giovedì 21 febbraio 2019

Pietro e Giuda. - Benedetto XVI spiega il passo del Vangelo «Volete andarv...

LA PASSIONE DEL SIGNORE VISTA DAI MISTICI

LA PASSIONE DEL SIGNORE VISTA DAI MISTICI
Teresa Neumann (1898-1962)

E' guarita miracolosamente da S. Teresa di Gesù Bambino. La stimmatizzata di
Konnersreuth vive solo di eucaristia, senza cibarsi e in anuria come Maria Alexandrina
da Costa e Marthe Robin.

Descrive e rivive, nel rapimento estatico, l'intera Passione del Signore, in modo cruento.
Il sangue della flagellazione, della coronazione di spine, della Via Crucis e della
crocifissione è visibile, come in S. Gemma Galgani, ed è stato visto ripetutamente da molti
testimoni.

Per la ripetizione delle sue visioni - 700 volte ognuna - e per la loro descrizione
dettagliata, è forse la testimone più privilegiata della Passione del Signore.

Ogni visione è da lei narrata nella sosta tra una visione e l'altra. Gesù viene flagellato
prima posteriormente, poi anteriormente.

Anche Teresa, come Caterina Emmerick, indica tre coppie di sgherri che flagellano Gesù
e il dolore del Salvatore nel non riuscire a ricoprirsi dopo la flagellazione, perché per
gioco gli sono gettati via gli indumenti.

La corona di spine è descritta come un casco, un copricapo dei patriarchi orientali.

Per quanto è stato possibile controllare, queste visioni corrispondevano così bene al
paesaggio di Gerusalemme, all'abbigliamento dell'epoca, agli oggetti dell'arredamento usati
allora, che anche il resoconto delle visioni ne acquista in verosimiglianza. A ciò si aggiunge
che le visioni non comparvero una volta sola, ma si ripeterono tutti gli anni e, quella della
Passione, addirittura ogni settimana sempre con lo stesso decorso. Questi elementi, pur
tenendo conto dei fattori d'incertezza riguardo alle visioni, nel nostro caso depongono perciò
a favore della fedeltà storica di molte visioni.

La visione più impressionante e anche più conosciuta in tutto il mondo, perché per alcuni
decenni i visitatori affluirono da ogni parte per assistervi, era la visione del venerdì, la
cosiddetta Passione del venerdì.

A differenza delle altre, che si ripetevano nel giro dell'anno liturgico ed erano stret
Il primo caso si verificò mentre stava nel castello di Zeil, il secondo mentre era ad Eichstätt.

Le visioni del venerdì si distinguevano dalle altre, per il fatto che Teresa soffriva anche nel
corpo. Con la contemplazione del Monte Oliveto il sangue cominciava a scorrere dagli
angoli degli occhi sulle guance, sanguinavano le stimmate, le ferite della flagellazione
impregnavano la camicia e la giacca da notte, quelle delle spine sulla fronte sanguinavano
da nove punti più o meno profondi intridendo il bianco fazzoletto da testa. Durante il
trasporto della Croce, nella settimana Santa, la spalla si gonfiava e formava una macchia
visibile sulla giacca.

Chi ha potuto assistere a quella visione ne ha riportato l'immagine di un martire perfetto e
impressionante, ma pur sempre nobile, commovente e composto. Si vedevano le mani
muoversi intorno alla fronte, come per allontanare le spine, le dita delle mani contrarsi nello
spasimo doloroso dei chiodi della crocifissione, la lingua che cercava di umettare le labbra
arse. Non tutti i venerdì la comparsa del sangue era uguale, ma aumentava nella settimana
Santa per raggiungere il colmo il venerdì Santo. Nei giorni di giovedì e venerdì Santo le
contemplazioni avevano un'estensione più ampia del solito. Mentre abitualmente
incominciavano poco prima della mezzanotte con la salita sul Monte Oliveto e finivano
all'una dopo mezzogiorno del venerdì con la morte di Gesù, il giovedì Santo
incominciavano con i preparativi dell'ultima Cena e finivano il venerdì con la deposizione
nel sepolcro. L'ora della morte, cioè l'una dopo mezzogiorno, corrisponde esattamente
all'ora della morte di Gesù, cioè le 3, per la differenza del fuso orario. All'epoca dei Romani
quella era chiamata "ora nona", perché le ore si contavano incominciando dalle 6 del
mattino.

Le ultime visioni della morte di Gesù avvenivano talvolta già prima della domenica delle
Palme, cioè il cosiddetto venerdì doloroso (che liturgicamente commemora i sette dolori di
Maria). La lavanda dei piedi e l'istituzione del SS. Sacramento si ripetevano non solo il
giovedì Santo sera, ma qualche volta anche la mattina del Corpus Domini.

Col passare degli anni le sofferenze del venerdì vennero talvolta a mancare, oltre che nei
periodi festivi, anche nell'Avvento, o quando Teresa era ammalata o esausta per le pene di
espiazione. Negli ultimi anni di vita, oltre che nella Quaresima, la visione della Passione si
verificava solo nel venerdì del S. Cuore di Gesù.

Un'unica volta i patimenti del venerdì si presentarono in modo diverso dal solito e fu il
venerdì Santo 1951. (In quel giorno io mi trovavo, come tanti altri venerdì, a Konnersreuth;
N.d.A.). Teresa vide allora la Passione come al solito, ma non vi partecipò con sofferenze
fisiche, per modo che né gli occhi, né le stimmate, né le altre parti del corpo sanguinarono.
Quel giorno migliaia di curiosi (e non curiosi) si presentarono, ma ebbero la delusione di
non poter vedere Teresa. La stampa s'impadronì dell'episodio sensazionale, annunciando
che lo stato di grazia di Teresa Neumann era evidentemente finito. 

30 Visione

Teresa esterrefatta volge il capo da destra a sinistra. Vede la flagellazione. Il Salvatore,
spogliato degli abiti, si guarda intorno molto rattristato.

Gli legano di nuovo i polsi e poi, con la faccia rivolta alla colonna, lo legano a questa con la
corda che gli stringe i polsi. Le braccia sono così tirate che tocca terra solo con la punta dei
piedi. Tre gruppi di sgherri ubriachi (di due uomini ciascuno), cominciano a flagellarlo a
tutta forza con sferze di diverse forme. Quando vedono che ogni parte del corpo
raggiungibile è gonfia e comincia a lacerarsi, lo voltano e riprendono a flagellarlo sul
davanti. Alla fine il Salvatore è tanto spossato che non può neanche chinarsi per raccogliere
le proprie vesti. Per beffa un ragazzotto gliele getta lontano con un calcio. Teresa è
furibonda contro quel ragazzo e si esprime vivacemente dicendo: "Se potessi acchiapparlo,
gliene darei una…!". Durante la flagellazione a Teresa si aprono ferite sul petto e sulla
schiena impregnando di sangue la giacca.

31 Visione

La coronazione di spine. Non è la corona di spine che viene rappresentata abitualmente, ma
una specie di copricapo chiuso, come quello dei patriarchi orientali; una sorta di cesta con
molte spine lunge e acute, che i servi calcano sulla testa del Salvatore con bastoni, per non
ferirsi le mani. Da quel momento sanguinano le ferite della fronte di Teresa, intridendo il
fazzoletto da testa su cui spiccano, come tutti i venerdì, nove grosse macchie di sangue.

32 Visione

Condanna di Gesù. "L'uomo calvo" (Pilato, che altre volte sarà chiamato "quello che non
vuol impicciarsi") si lava le mani. Gesù viene consegnato ai Giudei.

33 Visione

Teresa crede che si carichi sulla schiena del Salvatore legna da costruzione; sono invece i tre
pezzi della croce non ancora congiunti, ma legati con una corda. Il tronco più lungo non è
squadrato, i due pezzi più corti sì. (Anzi essi appaiono squadrati già da qualche tempo,
perché Teresa nota che portano il segno delle intemperie). Le spalle, già lacerate dalla
flagellazione, cominciano a sanguinare sotto quel peso. Sulla giacca di Teresa compare una
grossa macchia di sangue alla spalla destra. 

34 Visione

Gesù va verso il Calvario. Cade sotto il legno della croce e viene rialzato con violenza.
35 Visione
Lungo la strada Gesù vede sua Madre accompagnata da Giovanni e da alcune donne. Teresa
lo sente chiamare "Immi" (mia madre). Uno dei monelli che accompagnano i carnefici,
scorgendo la Madre di Gesù, toglie dalla cassetta degli arnesi due chiodi da crocifissione e
glieli mostra per scherno. Maria sviene ed è sorretta da Giovanni. 

http://www.passionisti.org/wp-content/uploads/downloads/2012/03/Teresa-Neumann.pdf
https://it.wikipedia.org/wiki/Teresa_Neumann#Biografia
AMDG et DVM

mercoledì 20 febbraio 2019

Il modernismo proponeva «un’apostasia universale dalla fede e dalla disciplina della Chiesa»

 
Il vero volto di san Pio X
31 Agosto 2014 adminAttualità
di Roberto de Mattei

Cento anni dopo la sua morte la figura di san Pio X si erge dolente e maestosa, nel firmamento della Chiesa. La tristezza che vela lo sguardo di Papa Sarto nelle ultime fotografie, non lascia solo intravedere le catastrofiche conseguenze della guerra mondiale, iniziata tre settimane prima della sua morte. Ciò che la sua anima sembra presagire è una tragedia di portata ancora maggiore delle guerre e delle rivoluzioni del Novecento: l’apostasia delle nazioni e degli stessi uomini di Chiesa, nel secolo che sarebbe seguito.

Il principale nemico che san Pio X dovette affrontare aveva un nome, con cui lo stesso Pontefice lo designò: modernismo. La lotta implacabile al modernismo caratterizzò indelebilmente il suo pontificato e costituisce un elemento di fondo della sua santità. «La lucidità e la fermezza con cui Pio X condusse la vittoriosa lotta contro gli errori del modernismo – affermò Pio XII nel discorso di canonizzazione di Papa Sarto – attestano in quale eroico grado la virtù della fede ardeva nel suo cuore di santo (…)».

Al modernismo, che si proponeva «un’apostasia universale dalla fede e dalla disciplina della Chiesa», san Pio X opponeva un’autentica riforma che aveva il suo punto principale nella custodia e nella trasmissione della verità cattolica. L’enciclica Pascendi (1907),con cui fulminò gli errori del modernismo, è il documento teologico e filosofico più importante prodotto dalla Chiesa cattolica nel XX secolo. Ma san Pio X non si limitò a combattere il male nelle idee, come se esse fossero disincarnate dalla storia. Egli volle colpire i portatori storici degli errori, comminando censure ecclesiastiche, vigilando nei seminari e nelle università pontificie, imponendo a tutti i sacerdoti il giuramento antimodernista.

Questa coerenza tra la dottrina e la prassi pontificia suscitò violenti attacchi da parte degli ambienti cripto-modernisti. Quando Pio XII ne promosse la beatificazione (1951) e la canonizzazione (1954), Papa Sarto fu definito dagli oppositori estraneo ai fermenti rinnovatori del suo tempo, colpevole di aver represso il modernismo con metodi brutali e polizieschi. Pio XII affidò a mons. Ferdinando Antonelli, futuro cardinale, la redazione di una Disquisitio storica dedicata a smontare le accuse rivolte al suo predecessore sulla base di testimonianze e di documenti,. Ma oggi queste accuse riaffiorano perfino nella “celebrazione” che l’“Osservatore Romano” ha dedicato a san Pio X, per la penna di Carlo Fantappié, proprio il 20 agosto, anniversario della sua morte.

Il prof. Fantappié recensendo sul quotidiano della Santa Sede, il volume di Gianpaolo Romanato Pio X. Alle origini del cattolicesimo contemporaneo (Lindau, Torino 2014), nella sua preoccupazione di prendere le distanze dalle «strumentalizzazioni dei lefebvriani», come scrive in maniera infelice, utilizzando un termine privo di qualsiasisignificato teologico, arriva ad identificarsi con le posizioni degli storici modernisti. Egli attribuisce infatti a Pio X, «un modo autocratico di concepire il governo della Chiesa», accompagnato «da un atteggiamento tendenzialmente difensivo nei confronti dell’establishment e diffidente nei riguardi degli stessi collaboratori, della cui fedeltà e obbedienza non di rado dubitava». Ciò «fa comprendere anche come sia stato possibile che il Papa abbia sconfinato in pratiche dissimulatorie o esercitato una particolare sospettosità e durezza nei confronti di taluni cardinali, vescovi e chierici. Avvalendosi delle indagini recenti sulle carte vaticane, Romanato elimina definitivamente quelle ipotesi apologetiche che cercavano di addebitare le responsabilità delle misure poliziesche agli stretti collaboratori anziché direttamente al Papa». Si tratta delle medesime critiche riproposte qualche anno fa, in un articolo dedicato a Pio X flagello dei modernisti, da Alberto Melloni, secondo cui «le carte ci consentono di documentare l’anno con cui Pio IX era stato parte cosciente ed attiva della violenza istituzionale attuata dagli antimodernisti» (“Corriere della Sera”, 23 agosto 2006).

Il problema di fondo, non sarebbe «quello del metodo con cui fu represso il modernismo, bensì quello della opportunità e validità della sua condanna». La visione di san Pio X era “superata” dalla storia, perché egli non comprese gli sviluppi della teologia e dell’ecclesiologia del Novecento. La sua figura in fondo ha il ruolo dialettico di un’antitesi rispetto alla tesi della “modernità teologica”. Perciò Fantappié conclude che il ruolo di Pio X sarebbe stato quello di«traghettare il cattolicesimo dalle strutture e dalla mentalità della Restaurazione alla modernità istituzionale, giuridica e pastorale».

Per cercare di uscire da questa confusione possiamo ricorrere ad un altro volume, quello di Cristina Siccardi, appena pubblicato dalle edizioni San Paolo, con il titolo San Pio X. Vita del Papa che ha ordinato e riformato la Chiesa, e con una preziosa prefazione di Sua Eminenza il cardinale Raymond Burke, prefetto del Supremo tribunale della Segnatura Apostolica.

Il cardinale ricorda come fin dalla sua prima Lettera enciclica E supremi apostolatus del 4 ottobre 1903, san Pio X annunciava il programma del suo pontificato che affrontava una situazione nel mondo di confusione e di errori sulla fede e, nella Chiesa, di perdita della fede da parte di molti. A questa apostasia egli contrapponeva le parole di san Paolo: Instaurare omnia in Christo, ricondurre a Cristo tutte le cose. «Instaurare omnia in Christo – scrive il cardinale Burke – è veramente la cifra del pontificato di san Pio X, tutto teso a ricristianizzare la società aggredita dal relativismo liberale, che calpestava i diritti di Dio in nome di una “scienza” svincolata da ogni tipo di legame con il Creatore» (p. 9).


E’ in questa prospettiva che si situa l’opera riformatrice di san Pio X, che è innanzitutto un’opera catechetica, perché egli comprese che agli errori dilaganti occorreva contrapporre una conoscenza sempre più profonda della fede, diffusa ai più semplici, a cominciare dai bambini. Verso la fine del 1912, il suo desiderio si realizzò con la pubblicazione del Catechismo che da lui prende il nome, destinato in origine alla Diocesi di Roma, ma poi diffuso in tutte le diocesi di Italia e del mondo.

La gigantesca opera riformatrice e restauratrice di san Pio X si svolse nella incomprensione degli stessi ambienti ecclesiastici. «San Pio X – scrive Cristina Siccardi – non cercò il consenso della Curia romana, dei sacerdoti, dei vescovi, dei cardinali, dei fedeli, e soprattutto non cercò il consenso del mondo, ma sempre e solo il consenso di Dio, anche a danno della propria immagine pubblica e, così facendo, è indubbio, si fece molti nemici in vita e ancor più in morte» (p. 25).

Oggi possiamo dire che i peggiori nemici non sono coloro che lo attaccano frontalmente, ma quelli che cercano di svuotare il significato della sua opera, facendone un precursore delle riforme conciliari e postconciliari. Il quotidiano “La Tribuna di Treviso”, ci informa che in occasione del centenario della morte di san Pio X, la diocesi di Treviso ha «aperto le porte a divorziati e coppie di fatto», invitandole, in cinque chiese, tra cui la chiesa di Riese, paese natale di Papa Giuseppe Sarto, al fine di pregare per la buona riuscita del Sinodo di Ottobre sulla famiglia, di cui il cardinale Kasper ha dettato la linea, nella sua relazione al Concistoro del 20 febbraio. Fare di san Pio X il precursore del cardinale Kasper è un’offesa di fronte a cui la sprezzante definizione melloniana di «flagello dei modernisti» diviene un complimento.

(Roberto de Mattei, per Corrispondenza Romana – 26/08/2014)

Rimproverare


Evitare gli eccessi

 In materia di educazione bisogna evitare due eccessi: il primo consiste nell’assenteismo completo; il secondo nella pignoleria. * I bambini, per definizione, mancano dì esperienza; è compito dei genitori avvisarli dei pericoli che possono incontrare. Ma le grida continue e sproporzionate di allarme finiscono con distogliere l’attenzione e la sensibilità; e quando ci sarà un vero pericolo da prevenire, l’intervento dei genitori non sarà preso sul serio.

* In materia di educazione bisogna evitare due eccessi: 
il primo consiste nell’assenteismo completo: “lasciar fare, lasciar passare“, o politica degli occhi chiusi: “fa’ ciò che vuoi, purché mi lasci in pace“, politica di rinuncia che può portare a conseguenze catastrofiche. 
Il secondo consiste nella pignoleria; essere sopra al ragazzo per ogni sciocchezza. Come sempre, il giusto sta nel mezzo: il fanciullo ha bisogno dell’aiuto dell’adulto, aiuto che a volte può anche consistere in una specie di continuo addestramento: il ricordo, per esempio, di un dolore (uno scapaccione o sgridata) in seguito ad un gesto o a un atteggiamento biasimevoli.

* I buoni esempi e gli incoraggiamenti al bene non sono sempre sufficienti nell’educazione. Il fanciullo non nasce perfetto. Ha tendenze anarchiche e, a volte, quando meno ci si pensa, può manifestare un carattere geloso, autoritario, indipendente, solitario, ecc… È dunque normale che babbo e mamma debbano incanalare e orientare nel senso giusto le giovani forze vive, con un rimprovero che, se ben proporzionato e dato a tempo e luogo, contribuirà a fargli toccare con mano i limiti del bene e del male, del giusto e dell’ingiusto; in una parola, a formare il suo criterio morale.

* Perché un’ammonizione sia efficace bisogna che sia rara e breve. Se assume un atteggiamento teatrale, con strida convulse e acute, perde ogni effetto. Il bambino, dapprima impaurito, poi indifferente, lascerà passare la burrasca a scapito della vostra autorità e, ciò che è peggio, a danno della formazione della sua coscienza, poichè una coscienza non si forma da sola.

* I vostri interventi saranno più fruttuosi se avranno un carattere di pace e serenità, Allora, siatene certi, saranno uditi; e se lì per lì troveranno l’opposizione istintiva del bambino, lo aiuteranno però col tempo a padroneggiarla. 

* La maggior parte dei genitori non sospettano fino a qual punto usino della loro autorità per fare continue ed inutili osservazioni, ripetute raccomandazioni accessorie, sollecitudini esagerate contrarie al bene che si vorrebbe ottenere.
Per poco che si osservi su un treno, in un giardino o in una casa una madre col figlio, si rimane sbalorditi per la quantità di avvisi a volte contraddittori e di rimproveri spesso irragionevoli e ingiustificati che piovono sui poveri piccoli: “Enrico, non correre, ti riscalderai troppo…“, qualche istante dopo: “Non rimanere piantato come un albero, va’ a giocare… Non avvicinarti tanto all’acqua; cadrai… Attento alle scarpe; non sporcarle!.., Sarai ancora disubbidiente come sempre… Enrico, cosa ti ho detto?… È insopportabile un fanciullo così.,.! Sei un buono a nulla; non so che fare con te“. E va ancor bene quando la mamma, non considerando il valore delle parole, non aggiunge: “Mi accorgo che hai il carattere di tuo padre!“.

* La premura materna deve entrare in opera quando è veramente richiesta. Facendo rimproveri senza capo nè coda, si rischia di falsare la coscienza del bambino, che non impara a stimare nel loro giusto valore ordini e proibizioni, di impedirgli di svilupparsi nel suo stile e di fare la sua esperienza personale subendo le conseguenze delle sue sciocchezze o delle sue imprudenze. Naturalmente ciò lo dobbiamo permettere là dove il bambino non corre rischio grave.

* Tra i vantaggi che offre il sistema delle reazioni naturali, noi costatiamo che, in primo luogo, dà allo spirito, in fatto di condotta, l’esatta nozione del bene e del male che deriva dall’esperienza degli effetti buoni e cattivi, secondo, che il fanciullo, provando le conseguenze delle sue cattive azioni, deve riconoscere più o meno chiaramente la giustizia della punizione; terzo, che essendo riconosciuta la giustizia della punizione e questa punizione essendo applicata direttamente dalla natura e non da un individuo, il fanciullo non si irrita, mentre il padre, compiendo il suo dovere passivamente, e cioè lasciando che la natura compia il suo corso, conserva una calma relativa; quarto, che essendo così stornata la mutua esasperazione, tra padri e figli vengono a crearsi legami più dolci e fecondi di buone influenze.

* Quando un bambino cade o urta contro un tavolo, fa un’esperienza di dolore che lo rende più attento per l’avvenire. Se tocca la sbarra di ferro del camino, se passa con la mano sulla fiamma d’una candela o lascia cadere una goccia d’acqua bollente sulla pelle, la scottatura che ne prova è una lezione che non sarà facilmente dimenticata. Un bambino mai puntuale non lo si lascerà andare a passeggio; un bambino negligente, che trascura o rompe gli oggetti di suo uso, subisce dai genitori il rifiuto di sostituire gli oggetti perduti o rotti. Più tardi un bambino che trascura i suoi vestiti sarà privato d’una gita o duna visita agli amici con la famiglia. Infine un giovane spensierato e ozioso non ottiene un posto piacevole; questi sono i castighi delle reazioni naturali che seguono i falli commessi.

* Perchè il bambino diventi cosciente della sua responsabilità e comprenda in modo concreto il valore di ciò che ha detto o commesso, uno dei mezzi più efficaci consiste nell’indurlo a riparare – quando è possibile – materialmente o moralmente il male fatto.

* Meglio rimproverare un fanciullo a tu per tu e a voce bassa (a meno che lo sbaglio non sia stato pubblico).

* Si facciano poche parole col bambino colpevole, non si discuta. Meglio tagliar corto senza ulteriori spiegazioni, col sorriso di chi ha buone ragioni, ma non crede opportuno per il momento manifestarle. Allora il colpevole offeso si sforzerà di indovinare quanto gli nascondete. Le ragioni che ha così spontaneamente trovate gli gioveranno più delle vostre, avendole attinte dalla sua coscienza.

* Non si pretenda sempre che i bambini riconoscano immediatamente il loro torto, poiché è veramente assai difficile che riconoscano subito di aver sbagliato. È già molto quando cessano di dichiararsi innocenti; vuol dire che hanno già coscienza della loro colpevolezza e si arrenderanno alle vostre ragioni. 

* Rimproverando, bisogna evitare assolutamente di paragonare il fanciullo ad un altro: “Guarda come è delicato tuo fratello... — Ah! fossi sempre come il piccolo Giacomo !“, ecc. Ciò servirebbe solo a creare gelosie e inimicizie inconciliabili tra il fanciullo e il modello, 

* Cosa perdonata, cosa passata: non riandate per una sciocchezza da nulla a falli antichi. Ritornarci sopra vuol dire non aver dimenticato e tenere sempre in serbo un episodio umiliante, pronti a propalarlo. C’è da scoraggiare per sempre un bambino, impedendogli così ogni sforzo per correggersi.

* Una lite tra fratelli e sorelle richiama comunemente l’intervento energico dei genitori, Ordinariamente dopo quattro o cinque minuti uno dei figli cede o perché più debole, o perché più ragionevole dell’altro. Perché dunque intervenire quando la cosa si può risolvere da sé in modo soddisfacente?
Non sciupiamo l’autorità per dei nonnulla, a meno che non ci sia qualche prepotenza da parte d’un despota a cui bisogna dare una più esatta nozione della giustizia distributiva e della carità fraterna.

* Conosco due bambini che dormono nella stessa stanza. Naturalmente a volte vengono a lite e quando è ora di andare a dormire giocano. Si è loro raccomandato, ma inutilmente, che quando si va a letto bisogna far silenzio: quando la luce è spenta e la mamma è partita, incomincia la baldoria. Una sera la mamma ritorna per sgridare i disubbidienti. Mezzo conscia della necessità d’infliggere una punizione e semi-intenerita dal sorriso che legge ancora sui piccoli musini, dice: “È dunque così difficile ubbidire? Le mamme sono ben da compatire; devono fare degli uomini buoni e retti con dei fanciulli disubbidienti. Come ci riuscirò con voi? Oh! ve l’assicuro, non è bello”. Era una semplice osservazione e la mamma non prevedeva risposta; ma subito il più giovane dei futuri “uomini buoni e retti” scrolla il capo e dice in tono impacciato: “Sì, Credo che deve essere triste per te quando non siamo buoni“. E la madre si ritira contenta e riconoscente.

5 Marzo 2006 calogeroVita cattolica: Matrimonio, laicato...

AMDG et DVM

martedì 19 febbraio 2019

IL PRIMO MESSAGGIO PER IL TERZO MILLENNIO!

Giovanni Paolo II Messaggi Giornata Mondiale per le Vocazioni
[ DE  - EN  - ES  - FR  - HU  - IT  - PT ]

MESSAGGIO DEL 
SANTO PADRE GIOVANNI PAOLO II
PER LA XXXVII GIORNATA MONDIALE 
DI PREGHIERA PER LE VOCAZIONI

Tema: "L'Eucaristia, sorgente di ogni vocazione e ministero nella Chiesa"



Venerati Fratelli nell'Episcopato,
carissimi Fratelli e Sorelle di tutto il mondo!

La Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni che verrà celebrata nel clima gioioso delle feste pasquali, reso particolarmente intenso degli eventi giubilari, mi offre l'occasione per riflettere insieme con voi sul dono della divina chiamata, condividendo la vostra sollecitudine per le vocazioni al ministero ordinato e alla vita consacrata. Il tema che intendo proporvi quest'anno si pone in sintonia con lo svolgimento del Grande Giubileo. Vorrei meditare con voi su: L'Eucaristia, sorgente di ogni vocazione e ministero nella Chiesa. Non è forse l'Eucaristia il mistero di Cristo vivo e operante nella storia? Dall'Eucaristia Gesù continua a chiamare alla sua sequela e ad offrire ad ogni uomo la "pienezza del tempo".

1. "Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna" (Gal 4,4).

"La pienezza del tempo si identifica con il mistero dell'Incarnazione del Verbo . . . e con il mistero della Redenzione del mondo" (Tertio millennio adveniente, 1): nel Figlio consustanziale al Padre e fattosi uomo nel grembo della Vergine prende avvio e si compie il "tempo" atteso, tempo di grazia e di misericordia, tempo di salvezza e di riconciliazione.

Cristo rivela il disegno di Dio nei riguardi di tutta la creazione e, in particolare, nei riguardi dell'uomo. Egli "svela pienamente l'uomo all'uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione" (Gaudium et Spes, 22), nascosta nel cuore dell'Eterno. Il mistero del Verbo incarnato sarà pienamente svelato solo quando ogni uomo e ogni donna saranno in Lui realizzati, figli nel Figlio, membra del suo Corpo mistico che è la Chiesa.

Il Giubileo, e questo in particolare, celebrando i 2000 anni dell'ingresso nel tempo del Figlio di Dio ed il mistero della redenzione, esorta ogni credente a considerare la propria personale vocazione, per completare quel che manca nella sua vita alla passione del Figlio a favore del suo corpo che è la Chiesa (cfr Col 1, 24).

2. "Quando fu a tavola con loro, prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma lui sparì dalla loro vista. Ed essi si dissero l'un l'altro: 'Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo il cammino, quando ci spiegava le Scritture?'" (Lc 24, 30-32).

L'Eucaristia costituisce il momento culminante nel quale Gesù, nel suo Corpo donato e nel suo Sangue versato per la nostra salvezza, svela il mistero della sua identità ed indica il senso della vocazione d'ogni credente. Il significato della vita umana è, infatti, tutto in quel Corpo ed in quel Sangue, poiché da essi sono giunti a noi la vita e la salvezza. Con essi deve, in qualche modo, identificarsi l'esistenza stessa della persona, la quale realizza se stessa nella misura in cui sa farsi, a sua volta, dono per gli altri.

Nell'Eucaristia tutto questo è misteriosamente significato nel segno del pane e del vino, memoriale della Pasqua del Signore: il credente che si nutre di quel Corpo donato e di quel Sangue versato riceve la forza di trasformarsi a sua volta in dono. Come dice sant'Agostino: "Siate ciò che ricevete e ricevete ciò che siete" (Discorso 272, 1: Nella Pentecoste).

Nell'incontro con l'Eucaristia alcuni scoprono di essere chiamati a diventare ministri dell'Altare, altri a contemplare la bellezza e la profondità di questo mistero, altri a riversarne l'impeto d'amore sui poveri e i deboli, ed altri ancora a coglierne il potere trasformante nelle realtà e nei gesti della vita d'ogni giorno. Ciascun credente trova nell'Eucaristia non solo la chiave interpretativa della propria esistenza, ma il coraggio per realizzarla, sì da costruire, nella diversità dei carismi e delle vocazioni, l'unico Corpo di Cristo nella storia.

Nel racconto dei discepoli di Emmaus (Lc 24, 13-35), san Luca fa intravedere quanto accade nella vita di colui che vive dell'Eucaristia. Quando "nello spezzare il pane" da parte del "forestiero" si aprono gli occhi dei discepoli, essi si rendono conto che il cuore ardeva loro nel petto mentre lo ascoltavano spiegare le Scritture. In quel cuore che arde possiamo vedere la storia e la scoperta d'ogni vocazione, che non è commozione passeggera, ma percezione sempre più certa e forte che l'Eucaristia e la Pasqua del Figlio saranno sempre più l'Eucaristia e la Pasqua dei suoi discepoli.

3. "Ho scritto a voi, giovani, perché siete forti, e la parola di Dio dimora in voi e avete vinto il maligno" (1 Gv 2, 14).

Il mistero dell'amore di Dio, "nascosto da secoli e da generazioni " (Col 1, 26), è ora rivelato a noi nella "parole della croce" (1 Cor 1, 18), che, dimorando in voi, carissimi giovani, sarà la vostra forza e la vostra luce, e vi svelerà il mistero della personale chiamata. Conosco i vostri dubbi e le vostre fatiche, vi vedo a volte smarriti, comprendo il timore che vi assale dinanzi al futuro. Ma ho pure nella mente e nel cuore l'immagine festosa di tanti incontri con voi nei miei Viaggi apostolici, durante i quali ho potuto costatare la ricerca sincere di verità e d'amore che dimora in ciascuno di voi.

Il Signore Gesù ha piantato la sue tenda in mezzo a noi e da questa sua dimora eucaristica ripete ad ogni uomo e ad ogni donna: "Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò" (Mt 11, 28).

Cari giovani, andate incontro a Gesù Salvatore! Amatelo e adoratelo nell'Eucaristia! Egli è presente nella Santa Messa, che rende sacramentalmente presente il sacrificio della Croce. Egli viene in noi nella santa comunione e rimane nei tabernacoli delle nostre chiese, perché è nostro amico, amico di tutti, particolarmente di voi giovani, così bisognosi di confidenza e di amore. Da Lui potete trarre il coraggio per essere suoi apostoli in questo particolare passaggio storico: il 2000 sarà come voi giovani lo vorrete e lo edificherete. Dopo tanta violenza e oppressione, il mondo ha bisogno di giovani capaci di "gettare ponti" per unire e riconciliare; dopo la cultura dell'uomo senza vocazione, urgono uomini e donne che credono nella vita e l'accolgono come chiamata che viene dall'Alto, da quel Dio che, poiché ama, chiama; dopo il clima del sospetto e della sfiducia, che inquina i rapporti umani, solo giovani coraggiosi, con mente e cuore aperti a ideali alti e generosi, potranno restituire bellezza e verità alla vita e ai rapporti umani. Allora questo tempo giubilare sarà per tutti davvero "anno di grazia del Signore", un Giubileo vocazionale.

4. "Scrivo a voi, padri, perché avete conosciuto colui che è fin dal principio" (1 Gv 2, 13).

Ogni vocazione è dono del Padre e, come tutti i doni che vengono da Dio, giunge attraverso molte mediazioni umane: quella dei genitori o degli educatori, dei pastori della Chiesa, di chi è direttamente impegnato in un ministero di animazione vocazionale o del semplice credente. Vorrei con questo messaggio rivolgermi a tutte queste categorie di persone, cui è legata la scoperta ed il sostegno della chiamata divina. Sono consapevole che la pastorale vocazionale costituisce un ministero non facile, ma come non ricordarvi che nulla è più esaltante d'una testimonianza appassionata della propria vocazione? Chi vive con gioia questo dono e lo alimenta quotidianamente nell'incontro con l'Eucaristia saprà spargere nel cuore di tanti giovani il seme buono della fedele adesione alla chiamata divina. E' nella presenza eucaristica che Gesù ci raggiunge, ci immette nel dinamismo della comunione ecclesiale e ci rende segni profetici davanti al mondo.

Vorrei, qui, rivolgere un pensiero affettuoso e grato a tutti quegli animatori vocazionali, sacerdoti, religiosi, religiose e laici, che si prodigano con entusiasmo in questo faticoso ministero. Non lasciatevi scoraggiare dalle difficoltà, abbiate fiducia! Il seme della chiamata divina, quando è piantato con generosità, darà frutti abbondanti. Di fronte alla grave crisi di vocazioni al ministero ordinato e alla vita consacrata che interessa alcune regioni del mondo, occorre, soprattutto in questo Giubileo dell'Anno 2000, operare perché ogni presbitero, ogni consacrato è consacrata riscoprano la bellezza della propria vocazione e la testimonino agli altri. Ogni credente diventi educatore di vocazioni, senza temere di proporre scelte radicali; ogni comunità comprenda la centralità dell'Eucaristia e la necessita di ministri del Sacrificio eucaristico; tutto il popolo di Dio levi sempre più intensa e appassionata l'orazione al Padrone della messe affinché mandi operai nella sua messe. E affidi questa sua preghiera all'intercessione di Colei che è la Madre dell'eterno Sacerdote.

5. Preghiera

Vergine Maria, umile figlia dell'Altissimo,
in te s'è compiuto in modo mirabile
il mistero della divina chiamata.
Tu sei l'immagine di ciò che Dio compie
in chi a Lui si affida;
in te la libertà del Creatore
ha esaltato la libertà della creatura.
Colui che è nato nel tuo grembo
ha congiunto in un solo volere la libertà salvifica di Dio
e l'adesione obbediente dell'uomo.
Grazie a Te, la chiamata di Dio
si salda definitivamente con la risposta dell'uomo-Dio.
Tu primizia di una vita nuova,
custodisci per tutti noi il "Sì" generoso della gioia e dell'amore.
Santa Maria, Madre d'ogni chiamato,
fa che i credenti abbiano la forza
di rispondere con generoso coraggio all'appello divino,
e siano lieti testimoni dell'amore verso Dio
e verso il prossimo.
Giovane figlia di Sion, Stella del mattino
che guidi i passi dell'umanità
attraverso il Grande Giubileo verso l'avvenire,
orienta la gioventù del nuovo millennio
verso Colui che è "la luce vera, che illumina ogni uomo" (Gv 1, 9).
Amen!

Dal Vaticano, 30 Settembre 1999.

AMDG et DVM