martedì 19 febbraio 2019

IL PRIMO MESSAGGIO PER IL TERZO MILLENNIO!

Giovanni Paolo II Messaggi Giornata Mondiale per le Vocazioni
[ DE  - EN  - ES  - FR  - HU  - IT  - PT ]

MESSAGGIO DEL 
SANTO PADRE GIOVANNI PAOLO II
PER LA XXXVII GIORNATA MONDIALE 
DI PREGHIERA PER LE VOCAZIONI

Tema: "L'Eucaristia, sorgente di ogni vocazione e ministero nella Chiesa"



Venerati Fratelli nell'Episcopato,
carissimi Fratelli e Sorelle di tutto il mondo!

La Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni che verrà celebrata nel clima gioioso delle feste pasquali, reso particolarmente intenso degli eventi giubilari, mi offre l'occasione per riflettere insieme con voi sul dono della divina chiamata, condividendo la vostra sollecitudine per le vocazioni al ministero ordinato e alla vita consacrata. Il tema che intendo proporvi quest'anno si pone in sintonia con lo svolgimento del Grande Giubileo. Vorrei meditare con voi su: L'Eucaristia, sorgente di ogni vocazione e ministero nella Chiesa. Non è forse l'Eucaristia il mistero di Cristo vivo e operante nella storia? Dall'Eucaristia Gesù continua a chiamare alla sua sequela e ad offrire ad ogni uomo la "pienezza del tempo".

1. "Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna" (Gal 4,4).

"La pienezza del tempo si identifica con il mistero dell'Incarnazione del Verbo . . . e con il mistero della Redenzione del mondo" (Tertio millennio adveniente, 1): nel Figlio consustanziale al Padre e fattosi uomo nel grembo della Vergine prende avvio e si compie il "tempo" atteso, tempo di grazia e di misericordia, tempo di salvezza e di riconciliazione.

Cristo rivela il disegno di Dio nei riguardi di tutta la creazione e, in particolare, nei riguardi dell'uomo. Egli "svela pienamente l'uomo all'uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione" (Gaudium et Spes, 22), nascosta nel cuore dell'Eterno. Il mistero del Verbo incarnato sarà pienamente svelato solo quando ogni uomo e ogni donna saranno in Lui realizzati, figli nel Figlio, membra del suo Corpo mistico che è la Chiesa.

Il Giubileo, e questo in particolare, celebrando i 2000 anni dell'ingresso nel tempo del Figlio di Dio ed il mistero della redenzione, esorta ogni credente a considerare la propria personale vocazione, per completare quel che manca nella sua vita alla passione del Figlio a favore del suo corpo che è la Chiesa (cfr Col 1, 24).

2. "Quando fu a tavola con loro, prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma lui sparì dalla loro vista. Ed essi si dissero l'un l'altro: 'Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo il cammino, quando ci spiegava le Scritture?'" (Lc 24, 30-32).

L'Eucaristia costituisce il momento culminante nel quale Gesù, nel suo Corpo donato e nel suo Sangue versato per la nostra salvezza, svela il mistero della sua identità ed indica il senso della vocazione d'ogni credente. Il significato della vita umana è, infatti, tutto in quel Corpo ed in quel Sangue, poiché da essi sono giunti a noi la vita e la salvezza. Con essi deve, in qualche modo, identificarsi l'esistenza stessa della persona, la quale realizza se stessa nella misura in cui sa farsi, a sua volta, dono per gli altri.

Nell'Eucaristia tutto questo è misteriosamente significato nel segno del pane e del vino, memoriale della Pasqua del Signore: il credente che si nutre di quel Corpo donato e di quel Sangue versato riceve la forza di trasformarsi a sua volta in dono. Come dice sant'Agostino: "Siate ciò che ricevete e ricevete ciò che siete" (Discorso 272, 1: Nella Pentecoste).

Nell'incontro con l'Eucaristia alcuni scoprono di essere chiamati a diventare ministri dell'Altare, altri a contemplare la bellezza e la profondità di questo mistero, altri a riversarne l'impeto d'amore sui poveri e i deboli, ed altri ancora a coglierne il potere trasformante nelle realtà e nei gesti della vita d'ogni giorno. Ciascun credente trova nell'Eucaristia non solo la chiave interpretativa della propria esistenza, ma il coraggio per realizzarla, sì da costruire, nella diversità dei carismi e delle vocazioni, l'unico Corpo di Cristo nella storia.

Nel racconto dei discepoli di Emmaus (Lc 24, 13-35), san Luca fa intravedere quanto accade nella vita di colui che vive dell'Eucaristia. Quando "nello spezzare il pane" da parte del "forestiero" si aprono gli occhi dei discepoli, essi si rendono conto che il cuore ardeva loro nel petto mentre lo ascoltavano spiegare le Scritture. In quel cuore che arde possiamo vedere la storia e la scoperta d'ogni vocazione, che non è commozione passeggera, ma percezione sempre più certa e forte che l'Eucaristia e la Pasqua del Figlio saranno sempre più l'Eucaristia e la Pasqua dei suoi discepoli.

3. "Ho scritto a voi, giovani, perché siete forti, e la parola di Dio dimora in voi e avete vinto il maligno" (1 Gv 2, 14).

Il mistero dell'amore di Dio, "nascosto da secoli e da generazioni " (Col 1, 26), è ora rivelato a noi nella "parole della croce" (1 Cor 1, 18), che, dimorando in voi, carissimi giovani, sarà la vostra forza e la vostra luce, e vi svelerà il mistero della personale chiamata. Conosco i vostri dubbi e le vostre fatiche, vi vedo a volte smarriti, comprendo il timore che vi assale dinanzi al futuro. Ma ho pure nella mente e nel cuore l'immagine festosa di tanti incontri con voi nei miei Viaggi apostolici, durante i quali ho potuto costatare la ricerca sincere di verità e d'amore che dimora in ciascuno di voi.

Il Signore Gesù ha piantato la sue tenda in mezzo a noi e da questa sua dimora eucaristica ripete ad ogni uomo e ad ogni donna: "Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò" (Mt 11, 28).

Cari giovani, andate incontro a Gesù Salvatore! Amatelo e adoratelo nell'Eucaristia! Egli è presente nella Santa Messa, che rende sacramentalmente presente il sacrificio della Croce. Egli viene in noi nella santa comunione e rimane nei tabernacoli delle nostre chiese, perché è nostro amico, amico di tutti, particolarmente di voi giovani, così bisognosi di confidenza e di amore. Da Lui potete trarre il coraggio per essere suoi apostoli in questo particolare passaggio storico: il 2000 sarà come voi giovani lo vorrete e lo edificherete. Dopo tanta violenza e oppressione, il mondo ha bisogno di giovani capaci di "gettare ponti" per unire e riconciliare; dopo la cultura dell'uomo senza vocazione, urgono uomini e donne che credono nella vita e l'accolgono come chiamata che viene dall'Alto, da quel Dio che, poiché ama, chiama; dopo il clima del sospetto e della sfiducia, che inquina i rapporti umani, solo giovani coraggiosi, con mente e cuore aperti a ideali alti e generosi, potranno restituire bellezza e verità alla vita e ai rapporti umani. Allora questo tempo giubilare sarà per tutti davvero "anno di grazia del Signore", un Giubileo vocazionale.

4. "Scrivo a voi, padri, perché avete conosciuto colui che è fin dal principio" (1 Gv 2, 13).

Ogni vocazione è dono del Padre e, come tutti i doni che vengono da Dio, giunge attraverso molte mediazioni umane: quella dei genitori o degli educatori, dei pastori della Chiesa, di chi è direttamente impegnato in un ministero di animazione vocazionale o del semplice credente. Vorrei con questo messaggio rivolgermi a tutte queste categorie di persone, cui è legata la scoperta ed il sostegno della chiamata divina. Sono consapevole che la pastorale vocazionale costituisce un ministero non facile, ma come non ricordarvi che nulla è più esaltante d'una testimonianza appassionata della propria vocazione? Chi vive con gioia questo dono e lo alimenta quotidianamente nell'incontro con l'Eucaristia saprà spargere nel cuore di tanti giovani il seme buono della fedele adesione alla chiamata divina. E' nella presenza eucaristica che Gesù ci raggiunge, ci immette nel dinamismo della comunione ecclesiale e ci rende segni profetici davanti al mondo.

Vorrei, qui, rivolgere un pensiero affettuoso e grato a tutti quegli animatori vocazionali, sacerdoti, religiosi, religiose e laici, che si prodigano con entusiasmo in questo faticoso ministero. Non lasciatevi scoraggiare dalle difficoltà, abbiate fiducia! Il seme della chiamata divina, quando è piantato con generosità, darà frutti abbondanti. Di fronte alla grave crisi di vocazioni al ministero ordinato e alla vita consacrata che interessa alcune regioni del mondo, occorre, soprattutto in questo Giubileo dell'Anno 2000, operare perché ogni presbitero, ogni consacrato è consacrata riscoprano la bellezza della propria vocazione e la testimonino agli altri. Ogni credente diventi educatore di vocazioni, senza temere di proporre scelte radicali; ogni comunità comprenda la centralità dell'Eucaristia e la necessita di ministri del Sacrificio eucaristico; tutto il popolo di Dio levi sempre più intensa e appassionata l'orazione al Padrone della messe affinché mandi operai nella sua messe. E affidi questa sua preghiera all'intercessione di Colei che è la Madre dell'eterno Sacerdote.

5. Preghiera

Vergine Maria, umile figlia dell'Altissimo,
in te s'è compiuto in modo mirabile
il mistero della divina chiamata.
Tu sei l'immagine di ciò che Dio compie
in chi a Lui si affida;
in te la libertà del Creatore
ha esaltato la libertà della creatura.
Colui che è nato nel tuo grembo
ha congiunto in un solo volere la libertà salvifica di Dio
e l'adesione obbediente dell'uomo.
Grazie a Te, la chiamata di Dio
si salda definitivamente con la risposta dell'uomo-Dio.
Tu primizia di una vita nuova,
custodisci per tutti noi il "Sì" generoso della gioia e dell'amore.
Santa Maria, Madre d'ogni chiamato,
fa che i credenti abbiano la forza
di rispondere con generoso coraggio all'appello divino,
e siano lieti testimoni dell'amore verso Dio
e verso il prossimo.
Giovane figlia di Sion, Stella del mattino
che guidi i passi dell'umanità
attraverso il Grande Giubileo verso l'avvenire,
orienta la gioventù del nuovo millennio
verso Colui che è "la luce vera, che illumina ogni uomo" (Gv 1, 9).
Amen!

Dal Vaticano, 30 Settembre 1999.

AMDG et DVM

Dominica in Quinquagesima ~ Semiduplex II. classis


Lettura del santo Vangelo secondo Luca
Luca 18:31-43
<<In quell'occasione: Gesù presi i dodici a parte, disse loro: Ecco, noi ascendiamo a Gerusalemme, e s'adempirà tutto quanto è stato scritto dai Profeti intorno al Figlio dell'uomo. Eccetera.   >>

Omelia di san Gregorio Papa

Omelia 2 sul Vangelo
I1 nostro Redentore prevedendo che gli animi dei suoi discepoli si sarebbero turbati per la sua passione, predisse loro molto prima e le sofferenze di questa stessa passione, e la gloria della sua risurrezione: affinché quando lo vedessero morire, com'egli aveva annunziato, non dubitassero che non dovesse anche risorgere. Ma perché i discepoli, ancora carnali, non potevano in alcun modo intendere le parole di questo mistero, egli ricorse a un miracolo. Dinanzi ai loro occhi un cieco riacquista la vista: affinché lo spettacolo delle opere divine rafforzasse la fede di coloro che non intendevano l'annunzio di un mistero celeste.

Ma i miracoli del Signore e Salvator nostro, fratelli carissimi, dobbiamo accoglierli così che e li crediamo avvenuti realmente, e che ci vogliono insinuare qualche verità col loro significato. Giacché le sue opere colla potenza mostrano una cosa, e col mistero che contengono ne dicono un'altra. Difatti, secondo la verità storica, noi ignoriamo chi fosse questo cieco: ma ben sappiamo cosa significa allegoricamente. Questo cieco è certamente il genere umano, che, espulso nella persona del nostro primo padre dalle gioie del paradiso, ignorando lo splendore della luce superna, soffre le tenebre della sua condanna. Ma egli è illuminato, grazie alla presenza del suo Redentore, così da vedere già col desiderio le gioie della luce interiore, e dirigere i suoi passi nella via d'una vita santificata dalle buone opere.

È però da notare che si dice che il cieco riceve la vista quando Gesù si avvicina a Gerico. Gerico infatti significa luna: ora la luna nelle sacre scritture è considerata come immagine della debolezza della carne: perché decrescendo tutti i mesi, indica la debolezza del nostro corpo mortale. Mentre dunque il nostro Creatore si avvicina a Gerico, il cieco riacquista la vista: perché allorquando la divinità assunse la debole nostra carne, il genere umano ricevé quella luce che aveva perduta. Per il fatto invero che Dio si assoggettò a ciò ch'è umano, ne venne che l'uomo fu sollevato a ciò ch'è divino. E giustamente ci vien descritto questo cieco a sedere sulla via, accattando. Perché la stessa Verità dice: «Io sono la via» Joan. 14,6.

V. E tu, o Signore, abbi pietà di noi.
R. Grazie a Dio.

Preghiamo
Signore, esaudisci clemente le nostre preghiere: e scioltici dai lacci dei peccati, preservaci da ogni avversità. 
Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te, in unità con lo Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli.
R. Amen.

AMDG et DVM

Calepòn esthlòn èmmenai



SETTE SAPIENTI

A cura di Diego Fusaro 

Dei cosiddetti “Sette Sapienti” – tra cui viene annoverato lo stesso Talete di Mileto – è possibile dire ben poco di storicamente fondato. Delle sentenze che vengono loro attribuite alcune sono certamente spurie e, come se non bastasse, è arduo stabilire con esattezza quali delle autentiche appartengano all’uno e quali all’altro. Ad ogni modo, i “Sette Sapienti” rappresentano il momento dell’affiorare in primo piano dell’interesse morale prima del sorgere della filosofia morale. Nel suo scritto intitolato Protagora (343 A), Platone fornisce questo elenco:



“Tra gli antichi vi furono Talete di Mileto, Pittaco di Mitilene, Biante di Priene, il nostro Solone, Cleobulo di Lindo, Misone di Chene e settimo tra costoro si annoverava Chilone di Sparta: tutti quanti furono ammiratori, appassionati amanti e discepoli dell’educazione spirituale spartana. E che la loro sapienza fosse di tale natura lo si può capire considerando quelle sentenze concise e memorabili, che furono pronunciate da ciascuno, e che, radunatisi insieme, essi offrirono come primizie di sapienza ad Apollo, nel tempio di Delfi, facendo scolpire quelle sentenze che tutti celebrano: Conosci te stesso (Gnoti sautòn) e Nulla di troppo (Medèn agàn). Ma a che scopo io dico questo? Perché il metodo di filosofare degli antichi consisteva appunto in una concisione spartana. E, in particolare, di Pittaco era famoso questo motto, molto lodato dai sapienti: Difficile è l’essere buoni (Calepòn esthlòn èmmenai)”.


Lo stesso Platone scrive significativamente nella sua opera Carmide (164 D):


“Infatti io dico che la temperanza è proprio questo: ‘conoscere se stessi’, d’accordo in tale definizione con l’autore dell’iscrizione votiva di Delfi; [...] Infatti ‘Conosci te stesso’ e ‘Sii temperante’ sono la stessa cosa, come recita la scritta e come anch’io affermo, ma qualcuno potrebbe credere che abbiano un diverso significato, come mi sembra che sia capitato a quelli che, in seguito, consacrarono delle scritte del tipo ‘Niente di troppo’ e ‘Garanzia porta disgrazia’. Costoro, infatti, credettero che ‘Conosci te stesso’ fosse un consiglio pratico, non un saluto del dio a quanti entravano e così, per non essere da meno nel proporre suggerimenti, fecero porre queste iscrizioni”.

Sulle orme di Demetrio Falereo, Stobeo (Anthol., I, 172), anziché Misone, menziona Periandro, e ci dona la più ricca raccolta delle sentenze attribuite a questi sapienti. Dal momento che esse presentano il sunto della saggezza morale dei Greci prima del nascere della filosofia morale, è bene leggerle per intero.


*** 

Sentenze attribuite a Cleobulo

Cleobulo figlio di Evagora, di Lindo, disse:

1. La misura è la cosa migliore.

2. Si deve rispettare il proprio padre.

3. Bisogna stare bene nel corpo e nell’anima.

4. Bisogna essere desiderosi di ascoltare, e non chiacchieroni.

5. Avere molte e svariate conoscenze è come (o: è sempre meglio che) essere ignorante.

6. Mantenere la lingua pura da empietà.

7. Bisogna essere familiare della virtù, estraneo alla malvagità.

8. Odiare l’ingiustizia, custodire la pietà.

9. Consigliare le decisioni migliori ai concittadini.

10. Mantenere il controllo sul piacere.

11. Non fare nulla con la violenza.

12. Educare i figli.

13. Pregare la fortuna.

14. Risolvere le inimicizie.

15. Considerare un nemico di guerra il nemico del popolo.

16. Non litigare con la moglie e non manifestare troppo affetto verso di lei in presenza di estranei; infatti, il primo atteggiamento può comportare stoltezza, il secondo follia.

17. Non punire i servi sotto l’effetto del vino: altrimenti, sembrerai comportarti in modo sconveniente a causa dell’ubriachezza.

18. Sposarsi con una donna proveniente da una famiglia di pari condizioni: infatti, se ne sposerai una proveniente da una famiglia di condizioni superiori, acquisirai dei padroni, non dei parenti.

19. Non ridere alle battute di chi prende in giro la gente; risulterai antipatico, infatti, a coloro che vengono presi in giro.

20. Quando va bene, non essere superbo; quando va male, non avvilirsi.





Sentenze attribuite a Solone



Solone, figlio di Essecestide, ateniese, disse:

1. Nulla di troppo.

2. Non sedere come giudice, altrimenti risulterai nemico dell’accusato.

3. Fuggi il piacere che produce dolore.

4. Mantieni la virtù della condotta, più affidabile di un giuramento.

5. Poni il sigillo ai discorsi con il silenzio, e al silenzio con il momento opportuno.

6. Non mentire, bensì di’ la verità.

7. Curati delle cose oneste.

8. Non dire cose più giuste dei genitori.

9. Non acquisire amici in fretta, e quelli che hai eventualmente acquisito, non lasciarli in fretta.

10. Apprendendo a essere comandato, imparerai a comandare.

11. Se consideri giusto che gli altri rendano conto del loro operato, assoggéttati anche tu al rendiconto.

12. Consiglia ai concittadini non le cose più piacevoli, ma le migliori.

13. Non insuperbire.

14. Non metterti in compagnia di viziosi.

15. Mantieni relazioni con gli dèi.

16. Venera gli amici.

17. Non dire quello che non sai.

18. Se sai, sta’ zitto.

19. Sii mite con i tuoi.

20. Fornisci indizî evidenti per le cose invisibili.



Sentenze attribuite a Chilone


Chilone, figlio di Damageta, spartano, disse:

1. Conosci te stesso.

2. Mentre bevi, non fare molte chiacchiere: sbaglieresti.

3. Non minacciare le persone libere: non è giusto.

4. Non parlare male del tuo prossimo: altrimenti, sul tuo conto sentirai dire cose di cui dovrai addolorarti.

5. Récati lentamente ai banchetti degli amici; va’ invece incontro velocemente alle loro sventure.

6. Celebra nozze alla buona.

7. Dichiara beato solo chi è morto.

8. Onora chi è più anziano.

9. Odia chi si immischia in quello che non lo riguarda.

10. Scegli una perdita, piuttosto che un guadagno turpe: la prima, infatti, addolorerà una sola volta; l’altro, sempre.

11. Non ridere di chi è sfortunato.

12. Anche se sei impulsivo, cerca di comportarti in modo tranquillo, perché la gente di te abbia rispetto, piuttosto che paura.

13. Sovrintendi alla tua propria casa.

14. La tua lingua non corra avanti rispetto al pensiero.

15. Cerca di contenere l’ira.

16. Non desiderare cose impossibili.

17. Per strada, non affrettarti ad andare avanti.

18. E non gesticolare: denota follia.

19. Obbedisci alle leggi.

20. Se subisci un’ingiustizia, fa’ pace; se subisci un oltraggio, véndicati.



Sentenze attribuite a Talete:


Talete, figlio di Essamia, di Mileto, disse:

1. Dai garanzia, e appresso c’è sventura.

2. Ricòrdati degli amici, presenti e assenti.

3. Non adornare il tuo aspetto esteriore, ma sii bello negli atti.

4. Non arricchirti malamente.

5. Non ti comprometta il tuo discorso nei confronti di quanti ripongono in te la loro fiducia.

6. Non esitare ad adulare i genitori.

7. Non prendere dal padre quello che è vizioso.

8. Quali servigi tu abbia reso ai genitori, tali aspettati di ricevere a tua volta, in vecchiaia, dai figli.

9. È difficile conoscere se stesso.

10. Piacevole in massimo grado è ottenere quello che desideri.

11. La pigrizia è una sciagura.

12. L’intemperanza è una cosa dannosa.

13. Cosa molesta è l’ignoranza.

14. Cerca di imparare e di apprendere il meglio.

15. Non essere pigro, neppure se sei ricco.

16. I mali, nascondili in casa.

17. Fatti invidiare, piuttosto che commiserare.

18. Avvàliti della misura.

19. Non credere a tutti.

20. Incominciando, adorna te stesso.



Sentenze attribuite a Pittaco


Pittaco, figlio di Irra, di Lesbo, dice:

1. Riconosci il momento opportuno.

2. Non dire quello che hai intenzione di fare: se non avrai fortuna, sarai deriso.

3. Avvàliti di ciò che è conveniente.

4. Tutto quello che disapprovi nel tuo prossimo, non farlo tu stesso.

5. Non biasimare un indolente: su gente simile incombe già la vendetta degli dèi.

6. Rendi i depositi.

7. Sopporta, se sei danneggiato dal prossimo in piccola misura.

8. Non dire male dell’amico, e nemmeno bene del nemico: poiché un simile comportamento è illogico.

9. È tremendo conoscere il futuro, sicuro conoscere il passato.

10. La terra è una cosa affidabile, il mare è una cosa infida.

11. Insaziabile è il guadagno.

12. Impadronirsi delle cose proprie.

13. Coltiva la pietà, l’educazione, la temperanza, la saggezza, la verità, la fiducia, l’esperienza, la destrezza, l’amicizia, la sollecitudine, la gestione della casa, l’arte.



Sentenze attribuite a Biante


Biante, figlio di Teutamo, di Priene, disse:

1. La grande maggioranza degli uomini è cattiva.

2. Guardandoti allo specchio – disse –, se appari bello, devi fare cose belle; se appari brutto, devi correggere con la virtù le mancanze della natura.

3. Accìngiti con lentezza a fare qualcosa; ma, in quello che tu abbia incominciato, persévera con costanza.

4. Odia il parlare senza ponderazione, per non sbagliare; segue, infatti, il pentimento.

5. Non essere né sempliciotto, né di cattivi costumi.

6. Non accogliere la stoltezza.

7. Ama la saggezza.

8. Riguardo agli dèi, afferma che esistono.

9. Rifletti sul tuo operato.

10. Ascolta molto.

11. Cerca di parlare a proposito.

12. Se sei povero, non criticare i ricchi, a meno che tu non ne ricavi un grande giovamento.

13. Non elogiare per la sua ricchezza un uomo indegno.

14. Cerca di ottenere in forza della persuasione e non della violenza.

15. Tutto ciò che tu faccia di bello, attribuiscilo agli dèi, non a te stesso.

16. Nella giovinezza, acquisire prosperità; nella vecchiaia, invece, sapienza.

17. Avrai memoria grazie all’esercizio, circospezione grazie al riconoscimento di quanto è opportuno, nobiltà grazie ai modi, temperanza grazie alla fatica, pietà grazie al timore, amicizia grazie alla ricchezza, persuasione grazie al ragionamento, decoro grazie al silenzio, giustizia grazie all’assennatezza, valore grazie al coraggio, potenza grazie all’azione, supremazia grazie alla fama.



Sentenze attribuite a Periandro


Periandro, figlio di Cipselo, di Corinto, disse:

1. Abbi cura di tutto.

2. La tranquillità è una cosa bella.

3. La temerarietà è una cosa pericolosa.

4. Il guadagno è una cosa turpe.

5. * un’accusa della natura.

6. La democrazia è una cosa migliore della tirannide.

7. I piaceri sono mortali; la virtù, immortale.

8. Quando hai fortuna, sii moderato; quando invece hai sfortuna, sii saggio.

9. È meglio morire rispettato, piuttosto che rimanere vivo trovandosi nel bisogno.

10. Renditi degno dei genitori.

11. Cerca di essere lodato da vivo e considerato beato una volta morto.

12. Compòrtati allo stesso modo con gli amici fortunati e sfortunati.

13. Ciò su cui tu sia risultato d’accordo, osservalo; è cosa malvagia, infatti, il trasgredire.

14. Non rivelare discorsi segreti.

15. Rimprovera in maniera tale da risultare ben presto un amico.

16. Quanto alle leggi, attiéniti a quelle antiche; quanto ai cibi, invece, consuma quelli freschi.

17. Non limitarti a castigare quelli che hanno commesso una colpa, ma cerca anche di impedire quelli che stanno per commetterne una.

18. Se sei sfortunato, cerca di nasconderlo, per non fare rallegrare i nemici.

***
Come siamo venuti dicendo in precedenza, queste sentenze sono fondamentali per adombrare i caratteri e i limiti della “riflessione morale” nel suo stadio – se così si può dire – prefilosofico.  Esse sono il prodotto di una lunga e travagliata esperienza, ma sono slegate le une rispetto alle altre, non sono sorrette da un “principio” unificatore, non sono motivate con argomentazioni, e quindi non sono giustificate; stanno quindi al di qua della filosofia, la cui essenza sta – in ultima istanza – nel “rendere ragione” (logon didonai) di ogni cosa, senza lasciare alcunché di immotivato. Il fatto che Talete di Mileto sia annoverato fra i “Sette Sapienti” è, sotto questo profilo, particolarmente interessante. Egli ha fondato la filosofia come indagine fisica e cosmologica (ravvisando nell’acqua l’arché dell’intera realtà), ma non la “filosofia morale”. Del resto, non solo Talete, ma tutti i filosofi “presocratici” come moralisti non andarono oltre il piano della “sentenza” intuitivamente colta: e ciò è dovuto al fatto che essi indagarono il “principio del cosmo”, ma non la “natura dell’uomo in quanto uomo”. Perché potesse sorgere la “filosofia morale” occorreva che l’uomo come tale diventasse oggetto di riflessione della filosofia. Era cioè necessario che venissero determinati l’essenza e il significato dell’uomo in quanto uomo. Cosa che, evidentemente, non accadde con i “Sette Sapienti”. Era altresì necessario che dall’essenza dell’uomo in quanto tale si ricavasse  il concetto di “virtù” (areté). A ciò si addivenne tramite un percorso che, avviato dai Sofisti (i primi a spostare il baricentro dell’indagine filosofico dal cosmo all’uomo, dal cielo alla terra), giunse a compimento con Socrate.

AMDG et DVM

domenica 17 febbraio 2019

Karol Un Uomo diventato Papa - Giovanni Paolo II

Nessuna ”scusa” a Lutero

 L'eresia che ha distrutto l'unità culturale e spirituale europea.
Il disprezzo dei sacramenti, una delle ragioni della inconciliabilità.

LA MESSA DI LUTERO


Il cuore della liturgia cattolica è costituita dal Sacrificio della Croce di Cristo per la salvezza dell’uomo.

Questo Sacrificio si rende sempre presente, allora come oggi, nella celebrazione Eucaristica ed è destinato a rimanere attraverso i secoli nel modo in cui Gesù stesso l’aveva istituito, contemporaneamente al sacerdozio.
Nell’ultima Cena Egli, non solo ha istituito il sacerdozio, ma lo ha fatto in vista del proprio Sacrificio, poiché esso costituisce la sorgente di tutti i meriti, di tutte le grazie e di tutta la ricchezza della Chiesa.
Quindi non si può comprendere il sacerdozio senza il Sacrificio, poiché il sacerdozio è fatto per il Sacrifico. In questo Gesù stesso è voluto essere anche la Vittima.
Senza la reale presenza di Gesù non può esserci la Vittima e neanche il Sacrificio.
Tutto è unito: presenza reale, Vittima e Sacrificio. Questa (in estrema sintesi!) la liturgia cattolica.

Veniamo a Lutero. Il monaco tedesco, volendo colpire il sacerdozio, diede un colpo definitivo anche a tutta la Chiesa.

Egli sapeva bene che, venendo meno il sacerdote, sarebbe sparito anche il sacrificio e, conseguentemente, anche la vittima e quindi la fonte di tutte le grazie della Chiesa.
Lutero era persuaso che non ci fosse differenza sostanziale fra i preti e i laici, ma che tutti costituissero un “sacerdozio universale”.
Questo era il primo di “tre muri” che circondavano la Chiesa e che, secondo Lutero, dovevano essere abbattuti.
“Se un Papa o un vescovo – sosteneva Lutero – da l’unzione, fa delle tonsure, consacra o da un abito differente ai laici o ai preti, crea degli imbrogli”. Tutti, di fatto, sono consacrati nel Battesimo e, dunque, non può esistere un sacramento speciale per i preti.

Il secondo muro da abbattere era la transustanziazione.

Nella messa luterana viene rifiutata in toto l’idea di “sacrificio” e con essa di vittima e di presenza reale.
Rimane la sola presenza spirituale, un ricordo, tanto che la Messa non può essere indicata più come un Sacrificio ma solamente con i termini di Comunione, Cena, Eucarestia.
Secondo le parole del Vangelo “dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro” si compie la vera e sola Messa. È per questo che Lutero rifiutò da subito la celebrazione di messe private perché mancanti della comunione col popolo.
Per Lutero l’Eucarestia era “Sacramento del pane” e non più Sacrificio, considerato, ormai,  come elemento di corruzione.

Il terzo ostacolo era rappresentato dal valore espiatorio del Sacrificio della Messa.

Sempre secondo il monaco ribelle l’Eucarestia è un “Sacrificio di lode” ma non un “Sacrificio di espiazione”.
Quindi l’unico scopo della Messa diventa, per Lutero, solamente quello di rendere grazie a Dio.
È dentro questa lettura che oggi alcuni protestanti parlano ancora di “Sacrificio”, ma non come un Sacrifico che rimette i peccati, ma di semplice ringraziamento per l’opera di Dio.

Questi cambiamenti di sostanza hanno generato modificazioni anche nella forma come l’orientamento (coram populo) del sacerdote durante la Consacrazione, l’introduzione della lingua volgare, la Comunione ricevuta sulla mano.

Per non parlare anche delle conseguenze in campo artistico e architettonico. La chiesa concepita come Domus Dei, nella quale tutto (altare, pareti, affreschi, materiali, uso della luce, ecc…) deve parlare di Dio, lascia spazio, nel mondo protestante, ad edifici essenzialmente sobri, se non vuoti di decorazioni e raffigurazioni sacre.
“Scompare – ricorda Francesco Agnoli – il tabernacolo, segno della Presenza divina; scompaiono spesso reliquie, santi e Madonne, abitatori della simbolica città di Dio, la Gerusalemme Celeste; non servono più, a rigore, la pianta a croce, la posizione ad Oriente, l’abside, il coro, il ciborio. […] Anche l’altare perde il vecchio significato e la vecchia forma: diviene mensa, solitamente semplice tavola, non più sopraelevata, distaccata da scalinate e balaustre, bensì posizionata in modo da creare un rapporto più diretto, partecipativo, comunitario, fra celebrante e popolo”.
Un generale e diffuso sentimento iconoclasta si diffonderà nel mondo protestante, soprattutto verso le immagini della Vergine e dei Santi, un ripudio verso questi ultimi, è bene ricordarlo, “che nasce – sempre secondo Agnoli – dal terribile pessimismo antropologico luterano, secondo il quale l’uomo non è capace di compiere alcunché di buono, ma è solo e soltanto un peccatore, senza libertà, conteso tra Satana e Dio”.

_____
Per approfondire:
1- Roberto Coggi O.P.: RIPENSANDO LUTEROBiografia sintetica e completa di Martin Lutero, vista nei suoi rapporti con Roma, con Calvino e Zwingli. Padre Roberto Coggi approfondisce anche l’analisi del libro di Lutero intitolato «De servo arbitrio» e quindi tutto il problema della libertà umana. Poi, esamina il concetto di «salvezza dell'anima» nella sua dottrina e la natura della fede.
Il libro si conclude con la riproduzione della Bolla Exsurge Domine, con la quale papa Leone X condannò le «quarantuno proposizioni» di Lutero; di alcuni brani Decreto «Sulla giustificazione» votato dal Concilio di Trento; e infine della «Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione» votata dalla Chiesa Cattolica e la Federazione Luterana Mondiale.
2- Mons. Leon Cristiani: La rivolta protestante. "Chi oggi parla di ‘protestantizzazione’ della Chiesa cattolica, intende in genere con questa espressione un mutamento nella concezione di fondo della Chiesa, un'altra visione del rapporto fra Chiesa e vangelo. Il pericolo di una tale trasformazione sussiste realmente; non è solo uno spauracchio agitato in qualche ambiente integrista. […] Il protestantesimo è nato all'inizio dell'epoca moderna ed è pertanto molto più apparentato che non il cattolicesimo con le idee-forza che hanno dato origine al mondo moderno. La sua attuale configurazione l'ha trovata in gran parte proprio nell'incontro con le grandi correnti filosofiche del XIX secolo. E' la sua chance ed insieme la sua fragilità questo suo essere molto aperto al pensiero moderno" (Card. J. Ratzinger, Rapporto sulla Fede, cap. XI, ed. Paoline 2005).
3- Altri Cinque libri sono scaricabili gratuitamente da totustuus.it nella sezione apposita: http://www.totustuus.it/modules.php?name=Downloads&d_op=viewdownload&cid=28

***********************************************
****************************
*************


Lutero: un vigliacco spor....

Chiesa

 Sant'Alfonso M. de' Liguori scrive: "il Demonio, essendo stato ricettato in sua casa in abito di rigattiere, ebbe commercio colla madre, e così ella avesse conceputo questo parto maledetto […]. Lutero era sin d'allora pieno di vizj, superbo, ambizioso, petulante, propenso alle sedizioni, alle calunnie, ed anche alle impudicizie […] In somma dall'anno 1521. sino al 1546, quando morì, egli ne' suoi libri disotterrò tutte le antiche eresie. Il Cocleo, parlando degli scritti di Lutero, scrive: Egli in quelli contamina tutte le cose sacre: così predica Cristo, che conculca i suoi sacramenti: così esalta la divina grazia, che distrugge la libertà: così innalza la fede, che nega le buone opere, ed ingerisce la licenza di peccare: così solleva la misericordia, che deprime la giustizia, e rifonde in Dio la causa di tutti i mali: distrugge in somma tutte le leggi, toglie la forza a' magistrati, concita i laici contra i sacerdoti, gli empj contra il papa, ed i popoli contra i principi".
(Da leggere: http://www.intratext.com/ixt/itasa0000/__P34G.HTM)

Ritratto di Lutero e della moglie Caterina Bore
Workshop Lucas Cranach d.Ä. - Doppelporträt Martin Luther u. Katharina Bora (Uffizien).jpg
 Un dipinto di Lutero con la moglie Caterina Bora, come lui religiosa che gettò l'abito alle ortiche, dei quali Sant'Alfonso scrive: "Avea già l'altro suo compagno eresiarca e sacerdote Zuinglio presa moglie; Lutero, che non avea minore inclinazion di Zuinglio al matrimonio, se n'era astenuto sino ad allora per rispetto dell'elettor di Sassonia, il quale, quantunque eretico, abborriva i matrimonj de' religiosi, ed erasi dichiarato di non volerne soffrir veruno. All'incontro Lutero si era invaghito di Caterina di Bore, la quale era di famiglia nobile, ma perché povera, si era fatta monaca per disperazione nel monastero di Misnia, ed era giunta ad esserne badessa: avendo elle poi letto un libro di Lutero, che parlava della nullità de' voti religiosi, s'invogliò di parlar con Lutero; Lutero andò a visitarla più volte, e finalmente ebbe l'abilità di farla uscire dal monastero e venire in Vittemberga, ove lo sfacciato, essendo morto già l'elettor Federico che l'impediva, nell'anno 1526 la sposò con gran solennità; ed indi col suo esempio ed insinuazioni tirò anche ad ammogliarsi il gran maestro dell'ordine teutonico. Questi matrimonj diedero poi occasione ad Erasmo di dire, che l'eresie de' suoi tempi si riduceano tutte a commedie, perché le commedie tutte finiscono col matrimonio". 


«Io non mi lascerò dominare da nulla»

di Cristina Siccardi
La coscienza di ogni individuo che segue i principi del Creatore è quella che segue la Verità, portatrice di libertà (Gv 8, 32); la «libertà di coscienza» di ogni individuo che segue i propri voleri e i propri piaceri è quella che rende la vita avviluppata di problemi e di infelicità. Tuttavia l’individuo, anche cristiano, si ribella e vuole imporre la sua volontà, sfidando Dio e corrompendo, di peccato in peccato, la sua splendente innocenza battesimale.
C’è chi, pur conducendo una vita licenziosa, vuole a tutti i costi vedere legittimati i propri atti dissoluti.Esistono casi eclatanti nella storia, come quello di Enrico VIII, la cui scelta di divorziare da Caterina d’Aragona per contrarre nuovo matrimonio con Anna Bolena originò uno scisma all’interno della Chiesa.
Tuttavia un fatto similare avvenne anche nel Protestantesimo stesso; mentre quest’ultimo, però, si piegò alle voglie di Filippo I d’Assia, la Santa Sede di Roma non si piegò a quelle di Enrico VIII. Fu così che il Parlamento inglese approvò gli atti che sancirono la frattura con Roma nella primavera del 1534. In particolare l’Act of Supremacy stabilì che il Re è «l’unico Capo Supremo della Chiesa d’Inghilterra» e il Treasons Act dello stesso anno rese alto tradimento, punibile con la morte, il rifiuto di riconoscere il Sovrano come tale: molti martiri persero la vita sul patibolo per tale ragione, fra questi san Tommaso Moro.
Alcuni anni prima di tali fatti storici, il Langravio Filippo I d’Assia, dopo poche settimane dal suo matrimonio con la malaticcia e poco piacente Cristina di Sassonia, che probabilmente abusava anche di alcool, commise adulterio e nel 1526 iniziò a considerare l’ammissibilità della bigamia. Scrisse quindi a Martin Lutero per chiedergli la sua opinione in merito, portando come precedente la pratica della poligamia tra i patriarchi dell’Antico Testamento.
Lutero rispose che per un cristiano non era sufficiente considerare gli atti dei patriarchi, ma che, come per i patriarchi, era necessaria una speciale sanzione divina. Poiché nel caso specifico tale sanzione non esisteva, l’eresiarca gli raccomandò di non incorrere in un matrimonio poligamo. Ma Filippo non abbandonò il suo progetto, né tantomeno uno stile di vita basato sul libertinaggio che, per anni, gli impedì di accostarsi alla comunione luterana (memoria dell’ultima cena di Cristo), dove non avviene la transustanziazione, poiché Lutero la negò.
Entrò quindi in scena Melantone con il caso di Enrico VIII: il riformatore propose che le “difficoltà” del Re venissero risolte prendendo una seconda moglie, piuttosto che divorziando dalla prima. Proposta che garbò molto al langravio, avvalorata da alcune affermazioni dello stesso Lutero, contenute nei suoi sermoni sulla Genesi. Tale soluzione parve a Filippo I l’unico “medicinale misericordioso” per curare la sua coscienza malata di vizi e di peccati. Egli quindi pensò di sposare la figlia di una dama di compagnia di sua sorella, Margarethe von der Saale, la quale non voleva a lui unirsi se non con l’approvazione dei teologi di Wittenberg, approvazione che arrivò sotto le minacce dello stesso langravio d’Assia a Rotenburg an der Fulda, dove, il 4 marzo 1540, Filippo e Margarethe vennero uniti in matrimonio. La vicenda, comunque, fu di enorme scandalo per tutta la Germania, tanto che alcuni alleati del langravio smisero di servirlo e Lutero si rifiutò di confermare il proprio coinvolgimento nella questione.
_____
Come non ricondurre tali vicende alle proposte avanzate all’interno del Sinodo straordinario sulla famiglia conclusosi da poco? L’uomo contemporaneo, tronfio del suo progresso scientifico, culturale, tecnologico e teologico, ripropone gli stessi temi di mezzo millennio fa per andare incontro alle coscienze esigenti non di Verità, ma di soggettiva libertà delle persone: “diritti” per le proprie incontrollate passioni.
«Chi viene a trovarsi in queste ed in altre situazioni del genere, in cui le norme canoniche chiaramente non coincidono con la realtà umana quale si prospetta ad una coscienza deformata, ha diritto all’aiuto ed alla comprensione fraterna ed intelligente del prossimo. Ciò significa non solo trattarli come dei fuorilegge, ma anche aiutarli a giudicare la loro situazione e l’eventuale dissidio fra la norma, da una parte, e l’imperativo della coscienza, dall’altra. In definitiva, si tratta di prestar loro l’attenzione che meritano, facendo sentire inoltre la propria partecipazione alla loro fiducia nell’amore di Dio, che tutto abbraccia e di tutto finisce per avere ragione. Ciò significa anche non impedir loro senza motivo di accostarsi ai sacramenti. Poiché le attuali norme sembrano non consentirlo e non è possibile trovare una via d’uscita neanche ricorrendo all’epicheia, si dovrebbe cercare di riformare queste prescrizioni».
Questo non è un brano tratto dalle discussioni del Sinodo sulla famiglia; non è neppure il passo di un’intervista rilasciata dal Cardinale Kasper e nemmeno una considerazione di Papa Francesco. Questa è una citazione tratta da un libro di Viktor Steininger pubblicato in Germania nel 1968 e tradotto in Italia, l’anno seguente, con il titolo Divorzio anche per chi accetta il Vangelo? Paradossi dell’indissolubilità matrimoniale (Herder-Morcelliana, pp. 174-175).
Lo stratagemma della Misericordia, privata della Giustizia (Dio è sia Misericordia che Giustizia), muterebbe non solo la pastorale nei confronti dei peccatori adulteri o omosessuali, ma si relazionerebbe a quell’auspicato «sviluppo del dogma» sbandierato dai teologi novatori che aprirono la loro breccia nel Concilio Vaticano II e le cui conseguenze, cariche di zolfo, oggi i cattolici sono costretti a respirare. Sono in molti, nel clero, a scalpitare per “soccorrere” le necessità spirituali dei fedeli.
Ma sono così sicuri di voler soccorrere spingendo le loro anime sempre più nelle sabbie mobili del peccato mortale? E quale misericordia userebbero per Nostro Signore? L’anima, quando riceve la Comunione, diventa Tempio di Dio. Rimembrano ancora i custodi del depositum fidei e coloro che odono più le loro teorie degli imperativi del Signore, ciò che scrive san Paolo nella prima lettera ai Corinzi?
«“Tutto mi è lecito!”. Ma non tutto giova. “Tutto mi è lecito!”. Ma io non mi lascerò dominare da nulla […] il corpo poi non è per l’impudicizia, ma per il Signore, e il Signore è per il corpo. Dio poi, che ha risuscitato il Signore, risusciterà anche noi con la sua potenza. Non sapete che i vostri corpi sono membra di Cristo? Prenderò dunque le membra di Cristo e ne farò membra di una prostituta? Non sia mai! […] non sapete che il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo che è in voi e che avete da Dio, e che non appartiene a voi stessi? Infatti siete stati comprati a caro prezzo. Glorificate dunque Dio nel vostro corpo!» (1Cor. 6, 12-20).
Se tale insegnamento stride alle coscienze nutrite di libertà soggettive e non oggettive, non è un problema di san Paolo, né di quelli a lui fedeli che continuano tenacemente e con perseveranza a non essere né adulteri, né profanatori del Sacramento della Comunione. La Chiesa si è sempre prodigata con carità verso il peccatore, ma ha sempre combattuto contro il peccato, nemico delle anime. Come né il langravio Filippo I d’Assia, né Enrico VIII potranno mai diventare modelli di vita matrimoniale, così nessun tipo di concessione al peccato potrà mutare la rotta di coloro che sono coscienti di essere stati comprati a caro prezzo.
Da Corrispondenza Romana del 22 ottobre 2014: http://www.corrispondenzaromana.it/io-non-mi-lascero-dominare-da-nulla/