venerdì 5 luglio 2019

MAGNIFICAT (6)






Spiegazione della seconda parte del terzo versetto:

<<Ecce enim ex hoc beatam me dicent omnes generationes>>
Eccoci ora alla seconda parte del versetto precedente, contenuto in que­ste parole: «Ecce enim ex hoc beatam me dicent omnes generationes: D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata»

Non bisogna stupirsi se la Santissima Vergine dice una cosa che le conviene molto e che toma a sua gloria e a sua lode, perché è lo Spirito Santo, che parla per bocca sua e che pronuncia una delle più importanti, delle più celebri e delle più rilevanti profezie che abbia mai fatto e che mai farà, annunciando un’infinità di cose ammirabili che Dio compirà in tutta la Terra, in tutti i secoli, e in Cielo, per tutta l’Eternità, in favore della Madre del Redentore, per farla conoscere, amare, servire e onorare in tutto l’Universo.
   
Questa grande profezia, che afferma che tutte le generazioni devono ri­conoscere e proclamare la Madre del Salvatore beata, comprende tutto l’Universo, dai Cieli più alti fino agli abissi dell’inferno. 
Poiché,

1)    Oltre al fatto che la Santissima Trinità le ha inviato uno dei primi Principi del suo impero in qualità di ambasciatore, per annunciarle 

       che è la Piena di Grazia, 
che il Signore è con Lei per operare con Lei le più grandi meraviglie che furono e che saranno mai e 
che Ella è la benedetta tra tutte le donne e al di sopra di tutte le creature, 

la stessa Trinità l’ha esaltata al di so­pra di tutti gli angeli, nel giorno della sua Assunzione, e l’ha stabilita nel più alto trono della gloria.


2) L’Eterno Padre la onora come la più felice di tutte le donne, renden­dola per sempre Madre del Figlio, di cui Egli è Padre e donandole un potere che sorpassa tutte le potenze del Cielo e della Terra.

3) Il Figlio di Dio la proclama beata tramite le nazioni alle quali fa pre­dicare il suo Vangelo, che contiene tutte le grandezze che le ha donato, eleg­gendola ad essere sua Madre.

4)  Lo Spirito Santo la rende felicissima e gloriosissima, facendola sua degnissima Sposa e comunicandole la sua santità in un grado così alto che Ella è la Regina di tutti gli angeli e di tutti i santi.

5)  Tutte le gerarchie degli angeli la riconoscono beata poiché, contem­plandola nel giorno del suo trionfo e della sua gloriosa Assunzione, la trova­no sì ricolma di meraviglie da non poterne parlare se non con ammirazione e come tutti rapiti e trasportati. «Quae est ista? - dicono - quae est ista? : Chi è Costei? Chi è Costei?». E dopo le adorazioni che rendono a Dio continuamente in Cielo, la prima delle loro occupazioni è di far risuonare incessan­temente le lodi della loro suprema Imperatrice.

        6) Non abbiamo forse la Chiesa militante, che canta continuamente su tutta la Terra: «Beate le viscere della Vergine Maria, che hanno portato il Figlio dell’Eterno Padre, e beate le mammelle che l’hannc allattato»?

      7) Non abbiamo udito precedentemente questa piissima Vergine, dire un giorno a santa Brigida di non esservi alcuna pena in Purgatorio che non sia addolcita per suo mezzo? 
E non udiamo la voce della Santa Chiesa, chiedere a Dio la liberazione delle anime sofferenti in queste prigioni della Divina Giustizia, per intercessione delia Beata Maria sempre Vergine: Beata Maria semper Virgine intercedente? Dobbiamo essere persuasi che esse non seno solo sollevate, ma anche liberate grazie a Lei.

       8) Non è forse altrettanto vero che tutte le anime, che erano nel Limbo dall’inizio del mondo fino alla morte del Figlio di Dio, sono state liberate grazie all’intercessione di questa Vergine incomparabile, poiché Ella ha do­nato loro un Redentore per liberarle dalla loro prigionia?

       9) Discendiamo più in basso e fino al più profondo dell’infemo. Se è ve­ro ciò che dice il Dottore angelico, che i miserabili dannati sono puniti citra condignum, ossia che non soffrono tutti i tormenti che hanno meritato per i loro peccati, è certo che è per effetto della Divina Misericordia. 
Ora, è pur vero che non sia mai uscito né mai uscirà alcun effetto di grazia e di miseri­cordia dal seno adorabile della Divina Bontà, che non passi attraverso le mani della Madre della divina misericordia. E così, tutte le anime che sono nell’inferno la dovrebbero riconoscere e riverire come la benignissima e dolcissima Madre della Misericordia. Ma poiché essi non lo fanno, faccia­molo noi per loro e preghiamo tutti i cittadini del Cielo di farlo con noi.

        10) Che diremo dei miserabili demoni? 
Non è forse vero che nonostante tutta la rabbia di cui sono animati contro questa buonissima Vergine, a moti­vo delle anime che Ella libera spesso dalle loro grinfie, essi sono costretti tuttavia a proclamare la carità inconcepibile che Ella ha verso di loro, quan­do sono costretti ad abbandonare la loro preda in virtù della sua intercessio­ne e che all’invocazione del Santo Nome di Maria sono obbligati a lasciare i corpi che erano in loro possesso, fuggendo nelle loro prigioni infernali?

È così che tutte le generazioni del Cielo, degli angeli, dei santi, della Chiesa trionfante, della Chiesa militante, della Chiesa sofferente e anche dell’inferno, compiono questa profezia della gloriosa Vergine: «Beatam me dicent omnes generationes».

Potrei ancora dimostrare che questa stessa Vergine è riconosciuta e pro­clamata beata, non solo dai fedeli, ma altresì dagli infedeli, specialmente dalle Sibille delle giovani vergini del paganesimo attraverso le quali è pia­ciuto a Dio di annunciare agli uomini i principali misteri della vita del nostro Salvatore e della sua Santissima Madre.

Casella di testo: 1

Non solo, ma questa Madre ammirabile è stata anche riconosciuta e pre­dicata beata persino dai Maomettani, dagli eretici e da molti cattivi cristiani, che sono ricorsi alle sue bontà in molte occasioni e che ne provano spesso gli effetti.

Infine, non vi è alcun paese in tutto l’universo né alcuna nazione sotto il sole né grandi o piccoli né poveri o ricchi né religiosi né preti né uomini, che non siano obbligati ad ammettere e a proclamare che la Madre del Salvatore è la più felice, la più potente, la più munifica, la più benevola, la più ammi­rabile e la più amabile di tutte le creature, la quale sembra essere al mondo soltanto per pensare a far del bene a tutti coloro che l’amano e che l’invocano, e a renderli partecipi della beatitudine e della felicità che Ella possiede.

«O tre e quattro volte beata: esclama il santo Dottore Giovanni Gersone (GERSONE, super Magnificat,Traci. 4, notula 1)  : Beata, in primo luogo perché avete creduto, in secondo luogo Beata perché siete Piena di Grazia. Beata, in terzo luogo, perché siete benedetta tra tutte le donne e perché il Frutto del vostro grembo è benedetto. Beata, in quarto luogo, poiché l’Onnipotente vi ha fatto grandi cose. Beata, in quinto luogo, perché siete la Madre del Signore. Beata in sesto luogo, perché possedete la gioia della maternità con la gloria della verginità. Beata, in settimo luo­go, perché siete l’incomparabile, che non ha mai avuto e non avrà mai si­mile».


Ascoltiamo ora san Germano, Arcivescovo di Costantinopoli. «Chi non vi ammirerà - dice (Serm. 2 de Dormii. B. V.)-, chi non vi amerà o buonissima Vergine? 
Voi siete la nostra ferma speranza, la nostra protezione sicura, il nostre saldo rifugio, la nostra custode vigilantissima, la nostra salvaguardia perpetua, il nostro soc­corso potentissimo, la nostra forte difesa, la nostra torre inespugnabile, il te­soro della nostra gioia, il giardino delle nostre delizie, fortezza inespugnabi­le, baluardo inaccessibile, il porto di coloro che sono in pericolo di naufra­gio, la cauzione dei peccatori, l’asilo degli abbandonati, la riconciliazione dei criminali, la salvezza dei perduti, la benedizione dei maledetti e la procu­ratrice generarle e pubblica di ogni sorta di beni. 
Infine, chi potrebbe com­prendere gli effetti delle vostre misericordie? O Cielo! O Regina del Cielo! Siate benedetta in tutte le generazioni di generazioni. Non vi è, infatti, luogo nel mondo nel quale non siano celebrate le vostre lodi; e non vi è alcun po­polo né alcuna tribù dalla quale Dio non riceva qualche frutto e qualche ser­vizio per vostro mezzo».

Intendiamo ancora far parlare il santo cardinale Ugo  (Card. Ugo, in Cornelio a Lapide, Comment. in Lc 1). «Tutte le generazio­ni - egli dice -, proclamano la Madre di Dio beata: cioè tutte le nazioni degli Ebrei e dei pagani, degli uomini e delle donne, dei ricchi e dei poveri, degli angeli e degli uomini, perché tutti hanno ricevuto attraverso di Lei un saluta­re beneficio: gli uomini la loro riconciliazione con Dio, gli angeli la ripara­zione della perdita che il peccato di lucifero ha causato. Il Figlio di Dio, in­fatti, ha operato la salvezza del mondo dal centro della terra, cioè dal sacro grembo di Maria che, con ammirabile definizione, è chiamato il centro della terra, poiché può essere contemplato - come dice san Bernardo - da coloro che sono nel Cielo e da coloro che sono nell’inferno, da quelli che sono nel Purgatorio, e da coloro che restano nel mondo. I primi volgono ad Esso lo sguardo per essere tenuti al riparo; i secondi, per essere liberati; i terzi, per essere riconciliati.


Per questo tutte le nazioni Vi diranno beata, o Santissima Vergine, per­ché Voi avete generato la vita, la grazia e la gloria: la vita per i morti, la gra­zia per i peccatori, la gloria per i miserabili. 

Voi siete la gloria di Gerusa­lemme, la gioia d’Israele e l’onore del nostro popolo, perché vi siete com­portata generosamente. 
   
È la voce degli angeli che pronuncia la vostra gloria, dato che per Voi sono riparate le loro rovine. 
È la voce degli uomini che di­ce il vostro gaudio, perché per Voi la loro tristezza è stata cambiata in gioia. 
È la voce delle donne che diffonde il vostro onore, perché per Voi la loro in­famia è stata cancellata. 
È la voce dei morti che pronuncia la vostra grazia, in quanto è per Voi che sono liberati dalla loro schiavitù».


      O Vergine Santa, il mio cuore è ricolmo di gioia, nel vedere che tutte le generazioni passate, presenti e future vi hanno così proclamata, vi procla­mano e vi proclameranno eternamente beata; e supplico di tutto cuore la Santissima Trinità di far in modo che questa divina profezia si compia sem­pre di più in tutto l’universo. 

      Oh! Chi mi concederà che tutti i miei respiri, tutti i battiti del mio cuore e delle mie vene e tutti gli impieghi delle facoltà della mia anima e di tutti i miei sensi interiori ed esteriori, siano tante voci che cantino continuamente, con tutti gli angeli, con tutti i santi, con tutta la Chiesa e con tutte le creature: «Beate le viscere della Vergine Maria, che hanno portato il Figlio dell ’Eterno Padre; e beate le mammelle che l’hanno allattato». 

O Beata Maria, Madre di Dio, Vergine perpetua, tempio del Si­gnore, sacrario dello Spirito Santo, che sola senza un modello siete stata gradita al nostro Signore Gesù Cristo, pregate per il popolo, intervenite in favore del clero, intercedete in favore del devoto sesso femminile, e possano tutti coloro che vi onorano sentire il soccorso della vostra bontà incompara­bile.

O Maria, Rosa Mystica Mater Ecclesiae,

dacci Luce e Forza

Padre Pio -- Sergio Castellitto -- Documentazione storica

giovedì 4 luglio 2019

Il grande ideale della nostra generazione


PERCHE’ SONO ANCORA NELLA CHIESA 



Perchè rimango nella Chiesa

In queste considerazioni è già data la risposta di principio alla domanda che ci siamo posti: sono nella Chiesa perché credo che, ora come prima e a prescindere da noi, dietro la “nostra Chiesa” vive la “ Sua Chiesa”, e che io non posso stare vicino a Lui se non rimanendo vicino e dentro la Sua Chiesa. Sono nella Chiesa perché, nonostante tutto, credo che nel profondo essa non sia nostra, bensì proprio “Sua”.
In termini molto concreti: malgrado tutte le sue debolezze umane, è la Chiesa che ci dà Gesù Cristo e solo grazie a essa noi possiamo riceverlo come una realtà viva, potente, che mi sfida e mi arricchisce qui e ora. Henri De Lubac ha espresso così questa circostanza: “Coloro che accettano ancora Gesù pur rifiutando la Chiesa, non sanno che in ultima analisi è da questa che essi ricevono Cristo? […] Gesù è per noi una persona viva; eppure senza la continuità visibile della sua Chiesa, sotto quale cumulo di sabbia non sarebbero stati sepolti non soltanto il suo nome e il suo ricordo, ma anche la sua influenza vitale, l’efficacia del vangelo e della fede nella sua divina persona? […] “Senza la Chiesa Cristo dovrebbe darsi alla fuga , disgregarsi, scomparire. E che cosa sarebbe l’umanità se si togliesse Cristo?”. Questa ammissione elementare deve essere posta all’inizio: per quanto ci sia o ci sia stata infedeltà nella Chiesa, per quanto sia vero che essa ha costantemente bisogno di misurarsi su Gesù Cristo, non vi è alcuna contrapposizione definitiva tra Cristo e la Chiesa. 
E’ attraverso la Chiesa che egli rimane vivo, superando la distanza della storia, ci parla oggi, ci è oggi vicino come nostro maestro e Signore , come nostro fratello che ci rende fratelli. Soltanto la Chiesa, dandoci Gesù Cristo, rendendolo vivo e presente nel mondo, facendolo rinascere continuamente nella fede e nelle preghiere degli uomini, dà all’umanità una luce, un sostegno e un criterio, senza i quali il mondo non sarebbe più concepibile. 
Chi vuole la presenza di Gesù Cristo nell’umanità, non la può trovare contro la Chiesa, ma solo in essa.
In questo modo è chiarito anche il punto successivo. Io sono nella Chiesa per gli stessi motivi per i quali sono cristiano; poiché non si può credere da soli. Si può avere fede solo in comunione con gli altri. La fede è, per sua natura, una forza che unisce. Il suo archetipo è l’evento della Pentecoste, il miracolo di comprensione che accadde tra uomini che per provenienza e storia erano estranei gli uni agli altri. La fede o è ecclesiale o non esiste. Bisogna inoltre aggiungere che, così come non è possibile credere da soli, ma soltanto in comunione con gli altri, nello stesso modo non è possibile credere per propria iniziativa o invenzione, ma solo se vengo reso capace di credere, il che non è in mio potere, non viene dalla mia forza, ma mi precede.
Una fede che fosse un’invenzione personale sarebbe una contraddizione in termini, poiché potrebbe garantirmi e dirmi solo ciò che io già sono oppure so, ma non potrebbe superare i limiti del mio io. Perciò anche una Chiesa, una comunità che si creasse da sola, che si fondasse solo sulla propria grazia, sarebbe una contraddizione in termini. La fede esige una comunità che abbia autorità e che sia superiore a me, non una mia creazione, che sia lo strumento dei miei stessi desideri.

Tutto ciò si può formulare anche da un punto di vista più storico: o questo Gesù fu più che un uomo, con un potere assoluto superiore a un prodotto del proprio arbitrio, e quindi fu capace di tramandarsi attraverso i secoli; oppure egli non ebbe tale potere non potè neppure lasciarlo in eredità. In quest’ultimo caso sarei abbandonato alle mie personali ricostruzioni e quindi egli non sarebbe niente di più che una qualsiasi altra grande figura di fondatore, di cui si rinnova la presenza col pensiero. Ma se egli è qualcosa di più, allora non dipende dalle mie ricostruzioni e anche oggi vale il potere che egli ha lasciato in eredità.


Ma torniamo al punto precedente: si può essere cristiani solo nella Chiesa, non accanto a essa
E non temiamo di porci ancora una volta in piena obiettività una domanda alquanto patetica: che cosa sarebbe il mondo senza Cristo? Senza un Dio che parli e che conosca gli uomini, e che quindi possa essere conosciuto dall’uomo? Sappiamo molto bene qual è la risposta oggi, se il tentativo di creare un mondo simile viene praticato con tanta accanita ostinazione: un esperimento assurdo, senza criterio. Per quanto il cristianesimo possa aver fallito concretamente nella sua storia (e lo ha fatto sempre in modo sconcertante), i criteri della giustizia e dell’amore sono tuttavia arrivati a noi, persino contro la loro volontà, dal messaggio custodito in esso, contro la Chiesa stessa, eppure mai senza la forza silenziosa di ciò che in essa è depositato.


In altre parole: rimango nella Chiesa perché considero la fede, realizzabile solo in essa e comunque mai contro di essa, una necessità per l’uomo, anzi per il mondo, che vive di essa anche se non la condivide. Infatti dove non c’è più Dio - e un Dio che tace non è Dio – non c’è più nemmeno la verità che precede il mondo e l’uomo


E in un mondo senza verità non si può vivere a lungo; là dove si rinuncia alla verità, si continua a vivere in silenzio solo perché essa non si è ancora veramente spenta, così come se si spegnesse il sole, la sua luce rimarrebbe ancora per qualche tempo e potrebbe ingannare sulla notte dei mondi, che in realtà sarebbe già cominciata.
Si può esprimere lo stesso concetto ancora da un altro punto di vista: rimango nella Chiesa perché solo la fede della Chiesa redime l’uomo. Può sembrare un’affermazione molto tradizionale e dogmatica, irreale, ma è intesa in modo del tutto obiettivo e realistico. Nel nostro mondo di costrizioni e frustrazioni il desiderio di redenzione è riemerso con una forza primordiale. Gli sforzi di Freud e di Jung non sono altro che tentativi di dare redenzione agli irredenti. Partendo da altre premesse, Marcuse, Adorno, Habermas continuano a loro modo a cercare e ad annunciare la redenzione. 
Sullo sfondo sta Marx e anche il suo è un problema di redenzione. Quanto più l’uomo diventa libero, illuminato, potente, tanto più lo tormenta il desiderio di redenzione, tanto più si ritrova non libero. Agli sforzi di Marx, di Freud e Marcuse è comune la ricerca della redenzione, l’aspirazione a un mondo senza sofferenza, malattia e povertà. 


Un mondo libero dalla tirannia, dalla sofferenza, dall’ingiustizia è diventato il grande ideale della nostra generazione; a questa promessa mirano le ribellioni violente dei giovani, mentre il risentimento dei vecchi imperversa perché essa non è ancora realizzata ed esistono ancora la tirannia, l’ingiustizia, la sofferenza. 


La lotta contro la sofferenza e l’ingiustizia nel mondo è in realtà un impulso assolutamente cristiano, ma l’idea che si possa creare un mondo senza dolore e il desiderio di ottenerlo subito con le riforme sociali, con l’abolizione del potere e dell’ordinamento giuridico sono un’eresia, una profonda incomprensione della natura dell’uomo. In questo mondo la sofferenza non deriva in verità solo dalla disparità di ricchezza e potere e la sofferenza non è l’unico fastidio di cui l’uomo dovrebbe liberarsi: chi lo pensa deve rifugiarsi nel mondo illusorio della droga, finendo solo per essere ancora più distrutto e in contrasto con la realtà. 


L’uomo ritrova se stesso, la propria verità, la propria gioia e felicità soltanto sopportando se stesso e liberandosi dalla tirannide del proprio egoismo. La crisi della nostra epoca dipende dal fatto che ci si vuole convincere che sia possibile diventare persona senza il dominio di se stessi, senza la pazienza della rinuncia e lo sforzo del superamento; che non è necessario il sacrificio di mantenere gli impegni presi né la fatica per soffrire con pazienza la tensione tra ciò che si dovrebbe essere e quello che si è in realtà. 

Un uomo che venga privato della fatica e condotto nel paese della cuccagna dei suoi sogni perde se stesso, smarrisce la sua vera natura. In realtà l’uomo non viene redento se non attraverso la croce, con l’accettazione della sofferenza di se stesso e del mondo, che insieme alla sofferenza di Dio è diventata il luogo del significato che libera. Solo così, in questa accettazione, l’uomo diventa libero. 


Tutte le altre offerte, più facili e comode, falliranno e si dimostreranno illusorie. La speranza del cristianesimo, l’occasione della fede dipende in ultima istanza molto semplicemente dal fatto che esso dice la verità. 


La chance della fede è la chance della verità, che può essere offuscata e calpestata, ma non può soccombere.
Veniamo all’ultimo punto. Un uomo vede sempre soltanto nella misura in cui egli ama. Certo esiste anche la chiaroveggenza della negazione e dell’odio. 


Ma questi possono vedere solo ciò che è loro conforme: gli aspetti negativi. Possono così preservare l’amore da una cecità nella quale esso finge di non vedere i propri limiti e pericoli, ma non sono in grado di costruire. Senza una certa quantità di amore non si trova nulla. Chi non si inoltra almeno per un po’ nell’esperimento della fede, chi non accetta di fare esperienza della Chiesa, chi non affronta il rischio di guardarla con gli occhi dell’amore, finisce soltanto per arrabbiarsi. 


Il rischio dell’amore è il presupposto per giungere alla fede. Chi lo ha osato, non ha bisogno di nascondersi nessuno dei lati oscuri della Chiesa, ma scopre che essa non si riduce di certo solo a questi, perché si accorge che accanto alla storia della Chiesa degli scandali, c’è anche quella della forza liberatrice della fede, che si è mantenuta feconda nei secoli in personaggi meravigliosi come Agostino, Francesco d’Assisi, il domenicano Las Casas con la sua appassionata battaglia per gli indios, Vincenzo De Paoli, Giovanni XXIII. 
Chi affronta questo rischio trova che la Chiesa ha proiettato nella storia un fascio di luce tale da non poter essere ignorato . Anche l’arte che è nata sotto l’impulso del suo messaggio, e che ancora oggi ci si mostra in opere impareggiabili, diventa una testimonianza di verità: ciò che è stato in grado di esprimersi a simili livelli non può essere soltanto tenebre. La bellezza delle grandi cattedrali, la bellezza della musica che si è sviluppata nell’ambito della fede, la dignità della liturgia della Chiesa, la stessa realtà della festa, che non si può fare da soli ma si può solo accogliere, il ciclo dell’anno liturgico, nel quale convivono l’ieri e l’oggi, il tempo e l’eternità – tutto questo non è a mio avviso una insignificante casualità. La bellezza è lo splendore del vero, ha detto Tommaso d’Aquino, e l’offesa del bello è l’autoironia della verità perduta – si potrebbe aggiungere. Le espressioni nelle quali la fede è stata in grado di tradursi nella storia sono testimonianza della verità che è in essa.


Non vorrei tralasciare un’ulteriore osservazione, anche se può sembrare che indulga molto nel soggettivo. Se si tengono aperti gli occhi, anche oggi è possibile di certo incontrare persone che sono testimonianza vivente della forza liberatrice della fede cristiana. 


E non è una vergogna essere e rimanere cristiani anche grazie a questi uomini che, dandoci esempio di un cristianesimo autentico, con le loro vite lo hanno reso ai nostri occhi degno di amore e di fede. In fin dei conti l’uomo si illude quando vuole fare di sé una sorta di soggetto trascendentale, che considera valido solo ciò che non è casuale. E’ certamente doveroso riflettere su tali esperienze, esaminare il loro grado di responsabilità, parificarle e dal loro un nuovo contenuto. 
Ma anche in questo necessario processo di oggettivazione non risulta forse come una prova rilevante a favore del cristianesimo il fatto che esso rende gli uomini più umani, legandoli a Dio? L’elemento più soggettivo non è qui anche un dato del tutto oggettivo, del quale non dobbiamo più vergognarci di fronte a nessuno?


Ancora un’osservazione in chiusura. Quando, come abbiamo fatto qui, si afferma che senza l’amore non si può vedere nulla e che quindi si deve amare anche la Chiesa, per poterla riconoscere, oggi molti diventano inquieti. 
L’amore non è forse il contrario della critica? E non è in fondo il pretesto dei potenti che vogliono eliminare la critica e vogliono mantenere lo status quo a loro favore? Si giova di più agli uomini tranquillizzandoli e abbellendo la realtà, oppure intervenendo in loro favore continuamente contro la perdurante ingiustizia e contro l’oppressione delle strutture? Si tratta di questioni molto ampie, che non possono essere indagate qui nello specifico. 


Ma una cosa dovrebbe essere ben chiara: il vero amore non è né statico né acritico. L’unica possibilità di cambiare in positivo un altro uomo è quella di amarlo e aiutarlo quindi a cambiare lentamente, da ciò che egli è a ciò che egli può essere.


Lo stesso vale per la Chiesa
Guardiamo alla storia più recente: nel rinnovamento liturgico e teologico della prima metà di questo secolo è maturato un vero movimento di riforma, che ha portato cambiamenti positivi. 
Ciò fu possibile soltanto perché vi furono uomini che amarono la Chiesa in modo vigile, con spirito “critico”, e furono pronti a soffrire per essa. 
Se oggi non riusciamo più in nulla, è solo perché tutti siamo troppo preoccupati di affermare solo noi stessi
Rimanere in una Chiesa che avesse bisogno di essere fatta da noi per diventare degna di essere abitata non ha senso; è una contraddizione in termini. Rimanere nella Chiesa perché essa è in sé degna di rimanere nel mondo, perché essa è in sé degna di essere amata e di un amore che la porti sempre a trasformarsi di nuovo in ciò che deve essere veramente – questo è il cammino che anche oggi viene indicato dalla responsabilità della fede. 

Da Joseph Ratzinger, Papa Benedetto XVI "Perchè siamo ancora nella Chiesa", Rizzoli


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Frate Bernardo e santo Francesco


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CAPITOLO TERZO.

Come per mala cogitazione che santo Francesco ebbe contro a frate Bernardo, comandò al detto frate Bernardo che tre volte gli andasse co' piedi in sulla gola e in sulla bocca. 

Il devotissimo servo del Crocifisso messer santo Francesco, per l'asprezza della penitenza e continuo piagnere, era diventato quasi cieco e poco vedea. Una volta tra l'altre si partì del luogo dov'egli era e andò ad un luogo dov'era frate Bernardo, per parlare con lui delle cose divine; e giungendo al luogo, trovò ch'egli era nella selva in orazione tutto elevato e congiunto con Dio. Allora santo Francesco andò nella selva e chiamollo: "Vieni - disse - e parla a questo cieco". E frate Bernardo non gli rispuose niente imperò che essendo uomo di grande contemplazione avea la mente sospesa e levata a Dio; e però ch'egli avea singolare grazia in parlare di Dio, siccome santo Francesco più volte avea provato e pertanto desiderava di parlare con lui. Fatto alcuno intervallo, sì lo chiamò la seconda e la terza volta in quello medesimo modo: e nessuna volta frate Bernardo l'udì, e però non gli rispuose, né andò a lui. Di che santo Francesco si partì un poco isconsolato e maravigliandosi e rammaricandosi in se medesimo, che Frate Bernardo, chiamato tre volte, non era andato a lui. Partendosi con questo pensiero, santo Francesco, quando fu un poco dilungato, disse al suo compagno: "Aspettami qui"; ed egli se ne andò ivi presso in uno luogo solitario, e gittossi in orazione pregando Iddio che gli rivelasse il perché frate Bernardo non gli rispuose. E stando così. gli venne una voce da Dio che disse così: "O povero omicciuolo, di che se' tu turbato? debbe l'uomo lasciare Iddio per la creatura? Frate Bernardo, quando tu lo chiamavi, era congiunto meco; e però non potea venire a te, né risponderti. Adunque non ti maravigliare, se non ti poté rispondere; però ch'egli era lì fuori di sé, che delle tue parole non udiva nulla". Avendo santo Francesco questa risposta da Dio, immantanente con grande fretta ritornò inverso frate Bernardo, per accusarglisi umilmente del pensiero ch'egli avea avuto inverso di lui. E veggendolo venire inverso di sé, frate Bernardo gli si fece incontro e gittoglisi a piedi; e allora santo Francesco li fece levare suso e narrogli con grande umiltà il pensiero e la turbazione ch'avea avuto inverso di lui, e come di ciò Iddio gli avea risposto. Onde conchiuse così: · lo ti comando per santa ubbidienza, che tu faccia ciò ch'io ti comanderò". Temendo frate Bernardo che santo Francesco non gli comandasse qualche cosa eccessiva, come solea fare, volle onestamente ischifare a quella obbidienza, ond'egli rispuose così: "Io sono apparecchiato di fare la vostra ubbidienza, se voi mi promettete di fare quello ch'io comanderò a voi". E promettendoglielo santo Francesco, frate Bernardo disse: "Or dite, padre quello che voi volete ch'io faccia". Allora disse santo Francesco: "Io ti comando per santa ubbidienza che, per punire la mia prosunzione e l'ardire del mio cuore, ora ch'io mi gitterò in terra supino, mi ponga l'uno piede in sulla gola e l'altro in sulla bocca, e così mi passi tre volte e dall'uno lato all'altro, dicendomi vergogna e vitupero, e specialmente mi di': "Giaci, villano figliuolo di Pietro Bernardoni, onde ti viene tanta superbia, che se' vilissima creatura?". Udendo questo frate Bernardo, e benché molto gli fusse duro a farlo, pure per la ubbidienza santa, quanto poté il più cortesemente, adempié quello che santo Francesco gli aveva comandato. E fatto cotesto, disse santo Francesco: "Ora comanda tu a me ciò che tu vuoi ch'io ti faccia, però ch'io t'ho promesso obbidienza". Disse frate Bernardo: "lo ti comando per santa obbidienza ch'ogni volta che noi siamo insieme, tu mi riprenda e corregga de' miei difetti aspramente". Di che santo Francesco forte si maravigliò, però che frate Bernardo era di tanta santità, ch'egli l'avea in grande reverenza e non lo riputava riprensibile di cosa veruna. E però d'allora innanzi santo Francesco si guardava di stare molto con lui, per la detta obbidienza, acciò che non gli venisse detto alcuna parola di correzione verso di lui, il qual egli conoscea di tanta santità; ma quando avea voglia di vederlo ovvero di udirlo parlare di Dio, il più tosto che poteva si spacciava da lui e partivasi. Ed era una grandissima divozione a vedere con quanta carità, riverenza e umiltà santo Francesco padre si usava e parlava con frate Bernardo figliuolo primogenito. A laude e gloria di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.


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