezze, tutte le preoccupazioni, tutte le difficoltà di ogni giorno, tutte le sofferenze. Sì, è molto difficile.
    Ma quando si ha la certezza che Gesù esiste, che Egli è vivente, che Egli è presente in ogni momento della nostra vita, che la Sua presenza si fa talmente sentire, questo deve addolcire tutte queste miserie, tutte queste tristezze, tutte queste preoccupazioni, tutte queste sofferenze.
    Gesù stesso non ha sofferto per tutti noi?
    E quali sofferenze ha subìto, moralmente e fisicamente. E’ stato picchiato, schernito, Gli hanno sputato in faccia, Gli hanno dato da bere aceto, e in questo stato pietoso, ha detto:
    "Padre, perdona loro, essi non sanno quello che fanno."
    Chi di noi avrebbe il coraggio, in un simile momento, di perdonare il suo carnefice?
    Bisognava che fosse Gesù ad accettare tali sofferenze per salvare l’Umanità.
    A questo pensiero, ci verrebbero le lacrime agli occhi.
    Eppure, quanta gente ignora Gesù, dimentica Gesù.
    Nessuno pensa alla Croce di Gesù, che domina il mondo, questa immensa Croce, meravigliosa, risplendente di luce che appare all’orizzonte.
    Simbolo della potenza, la Croce domina il nostro globo.
    Questo globo deve essere molto piccolo paragonato alla Potenza di Dio.
    Dovremmo tutti tremare davanti a un tale spettacolo.
    Tutto ciò che esiste su questa terra è nulla, paragonato a quello che ho visto e udito il 28 marzo alle 4.35 del mattino.

Il 28 maggio 1998 sulla Haute Butte              HBE98m1.GIF (348607 octets)

 AMDG et DVM

giovedì 5 agosto 2021

PREGHIERA DI GUARIGIONE: La croce di Dozulé — La cruz de Dozulé

PREGHIERA DI GUARIGIONE: La croce di Dozulé — La cruz de Dozulé: Apertura a Dozulè: 29 maggio 2011, visita del Vescovo a Dozulè e prudente apertura al fenomeno, solleci...

Maestro. Parlaci ancora di tua Madre.

 


 ...7 «Ma non sarebbe più bello continuare la lezione del Maestro anziché sembrare tanti capretti imbizziti?» chiede il pacifico Tommaso.

   «Ma sì, Maestro. Parlaci ancora di tua Madre. E' così luminosa la sua infanzia! Ci fa l'anima vergine per riflesso, ed io, povero peccatore, ne ho tanto bisogno!» esclama Matteo.
   «Che vi devo dire? Sono tanti episodi, uno più dolce dell'altro...Lei te li ha narrati?».
   «Qualcuno. Ma molti più Giuseppe, come il più bel racconto a Me fanciullo, e anche Alfeo di Sara che, essendo di pochi anni più vecchio di mia Madre, le fu amico nei brevi anni che Lei fu a Nazaret».
   «Oh! racconta...» prega Giovanni. Sono tutti in cerchio, seduti all'ombra degli ulivi, con Jabé al centro che guarda fisso Gesù come udisse una paradisiaca fiaba.
   «Vi dirò la lezione di castità che diede mia Madre, pochi giorni avanti l'entrata nel Tempio, al suo piccolo amico e a molti altri. Si era sposata quel giorno una fanciulla di Nazaret, parente di Sara, e anche Gioacchino ed Anna erano stati invitati alle nozze. Con essi la piccola Maria, che con altri bambini aveva l'incarico di gettare petali sfogliati sul cammino della sposa. Dicono che era bellissima, da piccina, e tutti se la contendevano dopo la festosa entrata della sposa. Era molto difficile vedere Maria perché Ella viveva moto in casa, amando una grotticella, che Lei chiama tutt'ora "dei suoi sponsali", più di ogni luogo. Quando perciò era vista, bionda, rosea e gentile, era accasciata dalle carezze. La chiamavano "il Fiore di Nazaret" oppure "la Perla di Galilea" o anche "la Pace di Dio" a ricordo di un arcobaleno enorme venuto improvviso al suo primo vagire. Ed era infatti tutto questo e più ancora. E' il Fiore del Cielo e del creato, è la Perla del Paradiso, è la Pace di Dio... Sì, la Pace. Io sono il Pacifico perché sono Figlio del Padre e figlio di Maria: la Pace infinita e la Pace soave.
   Quel giorno tutti la volevano baciare e prendere in grembo. E Lei, schiva di baci e di contatti, disse con gravità gentile: "Ve ne prego. Non mi sgualcite". Credettero parlasse della sua veste di lino, cinta di una fascia d'azzurro alla vita, ai piccoli polsi, al collo... oppure alla ghirlandetta di fiorellini azzurri di cui Anna l'aveva incoronata per trattenerle a posto i riccioli lievi, e l'assicurarono che non le avrebbero sgualcita né veste né ghirlanda. Ma Lei, sicura, piccola donna di tre anni ritta fra un cerchio di adulti, disse seria: 'Non penso a ciò che si ripara. Parlo dell'anima mia. E' di Dio. E non vuole essere toccata che da Dio'. Le obiettarono: "Ma noi baciamo te, non la tua anima". Ed Essa: "Il mio corpo è tempio dell'anima e vi è sacerdote lo Spirito. Il popolo non è ammesso nel recinto sacerdotale. Ve ne prego. Non entrate nel recinto di Dio".
   Alfeo, che aveva allora otto anni e che l'amava molto, fu colpito da questa risposta e il giorno dopo, trovandola presso la sua grotticella, intenta a cogliere fiori, le chiese: "Maria, quando sarai donna mi vorresti per sposo?". Ancora in lui durava l'effervescenza della festa nuziale a cui aveva assistito.
   Ed Ella: "Io ti amo molto. Ma non ti vedo come uomo. Ti dico un segreto. Io vedo solo l'anima dei viventi. Quella la amo molto, con tutto il cuore. Ma non vedo altro che Dio come 'vero Vivente' a cui potrò dare me stessa".
   Ecco un episodio».
   «"Vero vivente"!!! Ma sai che è parola profonda!» esclama Bartolomeo.
   E Gesù, umilmente con un sorriso: «Ella era la Madre della Sapienza».
   «Era?... Ma non aveva tre anni?»
   «Era. Io vivevo già in Lei, essendo Dio in Lei, dal suo concepimento, nella sua Unità e Trinità perfettissima».

MARIA BAMBINA


 

VOLUME I CAPITOLO 5



V. Nascita di Maria. La sua verginità nell'eterno pensiero del Padre

   26 agosto 1944.

   5.1Vedo Anna uscire nell’orto-giardino. Si appoggia al braccio di una parente certo, perché le somiglia. È molto grossa e pare affaticata forse anche dall’afa, proprio simile a questa che accascia me.
   Per quanto l’orto sia ombroso, pure l’aria vi è rovente, pesante. Un’aria da tagliarsi come una pasta molle e calda, tanto è densa, sotto uno spietato cielo di un azzurro che la polvere sospesa negli spazi fa lievemente fosco. Da molto deve esservi siccità, perché la terra, dove non è irrigata, è letteralmente ridotta a polvere finissima e quasi bianca. Di un bianco lievemente tendente ad un rosa sporco, mentre è marrone rosso scuro, per esser bagnata, al piede delle piante o lungo le brevi aiuole dove crescono filari di ortaggi, e intorno ai rosai, ai gelsomini, ad altri fiori e fioretti, che sono specie sul davanti e lungo una bella pergola che taglia per metà il brolo sino al principio dei campi, ormai spogli di biade. Anche l’erba del prato, che segna la fine della proprietà, è arsiccia e rada. Solo ai margini di esso, là dove è una siepe di biancospino selvatico, già tutto tempestato dei rubini dei piccoli frutti, l’erba è più verde e folta, e là, in cerca di pastura e d’ombra, sono delle pecorelle con un piccolo mandriano.
   Gioacchino è intorno ai filari e agli ulivi. Ha con lui due uomini che l’aiutano. Ma, per quanto anziano, è svelto e lavora con gusto. Stanno aprendo delle piccole chiudende ai limiti di un campo, per dare acqua alle piante assetate; e l’acqua si fa strada gorgogliando fra l’erba e la terra arsa, e si stende in anelli, che per un momento paiono di un cristallo giallastro e poi sono solo anelli scuri di terra umida, intorno ai tralci e agli ulivi stracarichi.
   Lentamente Anna, per la pergola ombrosa, sotto la quale api d’oro ronzano, ghiotte dello zucchero di acini biondi, va verso Gioacchino, che quando la vede le si affretta incontro.
   «Fin qui sei giunta?».
   «La casa è calda come un forno».
   «E tu ne soffri».
   «L’unica sofferenza di questa mia ultima ora di gravida. La sofferenza di tutti, uomini e bestie. Non ti accaldare troppo, Gioacchino».
   «L’acqua, sperata da tanto e che da tre giorni pareva proprio vicina, non è ancora venuta, e la campagna brucia. Buon per noi che vi è la sorgente vicina ed è così ricca d’acque. Ho aperto i canali. Poco sollievo per le piante, che hanno le foglie vizze e coperte di polvere. Ma quel tanto da tenerle in vita. Se piovesse!…». Gioacchino, con l’ansia di tutti gli agricoltori, scruta il cielo, mentre Anna, stanca, si sventola con un ventaglio che pare fatto con una foglia secca di palma, intrecciata con fili multicolori che la tengono rigida.
   La parente dice: «Là, oltre il grande Hermon, sorgono nubi veloci. Vento di settentrione. Rinfrescherà e forse darà acqua».
   «È tre giorni che si leva e poi cade col sorger della luna. Farà così ancora». Gioacchino è sconfortato.
   «Torniamo in casa. Anche qui non si respira, e poi penso che sia bene tornare…», dice Anna, che sembra ancor più olivastra per un pallore che le è venuto sul viso.


   5.2«Soffri?».
   «No. Ma sento quella gran pace che ho sentito nel Tempio quando mi fu fatta grazia, e che ho sentito ancora quando seppi d’esser madre. È come un’estasi. Un dolce sonno del corpo, mentre lo spirito giubila e si placa in una pace senza paragone umano. Ti ho amato, Gioacchino, e quando sono entrata nella tua casa e mi sono detta: “Sono sposa di un giusto”, ho avuto pace, e così tutte le volte che il tuo provvido amore aveva cure per la tua Anna. Ma questa pace è diversa. Vedi, io credo che è una pace come quella che dovette invadere, come olio che si spande e molce, lo spirito di Giacobbe, nostro padre, dopo il suo sogno[13] d’angeli; e, meglio ancora, simile alla pace gioiosa dei Tobia dopo che Raffaele si manifestò loro. Se mi vi sprofondo, nel gustarla essa sempre più cresce. È come io salissi per gli spazi azzurri del cielo… e, non so perché, da quando io ho in me questa gioia pacifica, io ho un cantico in cuore, quello del vecchio Tobia. Mi pare sia stato scritto per quest’ora… per questa gioia… per la terra d’Israele che la riceve… per Gerusalemme peccatrice e ora perdonata… ma… — ma non ridete dei deliri di una madre… — ma quando dico: “Ringrazia il Signore per i tuoi beni e benedici il Dio dei secoli, affinché riedifichi in te il suo Tabernacolo”, io penso che colui che riedificherà nella Gerusalemme il Tabernacolo del Dio vero sarà questo che sta per nascere…, e penso ancora che non più della Città santa, ma della mia creatura sia profetizzata la sorte quando il cantico dice: “Tu brillerai di luce splendida, tutti i popoli della Terra a te si prostreranno, le nazioni verranno a te portando doni, adoreranno in te il Signore e terranno come santa la tua terra, perché dentro di te invocheranno il Grande Nome. Tu sarai felice nei tuoi figli, perché tutti saranno benedetti e si riuniranno presso il Signore. Beati quelli che ti amano e gioiscono della tua pace!…”; e la prima a gioirne sono io, la sua madre beata…».
   Anna si trascolora e si accende come cosa portata da luce lunare a gran fuoco e viceversa, nel dire queste parole. Delle dolci lacrime le scorrono sulle gote, né se ne avvede, e sorride alla sua gioia. E intanto va verso casa fra lo sposo e la parente, che ascoltano e tacciono commossi.


   5.3Si affrettano perché le nubi, spinte da un vento alto, galoppano e crescono per il cielo, e la pianura si fa scura e abbrividisce per un avviso di temporale. Quando giungono alla soglia di casa, un primo lampo livido solca il cielo e il rumore del primo tuono pare il rullare di un’enorme grancassa che si mesca all’arpeggio delle prime gocce sulle foglie arse.
   Entrano tutti e Anna si ritira, mentre Gioacchino, raggiunto dai garzoni, parla, sulla porta, di questa tanto attesa acqua, che è benedizione per la terra sitibonda. Ma la gioia si muta in timore, perché viene un temporale violentissimo con fulmini e nubi cariche di grandine. «Se la nube rompe, l’uva e le ulive saranno frante come da mola. Miseri noi!».
   Un’altra ansia ha poi Gioacchino, per la sposa a cui è giunta l’ora di dare alla luce il figlio. La parente lo rassicura che Anna non soffre affatto. Ma egli è in orgasmo, e ogni volta che la parente o altre donne, fra cui la mamma di Alfeo, escono dalla stanza di Anna per poi tornarvi con acqua calda e bacili e lini asciugati alla fiamma, che splende ilare sul focolare centrale in un’ampia cucina, va e chiede, e non si placa per le loro rassicurazioni. Anche l’assenza di gridi da parte di Anna lo preoccupa. Dice: «Io sono uomo e non ho mai visto partorire. Ma mi ricordo d’aver sentito dire che l’assenza di doglie è fatale…».
   Viene la sera, anticipata dalla furia temporalesca che è violentissima. Acqua torrenziale, vento, fulmini, vi è di tutto, meno la grandine che è andata ad abbattersi altrove.
   Uno dei garzoni nota questa violenza e dice: «Sembra che Satana sia uscito coi suoi demoni dalla Geenna. Guarda che nubi nere! Senti che fiato di zolfo è nell’aria, e fischi e sibili e voci di lamento e maledizione. Se è lui, è furente questa sera!».
   L’altro garzone ride e dice: «Gli sarà sfuggita una grande preda, oppure Michele lo ha percosso con nuova folgore di Dio, e lui ne ha corna e coda mozze e arse».
Passa di corsa una donna e grida: «Gioacchino! Sta per nascere! E tutto fu svelto e felice!», e scompare con un’anforetta fra le mani.


   5.4Il temporale cade di colpo, dopo un ultimo fulmine così violento che sbatte contro le pareti i tre uomini; e sul davanti della casa, nel suolo dell’orto, resta a suo ricordo una buca nera e fumante. E mentre un vagito, che pare il lamento di una tortorina che per la prima volta non pigoli più ma tubi, viene da oltre la porta di Anna, un enorme arcobaleno stende la sua fascia a semicerchio su tutta l’ampiezza del cielo. Sorge, o per lo meno pare sorgere, dalla cima dell’Hermon che, baciata da una lama di sole, pare di alabastro di un bianco rosa delicatissimo; si alza fino al più terso cielo di settembre e, valicando per spazi detersi da ogni impurità, sorvola le colline di Galilea e la piana che appare, fra due alberi di fico, che è a sud, e poi ancora un altro monte; e sembra posare la sua punta estrema all’estremo orizzonte, là dove un’aspra catena di monti chiude ogni altra veduta.
   «Che cosa mai vista!».
   «Guardate, guardate!».
   «Pare che leghi in un cerchio tutta la terra di Israele, e già, ma guardate, già vi è una stella mentre ancor non è scomparso il sole. Che stella! Brilla come un enorme diamante!…».
   «E la luna, là, è tutta piena, mentre ancor mancano tre giorni al suo esserlo. Ma guardate come splende!».


   5.5Le donne sopraggiungono festanti con un batuffolino roseo fra candide tele.
È Maria, la Mamma! Una Maria piccolina che potrebbe dormire fra il cerchio di braccia di un fanciullo, una Maria lunga al massimo quanto un braccio, una testolina di avorio tinto di rosa tenue e dalle labbruzze di carminio, che non piangono già più ma fanno l’istintivo atto di succhiare, così piccine che non si sa come faranno a prendere un capezzolo, un nasetto minuto fra due gotine tonde e, quando stuzzicandola le fanno aprire gli occhietti, due pezzettini di cielo, due puntini innocenti e azzurri che guardano, e non vedono, fra ciglia sottili e di un biondo quasi roseo, tanto è biondo. Anche i capellucci sulla testolina tonda hanno la velatura roseo-bionda di certi mieli che sono quasi bianchi.
   Per orecchie, due conchigliette rosee e trasparenti, perfette. E per manine… cosa sono quelle due cosine che annaspano per l’aria e poi vanno alla bocca? Chiuse come ora, due bocci di rosa borraccina che abbiano fenduto il verde dei sepali e sporgano la loro seta di rosa tenue; aperte come ora, due gioiellini d’avorio appena rosato, di alabastro appena rosato, con cinque pallide granate per unghiette. Come faranno quelle manine ad asciugare tanto pianto?
   E i piedini? Dove sono? Per ora sono solo uno zampettio nascosto fra i lini. Ma ecco che la parente si siede e la scopre… Oh! i piedini! Lunghi un quattro centimetri, hanno per pianta una conchiglia corallata, per dorso una conchiglia di neve venata d’azzurro, per ditine dei capolavori di scultura lillipuziana, anche loro coronate di piccole scaglie di granata pallida. Ma come si troveranno sandaletti, quando quei piedini di bambola faranno i primi passi, tanto piccini da poter stare su quei piedini? E come faranno quei piedini a fare tanto aspro cammino e sorreggere tanto dolore sotto una croce?
   Ma ora questo non si sa, e si ride e sorride del suo annaspare e sgambettare, delle belle gambette tornite, delle cosce minute che fanno fossette e braccialetti tanto sono grassottelle, della pancina, una coppa capovolta, del piccolo torace perfetto sotto la cui seta candida si vede il moto del respiro e certo si ode, se, come fa il padre felice ora, vi si appoggia la bocca ad un bacio, battere un cuoricino… Un cuoricino che è il più bello che ha la terra nei secoli dei secoli, l’unico cuore immacolato di uomo.
   E la schiena? Ecco che la rivoltano, e si vede la falcatura delle reni e poi le spalle grassottelle e la nuca rosea così forte che, ecco, la testolina si alza sull’arco delle vertebre minute, e pare il capino di un uccello che scruti intorno il mondo nuovo che vede, e ha un gridino di protesta per esser così mostrata, Lei, la Pura e Casta, agli occhi di tanti, Lei che uomo non vedrà mai più nuda, la Tutta Vergine, la Santa ed Immacolata. Coprite, coprite questo Boccio di giglio che non sarà mai aperto sulla terra e che darà, più bello ancor di Lei, il suo Fiore, pur restando boccio. Solo nei Cieli il Giglio del Trino Signore aprirà tutti i suoi petali. Perché lassù non vi è polvere di colpa che possa involontariamente profanare quel candore. Perché lassù vi è da accogliere, alla vista di tutto l’Empireo, il Trino Iddio che ora, fra pochi anni, celato in un cuore senza macchia, sarà in Lei: Padre, Figlio, Sposo.
   Eccola di nuovo fra i lini e fra le braccia del padre terreno, cui Ella somiglia. Non ora. Ora è un abbozzo d’uomo. Io dico che gli somiglia fatta donna. Della madre non ha nulla. Del padre il colore della pelle e degli occhi, e certo anche dei capelli che, se ora sono bianchi, in gioventù erano certo biondi come lo dicono le sopracciglia; del padre le fattezze, rese più perfette e gentili per esser Lei donna, e quella Donna; del padre il sorriso e lo sguardo e il modo di muoversi e la statura. Pensando a Gesù, come lo vedo, trovo che Anna ha dato la sua statura al Nipote e il colore più avorio carico della pelle. Mentre Maria non ha quell’imponenza di Anna, una palma alta e flessuosa, ma la gentilezza del padre.


   5.6Anche le donne parlano del temporale e del prodigio della luna, della stella, dell’immenso arcobaleno, mentre con Gioacchino entrano dalla madre felice e le rendono la creaturina.
   Anna sorride ad un suo pensiero: «È la Stella» dice. «Il suo segno è nel cielo. Maria, arco di pace! Maria, stella mia! Maria, pura luna! Maria, perla nostra!».
   «Maria la chiami?».
   «Sì. Maria, stella e perla e luce e pace…».
   «Ma vuol dire anche amarezza… Non temi portarle sventura?».
   «Dio è con Lei. È sua da prima che fosse. Egli la condurrà per le sue vie ed ogni amarezza si muterà in paradisiaco miele. Or sii della tua mamma… ancora per un poco, prima di esser tutta di Dio…».
   E la visione ha termine sul primo sonno di Anna madre e di Maria infante.


27 agosto 1944.

   5.7Dice Gesù:
   «Sorgi e ti affretta, piccola amica. Ho ardente desiderio di portarti con Me nell’azzurro paradisiaco della contemplazione della Verginità di Maria[14]. Ne uscirai con l’anima fresca come
fossi tu pure testé creata dal Padre, una piccola Eva che ancora non conosce carne. Ne uscirai con lo spirito pieno di luce, perché ti tufferai nella contemplazione del capolavoro di Dio. Ne uscirai con tutto il tuo essere saturo d’amore, perché avrai compreso come sappia amare Dio. Parlare del concepimento di Maria, la Senza Macchia, vuol dire tuffarsi nell’azzurro, nella luce, nell’amore.

   5.8Vieni e leggi[15] le glorie di Lei nel Libro dell’Avo: “Dio mi possedette all’inizio delle sue opere, fin dal principio, avanti la creazione. Ab aeterno fui stabilita, al principio, avanti che fosse fatta la Terra, non erano ancora gli abissi ed io ero già concepita. Non ancora le sorgenti dell’acque rigurgitavano ed i monti s’erano eretti nella loro grave mole, né le colline eran monili al sole, che io ero partorita. Dio non aveva ancora fatto la Terra, i fiumi e i cardini del mondo, ed io ero. Quando preparava i cieli io ero presente, quando con legge immutabile chiuse sotto la volta l’abisso, quando rese stabile in alto la volta celeste e vi sospese le fonti delle acque, quando fissava al mare i suoi confini e dava leggi alle acque, quando dava legge alle acque di non passare il loro termine, quando gettava i fondamenti della Terra, io ero con Lui a ordinare tutte le cose. Sempre nella gioia scherzavo dinanzi a Lui continuamente, scherzavo nell’universo…”. Le avete applicate alla Sapienza, ma parlan di Lei: la bella Madre, la santa Madre, la vergine Madre della Sapienza che Io sono che ti parlo.

   5.9Ho voluto che tu scrivessi il primo verso di questo inno in capo al libro che parla di Lei, perché fosse confessata e nota la consolazione e la gioia di Dio; la ragione della sua costante, perfetta, intima letizia di questo Dio uno e trino, che vi regge e ama e che dall’uomo ebbe tante ragioni di tristezza; la ragione per cui perpetuò la razza anche quando, alla prima prova[16], s’era meritata d’esser distrutta; la ragione del perdono che avete avuto.
   Aver Maria che lo amasse. Oh! ben meritava creare l’uomo, e lasciarlo vivere, e decretare di perdonarlo, per avere la Vergine bella, la Vergine santa, la Vergine immacolata, la Vergine innamorata, la Figlia diletta, la Madre purissima, la Sposa amorosa! Tanto e più ancora vi ha dato e vi avrebbe dato Iddio pur di possedere la Creatura delle sue delizie, il Sole del suo sole, il Fiore del suo giardino. E tanto vi continua a dare per Lei, a richiesta di Lei, per la gioia di Lei, perché la sua gioia si riversa nella gioia di Dio e l’aumenta a bagliori che empiono di sfavillii la luce, la gran luce del Paradiso, ed ogni sfavillio è una grazia all’universo, alla razza dell’uomo, ai beati stessi, che rispondono con un loro sfavillante grido di alleluia ad ogni generazione di miracolo divino, creato dal desiderio del Dio trino di vedere lo sfavillante riso di gioia della Vergine.

   5.10Dio volle mettere un re nell’universo che Egli aveva creato dal nulla. Un re che, per natura della materia, fosse il primo tra tutte le creature create con materia e dotate di materia. Un re che, per natura dello spirito, fosse poco men che divino, fuso alla Grazia come era nella sua innocente prima giornata. Ma la Mente suprema, a cui sono noti tutti gli avvenimenti più lontani nei secoli, la cui vista vede incessantemente tutto quanto era, è, e sarà; e che, mentre contempla il passato e osserva il presente, ecco che sprofonda lo sguardo nell’ultimo futuro e non ignora come sarà il morire dell’ultimo uomo, senza confusione né discontinuità, non ha mai ignorato che il re da Lui creato per esser semidivino al suo fianco in Cielo, erede del Padre, giunto adulto al suo Regno dopo aver vissuto nella casa della madre — la terra con cui fu fatto — durante la sua puerizia di pargolo dell’Eterno per la sua giornata sulla Terra, avrebbe commesso verso se stesso il delitto di uccidersi nella Grazia e il ladrocinio di derubarsi del Cielo.
   Perché allora lo ha creato? Certo molti se lo chiedono. Avreste preferito non essere? Non merita, anche per se stessa, pur così povera e ignuda, e fatta aspra dalla vostra cattiveria, di esser vissuta, questa giornata, per conoscere e ammirare l’infinito Bello che la mano di Dio ha seminato nell’universo?
   Per chi avrebbe fatto questi astri e pianeti che scorrono come saette e frecce, rigando l’arco del firmamento, o vanno, e paiono lenti, vanno maestosi nella loro corsa di bolidi, regalandovi luci e stagioni e dandovi, eterni, immutabili e pur mutabili sempre, una nuova pagina da leggere sull’azzurro, ogni sera, ogni mese, ogni anno, quasi volessero dirvi: “Dimenticate la carcere, lasciate le vostre stampe piene di cose oscure, putride, sporche, velenose, bugiarde, bestemmiatrici, corruttrici, e elevatevi, almeno con lo sguardo, nella illimitata libertà dei firmamenti, fatevi un’anima azzurra guardando tanto sereno, fatevi una riserva di luce da portare nella vostra carcere buia, leggete la parola che noi scriviamo cantando il nostro coro siderale, più armonioso di quello tratto da organo di cattedrale, la parola che noi scriviamo splendendo, la parola che noi scriviamo amando, poiché sempre abbiamo presente Colui che ci dette la gioia d’essere, e lo amiamo per averci dato questo essere, questo splendere, questo scorrere, questo esser liberi e belli in mezzo a questo azzurro soave oltre il quale vediamo un azzurro ancor più sublime, il Paradiso, e del quale compiamo la seconda parte del precetto d’amore amando voi, prossimo nostro universale, amandovi col darvi guida e luce, calore e bellezza. Leggete la parola che noi diciamo, ed è quella su cui regoliamo il nostro canto, il nostro splendere, il nostro ridere: Dio”?
   Per chi avrebbe fatto quel liquido azzurro, specchio al cielo, via alla terra, sorriso d’acque, voce di onde, parola anch’essa che con fruscii di seta smossa, con risatelle di fanciulle serene, con sospiri di vecchi che ricordano e piangono, con schiaffi di violento, e cozzi, e muggiti e boati, sempre parla e dice: “Dio”? Il mare è per voi, come lo sono il cielo e gli astri. E col mare i laghi e i fiumi, gli stagni e i ruscelli, e le sorgenti pure, che servono tutti a portarvi, a nutrirvi, a dissetarvi e mondarvi, e che vi servono, servendo il Creatore, senza uscire a sommergervi come meritate.
Per chi avrebbe fatto tutte le innumerabili famiglie degli animali, che sono fiori che volano cantando, che sono servi che corrono, che lavorano, che nutrono, che ricreano voi: i re?
   Per chi avrebbe fatto tutte le innumerabili famiglie delle piante, e dei fiori che paiono farfalle, che paiono gemme e immoti uccellini, dei frutti che paiono monili o scrigni di gemme, che son tappeto ai vostri piedi, riparo alle vostre teste, svago, utile, gioia alla mente, alle membra, alla vista e all’olfatto?
   Per chi avrebbe fatto i minerali fra le viscere del suolo e i sali disciolti in algide o bollenti sorgive, gli zolfi, gli iodi, i bromi, se non perché li godesse uno che non fosse Dio ma figlio di Dio? Uno: l’uomo.
   Alla gioia di Dio, al bisogno di Dio nulla occorreva. Egli si basta a Se stesso. Non ha che contemplarsi per bearsi, nutrirsi, vivere e riposarsi. Tutto il creato non ha aumentato di un atomo la sua infinità in gioia, bellezza, vita, potenza. Ma tutto l’ha fatto per la creatura che ha voluto mettere re nell’opera da Lui fatta: l’uomo.
   Per vedere tant’opera di Dio e per riconoscenza alla sua potenza che ve la dona, merita di vivere. E di esser viventi dovete esser grati. L’avreste dovuto anche se non foste stati redenti altro che alla fine dei secoli, perché, nonostante siate stati nei Primi, e lo siate tuttora singolarmente, prevaricatori, superbi, lussuriosi, omicidi, Dio vi concede ancora di godere del bello dell’universo, del buono dell’universo, e vi tratta come foste dei buoni, dei figli buoni a cui tutto è insegnato e concesso per rendere loro più dolce e sana la vita. Quanto sapete, lo sapete per lume di Dio. Quanto scoprite, lo scoprite per indicazione di Dio. Nel Bene. Le altre cognizioni e scoperte, che portano segno di male, vengono dal Male supremo: Satana.

   5.11La Mente suprema, che nulla ignora, prima che l’uomo fosse sapeva che l’uomo sarebbe stato di se stesso ladro e omicida. E poiché la Bontà eterna non ha limiti nel suo esser buona, prima che la Colpa fosse pensò il mezzo per annullare la Colpa. Il mezzo: Io. Lo strumento per fare del mezzo uno strumento operante: Maria. E la Vergine fu creata nel Pensiero sublime di Dio.

   5.12Tutte le cose sono state create per Me, Figlio diletto del Padre. Io-Re avrei dovuto avere sotto il mio piede di Re divino tappeti e gioielli quale nessuna reggia ne ebbe, e canti e voci, e servi e ministri intorno al mio essere quanti nessun sovrano ne ebbe, e fiori e gemme, tutto il sublime, il grandioso, il gentile, il minuto è possibile trarre dal Pensiero di un Dio.
   Ma Io dovevo esser Carne oltre che Spirito. Carne per salvare la carne. Carne per sublimare la carne, portandola in Cielo molti secoli avanti l’ora. Perché la carne abitata dallo spirito è il capolavoro di Dio, e per essa era stato fatto il Cielo. Per esser Carne avevo bisogno di una Madre. Per esser Dio avevo bisogno che il Padre fosse Dio.
   Ecco allora Dio crearsi la Sposa e dirle: “Vieni meco. Al mio fianco vedi quanto Io faccio per il Figlio nostro. Guarda e giubila, eterna Vergine, Fanciulla eterna, ed il tuo riso empia questo empireo e dia agli angeli la nota iniziale, al Paradiso insegni l’armonia celeste. Io ti guardo. E ti vedo quale sarai, o Donna immacolata che ora sei solo spirito: lo spirito in cui Io mi beo. Io ti guardo e dò l’azzurro del tuo sguardo al mare e al firmamento, il colore dei tuoi capelli al grano santo, il candore al giglio e il roseo alla rosa come è la tua epidermide di seta, copio le perle dai tuoi denti minuti, faccio le dolci fragole guardando la tua bocca, agli usignoli metto in gola le tue note e alle tortore il tuo pianto. E leggendo i tuoi futuri pensieri, udendo i palpiti del tuo cuore, Io ho il motivo di guida nel creare. Vieni, mia Gioia, abbiti i mondi per trastullo sinché mi sarai luce danzante nel Pensiero, i mondi per tuo riso, abbiti i serti di stelle e le collane d’astri, mettiti la luna sotto i piedi gentili, fàsciati nella sciarpa stellare di Galatea. Sono per te le stelle ed i pianeti. Vieni e godi vedendo i fiori, che saranno giuoco al tuo Bambino e guanciale al Figlio del tuo seno. Vieni e vedi creare le pecore e gli agnelli, le aquile e le colombe. Siimi presso mentre faccio le coppe dei mari e dei fiumi e alzo le montagne e le dipingo di neve e di selve, mentre semino le biade e gli alberi e le viti, e faccio l’ulivo per te, mia Pacifica, e la vite per te, mio Tralcio che porterai il Grappolo eucaristico. Scorri, vola, giubila, o mia Bella, e il mondo universo, che si crea d’ora in ora, impari ad amarmi da te, Amorosa, e si faccia più bello per il tuo riso, Madre del mio Figlio, Regina del mio Paradiso, Amore del tuo Dio”. E ancora, vedendo l’Errore e mirando la Senza Errore: “Vieni a Me, tu che cancelli l’amarezza della disubbidienza umana, della fornicazione umana con Satana, e dell’umana ingratitudine. Io prenderò con te la rivincita su Satana”.

   5.13Dio, Padre Creatore, aveva creato l’uomo e la donna con una legge d’amore tanto perfetta che voi non ne potete più nemmeno comprendere le perfezioni. E vi smarrite nel pensare a come sarebbe venuta la specie se l’uomo non l’avesse ottenuta con l’insegnamento di Satana.
Guardate le piante da frutto e da seme. Ottengono seme e frutto mediante fornicazione, mediante una fecondazione su cento coniugi? No. Dal fiore maschio esce il polline e, guidato da un complesso di leggi meteoriche e magnetiche, va all’ovario del fiore femmina. Questo si apre e lo riceve e produce. Non si sporca e lo rifiuta poi, come voi fate, per gustare il giorno dopo la stessa sensazione. Produce, e sino alla nuova stagione non si infiora, e quando s’infiora è per riprodurre.
Guardate gli animali. Tutti. Avete mai visto un animale maschio ed uno femmina andare l’un verso l’altro per sterile abbraccio e lascivo commercio? No. Da vicino o da lontano, volando, strisciando, balzando o correndo, essi vanno, quando è l’ora, al rito fecondativo, né vi si sottraggono fermandosi al godimento, ma vanno oltre, alle conseguenze serie e sante della prole, unico scopo che nell’uomo, semidio per l’origine di Grazia che Io ho resa intera, dovrebbe fare accettare l’animalità dell’atto, necessario da quando siete discesi di un grado verso l’animale.
   Voi non fate come le piante e gli animali. Voi avete avuto a maestro Satana, lo avete voluto a maestro e lo volete. E le opere che fate sono degne del maestro che avete voluto. Ma, se foste stati fedeli a Dio, avreste avuto la gioia dei figli, santamente, senza dolore, senza spossarvi in copule oscene, indegne, che ignorano anche le bestie, le bestie senz’anima ragionevole e spi­rituale.[17]
   All’uomo e alla donna, depravati da Satana, Dio volle opporre l’Uomo nato da Donna soprasublimata da Dio, al punto di generare senza aver conosciuto uomo: Fiore che genera Fiore senza bisogno di seme, ma per unico bacio del Sole sul calice inviolato del Giglio-Maria.

   5.14La rivincita di Dio!
   Fischia, o Satana, il tuo livore mentre Ella nasce. Questa Pargola ti ha vinto! Prima che tu fossi il Ribelle, il Tortuoso, il Corruttore, eri già il Vinto, e Lei è la tua Vincitrice. Mille eserciti schierati nulla possono contro la tua potenza, cadono le armi degli uomini contro le tue scaglie, o Perenne, e non vi è vento che valga a disperdere il lezzo del tuo fiato. Eppure questo calcagno d’infante, che è tanto roseo da parere l’interno di una camelia rosata, che è tanto liscio e morbido che la seta è aspra al paragone, che è tanto piccino che potrebbe entrare nel calice di un tulipano e farsi di quel raso vegetale una scarpina, ecco che ti preme senza paura, ecco che ti confina nel tuo antro. Eppure ecco che il suo vagito ti fa volgere in fuga, tu che non hai paura degli eserciti, e il suo alito purifica il mondo dal tuo fetore. Sei vinto. Il suo nome, il suo sguardo, la sua purezza sono lancia, folgore e pietrone che ti trafiggono, che ti abbattono, che ti imprigionano nella tua tana d’Inferno, o Maledetto, che hai tolto a Dio la gioia d’esser Padre di tutti gli uomini creati!
Inutilmente ormai li hai corrotti, questi che erano stati creati innocenti, portandoli a conoscere e a concepire attraverso a sinuosità di lussuria, privando Dio, nella creatura sua diletta, di essere l’elargitore dei figli secondo regole che, se fossero state rispettate, avrebbero mantenuto sulla Terra un equilibrio fra i sessi e le razze, atto ad evitare guerre fra popoli e sventure fra famiglie.
Ubbidendo, avrebbero pur conosciuto l’amore. Anzi, solo ubbidendo avrebbero conosciuto l’amore e l’avrebbero avuto. Un possesso pieno e tranquillo di questa emanazione di Dio, che dal soprannaturale scende all’inferiore, perché anche la carne ne giubili santamente, essa che è congiunta allo spirito e creata dallo Stesso che le creò lo spirito.
   Ora il vostro amore, o uomini, i vostri amori, che sono? O libidine vestita da amore. O paura insanabile di perdere l’amore del coniuge per libidine sua e di altri. Non siete mai più sicuri del possesso del cuore dello sposo o della sposa, da quando libidine è nel mondo. E tremate e piangete e divenite folli di gelosia, assassini talora per vendicare un tradimento, disperati talaltra, abulici in certi casi, dementi in altri.
   Ecco che hai fatto, Satana, ai figli di Dio. Questi, che hai corrotti, avrebbero conosciuto la gioia di aver figli senza avere il dolore, la gioia d’esser nati senza paura del morire. Ma ora sei vinto in una Donna e per la Donna. D’ora innanzi chi l’amerà tornerà ad esser di Dio, superando le tue tentazioni per poter guardare la sua immacolata purezza. D’ora innanzi, non potendo concepire senza dolore, le madri avranno Lei per conforto. D’ora innanzi l’avranno le spose a guida e i morenti a madre, per cui dolce sarà il morire su quel seno che è scudo contro te, Maledetto, e contro il giudizio di Dio.
   Maria, piccola voce, hai visto la nascita del Figlio della Vergine e la nascita al Cielo della Vergine. Hai visto perciò che ai senza colpa è sconosciuta la pena del dare alla vita e la pena del darsi alla morte. Ma se alla superinnocente Madre di Dio fu riserbata la perfezione dei celesti doni, a tutti, che nei Primi fossero rimasti innocenti e figli di Dio, sarebbe venuto il generare senza doglie, come era giusto per aver saputo congiungersi e concepire senza lussuria, e il morire senza affanno.
   La sublime rivincita di Dio sulla vendetta di Satana è stata il portare la perfezione della creatura diletta ad una superperfezione, che annullasse almeno in una ogni ricordo di umanità, suscettibile al veleno di Satana, per cui non da casto abbraccio d’uomo ma da divino amplesso, che fa trascolorare lo spirito nell’estasi del Fuoco, sarebbe venuto il Figlio.

   5.15La Verginità della Vergine!…
   Vieni. Medita questa verginità profonda, che dà nel contemplarla vertigini d’abisso! Cosa è la povera verginità forzata della donna che nessun uomo ha sposato? Meno che nulla. Cosa la verginità di quella che volle esser vergine per esser di Dio, ma sa esserlo solo nel corpo e non nello spirito, nel quale lascia entrare tanti estranei pensieri, e carezza e accetta carezze di umani pensieri? Comincia ad essere una larva di verginità. Ma ben poco ancora. Cosa è la verginità di una claustrata che vive solo di Dio? Molto. Ma sempre non è perfetta verginità rispetto a quella della Madre mia.
   Un coniugio vi è sempre stato, anche nel più santo. Quello di origine fra lo spirito e la Colpa. Quello che solo il Battesimo scioglie. Scioglie, ma, come di donna separata da morte dello sposo, non rende verginità totale quale era quella dei Primi avanti il Peccato. Una cicatrice resta e duole, facendo ricordare di sé, ed è sempre pronta a rifiorire in piaga, come certi morbi che periodicamente i loro virus acutizzano. Nella Vergine non vi è questo segno di disciolto coniugio con la Colpa. La sua anima appare bella e intatta come quando il Padre la pensò adunando in Lei tutte le grazie.
   È la Vergine. È l’Unica. È la Perfetta. È la Completa. Pensata tale. Generata tale. Rimasta tale. Incoronata tale. Eternamente tale. È la Vergine. È l’abisso della intangibilità, della purezza, della grazia, che si perde nell’Abisso da cui è scaturito: in Dio, Intangibilità, Purezza, Grazia perfettissime.
   Ecco la rivincita del Dio trino ed uno. Contro alle creature profanate Egli alza questa Stella di perfezione. Contro la curiosità malsana, questa Schiva, paga solo di amare Dio. Contro la scienza del male, questa sublime Ignorante. In Lei non è solo ignoranza dell’amore avvilito; non è solo ignoranza dell’amore che Dio aveva dato agli uomini sposi. Ma più ancora. In Lei è l’ignoranza dei fomiti, eredità del Peccato. In Lei vi è solo la sapienza gelida e incandescente dell’Amore divino. Fuoco che corazza di ghiaccio la carne, perché sia specchio trasparente all’altare dove un Dio si sposa con una Vergine, e non si avvilisce, perché la sua Perfezione abbraccia Quella che, come si conviene a sposa, è di solo un punto inferiore allo Sposo, a Lui soggetta perché Donna, ma senza macchia come Egli è».


AMDG et DVM