mercoledì 23 gennaio 2019

Joseph Ratzinger

Cardinale e Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede





ECCE VIA VERITAS ET VITA

SPOSALIZIO della SS.ma Vergine MARIA


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Sposalizio di Maria SS.ma


La festa di oggi ricorda, come si evince dal nome, il matrimonio tra la Madonna e s. Giuseppe.
Pare che in origine sia sorta come parte della devozione al padre adottivo di Gesù.
Comunque, cominciò a fiorire tra il XIV e il XV secolo in Germania; ma soprattutto in Francia, sotto la spinta del cancelliere di Notre Dame a Parigi, Jean Gerson (1363 – 1429).
Questi sosteneva che la tradizione risaliva agli agostiniani di Milano, che celebravano detta festa il 19 marzo.
Cioè, nel giorno dedicato a S. Giuseppe.



  -  Tra parentesi, il 16 febbraio dello scorso anno è stato presentato al Senato un disegno di legge teso a reintrodurre quest’ultima festività nel nostro calendario.
Fu soppressa nel 1976 perché gli italiani dovevano superare una delle solite crisi economiche.
Finita la crisi, però, le festività soppresse furono restituite come giorni da aggiungere alle ferie. Anziché ripristinarle. Il che fa sospettare che quel che stava sull’anima era in realtà s. Giuseppe. O no? -



Ma torniamo allo sposalizio di Maria. E al Gerson, che si adoperò perché tale ricorrenza venisse introdotta nella cattedrale di Chartes.
Furono i francescani a trasformarla da festa giuseppina in festa mariana.
Nel 1537 ottennero di potere celebrarla il 7 marzo.
Solo dal XVII secolo la ricorrenza si diffuse in tutta la cristianità, ed il giorno fu fissato definitivamente al 23 gennaio.

C'è un famosissimo quadro che raffigura lo sposalizio della Vergine, appunto, e che è presente su moltissimi biglietti di partecipazioni nuziali.

Si ringrazia lo scrittore cattolico Rino Cammilleri
per aver acconsentito alla diffusione di queste brevi vite di santi,
tratte dal suo volume 
Un santo al giorno edito da PIEMME

Prepararsi ad un vero e santo matrimonio per una nuova società

SPIRITO FAMILIARE

da pagine cattoliche - Totus Tuus

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Ogni famiglia può avere uno spirito di cui beneficiano tutti i membri. Se esso non esiste, i membri non avranno unione vera e ogni occasione sarà buona per allontanarsi dal focolare; se invece esiste, un legame d’unità consoliderà l’affetto degli uni per gli altri e anche quando la vita obbligherà i membri ad allontanarsi, questo legame sarà così forte da mantenere tra tutti un vicendevole aiuto effettivo…

* Ogni famiglia può avere uno spirito di cui beneficiano tutti i membri. Se esso non esiste, i membri non avranno unione vera e ogni occasione sarà buona per allontanarsi dal focolare; se invece esiste, un legame d’unità consoliderà l’affetto degli uni per gli altri e anche quando la vita obbligherà i membri ad allontanarsi, questo legame sarà così forte da mantenere tra tutti un vicendevole aiuto effettivo. Lo sviluppo di questo spirito dipende prima di tutto dai genitori, dalla loro unità d’azione nell’educazione dei fanciulli, dall’esempio continuo del loro completamento, dal modo con cui, via via che i fanciulli crescono, li fanno partecipare ai compiti del focolare e ai propri affanni, e sanno unire il presente al passato, dando ai fanciulli una legittima fierezza dei loro nonni e degli antenati (la vera nobiltà non è quella del nome, ma quella del cuore e dell’onore), dal come sapranno creare un clima di gioia e di confidenza che si manifesta soprattutto nelle ore liete di festa o di anniversari.

* I genitori cristiani desiderano certamente di poter allevare una famiglia numerosa; molti figli, in un certo senso, si possono educare con più facilità; beneficiano gli uni e gli altri di una conoscenza psicologica che gioverà loro più tardi; l’avvicinamento dei caratteri li avrà addolciti e, senza dubbio, la solidarietà che li avrà uniti sarà un prezioso sostegno nelle ore di lotta e di sofferenza.

* Accade sovente, anche nelle migliori famiglie, che vi sia una certa gelosia tra un fanciullo e l’altro, specialmente tra il primogenito e colui che viene immediatamente dopo di lui; questa gelosia sbocca in disaccordi o in fenomeni vari di cui i genitori inutilmente ricercano la spiegazione; spesso la causa profonda è questa: il tuo primogenito s’è trovato per parecchi mesi e a volte per anni al centro dei tuoi pensieri e ha avuto tutto il tuo affetto, cure e gioie; ecco che improvvisamente ha un fratellino o una sorellina. Quale sarà la reazione? Dipenderà da tè in gran parte. Se sembrerà che tu trascuri il primo per badare al secondo, non meravigliarti se quello inconsciamente prova dei sentimenti di diffidenza verso l’altro e anche una certa invidia che può giungere fino all’odio, soprattutto quando la venuta del neonato gli richieda qualche sacrificio cui non è preparato: come ricevere meno carezze materne o dover cedere il suo letto o la camera. Andrea Lichtemberger, nel libro “La sorellina di Trott” ha descritto in modo meraviglioso ciò che può passare nell’anima d’un bimbetto che riceve una sorellina: prima gli avevano parlato della gioia che avrebbe provato; aveva immaginato che la sorellina sarebbe stata una bambina come quelle con cui giocava, invece è un animaletto noioso e piagnucolone. Vorrebbe giocare al cavallo, suonare la tromba e gli si dice: ” Zitto! La sorellina dorme “; desidererebbe che mammina lo prendesse sulle ginocchia come sempre, gli raccontasse una storiella e ascoltasse quello che vorrebbe dirle, invece mamma ha tanto da fare, è impegnata a cullare bebé, a prepararle dei biberon. Non vede altro che bebé, non più Trott… Certamente non l’ama più…

* Sovente, la gelosia dei fanciulli non si manifesta chiaramente e gli educatori sono sconcertati per le tante mancanze di cui non si sanno spiegare la causa. Il primo bimbo ricomincia a bagnare il letto; parlava più o meno bene e ricomincia a balbettare; mangiava da solo e sembra che non sappia più tener in mano il cucchiaio. Infine, non si lascia sfuggire alcuna occasione di bisticciare e di rendersi insopportabile. Il povero primogenito sarebbe certamente incapace di spiegare ciò che passa nella sua testa, ma potrebbe essere racchiuso in questi oscuri ragionamenti: ” Siccome babbo e mamma si occupano di bebé e mi dimenticano, è necessario che imiti bebé per farmi riamare. Se bagno il mio pigiamino bisognerà che mamma mi cambi, se non mangio bisognerà che mamma mi dia l’imbeccata come fa con bebé “. Ogni capriccio è lo sforzo d’una piccola personalità che si crede trascurata e vuole ad ogni costo attirare su di sé l’attenzione.

* I genitori attenti continuano ad essere solleciti per il primogenito alla nascita del secondo, alcuni offrono dei giocattoli da parte del neonato, gli fanno comprendere che all’arrivo del secondo è diventato più importante e manifestano questa distinzione con qualche segno esterno: comperandogli un nuovo abito, ammettendolo a mangiare a tavola con papa. Ecco come una mamma ha risolto il problema: ” Non credo che Giovanni sia stato mai geloso di suo fratello. È anche vero però che ho fatto attenzione per non dargliene l’occasione. Così se rientro dal giardino tenendo in braccio Andrea, do l’altra mano a Giovanni; se, giungendo Giovanni, ho Andrea sulle ginocchia, li metto su entrambi, uno per parte. Così sembra che Giovanni abbia un’idea precisa dell’uguaglianza tra loro due. Una volta che facevo giocare Andrea al cavalluccio, pensai fra me: non bisogna dimenticare Giovanni. Depongo Andrea e prendo Giovanni. Avevo appena detto: “Al galoppo!” che discende dalle ginocchia dicendomi: “Ora Andrea.’” Abbraccio Giovanni nel letto: “Anche l’altro”, mi dice. Se lavo la biancheria di Andrea, viene anche Giovanni a vedere se vi è qualcosa per lui “. ” Ho pensato che potrebbe dispiacere a Giovanni vedere usare la sua roba dal fratello; così quando Andrea è diventato troppo grande per la culla, ho cominciato col dare a Giovanni un letto grande e relegare il suo lettino nel solaio per tre mesi. Quando l’ho ripreso, per farvi dormire Andrea, Giovanni non ha più pensato che fosse il suo “.

* Se si vede che i ragazzi vanno d’accordo tra loro non bisogna metterli in contrasto: bisogna fare attenzione a non dire quelle frasi comparative che rischiano di suscitare gelosie e in uno di essi un complesso di inferiorità. 

* Non dite a un ragazzo: ” Guarda come è saggio tuo fratello… sforzati di essere gentile come tua sorella… “. Niente di peggio per suscitare gelosie, e poi quale ingiustizia! perché i due ragazzi non hanno lo stesso temperamento, ne le stesse reazioni; come se si dicesse a un bruno: ” Diventa biondo come il vicino “. 

* Se due fanciulli sono gelosi l’uno dell’altro direte: ” Bene, domani porterò una bilancia di precisione… “; oppure: ” Dimmi se vuoi essere servito con più abbondanza perché hai fame o perché ti piace questo dolce, ma non perché tuo fratello ha ricevuto più di te; questo non c’entra con ciò che hai ricevuto tu. Se sei soddisfatto non ti lamentare; se non lo sei ridammi la tua parte “.

* Quando due bambini disputano, direte: ” Non avete ragione nessuno dei due a disputare, è troppo tardi per sapere chi ha cominciato. D’altra parte ciò non ha importanza. Da ora, chi ricomincerà avrà torto “. 

* Accade a volte che i fanciulli si denunzino a vicenda. Bisogna innanzi tutto insegnare al fanciullo a distinguere denunzia utile e inutile: è utile soltanto quella che permette di giungere a tempo per evitare qualche incidente o una grossa birbonata: è inutile invece quella che ha per scopo di accusare malignamente il fratello o la sorella. Quando i genitori diranno a chi fa la spia: ” Sarà meglio che venga ad accusare te stesso quando manchi; poiché ora si tratta di un altro, non è te che devo ascoltare “, il piccolo certamente non avrà voglia di ritornare.

* Bisogna ripetere ai figli, che li amate tutti ugualmente e particolarmente: non vi potrà essere rivalità dove non v’è preferenza. 

* Bisogna lasciar parlare i fanciulli a tavola?
Ecco la risposta del dottor Arthus: ” Mi si è chiesto sovente il parere se conviene o no lasciar parlare i fanciulli a tavola. Ho risposto sempre pressappoco così: credo che non bisogna lasciar parlare a vanvera, ma è inutile e insieme crudele voler imporre loro il silenzio durante tutto il pasto. Parlando troppo, mangiano male; se non parlano si annoiano e il pasto familiare diventa una fatica, cosa che non è migliore. D’altra parte, l’ora dei pasti non è il momento in cui papa si può trovare con i suoi figli che vede così poco durante il resto della giornata? Se li tiene cari e gli interessano, cerchi di insegnar loro delle cose nuove che possono interessar loro, non lui; li ammaestri a parlare bene con chiarezza, precisione e interesse. Perché ciò sia possibile è necessario che non si parli da tutti confusamente, ma che ci sia un ordine e una disciplina. Bisogna soprattutto creare un’atmosfera gaia, accogliente che faccia desiderare di trovarsi insieme “.

* È ben inteso che a tavola non bisogna mostrare il viso annoiato o scontento; non si potrà mai immaginare quante malattie di stomaco possano causare certi pasti familiari in cui l’atmosfera è pesante e i cuori chiusi.

* Non bisogna mai permettere che i giovani disprezzino o commiserino le sorelle né che queste vengano prese da un senso di inferiorità o dal desiderio di mascolinizzarsi per non sembrare da meno dei fratelli. Se la giovane infatti è meno forte del ragazzo, deve saper sfruttare ragionevolmente altre buone qualità in suo vantaggio: finezza di intuizione, pazienza, abilità per i lavori domestici, grazia, flessibilità, ecc… Avendone coscienza acquisterà così un sentimento di compenso che rimetterà favorevolmente le cose a posto. 

* Inconsciamente, tra il minore e il primogenito si può scavare un fossato additando continuamente il più grande come modello, o comandando al primogenito di occuparsi del più giovane, o di lasciarsi menare per il naso da lui senza protestare, sotto pretesto che è più giovane. 

* Bisogna anche evitare di far pesare al più giovane la sua qualità di secondogenito, non permettendogli, per esempio, di aver cose in proprio o non procurandogli mai un vestito nuovo. Un fanciullo che era condannato a portare sempre i vestiti del fratello mentre questo ne riceveva dei nuovi, si lamentava così con Dio: ” Mio Dio, fa’ che mio fratello strappi il suo vestito, onde non sia obbligato a portarlo “.

* Ogni bambino ha la sua personalità. Cercate che ognuno si possa intrattenere con voi da solo. Se uno di essi in vena di confidenza con voi si dilungherà, lasciatelo fare, non interrompetelo, anche se avete un’occupazione urgente. Se un fanciullo vi confida un segreto, non traditelo. Sforzatevi ogni tanto di uscire a turno con uno dei vostri figlioli.

* Non mettete in ridicolo i vostri bambini se volete conservare la loro fiducia

SAN VINCENZO FERRER

Eccezion fatta per gli Apostoli, probabilmente nessuno ha superato San Vincenzo Ferrer come predicatore. La sua parola era come un sferzata di fuoco che bruciava e illuminava.

Juliane Vasconcelos Almeida Campos, EP

"Il vento soffia dove vuole..." (Gv 3, 8). Nella sua famosa conversazione notturna con Nicodemo, Gesù utilizzò quest'immagine per spiegare a quel principe dei giudei come agisce lo Spirito Santo nelle anime. Dio ha i suoi disegni per ogni uomo e a tutti concede le grazie adeguate per ottenere la santità, ma concede ad alcuni, oltre a queste, carismi destinati ad aiutare gli altri ad approssimarsi a Lui. Sono le cosiddette grazie gratis datæ – date gratuitamente –, perché sono concesse all'uomo "al di là del potere della sua natura e dei suoi meriti personali".1

Sérgio Hollmann   
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“Temete Dio, e dateGli gloria, perché è
giunta l’ora del suo giudizio”


San Vincenzo Ferrer - Museo San
Pio V, Valencia (Spagna)
Riguardo a queste, l'Apostolo insegna: "A ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per l'utilità comune: a uno viene concesso dallo Spirito il linguaggio della sapienza; a un altro invece, per mezzo dello stesso Spirito, il linguaggio di scienza; a uno la fede per mezzo dello stesso Spirito; a un altro il dono di far guarigioni per mezzo dell'unico Spirito; a uno il potere dei miracoli; a un altro il dono della profezia; a un altro il dono di distinguere gli spiriti; a un altro le varietà delle lingue; a un altro infine l'interpretazione delle lingue" (I Cor 12, 7-10).

Tuttavia, siccome lo Spirito "soffia dove vuole", ci sono nella Storia anime scelte che ricevono non soltanto uno, ma vari di questi carismi per meglio guidare il popolo di Dio in epoche particolarmente conturbate. Uno di questi eletti è il grande San Vincenzo Ferrer.

Segni di una eminente vocazione
Non è raro che Dio annunci con segni soprannaturali l'arrivo di un'anima eccellente al mondo. Una cosa del genere successe alla famiglia Ferrer. Mancando poco a che il nostro Santo venisse alla luce, suo padre, il notaio valenziano Guglielmo Ferrer, sognò di assistere al sermone di un famoso domenicano, dove questi si congratulava con lui, perché in breve sarebbe diventato padre di un figlio notevole nelle lettere e in santità, insigne predicatore, rivestito anche dell'abito domenicano.

Tuttavia, i sogni sono solo sogni... Per non lasciar margine a dubbi, la Provvidenza volle manifestarSi in modo più tangibile. La madre, che aveva già avuto altri figli, si sentiva molto più leggera in questa gestazione, però, sentiva latrati provenire dal suo ventre. Preoccupata, temendo si trattasse di un cattivo presagio, andò a chiedere consiglio al Vescovo di Valencia, da cui ascoltò il vaticinio che il nascituro "sarebbe stato come un distinto mastino a custodire il gregge del popolo cristiano, risvegliandolo, coi suoi latrati, dal sonno dei peccati e mettendo in fuga i lupi infernali".2

Il 23 gennaio 1350 nacque il piccolo Vincenzo. Vivace e intelligente, non gli piacevano i giochi comuni degli altri bambini e li riuniva intorno a sé, per fare loro una "predica" infantile. A 12 anni, già dominando la grammatica e la logica, iniziò i suoi studi di filosofia e teologia. Giovane esemplare, frequentava molto la chiesa, era onesto, digiunava due volte la settimana, faceva lunghe meditazioni sulla Passione di Cristo, recitava l'Ufficio della Croce e le Ore della Madonna, e si mostrava caritatevole verso i poveri e i religiosi.

Il "libro" che ispirava i suoi sermoni

Abitando vicino al monastero dell'Ordine Domenicano, non esitò quando suo padre lo incentivò a entrarci. Prese l'abito il 5 febbraio 1367 e fece la professione l'anno successivo. Nemico dell'ozio, si dedicò agli studi e alla preghiera, nella più stretta osservanza della regola. Era ancora diacono e già predicava così bene che venivano persone da lontano per ascoltarlo. Ordinato sacerdote nel 1374, alternava gli studi e l'insegnamento, tra Barcellona, Tolosa e Lerida, per decisione dei suoi superiori.
A 28 anni ricevette il titolo di maestro in teologia. Conosceva in tal modo la Bibbia che la citava "con la stessa facilità che se l'avesse avuta sempre davanti agli occhi". 3 Dominava anche l'esegesi dei Santi e le lingue latina ed ebraica. Di ritorno a Valencia, si distingueva nell'Ordine come professore, scrittore, predicatore e consigliere. Tuttavia, quando uno gli chiese in che libro trovava pensieri così belli per i suoi sermoni, si limitò ad indicare il Crocifisso.

"Maledetto! Io già ti conosco"

Il demonio fece di tutto per dissuaderlo dalla via di perfezione da lui abbracciata. Una volta, per esempio, si presentò al Santo sotto le vesti di un venerando eremita, invitandolo a non essere così radicale nella pratica della virtù. "Sta sicuro"– gli diceva – "che nessun uomo può evitare di cadere una volta o l'altra in alcune leggerezze, presto o tardi. È meglio allora che questo accada nel fiore dell'età che durante la vecchiaia". Fra Vincenzo lo affrontò col segno della Croce, invocò il nome di Dio e della Madonna, e disse con grande coraggio: "Va' dove meriti, maledetto! Io già ti conosco. Non sai che Dio sta con i suoi servi e li conduce per mano in modo che non inciampino? A Lui consacro non solo la mia vecchiaia, ma anche la mia giovinezza".4 Udendo questo, il demonio scomparve tra grandi urla.

Ciò nonostante, dopo alcuni giorni tornò alla carica, travestito in modo orribile e promettendo di ordirgli così tanti agguati che in nessun modo avrebbe potuto sfuggire all'inferno. "Non ti temo" – ribatté il Santo – "perché il mio Signore Gesù Cristo sta con me". Il demonio continuò con la sua carica: "Lui non starà sempre con te, poiché non c'è niente di più difficile che perseverare nella grazia fino all'ora della morte; e quando Cristo ti lascerà, allora io ti farò conoscere le mie forze". Fra Vincenzo non si intimorì: "Il mio Signore Dio che mi ha dato la grazia per cominciare, me la darà per perseverare al suo servizio".5

  Sérgio Hollmann
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Una profonda vita interiore alimentava
le sue predicazioni, che vertevano
sui Nuovissimi


Scene della vita di San Vincenzo Ferrer -
Museo San Pio V, Valencia (Spagna)
In un'altra occasione, egli chiedeva la grazia di mantenersi nella perfetta castità fino alla fine della vita. All'improvviso, sentì una voce dirgli che tra breve avrebbe perso la verginità, lasciandolo molto triste e sconsolato. Ma subito si volse alla Regina del Cielo, chiedendo che gli mostrasse chi era stato il messaggero di tali cattive notizie. "Apparve all'improvviso la Madonna con grande splendore, nella sua cella, e lo consolò, avvisandolo che si trattava di uno degli assalti del demonio, di fronte ai quali egli non doveva perdere la fiducia, poiché Lei, che poteva più di tutte le furie infernali, non lo avrebbe mai privato della sua protezione".6

Nel Sacro Palazzo di Avignone

Nel 1378 era scoppiato lo Scisma d'Occidente. Morto Gregorio IX, a Roma, un conturbato conclave – celebrato fra pressioni e disordini nelle strade – elesse come Papa, Urbano VI. Pochi mesi dopo, dodici Cardinali riuniti ad Anagni dichiararono non valida questa elezione e scelsero, ad occupare il Soglio Pontificio, il Cardinale Roberto di Ginevra, che, assumendo il nome di Clemente VII, istallò la sua corte ad Avignone.

Qual era il Papa legittimo e quale l'antipapa? Oggi basta consultare qualsiasi buon manuale di Storia per saperlo. All'epoca, tuttavia, la situazione era molto lontana dall'essere chiara. Da entrambe le parti infuriavano ambizioni e interessi politici, sebbene fiorissero anche la buona fede e il fervore religioso vero. Santi, Vescovi e monarchi esponevano fondati motivi che li portavano a sostenere Urbano VI o l'antipapa Clemente. L'Europa Cristiana si divideva tra l'obbedienza a Roma o Avignone.

"È difficile valutare oggi lo scompiglio che tale anarchia causava nelle anime",7 commenta uno storico. Lo Scisma si ripercuoteva nella Cristianità intera. "In quante Diocesi, parrocchie e monasteri, non si vedeva sollevarsi Vescovo contro Vescovo, parroco contro parroco, abate contro abate! Nessuno poteva esser sicuro della sua Fede né della validità della sua obbedienza".8

Morto Clemente nel 1394, gli succedette sul trono di Avignone il Cardinale Pietro di Luna col nome di Benedetto XIII. Austero, pio e convinto della sua legittimità, questo antipapa subito chiamò Fra Vincenzo Ferrer a essere suo cappellano e confessore, nominandolo anche Maestro del Sacro Palazzo e penitenziere della corte papale.

Fra Vincenzo, che appoggiava con sincerità il diritto di Benedetto XIII al Soglio Pontificio, accettò l'invito e si trasferì ad Avignone. Ma contemporaneamente all'aggravarsi del problema dello Scisma, cresceva anche l'amarezza di Fra Vincenzo. Certi atteggiamenti di Papa Luna lo turbarono profondamente. Inoltre, il vedere aumentare la divisione tra coloro che avrebbero dovuto essere uniti in Cristo lo portò a una grave infermità, che in tre giorni lo condusse vicino alla morte.

In continua preghiera, chiedeva a Dio di togliere da quella situazione la Santa Chiesa. Gli apparve allora il Divino Redentore, accompagnato dagli Angeli, San Domenico e San Francesco. Egli gli rivelò che entro alcuni anni lo Scisma sarebbe terminato e che lo aveva scelto per la missione di predicare contro i vizi del tempo, invitando il popolo alla conversione: "Abbi costanza e non temere nessuno, poiché anche se non ti mancheranno avversari e molti ti invidieranno, Io verrò sempre in tuo aiuto affinché tu possa vincere tutti gli ostacoli e percorrere gran parte dell'Europa, predicando il mio Vangelo; e, infine, che tu muoia santamente ai confini della terra". Gli toccò la fronte con la mano, dicendo: "Alzati, mio Vincenzo!",9 guarendolo immediatamente.

Missionario per mandato divino

Fra Vincenzo si alzò con la determinazione di compiere la missione ricevuta, propugnando l'integrità del Vangelo e l'unità della Chiesa. Malgrado la riluttanza di Benedetto XIII, partì da Avignone il 22 novembre 1399 per essere missionario, col beneplacito dei suoi superiori, in obbedienza al mandato divino. Percorreva a piedi sentieri e strade. Soltanto quando si fece male a una gamba cominciò a utilizzare un asinello nei suoi spostamenti. Predicò in vari paesi: Spagna, Portogallo, Francia, Svizzera, Germania, Italia e Inghilterra.

Una profonda vita interiore alimentava le sue predicazioni, che vertevano sui Nuovissimi, soprattutto il Giudizio Finale. Faceva invettive contro la menzogna, lo spergiuro, la blasfemia, la calunnia, l'usura, la simonia, l'adulterio, e tanti altri vizi di quella società dissoluta. Il suo motto era "Temete Dio e dategli gloria, perché è giunta l'ora del suo giudizio" (Ap 14, 7), perché il timore reverenziale a Dio non è che un altro nome dell'amore.

Vere moltitudini – dotti, incolti, nobili, plebei, laici o religiosi – si comprimevano per ascoltare le sue prediche, non tardando a farsi sentire i loro frutti: ladri restituivano quanto avevano rubato; nemici si riconciliavano; omicidi e assalitori si emendavano; pecorelle smarrite ritornavano alla Santa Chiesa, e non poche persone abbandonavano il mondo e si consacravano a Dio. Portava con sé un seguito di confessori di varie nazioni per ascoltare i penitenti. Egli stesso costumava confessarsi prima della celebrazione della Messa solenne, nella quale predicava.

In un'epoca in cui molti predicatori cercavano di brillare nei sermoni con argomentazioni accademiche o composizioni retoriche vuote che non animavano i fedeli, la parola di San Vincenzo era, al contrario, "come una sferzata di fuoco che bruciava e illuminava".10 Fuoco della carità che "scuoteva le coscienze mezzo addormentate, e per questo egli era, per eccellenza, il Santo opposto alla tiepidezza".11

Predicava nelle piazze e in aperta campagna, poiché le chiese erano piccole per contenere le migliaia di presenti. Parlava con voce possente e sonora, ricca di sfumature che facevano sentire la forza della presenza di Dio e la sua grazia. Scrutava con sguardo penetrante gli ascoltatori, si avvaleva della sua portentosa immaginazione per meglio attirare l'attenzione, svolgeva i suoi ragionamenti con concetti chiari e precisi. Tutto questo veniva favorito da una prodigiosa conoscenza delle Sacre Scritture, i cui insegnamenti lui applicava ai fatti concreti e alle circostanze reali del suo tempo.
Carismi speciali
Parola di saggezza e di scienza, carismi di miracoli, guarigioni, profezia, discernimento degli spiriti, glossolalia, esorcismo... Impossibile enumerare tutti i fatti della sua vita che illustrano ognuno di questi carismi!

Francisco Lecaros  
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Obbediente all’incarico ricevuto, non
smise di predicare anche quando
era ormai anziano


San Vincenzo Ferrer, di Pietro García
de Benabarre - Museo Nazionale
di Arte della Catalogna,
Barcellona (Spagna)
In un'epoca in cui nemmeno si poteva sognare di avere i nostri moderni microfoni, Fra Vincenzo usava la sua potente voce per farsi sentire da lontano. Ma i suoi biografi registrano, a questo proposito, casi inspiegabili secondo le leggi naturali. Fra questi, uno dei più eloquenti è quello di un monaco del Monastero dei Bernardi che, stando a otto leghe – più di 45 km – dal luogo in cui parlava il Santo, ascoltò e annotò uno dei suoi sermoni.

Dopo ogni predicazione guariva gli infermi, benedicendoli e pronunciando queste parole: "Questi segni accompagneranno quelli che credono: imporranno le mani agli infermi e questi saranno guariti. Gesù Cristo, Figlio di Maria, salute e Signore del mondo, così come ti ha portato la Fede Cattolica, in essa anche ti conservi e ti renda beato, e voglia liberarti da questa infermità".12

Come gli Apostoli nel giorno di Pentecoste, parlava sempre nella sua propria lingua – l'idioma valenziano – e tutti lo capivano perfettamente, in qualsiasi paese o regno predicasse, come pure esorcizzava il demonio al suo passaggio. Un giorno, si scagliarono sulla moltitudine dei fedeli tre cavalli espellendo fumo dalle narici, mossi da demoni furiosi, che vedevano quelle anime scappare dalle loro grinfie. Essi furono cacciati dalla forza dell'autorità di San Vincenzo.

Prevedeva il futuro prossimo o lontano. Uno degli episodi più famosi è quello di un valenziano che gli chiese di benedire il suo nipotino, Alonso de Borja, ancora bambino. Gli disse Fra Vincenzo: "Manda a scuola questo bambino, perché diventerà Papa e mi onorerà molto". Alcuni anni dopo, il giovane Alonso andò a salutarlo e udì questa profezia: "Mi rallegro, figlio, per il tuo bene. Sarai Sommo Pontefice e mi canonizzerai a tempo debito".13 Infatti, anni più tardi, egli fu ordinato Vescovo di Valencia, diventò Papa Callisto III ed ebbe il privilegio di canonizzare il Santo...

"Nunc dimittis servum tuum, Domine"

Obbediente all'incarico ricevuto, non smise di predicare anche quando era ormai anziano, stanco e con acciacchi. Aveva bisogno di esser aiutato a salire sulle pedane, ma sembrava recuperare le energie quando cominciava a parlare.

Infine, la tanto bramata unità della Chiesa avvenne con il Concilio di Costanza, nel quale l'influenza di San Vincenzo contribuì molto alla fine dello Scisma. Lì si realizzò il conclave che elesse Papa Martino V, l'11 novembre 1417, alla cui obbedienza si sottopose tutta la Cristianità. Si direbbe che il Santo fece suo il Cantico di Simeone – "Nunc dimittis servum tuum, Domine" (Lc 2, 29) –, poiché, trascorsi soltanto due anni, morì a Vannes, in Bretagna, il 5 aprile 1419, come aveva predetto Gesù.

Trentasei anni dopo, il già menzionato Callisto III lo elevò all'onore degli altari. Avendo compiuto la sua missione con audacia e coraggio, è una gloria per la Spagna, per l'Ordine dei Predicatori e per la Chiesa, poiché "eccezion fatta per gli Apostoli, probabilmente nessuno superò San Vincenzo Ferrer come predicatore".14

AMDG et DVM