domenica 30 giugno 2019

MAGNIFICAT (4)







Spiegazione del secondo versetto:


<<Et exultavit spiritus meus in Deo salutari meo>>
Queste Divine Parole pronunciate dalla sacra bocca della Madre del Salvatore, ci mostrano la gioia ineffabile e incomprensibile di cui il suo Cuore, il suo spirito e la sua anima, con tutte le sue facoltà, sono stati ricol­mi e santamente inebriati nel momento dell’Incarnazione del Figlio di Dio in Lei e mentre l’ha portato nelle sue viscere benedette, ed anche durante tutto il resto della sua vita, secondo sant’Alberto Magno e qualche altro Dottore. 

Tale gioia è stata così grande, specialmente nel momento dell’Incamazione che, poiché la sua anima santa è stata separata dal suo corpo nell’ultimo istante della sua vita, per la veemenza del suo amore verso Dio e per l’abbondanza della gioia che aveva di vedersi sul punto di andare con il Fi­glio suo in Cielo, Elia sarebbe altresì morta di gioia alla vista delle bontà inenarrabili di Dio nei suoi riguardi e nei riguardi di tutto il genere umano, se non fosse stata conservata in vita per miracolo. 

Se la storia, infatti, ci fa cre­dere che la gioia ha fatto morire molte persone, in vista di qualche vantaggio temporale che era loro capitato, è a maggior ragione credibile che anche questa Divina Vergine ne sarebbe morta, se non fosse stata sostenuta dalla virtù del divin Bambino che Ella portava nelle sue viscere verginali, visto che Ella aveva i più grandi motivi di gioia che mai vi siano stati e che saran­no mai, ossia:

1) Ella si rallegrava in Dio, in Deo, ossia del fatto che questo Dio è in­finitamente potente, sapiente, buono, giusto e misericordioso e perché ha fatto splendere in maniera sì ammirabile la sua potenza, la sua bontà e tutti gli altri divini attributi nel mistero dell’Incarnazione e della Redenzione del mondo;

2) Ella si rallegrava in Dio suo Salvatore, perché è venuto in questo mondo, per salvarla e riscattarla primariamente e principalmente, preservan­dola dal peccato originale e ricolmandola delle sue grazie e dei suoi favori, con tanta pienezza, da renderla la Mediatrice e la Cooperatrice con Lui della salvezza di tutti gli uomini;

3) Il suo Cuore era ricolmo di gioia per il fatto che Dio l’ha guardata con gli occhi della sua benignità, ossia ha amato e approvato l’umiltà della sua serva, nella quale ha provato una gioia ed una contentezza singolarissi­me. «È qui - dice sant’Agostino - il motivo della gioia di Maria, perché Egli ha guardato l’umiltà della sua serva, come se Ella dicesse: “Mi rallegro della grazia che Dio mi ha fatto, perché è da Lui che ho ricevuto il motivo di questa gioia; ed io mi rallegro in Lui, perché amo questi doni per
suo amore”»;

4)    Ella si rallegrava delle grandi cose che l'Onnipotente Bontà ha opera­to in Lei, le quali sono le più grandi meraviglie che abbia mai fatto in tutti i secoli passati e che compirà in tutti i secoli futuri, come vedremo più avanti, nella spiegazione del quarto versetto;

5)     Ella si rallegrava non soltanto dei favori che ha ricevuto da Dio, ma anche delle grazie e delle misericordie che Egli ha riversato su tutti gli uo­mini disposti a riceverle;

6)    Ella si rallegrava non solamente della bontà di Dio nei riguardi di co­loro che non vi mettono affatto impedimento, ma anche degli effetti della sua giustizia sui superbi, che disprezzano le sue generosità.

* Oltre a ciò la Beata Vergine si rallegrava di una cosa particolarissima, degna della sua bontà incomparabile. È sant’Antonino a parlarne per primo ed io la riporto in questo contesto, affinché ci sproni ad amare e servire Co­lei che ha tanto amore per noi. 
Sant’Antonino, spiegando le parole: «Et exultavit spiritus meus», dice che bisogna intenderle come quelle che Gesù ha pronunciato sulla Croce: «Pater in manus tuas commendo spiritum meum: Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito», ossia vi raccomando tutti co­loro che sono uniti a me per la fede e la carità. Colui che aderisce a Dio non è che un solo spirito con Lui: «Qui autem adhceret Domino, unus spiritus» [Cor. 6,17]
Similmente la Madre del Salvatore - è sempre sant’Antonino che parla -, essendo tutta rapita e come estasiata e trasportata in Dio, allorquando pro­nuncia queste parole: «Exultavit spiritus meus», vede in spirito la moltitudi­ne quasi innumerevole di coloro che avranno una devozione ed un affetto particolare per Lei e che saranno del numero dei predestinati, da cui Ella ri­ceve una gioia inconcepibile.

Stando così le cose, chi non si volgerà ad amare questa Madre tutta buona e tutta amabile, che ha tanto amore per coloro che l’amano, che li guarda ed ama come suo spirito, sua anima e suo Cuore? Ascoltiamo ciò che il beato Lansperge dice a ciascuno di noi, per spronarci a ciò [11] : 

«Vi esorto, mio caro figlio, ad amare la nostra Santissima Signora e la nostra Divina Pa­drona. 
Se desiderate, infatti, preservarvi da un’infinità di pericoli e di tenta­zioni di cui questa vita è piena, se desiderate trovare consolazione e non es­sere oppresso dalia tristezza nelle vostre avversità, se desiderate essere unito inseparabilmente al nostro Salvatore, abbiate una venerazione ed un affetto singolare verso la purissima, amabilissima, dolcissima, fedelissima, grazio­sissima e potentissima Madre. 
Se voi l’amate davvero, infatti, e se v’impegnate ad imitarla con attenzione, sperimenterete che Ella sarà anche per voi una Madre piena di dolcezza e di tenerezza, che Ella è così piena di bontà e di misericordia che non disprezza nessuno e che non abbandona nessuno di coloro che la invoca, non avendo più gran desiderio che di elargire a tutti i peccatori i tesori delle grazie che il Figlio suo le ha posto tra le mani. 
Chiunque ama questa Vergine immacolata è casto; chiunque l’onora è devo­to; chiunque la imita è santo. Nessuno l’ama senza avvertire gli effetti del suo amore reciproco; neppure uno di coloro che hanno una qualche devozio­ne verso di Lei può perire; neppure uno di coloro che s’impegnano ad imi­tarla può mancare di acquistare la salvezza eterna. 
Quanti ha ricevuto nel se­no della sua misericordia, da miserabili peccatori che erano, nella dispera­zione e abbandonati ad ogni sorta di vizi, e che avevano già - se così si può dire -, un piede nell'inferno, e che Ella non ha tuttavia rigettato, quando fe­cero ricorso alla sua pietà, ma che Ella ha strappato dalla gola del dragone infernale, riconciliandoli con il Figlio suo e riportandoli sulla via del Paradi­so? 
È, infatti, una grazia, un privilegio e un potere che suo Figlio le ha dato, di poter condurre a penitenza coloro che l’amano, alla grazia quelli che le sono devoti, e alla gloria del Cielo coloro che si sfoizano di imitarla».

* Se desiderate sapere ora ciò che bisogna fare per amare e lodare il Figlio e la Madre, e per rendere grazie a Dio con Lei per tutte le gioie che le ha dato, ascoltate ciò che Ella stessa disse un giorno a santa Brigida12:

«Io sono  - Ella le disse -, la Regina del12 Cielo. Voi avete premura di sa­pere in che modo mi dovete lodare. Sappiate per certo che tutte le lodi che si rendono a mio Figlio sono le mie lodi e chiunque disonora Lui, disonora me, perché io l’ho amato sì teneramente ed Egli mi ha amato sì ardentemente che Lui ed io non eravamo che un solo Cuore. Egli, poi, ha tanto onorato me, che non ero che un miserabile vaso di terra, da esaltarmi al di sopra di tutti gli angeli. 
Ecco, dunque, come dovete lodarmi, benedicendo mio Figlio.

"Benedetto siate, Voi, o mio Dio, Creatore di tutte le cose, che vi siete degnato di discendere nelle sacre viscere della Vergine Maria! 
Benedetto siate, Voi, o mio Dio, che vi siete degnato di prendere carne immacolata e senza peccato dalla Vergine Maria e che siete rimasto in Lei per nove mesi, senza causarle alcun incomodo. 
Benedetto siate, Voi, o mio Dio, che siete venuto in Maria attraverso la vostra ammirabile Incarnazione, ed essendone uscito attraverso la vostra Nascita ineffabile, l’avete ricolmata interiormente ed esternamente di una gioia incomprensibile.                    Benedetto siate, Voi, o mio Dio, che, dopo la vostra Ascensione, avete ricolmato spesso questa divina Maria, vostra Madre, delle vostre celesti consolazioni e l’avete spesso visita­ta e Voi stesso consolata! 
Benedetto siate, Voi, o mio Dio, che avete traspor­tato in Cielo il corpo e l’anima di questa gloriosa Vergine, e l’avete posta al  di sopra di tutti gli angeli, in un trono davvero sublime, vicino alla vostra Divinità! Fatemi misericordia attraverso le sue preghiere e per amor suo"».

Ecco ancora una della gioie della Regina del Cielo, indicate in queste parole: «Exultavit spiritus meus», che sorpassa infinitamente tutte le altre. 
Molti Santi Padri ed importanti Dottori scrivono che questa Vergine Madre, essendo come estasiata e trasportata in Dio nel momento dell’Incarnazione del Figlio suo in Lei, fu ricolma delle gioie inconcepibili che i Beati possie­dono in Cielo e fu rapita fino al terzo Cielo, laddove ebbe la felicità di vede­re Dio faccia a faccia e chiarissimamente. 
La prova che questi Santi Padri portano si basa su una massima indubitabile tra di loro che, cioè, tutti i privi­legi di cui il Figlio di Dio ha onorato gli altri santi, li abbia comunicati anche alla sua Divina Madre. 
Ora, sant’Agostino, san Giovanni Crisostomo, sant’Ambrogio, sant’Anseimo, san Tommaso e molti altri non fanno affatto difficoltà nel dire che san Paolo, quando era ancora quaggiù vide l’essenza di Dio, quando fu rapito al terzo Cielo. 
Chi può dubitare, dopo ciò, che la Madre di Dio, che ha sempre vissuto in una perfettissima innocenza, che l’ha amato Ella sola più di tutti i santi insieme, non abbia gioito di questo stesso favore, non una volta sola, ma molte, specialmente nel momento feli­ce della concezione del Figlio suo? È l’opinione di san Bernardo, di sant’Alberto Magno, di sant’Antonino e di molti altri.

«O Beata Maria - esclama il santo Abate Ruperto -, un diluvio di gioia, una fornace d’amore ed un torrente di delizie celesti è venuto ad abbattersi su di Voi e vi ha tutta assorbita ed inebriata, facendovi provare ciò che mai occhio umano ha visto né orecchio ha inteso né cuore umano compreso»[13].


Impariamo da ciò che i figli del secolo si trovano in un pericoloso errore e si sbagliano di grosso immaginando che non vi siano affatto gioie e con­tentezze in questo mondo, ma che non vi siano che tristezza, amarezza ed afflizione per coloro che servono Dio. Oh! Quale sbaglio insopportabile! Oh! Quale menzogna detestabile, che non può procedere che da colui che è il padre di tutti gli errori e di tutte le falsità.

 Non abbiamo forse la voce della Verità eterna che grida: «Tribolazione e angoscia a coloro che fanno il ma­le; ma gloria, onore e pace a tutti coloro che fanno il bene»[14]; e che il cuore dell’uomo è simile a un mare che è sempre agitato, turbato e sconvolto; e che il timore di Dio cambia i cuori di coloro che l’amano in un Paradiso di gioia, di allegrezza, di pace, di contentezza e di delizie inspiegabili: «Timor Domini delectabìt cor, et dabit laetitiam et gaudium»[15]; e che i veri servi di Dio possiedono una felicità più solida, più vera e più grande, persino in mezzo alle grandi tribolazioni, di tutti i piaceri di coloro che seguono il partito di Satana? Non intendete, forse san Paolo che assicura di essere ricolmo di consolazione e che naviga nella gioia in mezzo a tutte le sue tribolazioni?[16]

Volete conoscere queste verità per esperienza? «Gustate ed videte quonìam suavis est Dominus: Gustate e vedete quanto è buono il Signore»[17], pieno di bontà, di amore e di dolcezza per i suoi veri amici. 
Ma se desiderate fare questa esperienza, è necessario rinunciare ai falsi piaceri e alle ingannevoli delizie di questo mondo, per lo meno ai piaceri illeciti che dispiacciono a Dio e che sono incompatibili con la salvezza eterna; poiché lo Spirito Santo affer­ma che non possiamo bere alla coppa del Signore e alla coppa dei demoni e che è impossibile mangiare alla tavola di Dio e alla tavola dei diavoli: «Non potestis calicem Domini bibere et calicem daemoniorum, non potestis mense Domini participes esse, et mense daemoniorum»18. 
Se, dunque, desiderate mangiare alla tavola dei Re del Cielo e bere alla sua coppa, rinunciate del tutto alla tavola dell’infemo e alla coppa dei diavoli, e allora sperimenterete quanto siano vere le Divine Parole: «Inebriabuntur ab ubertate domus tuae, et torren­te voluptatis tuae potabìs eos: gli uomini [...] si saziano [Signore] all’abbondanza della ma casa e li disseti al torrente delle tue delizie»19.



O Vergine Santa, imprimete nei nostri cuori una partecipazione al di­sprezzo, all’avversione e al distacco che il vostro Cuore verginale ha sempre portato verso i falsi piaceri della terra ed otteneteci dal Figlio vo­stro la grazia di porre tutta la nostra contentezza, la nostra gioia, le nostre delizie nell’amarlo e glorificarlo, e nel servirvi ed onorarvi con tutto il nostro cuore, con tutta la nostra anima e con tutte le nostre forze.





[7] Sup. Magnificat.
[8] Part. 4, tit. 15, cap. 2, § 29.
[9] Lc. 23,46.
[10]  Cor 6,17.
[11]   Lansperge, Epist. 23.
[12]Revel., lib. 1, cap. 9.
[13]   Ruperto,in Cant.,1.
[14]  «Tribulatio et angustia in omnem anìmam hominis operantis malum. [...] Gloria autem, et honor, et pax omni operanti bonum»(Rm 2,9-10).
[15]  Sir 1,12.
[16] «Repletus sum consolatione, superabundo gaudio in omni tribulatione nostra» (2 Cor 7,4).
[17] Sal 33,9.
(18) 1 Cor 10,20-21.
[19]Sal 35,9.


MARIA MATER GRATIAE MATER MISERICORDIAE
TU ME AB HOSTE PROTEGE
ET MORTIS HORA SUSCIPE

sabato 29 giugno 2019

Corpus Domini 2019 Processione - Vocogno






SOLENNITÀ DEI SANTI APOSTOLI PIETRO E PAOLO

OMELIA DI 
SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI
Basilica di San Pietro
Mercoledì, 29 giugno 2005

Cari fratelli e sorelle,
La festa dei santi Apostoli Pietro e Paolo è insieme una grata memoria dei grandi testimoni di Gesù Cristo e una solenne confessione in favore della Chiesa una, santa, cattolica e apostolica
È anzitutto una festa della cattolicità. Il segno della Pentecoste – la nuova comunità che parla in tutte le lingue e unisce tutti i popoli in un unico popolo, in una famiglia di Dio – è diventato realtà. La nostra assemblea liturgica, nella quale sono riuniti Vescovi provenienti da tutte le parti del mondo, persone di molteplici culture e nazioni, è un’immagine della famiglia della Chiesa distribuita su tutta la terra. Stranieri sono diventati amici; al di là di tutti i confini, ci riconosciamo fratelli. Con ciò è portata a compimento la missione di san Paolo, che sapeva di "essere liturgo di Gesù Cristo tra i pagani… oblazione gradita, santificata dallo Spirito Santo" (Rm 15,16). 

Lo scopo della missione è un’umanità divenuta essa stessa una glorificazione vivente di Dio, il culto vero che Dio s'aspetta: è questo il senso più profondo di cattolicità – una cattolicità che già ci è stata donata e verso la quale tuttavia dobbiamo sempre di nuovo incamminarci. Cattolicità non esprime solo una dimensione orizzontale, il raduno di molte persone nell’unità; esprime anche una dimensione verticale: solo rivolgendo lo sguardo a Dio, solo aprendoci a Lui noi possiamo diventare veramente una cosa sola. 
Come Paolo, così anche Pietro venne a Roma, nella città che era il luogo di convergenza di tutti i popoli e che proprio per questo poteva diventare prima di ogni altra espressione dell’universalità del Vangelo. 

Intraprendendo il viaggio da Gerusalemme a Roma, egli sicuramente si sapeva guidato dalle voci dei profeti, dalla fede e dalla preghiera d’Israele. Fa parte infatti anche dell’annuncio dell’Antica Alleanza la missione verso tutto il mondo: il popolo di Israele era destinato ad essere luce per le genti. 
Il grande salmo della Passione, il salmo 21, il cui primo versetto "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?" Gesù ha pronunciato sulla croce, terminava con la visione: "Torneranno al Signore tutti i confini della terra, si prostreranno davanti a Lui tutte le famiglie dei popoli" (Sal 21,28). 

Quando Pietro e Paolo vennero a Roma il Signore, che aveva iniziato quel salmo sulla croce, era risuscitato; questa vittoria di Dio doveva ora essere annunciata a tutti i popoli, compiendo così la promessa con la quale il salmo si concludeva.


Cattolicità significa universalità – molteplicità che diventa unità; unità che rimane tuttavia molteplicità. Dalla parola di Paolo sulla universalità della Chiesa abbiamo già visto che fa parte di questa unità la capacità dei popoli di superare se stessi, per guardare verso l’unico Dio. 

Il vero fondatore della teologia cattolica, sant'Ireneo di Lione, ha espresso questo legame tra cattolicità e unità in modo molto bello: "Questa dottrina e questa fede la Chiesa disseminata in tutto il mondo custodisce diligentemente formando quasi un'unica famiglia: la stessa fede con una sola anima e un solo cuore, la stessa predicazione, insegnamento, tradizione come avesse una sola bocca. Diverse sono le lingue secondo le regioni, ma unica e medesima è la forza della tradizione. 
Le Chiese di Germania non hanno una fede o tradizione diversa, come neppure quelle di Spagna, di Gallia, di Egitto, di Libia, dell'Oriente, del centro della terra; come il sole creatura di Dio è uno solo e identico in tutto il mondo, così la luce della vera predicazione splende dovunque e illumina tutti gli uomini che vogliono venire alla cognizione della verità" (Adv. haer. I 10,2). 
L'unità degli uomini nella loro molteplicità è diventata possibile perché Dio, questo unico Dio del cielo e della terra, si è mostrato a noi; perché la verità essenziale sulla nostra vita, sul nostro "di dove?" e "verso dove?", è diventata visibile quando Egli si è mostrato a noi e in Gesù Cristo ci ha fatto vedere il suo volto, se stesso. 
Questa verità sull’essenza del nostro essere, sul nostro vivere e sul nostro morire, verità che da Dio si è resa visibile, ci unisce e ci fa diventare fratelli. Cattolicità e unità vanno insieme. E l’unità ha un contenuto: la fede che gli Apostoli ci hanno trasmesso da parte di Cristo.

Sono contento che ieri – nella festa di sant'Ireneo e nella vigilia della solennità dei santi Pietro e Paolo – ho potuto consegnare alla Chiesa una nuova guida per la trasmissione della fede, che ci aiuta a meglio conoscere e poi anche a meglio vivere la fede che ci unisce: il Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica
Quello che nel grande Catechismo, mediante le testimonianze dei santi di tutti i secoli e con le riflessioni maturate nella teologia, è presentato in maniera dettagliata, è qui ricapitolato nei suoi contenuti essenziali, che sono poi da tradurre nel linguaggio quotidiano e da concretizzare sempre di nuovo. Il libro è strutturato come colloquio in domande e risposte; quattordici immagini associate ai vari campi della fede invitano alla contemplazione e alla meditazione. Riassumono per così dire in modo visibile ciò che la parola sviluppa nel dettaglio. 
All’inizio c’è un’icona di Cristo del VI secolo, che si trova sul monte Athos e rappresenta Cristo nella sua dignità di Signore della terra, ma insieme come araldo del Vangelo, che porta in mano. "Io sono colui che sono" – questo misterioso nome di Dio proposto nell’Antica Alleanza – è riportato lì come suo nome proprio: tutto ciò che esiste viene da Lui; Egli è la fonte originaria di ogni essere. 
E perché è unico, è anche sempre presente, è sempre vicino a noi e allo stesso tempo sempre ci precede: come "indicatore" sulla via della nostra vita, anzi essendo Egli stesso la via. Non si può leggere questo libro come si legge un romanzo. Bisogna meditarlo con calma nelle sue singole parti e permettere che il suo contenuto, mediante le immagini, penetri nell’anima. Spero che sia accolto in questo modo e possa diventare una buona guida nella trasmissione della fede.

Abbiamo detto che cattolicità della Chiesa e unità della Chiesa vanno insieme. Il fatto che entrambe le dimensioni si rendano visibili a noi nelle figure dei santi Apostoli, ci indica già la caratteristica successiva della Chiesa: essa è apostolica
Che cosa significa? Il Signore ha istituito dodici Apostoli, così come dodici erano i figli di Giacobbe, indicandoli con ciò come capostipiti del popolo di Dio che, diventato ormai universale, da allora in poi comprende tutti i popoli. 

San Marco ci dice che Gesù chiamò gli Apostoli perché "stessero con lui e anche per mandarli" (Mc 3,14). Sembra quasi una contraddizione. Noi diremmo: o stanno con lui o sono mandati e si mettono in cammino. 
C'è una parola sugli angeli del santo Papa Gregorio Magno che ci aiuta a sciogliere la contraddizione. Egli dice che gli angeli sono sempre mandati e allo stesso tempo sempre davanti a Dio: "Ovunque sono mandati, ovunque vanno, camminano sempre nel seno di Dio" (Omelia 34,13). 

L'Apocalisse ha qualificato i Vescovi come "angeli" della loro Chiesa, e possiamo quindi fare questa applicazione: gli Apostoli e i loro successori dovrebbero stare sempre con il loro Signore e proprio così – ovunque vadano – essere sempre in comunione con Lui e vivere di questa comunione.
    La Chiesa è apostolica, perché confessa la fede degli Apostoli e cerca di viverla. Vi è una unicità che caratterizza i Dodici chiamati dal Signore, ma esiste allo stesso tempo una continuità nella missione apostolica. 
    San Pietro nella sua prima lettera si è qualificato come "co-presbitero" con i presbiteri ai quali scrive (5,1). E con ciò ha espresso il principio della successione apostolica: lo stesso ministero che egli aveva ricevuto dal Signore ora continua nella Chiesa grazie all'ordinazione sacerdotale. La Parola di Dio non è soltanto scritta ma, grazie ai testimoni che il Signore nel sacramento ha inserito nel ministero apostolico, resta parola vivente. 
   Così ora mi rivolgo a Voi, cari confratelli Vescovi. vi saluto con affetto, insieme con i vostri familiari e con i pellegrini delle rispettive Diocesi. 
Voi state per ricevere il pallio dalle mani del Successore di Pietro. L'abbiamo fatto benedire, come da Pietro stesso, ponendolo accanto alla sua tomba. Ora esso è espressione della nostra comune responsabilità davanti all’"arci-pastore" Gesù Cristo, del quale parla Pietro (1 Pt 5,4). 
   Il pallio è espressione della nostra missione apostolica. È espressione della nostra comunione, che nel ministero petrino ha la sua garanzia visibile. Con l'unità, così come con l'apostolicità, è collegato il servizio petrino, che riunisce visibilmente la Chiesa di tutte le parti e di tutti i tempi, difendendo in tal modo ciascuno di noi dallo scivolare in false autonomie, che troppo facilmente si trasformano in interne particolarizzazioni della Chiesa e possono compromettere così la sua indipendenza interna. 
Con questo non vogliamo dimenticare che il senso di tutte le funzioni e ministeri è in fondo che "arriviamo tutti all'unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, allo stato di uomo perfetto, nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo", perché cresca il corpo di Cristo "in modo da edificare se stesso nella carità" (Ef 4,13.16).

In questa prospettiva saluto di cuore e con gratitudine la delegazione della Chiesa ortodossa di Costantinopoli, che è inviata dal Patriarca ecumenico Bartolomeo I, al quale rivolgo un cordiale pensiero. Guidata dal Metropolita Ioannis, è venuta a questa nostra festa e partecipa alla nostra celebrazione. Anche se ancora non concordiamo nella questione dell'interpretazione e della portata del ministero petrino, stiamo però insieme nella successione apostolica, siamo profondamente uniti gli uni con gli altri per il ministero vescovile e per il sacramento del sacerdozio e confessiamo insieme la fede degli Apostoli come ci è donata nella Scrittura e come è interpretata nei grandi Concili. In quest'ora del mondo piena di scetticismo e di dubbi, ma anche ricca di desiderio di Dio, riconosciamo nuovamente la nostra missione comune di testimoniare insieme Cristo Signore e, sulla base di quell'unità che già ci è donata, di aiutare il mondo perché creda. 
E supplichiamo il Signore con tutto il cuore perché ci guidi all'unità piena in modo che lo splendore della verità, che sola può creare l'unità, diventi di nuovo visibile nel mondo.

Il Vangelo di questo giorno ci parla della confessione di san Pietro da cui ha avuto inizio la Chiesa: "Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente" (Mt 16,16). Avendo parlato oggi della Chiesa unacattolica e apostolica, ma non ancora della Chiesa santa, vogliamo ricordare in questo momento un'altra confessione di Pietro pronunciata nel nome dei Dodici nell'ora del grande abbandono: "Noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio" (Gv 6,69). Che cosa significa? Gesù, nella grande preghiera sacerdotale, dice di santificarsi per i discepoli, alludendo al sacrificio della sua morte (Gv 17,19). Con questo Gesù esprime implicitamente la sua funzione di vero Sommo Sacerdote che realizza il mistero del "Giorno della Riconciliazione", non più soltanto nei riti sostitutivi, ma nella concretezza del proprio corpo e sangue. 

La parola "il Santo di Dio" nell'Antico Testamento indicava Aronne come Sommo Sacerdote che aveva il compito di compiere la santificazione d'Israele (Sal 105,16; vgl. Sir 45,6). La confessione di Pietro in favore di Cristo, che egli dichiara il Santo di Dio, sta nel contesto del discorso eucaristico, nel quale Gesù annuncia il grande Giorno della Riconciliazione mediante l'offerta di se stesso in sacrificio: "Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo" (Gv 6,51). Così, sullo sfondo di questa confessione, sta il mistero sacerdotale di Gesù, il suo sacrificio per tutti noi. La Chiesa non è santa da se stessa; consiste infatti di peccatori – lo sappiamo e lo vediamo tutti. Piuttosto, essa viene sempre di nuovo santificata dall’amore purificatore di Cristo.      Dio non solo ha parlato: ci ha amato molto realisticamente, amato fino alla morte del proprio Figlio. E’ proprio da qui che ci si mostra tutta la grandezza della rivelazione che ha come iscritto nel cuore di Dio stesso le ferite. Allora ciascuno di noi può dire personalmente con san Paolo: "Io vivo nella fede del Figlio di Dio che mi ha amato e ha dato se stesso per me" (Gal 2,20). 

Preghiamo il Signore perché la verità di questa parola si imprima profondamente, con la sua gioia e la sua responsabilità, nel nostro cuore; preghiamo perché irradiandosi dalla Celebrazione eucaristica, essa diventi sempre di più la forza che plasma la nostra vita.

AMDG et DVM

Simon Bar-Jona

Solennità dei santi Pietro e Paolo

Risultati immagini per santi Pietro e Paolo
Gloriosi apostoli di Cristo!
Uniti nella vita,
la morte non li ha separati.

Lettura del santo Vangelo secondo Matteo
Matt 16:13-19
In quell'occasione: Gesù, venuto nelle parti di Cesarea di Filippo, interrogò i suoi discepoli, dicendo: La gente chi dice che sia il Figlio dell'uomo? Eccetera.

Omelia di san Girolamo Prete
Libro 3 Commentari su Matteo, cap. 16
Giustamente egli domanda: «La gente chi dice che sia il Figlio dell'uomo?» Matth. 16,13 quelli che non vedono in lui che il figlio dell'uomo, sono infatti degli uomini; ma quelli che riconoscono la sua divinità, son detti dii, e non uomini. «Ed essi risposero: Alcuni dicono ch'è Giovanni Battista, altri Elia» Matth. 16,14 Mi meraviglio che certi interpreti cerchino le cause di questi errori, e vogliano stabilire con discussioni lunghissime, perché alcuni hanno pensato nostro Signore Gesù Cristo essere Giovanni, altri Elia, altri Geremia o qualcuno dei profeti; avendo essi potuto sbagliare prendendolo per Elia e Geremia allo stesso modo che sbagliò Erode prendendolo per Giovanni quando disse: «Questi è quel Giovanni, a cui io tagliai la testa: egli è risorto dai morti, e perciò in lui si operano dei miracoli» Matth, 6, 15.

«E voi chi dite ch'io sia?» Matth. 6,15 Lettore intelligente, bada che e da quel che segue e dal testo del discorso gli Apostoli non sono punto chiamati uomini, ma dii. Perché, dopo aver detto: «La gente chi dice che sia il Figlio dell'uomo?» soggiunge: «E voi chi dite ch'io sia?» Matth. 16,13 Mentre gli altri, perché sono uomini, pensano di me cose affatto umane, voi che siete dii, chi credete ch'io sia? Pietro a nome di tutti gli Apostoli fa questa professione di fede: «Tu sei Cristo, il Figlio del Dio vivente» Matth. 16,16. Dice, del Dio vivente, per distinguerlo dagli altri dèi, che passano per dèi, ma che sono morti.

E Gesù rispondendogli disse: «Beato te, Simone, Figlio di Giona» Matth. 16,17. Egli ripagò la testimonianza resagli dall'Apostolo. Pietro aveva detto: «Tu sei Cristo, il Figlio del Dio vivente»; la confessione della verità è ricompensata: «Beato te, Simone, figlio di Giona». Perché? «Perché non te l'ha rivelato né la natura né l'istinto, ma te l'ha rivelato il Padre» (Ibi). Ciò che non ha potuto rivelare né la natura né l'istinto, l'ha rivelato la grazia dello Spirito Santo. In seguito dunque alla professione di fede, egli riceve un nome in cui si trova espressa la rivelazione dello Spirito Santo, del quale merita anche d'essere detto figlio. Difatti Bar-Jona nella nostra lingua è lo stesso che Figlio della colomba.


Orazione
Signore, Dio nostro, che con la predicazione dei santi apostoli Pietro e Paolo hai dato alla Chiesa le primizie della fede cristiana, per loro intercessione vieni in nostro aiuto e guidaci nel cammino della salvezza eterna. Per il nostro Signore.

AMDG et DVM